In seguito al grande successo del libro di Richard Dawkins The selfish gene (trad. it.: Il gene egoista, Milano 1995), nel 1978 fu proposto dalla Oxford University Press ad Alister McGrath, un giovane ricercatore in biofisica all’Università di Oxford con spiccati interessi verso la teologia, di scrivere un libro che fosse una risposta alle teorie esposte da Dawkins nel suo saggio. Il giovane McGrath però, dopo averci pensato un po’, rifiutò quell’offerta, ritenendo di non essere ancora pronto per scrivere una simile replica. Lo farà quasi 20 anni dopo, ormai affermato docente di storia della teologia nella stessa Università di Oxford.
Il libro che ora presentiamo, nell’edizione italiana dell’editrice Rubbettino, titola Dio e l’evoluzione, ma il titolo inglese, Dawkins’ God rende meglio l’idea dell’opera: si tratta infatti di uno studio specifico sulle posizioni “filosofico-religiose” del celebre biologo evoluzionista Richard Dawkins. A partire dalla fine degli anni settanta, Dawkins ha continuato a scrivere molte altre opere, fra le quali alcuni best-seller, il cui contenuto principale è, in sostanza, che dopo Darwin l’unica posizione intellettualmente accettabile per un uomo di scienza sulle questioni che riguardano Dio e la religione è l’ateismo: «Prima di Darwin l’ateismo era solo una tra le tante possibilità di fede; oggi è l’unica scelta seria per un intellettuale onesto che sappia di scienze. Per credere in Dio ai giorni d’oggi bisogna avere “gli occhi bendati da una fervida fantasia”» (p. 22). Il visitatore di questo Portale può leggere due recensioni da noi proposte ai volumi del biologo inglese, Il gene egoista e L’orologiaio cieco.
Le affermazioni di Dawkins sono senza dubbio piuttosto radicali. Egli intende dimostrare la non esistenza di Dio, empiricamente; non potendolo ovviamente fare — come avrebbero potuto insegnargli gli studenti della sua Università di Oxford già otto secoli prima — il biologo inglese deve forzare testi e posizioni per far emergere divergenze insanabili tra una visione del mondo teistica, ritenuta pre-scientifica, ed una invece atea e matura, ritenuta la sola scientifica.
Nei libri di Dawkins, che l’A. reputa comunque essere uno scrittore affascinante, ricco di idee e con uno stile provocatorio estremamente stimolante, sono quattro essenzialmente i concetti che, secondo il noto polemista, portano verso una visione atea del mondo: 1) una visione scientifica della realtà rende inutile la fede in Dio come valenza esplicativa; 2) le affermazioni di fede non hanno nessuna validità poiché non poggiano su argomenti razionali ma solo su credenze irrazionali; 3) la visione del mondo offerta dalla religione è povera e limitata rispetto a quella offerta dalle scienze; 4) la religione conduce al male ed è come un virus che infetta le menti dell’uomo.
Nel cap. 1, McGrath presenta la figura di Dawkins, offrendo una sintesi della storia della biologia da Darwin in poi, nonché della nuova visione del mondo che questa ha portato nelle concezioni scientifiche dell’Inghilterra del XVIII sec., e degli sviluppi portati dagli studi di Mendel. L’A. presenta quindi la figura del “gene egoista” sviluppata da Dawkins, che intende i geni come fossero entità che guidano e manipolano i propri “contenitori” per perpetuarsi nel tempo, visto che «un organismo non è altro che uno strumento del DNA e non viceversa».
Nel cap. 2, l’A. si domanda se veramente una concezione darwiniana della realtà sia necessariamente atea, sia secondo Darwin stesso che secondo alcuni suoi prestigiosi discepoli, e più in generale se è vero che un uomo di scienza non possa non essere ateo. Analizza poi il “dio orologiaio” di William Paley come sintomatico dell’errata impostazione di Dawkins, visto che questi lo prende come unico modello teologico con il quale confrontarsi, mentre trattavasi in realtà di una dottrina sulla creazione con poco successo in ambito protestante (e praticamente nullo in quello cattolico).
Il cap. 3 analizza il valore epistemologico della fede, ovvero se questa, come Dawkins sostiene, significhi fiducia piena in assenza di prove, e persino in presenza di prove contrarie, o se questa definizione totalmente arbitraria di Dawkins non spetti piuttosto all’ateismo da lui propugnato; e che posto ha poi la fede (quella basata sulla “testimonianza” altrui, non contro ragione) nelle teorie scientifiche.
Nel cap. 4 l’A. si presenta l’analogo del gene di Dawkins: il “meme”, un «replicatore culturale» che consente la trasmissione dell’informazione attraverso lo spazio ed il tempo, allo stesso modo in cui il gene trasmette i caratteri biologici. Una teoria che, come l’A. fa giustamente notare, non porta nessuna risposta soddisfacente al problema del progresso culturale della società e dei singoli individui, ma rappresenta semplicemente la risposta che più si accorda con la visione del mondo di Dawkins.
Il cap. 5, infine, espone in modo sommario il rapporto fra scienza e religione: gli scenari passati, i conflitti, ma soprattutto le prospettive future di collaborazione che potranno esserci se, e solo se, ogni disciplina saprà definire e rispettare il suo ambito e metodo di ricerca, cercando di arricchirsi grazie ad un incontro con l’altra. Non quindi due discipline parallele che non si toccano mai, né sintesi forzate che sviliscono invece di arricchire; ma confronto aperto e sereno, ricordando che non esistono due entità assolute come “scienza” e “teologia”, ma uomini che desiderano conoscere il come ed il perché delle cose. Un atteggiamento che Dawkins non solo non ha, ma considera dannoso.