Creazione e leggi di natura nel Commento al Genesi

Singolare conoscitore della biologia e della zoologia del suo tempo, acuto osservatore della natura, uomo di profonda istruzione filosofica formatosi ad Atene, Basilio di Cesarea (329-379) presenta nelle sue “Omelie sull’Esamerone”, un esempio di lettura del testo biblico attenda al dato scientifico della sua epoca. Nei brani di Basilio si possono facilmente riconoscere idee fondamentali sull’autonomia delle leggi della natura, in quanto il cosmo creato da Dio riceve da Lui le forze sufficienti per esplicare nel tempo la ricchezza delle sue forme. Vi sono anche, probabilmente, degli incipienti accenni ad un’idea vicina al principio di inerzia: «come le trottole, in forza del primo impulso ricevuto compiono le successive rotazioni, quando, fissato il loro asse, girano su sé stesse; così anche l’ordine della natura, ricevuto l’impulso iniziale in virtù del primo comando, attraversa il tempo successivo, finché non giunga all’universale compimento del tutto» (V, 10). E ancora: «Come una sfera, che dopo essere stata spinta e dopo aver trovato una superficie inclinata, per effetto della propria struttura e della natura del terreno viene tratta verso il pendio, né si ferma prima di aver incontrato una superficie piana, così la natura degli esseri, mossa da quell’unico comando, attraversa la creazione [....] finché non raggiunga il suo termine» (IX, 2). Non senza interesse l’untuizione con cui osserva che gli uccelli hanno parti anatomiche simili a quelle dei pesci, dovendo anch’essi “nuotare” nell’aria, che, come il mare, Basilio considera alla stregua di un fluido (cfr. VIII, 2).
   

I, 6. In principio Dio creò il cielo e la terra. Essendo dunque tanto varie le accezioni della parola principio, vedi un poco se nel caso nostro questa voce non possa adattarsi a tutti i significati. Potrai conoscere anche il tempo da cui ebbe inizio la costituzione di questo mondo, se, risalendo dal presente nel passato, ti sforzerai di trovare il primo giorno della genesi del mondo. Così troverai donde è partito il primo moto nel tempo, quindi che il cielo e la terra furono posti, per così dire, come base e fondamento; poi che una ragione operosa ha diretto l’ordinamento del mondo visibile, come ti indica la parola principio. Troverai infine che il mondo non è stato ideato a caso e invano, ma per un fine utile e per procurare a tutti gli esseri un grande vantaggio, dal momento che esso è realmente la scuola delle anime razionali e il luogo in cui ci si educa alla conoscenza di Dio, in quanto Egli offre allo spirito, mediante le cose visibili e sensibili, una guida alla conoscenza penetrante delle realtà invisibili, come dice l’apostolo: «Le sue invisibili perfezioni fin dalla creazione del mondo, appaiono chiare attraverso le sue opere» [cf. Rm 1,20]. O forse perché la creazione è avvenuta in un attimo e fuori dal tempo, è detto: In principio Dio creò, perché il principio è qualcosa di indivisibile e di inesteso. Come l’inizio della via non è ancora la via, e l’inizio della casa non è ancora la casa, così anche l’inizio del tempo non è ancora il tempo, e neppure ne è la minima parte. E se qualcuno polemicamente sostenesse che l’inizio è un tempo, sappia che avrà da dividerlo nelle parti del tempo: e queste sono l’inizio, il mezzo, la fine. Ma immaginare l’inizio dell’inizio è del tutto ridicolo. E chi scinde in due il principio, ne farà due invece di uno, anzi molti e infiniti, perché quel che è frazionato può sempre essere diviso in parti ulteriori. Per insegnarci che il mondo ha cominciato ad esistere in un attimo atemporale per la volontà di Dio, è stato detto: In principio Dio creò. Questo hanno affermato altri interpreti dando una spiegazione più chiara: «Dio creò in compendio», vale a dire tutto insieme nell’istante. Tanto basti circa la parola principio, per trattare poche cose delle tante che si presentano.

I, 7. Fra le arti alcune si dicono creative, altre pratiche, altre ancora teoriche. Il fine delle arti teoriche è l’attività intellettiva; quello delle arti pratiche è il movimento del corpo, cessato il quale nulla più esiste o rimane percettibile allo sguardo: infatti un fine della danza e dell’arte del flauto non c’è, ma la loro azione finisce in sé stessa. Nelle arti creative, invece, anche quando cessa la loro attività, l’opera rimane. Così nell’architettura, nell’edilizia, nell’arte metallurgica e nell’arte della tessitura, e in quante altre del genere: anche in assenza dell’artefice, esse manifestano chiaramente in sé stesse le virtù operative, ed è possibile così ammirare nell’opera l’architetto, il fabbro e il tessitore. Perché fosse manifesto che il mondo è un’opera d’arte offerta alla penetrante conoscenza di tutti, così che per suo mezzo venga riconosciuta la sapienza del suo Creatore, il saggio Mosé non usò altra parola se non questa: In principio Dio creò. Non disse «ha prodotto» oppure «ha fondato», ma «ha creato». E poiché molti di quelli che hanno fantasticato che il mondo esiste con Dio fin dall’eternità, non ammettono che sia opera sua, ma che abbia preso ad esistere spontaneamente come ombra della sua potenza – riconoscono che Dio è la causa del mondo, ma una causa involontaria, come il corpo lo è dell’ombra e il corpo lucente del chiarore – il profeta, per correggere un tale errore, si è espresso con questa esattezza nelle parole, dicendo: In principio Dio creò. Egli non fu per questo semplice causa dell’esistenza del mondo, ma nella sua bontà creò ciò che è utile, nella sua sapienza, ciò che è bellissimo, nella sua potenza, ciò che è grandissimo. Infatti ti si è quasi mostrato come artefice che penetra la sostanza degli esseri, nell’atto di armonizzare le singole parti fra loro, e nel dare all’universo omogeneità e accordo interno e perfetta armonia. In principio Dio creò il cielo e la terra. Con questi due limiti estremi significò velatamente l’esistenza dell’universo riconoscendo al cielo la precedenza della genesi, e assegnando alla terra il secondo ruolo nell’esistenza. E se fra queste esistenze ve n’è una di mezzo, essa fu certamente creata insieme a quei due estremi.

Omelia, I, nn. 6-7

 

II, 6. E lo Spirito di Dio si muoveva sopra le acque. Se con questo spirito intende l’effusione dell’aria, devi ammettere che lo scrittore ha elencato gli elementi del cosmo, cioè che Dio creò il cielo, la terra, l’acqua, l’aria; e quest’ultima già si diffondeva penetrando nelle vastità. Oppure, ciò che è più vero e ammesso dai nostri padri, con Spirito di Dio si intende lo Spirito Santo: perché si è osservato che la Scrittura lo designa specialmente e preferibilmente con questo appellativo, e che niente altro viene denominato Spirito di Dio se non lo Spirito Santo, essenziale completamento della divina e beata Trinità. Accogliendo questo significato, vi troverai un maggior profitto. Come si muoveva questo Spirito sopra le acque? Non ti darò una spiegazione personale, ma quella di un Siro tanto distante dalla sapienza mondana quanto vicino alla conoscenza dei veri lumi. Diceva costui che la parola in siriaco era più espressiva e per la sua parentela con l’ebraico si accostava un po’ di più al senso delle Scritture. Ecco quale sarebbe il senso della parola. Quel si muoveva, dice costui, viene interpretato come «riscaldava» e «fecondava» la natura delle acque, alla maniera di un uccello che cova e infonde forza vitale nelle uova sottoposte al suo calore. Tale è, dicono, il significato espresso da questa parola: lo Spirito si muoveva, cioè preparava la natura delle acque alla generazione; cosicché è sufficiente questo per dimostrare quel che certuni mettono in discussione, cioè che lo Spirito Santo non è escluso dall’attività creatrice.

Omelia II, n. 6

 

V, 10. Che la terra germogli. Questo piccolo comando fu all’istante legge potente di natura e ragione piena d’arte, che più veloce del nostro pensiero portava a compimento le infinite caratteristiche delle piante. Quel comando, ancor oggi insito nella terra, la sospinge in ogni tempo dell’anno ad esprimere tutta l’energia da lei posseduta per la produzione delle erbe, dei semi, degli alberi. Come le trottole in forza del primo impulso ricevuto compiono le successive rotazioni, quando, fissato il loro asse, girano su sé stesse; così anche l’ordine della natura, ricevuto l’impulso iniziale, in virtù di quel primo comando, attraversa il tempo successivo, finché non giunga all’universale compimento del tutto. Verso questo compimento affrettiamoci anche noi, colmi di frutti e «pieni di opere buone» [cf. At 9, 36] affinché «piantati nella casa del Signore, possiamo fiorire nelle dimore di Dio» [cf. Sal 91,14], in Cristo Gesù nostro Signore, al quale sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Omelia V, n. 10

 

VI, 1. Vi siano dei luminari nel firmamento del cielo. Se mai in una notte serena, fissando lo sguardo sulle indicibili bellezze degli astri, hai pensato all’artefice dell’universo, chiedendoti chi ha ornato il cielo con tanta varietà di fiori, e come mai nel mondo visibile la necessità è più forte del piacere; se poi durante il giorno hai osservato con attento giudizio le meraviglie del giorno, e attraverso le cose visibili hai dedotto l’invisibile, allora tu vieni qui come uditore ben preparato e meritevole di integrare questa venerabile e beata assemblea. E dunque: come coloro che prendono per mano e guidano quelli che sono nuovi nella città, così anch’io farò da guida a voi quali forestieri verso le meraviglie nascoste di questa grande città. In questa città, dove era la nostra antica patria, dalla quale ci ha cacciati il demonio omicida rendendo l’uomo schiavo con le sue seduzioni, in questa città tu vedrai la prima genesi dell’uomo, e la morte che subito si è impadronita di noi: quella morte generata dal peccato, primogenito del demonio principe del male. Tu conoscerai te stesso, terrestre per natura, ma opera uscita dalle mani di Dio: molto inferiore per forza fisica agli esseri irrazionali, eppure signore eletto degli animali e degli esseri senz’anima. Per qualità naturali inferiore, ma per la superiorità della ragione capace di elevarti fino al cielo. Una volta appresi questi insegnamenti, conosceremo bene noi stessi, conosceremo Dio, adoreremo il Creatore, serviremo il Signore, glorificheremo il Padre, ameremo Colui che ci nutre, renderemo onore al nostro benefattore, non cesseremo di adorare l’autore della nostra vita presente e futura, Colui che si fa garante anche dei beni promessi mediante la ricchezza che ci ha elargito, e attraverso l’esperienza del presente ci dà sicurezza dei beni che attendiamo. Se tali sono i beni temporali, quali non saranno i beni eterni? E se gli esseri visibili sono così belli, come saranno gli invisibili? Se l’immensità del cielo supera la capacità della mente umana, quale pensiero potrà rintracciare la natura di ciò che è eterno? Se il sole, che pure è corruttibile, è così bello, così grande, così veloce nel suo movimento, così regolare nel compiere i suoi giri, d’una grandezza proporzionata al tutto sì da non oltrepassare un misurato rapporto con l’universo; mentre la sua bellezza lo rende come l’occhio lucente della natura che splende nel creato; se la sua vista non cessa di saziare, quale sarà nella sua bellezza il sole della giustizia? Se per un cieco è un danno non vedere il sole, quale danno non sarà per un peccatore essere privato della luce vera?

Omelia VI, n. 1

 

VIII, 2. Che le acque producano rettili animati e viventi secondo la loro specie, e gli uccelli che volano sulla terra nel firmamento del cielo. Abbiamo parlato degli animali nuotanti, per quanto ce lo consentiva il tempo disponibile nella serata di ieri; oggi siamo arrivati a considerare gli animali terrestri. Ci è sfuggito nel mezzo il mondo degli alati. Come i viandanti smemorati, che quando hanno lasciato qualcosa di importante, anche se sono molto avanti nel viaggio, rifanno indietro la strada, e sopportano la fatica di questo cammino come giusta pena della loro negligenza; così anche noi, a quanto pare, dobbiamo necessariamente ritornare sulla nostra strada. Perché quel che si è omesso non è trascurabile, ma sembra costituire la terza parte degli animali creati, dato che vi sono tre generi di animali, quello dei terrestri, quello dei volatili, quello degli acquatici. Che le acque – dice la Scrittura – producano rettili animati e viventi secondo la loro specie, e uccelli che volano sulla terra nel firmamento del cielo secondo la loro specie.

Perché Dio ha dato l’esistenza agli esseri alati traendoli anch’essi dalle acque? Perché vi è una certa affinità tra i volatili e quelli che nuotano. Come i pesci fendono l’acqua procedendo in avanti col movimento delle pinne, regolando con la mobilità della coda le loro evoluzioni e i movimenti in linea retta; così anche gli uccelli si possono vedere nuotare nell’aria con le ali nella stessa maniera. Perciò, dato che nuotare è caratteristico di entrambi, fu data loro questa unica affinità di nascere dalle acque. Solo che nessuno degli uccelli è privo di piedi, perché tutti trovano da vivere sulla erra e tutti hanno bisogno necessariamente dell’aiuto dei piedi. I rapaci per la caccia hanno le punte delle unghie aguzze; agli altri, per muoversi e per tutto il modo di vivere, è stato dato l’uso necessario dei piedi. Alcuni uccelli sono deboli di piedi, non adatti né a camminare, né a cacciare: così le rondini, che non possono né camminare né cacciare, e i cosiddetti drepanidi, ai quali è provveduto il cibo con gli insetti che si muovono nell’aria. Mentre per la rondine il volo rasoterra sostituisce il servizio dei piedi.

3. Ma anche fra gli uccelli vi sono infinite varietà di specie; e se uno li passa in rassegna allo stesso modo in cui abbiamo esaminato i pesci, certo troverà il solo e medesimo nome di volatili, ma innumerevoli differenze di grandezze, di forme e di colori; scoprirà che nei modi di vita, nelle attività e nei costumi vi è tra loro una varietà indicibile.

Omelia VIII, nn. 2-3

 

IX, 2. Che la terra produca l’anima vivente del bestiame, delle fiere e dei rettili. Che la terra produca l’anima vivente del bestiame, delle fiere e dei rettili. Pensa alla parola di Dio, che pervade la creazione e che allora dava inizio alla sua opera e conserva finora la sua efficacia e continua la sua corsa verso il termine, sino alla consumazione del mondo. Come una sfera, che dopo essere stata spinta e dopo aver trovato una superficie inclinata, per effetto della propria struttura e della natura del terreno viene tratta verso il pendio, né si ferma prima d’avere incontrato una superficie piana; così la natura degli esseri, mossa da quell’unico comando, attraversa la creazione con passo uguale nella nascita e nella morte, salvaguardando le successioni della specie mediante l’uguaglianza degli esseri, finché non raggiunga il suo termine. Essa fa succedere il cavallo al cavallo, il leone al leone, l’aquila all’aquila; e conservando ciascun essere con la continuità delle successioni, lo accompagna fino al compimento dell’universo. Non vi è tempo che distrugga o faccia sparire le peculiarità delle creature viventi, ma come fosse or ora costituita, la natura sempre giovane si accompagna alla corsa del tempo. Che la terra produca un’anima vivente. Questo ordine è rimasto insito nella terra, ed essa non smette di servire al Creatore. Perché alcuni esseri traggono origine dalla successione di quelli che li precedono, altri invece ancor oggi sono generati dalla terra stessa. Questa non solo produce cicale durante le piogge, né soltanto le altre innumerevoli specie di creature alate che vagano per l’aria, la maggior parte delle quali non ha nome tanto sono piccole, ma fa nascere ancora dal suo seno topi e rane. In certe parti dei dintorni di Tebe in Egitto, quando durante i grandi calori piove abbondantemente, il terreno si riempie subito di topi di campo. Le anguille poi non le vediamo nascere in altro modo se non dal fango: né uovo né alcun altro mezzo ne costituisce la successione, ma la loro nascita è dalla terra. Che la terra produca un’anima. Gli animali sono terrestri e curvi sulla terra, ma l’uomo, pianta celeste, ne differisce tanto nell’aspetto della sua conformazione somatica quanto nella dignità dell’anima. Qual è la configurazione dei quadrupedi? La loro testa piega verso terra, guarda al ventre e in ogni modo ne persegue il piacere. La tua testa è volta al cielo; i tuoi occhi guardano verso l’alto; cosicché se mai ti avvilisci nelle passioni della carne, asservendoti al ventre e ai bassi istinti, anche tu «ti sei assimilato agli animali senza ragione e ti sei fatto come loro» [cf. Sal 48,13]. Un’altra cura ti si addice: «cercare le cose di lassù, dove è Cristo» [cf. Col 3,1], elevarti con la mente al di sopra delle cose terrene. Cerca di regolare la tua vita secondo la tua conformazione corporea. La tua cittadinanza sia nei cieli. La tua vera patria è la Gerusalemme celeste; i suoi concittadini e compatrioti sono «i primogeniti, coloro i cui nomi sono scritti nei cieli» [cf. Eb 12,23].

Omelia IX, n. 2

da S. Basilio di Cesarea, Sulla Genesi, a cura di Mario Naldini, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1990, pp. 21-25; pp. 57-59; pp. 161-163; pp. 165-169; pp. 243-245; pp. 273-277.