Questo interessante lavoro di Giovanni Fornero, allievo e continuatore dell’opera del filosofo Nicola Abbagnano, può essere suddiviso in tre parti: le prime due, come si evince dal titolo, riguardano rispettivamente la bioetica cattolica e la bioetica laica, mentre la terza è dedicata al confronto tra le due posizioni e le possibili, o meno, mediazioni. Il tutto esposto con un linguaggio chiaro e con obiettività, per cui il lettore alla fine si sente da una parte informato sulle due prospettive e, dall’altra, si trova ad avere un quadro complessivo ed organico su una problematica attualmente così discussa.
Infatti, dopo aver riservato il primo capitolo alla storia e alla definizione del concetto di bioetica (“bio” per indicare la scienza dei sistemi viventi ed “etica” in riferimento al sapere circa la condotta umana alla luce dei valori e dei principi morali), l’autore affronta il problema dei “due grandi modelli teorici” che «si ispirano a due concezioni generali del mondo e a due distinte filosofie: una di matrice “religiosa” e l’altra di matrice “laica”» (p. 15).
Così tutto il terzo capitolo è dedicato all’analisi della posizione della Chiesa cattolica che ribadisce il senso della sacralità della vita, basata sui principi della creaturalità (la vita, come afferma l’Evangelium vitae è “uno splendido dono di Dio”), della non disponibilità (in quanto, essendo frutto di un “sì” di Dio all’uomo, è sottratta alla arbitrarietà individuale), e della inviolabilità (conseguenza dei primi due principi, implica il divieto morale di uccidere).
Per questo, «i cattolici parlano di intangibilità della vita, evidenziando come il suo rispetto e la sua difesa rappresentino “il primo imperativo etico dell’uomo verso se stesso e verso gli altri”» (p. 31). Ogni comportamento che infranga questo principio è illecito perché porterebbe inevitabilmente al relativismo nichilista, all’agire sull’essere delle persone, al mero calcolo umano staccato dalla fede: infatti, precisa Fornero, la Chiesa cattolica parla di “fides et ratio”, non di “fede o ragione”.
Completamente diversa è la posizione laica, che intende la bioetica non come “sacralità”, ma come “qualità” della vita: una visione che ha portato alla formulazione del “Manifesto di bioetica laica”, in cui si afferma da un lato che l’esistenza di Dio resta di fatto un’ipotesi, per cui è tutto da verificare “il progetto divino sulla vita umana”; dall’altro, di conseguenza, che l’uomo è il solo responsabile di se stesso e, dunque, libero di decidere sulla “qualità” del suo esistere: se questa viene meno nessuno gli può impedire anche la scelta estrema. Questa bioetica perciò afferma che «non è la vita in quanto tale, o in quanto espressione di un (sovrastante) valore di ordine religioso o metafisico, a possedere pregio, bensì la qualità (o il ben-essere) della vita, cioè una vita che appare “degna di essere vissuta”» (p. 74).
Il concetto che sta alla base di questi convincimenti è che la “mappatura” dei valori non è esterna all’uomo, non gli viene da un “ordine” superiore, ma è frutto della sua intelligenza, per cui può cambiarla ogniqualvolta essa non corrisponda più alle sue esigenze: è il principio dell’autonomia più assoluta, in base al quale la vita deve essere “disponibile”, ad esempio, anche all’eutanasia e alla manipolazione genetica (principio in verità assai discutibile e non condivisibile). All’interno di questo quadro ci sono comunque diversi punti di vista che l’autore esamina nel quinto capitolo, concludendo con l’espressione usata da Umberto Galimberti di “etica del viandante”.
Dunque il confronto è tra “sacralità” e “qualità” della vita; ma è un confronto che richiede una netta scelta di campo? A questo interrogativo è dedicata la terza parte in cui Fornero mette in evidenza come una tale risposta sia attraversata da mille sfumature e mille distinguo, in quanto ci sono anche “bioetiche di matrice religiosa vicine alle posizioni laiche” e “interpretazioni laiche del principio della sacralità della vita”, con diversi “tentativi di mediazione”.
Infatti Fornero conclude il suo excursus scrivendo che «la verità genuina del rapporto tra bioetica cattolica e bioetica laica (...) è che esse, pur essendo strutturalmente diverse (e, su certi punti, inconciliabili), non possono fare a meno di coesistere e di dialogare (e quindi di interagire). (...) Un laboratorio in cui, come auspicava Scarpelli, “principi differenti possano infine confrontarsi senz’odio filosofico e teologico”» (pp. 203-204).
Non è certo un dialogo di facile attuabilità quello che si prospetta, soprattutto perché sulla bioetica esistono ancora parecchi fraintendimenti e preclusioni preconcette. Uno dei pregi di questo libro invece è proprio quello di fornire un confronto obiettivo tra le diverse posizioni, perché solo con la reciproca conoscenza si può arrivare alla vera comprensione.