Dubbi e pseudo-dubbi: educare il giudizio critico

Fabrizio Sebastiani
AltraScienza

Guardandomi intorno, fra le notizie, nei social, nei molti discorsi, più o meno argomentati, che seguiamo o promuoviamo, vedo spesso un fenomeno che anni fa sarebbe apparso bizzarro, mentre oggi va per la maggiore passando tranquillamente senza filtro alcuno. Mi riferisco all’argomento del “dubbio” come forma di interrogazione e critica verso gli argomenti più disparati, il più delle volte finalizzato a contestare il così detto “pensiero main stream”. Sono tanti e infiniti: il dubbio verso i vaccini, i dubbi verso il gasdotto TAP, i dubbi verso il riscaldamento globale (negazionisti climatici) o magari i dubbi verso la teoria dell'evoluzione biologica (creazionismo).... Il dubbio viene spesso presentato come bandiera vincente, come un valore in sé. Ci hanno infatti insegnato fin dalla scuola media che la cultura del dubbio è il germe vitale della filosofia: Socrate in fondo era uno che dubitava quando diceva di sapere di non sapere? Cartesio, poi, ha elevato il dubbio al rango di metodo generalizzato. Nel metodo scientifico, poi, il dubbio – il non fidarsi di primo acchito delle apparenze – è cruciale: è proprio nella messa in dubbio delle conoscenze acquisite che si attua il progresso e si giunge a nuove conoscenze. Senza nutrire dubbi sulla teoria geocentrica non sarebbe stato possibile elaborare quella eliocentrica; senza dubbi sulla completezza della fisica newtoniana non sarebbe stato possibile elaborare la teoria della relatività... Allora ecco che il dubbio, sacralizzato quasi da un'aura mitica, diventa paradigma. E nell’era dei social dove le informazioni piovono a fiotti, dove con Wikipedia si può avere accesso a una marea di informazioni di livello tutto sommato buono ma spesso parziale, dove abbondano i tuttologi, il dubbio diventa appunto mito assoluto: cosa meglio di un bel dubbio per argomentare qualsiasi cosa?

Proviamo però a fare attenzione ed introduciamo una prima distinzione fra dubbi e pseudo-dubbi. Gli scienziati, di fatto, non mettono in dubbio proprio ogni cosa. Sarebbe facile e inutile allo stesso tempo. I dubbi veri, quelli che fanno davvero avanzare il sapere, e non solo la scienza, sono pochi. Cerchiamo di vedere perché.

Buona parte dei dubbi che incontriamo oggi nel dibattito pubblico potremmo chiamarli, appunto, “pseudo-dubbi”: spesso non sono coerenti, si snodano su un percorso non praticabile, vengono influenzati da pregiudizi (bias), sono disturbati da rumore informativo, o da semplice mancanza di dati. Ad esempio, mettere in dubbio la teoria della relatività di Einstein tout-court non avrebbe senso perché ha ottenuto molteplici conferme e sarebbe oggi difficile formulare un dubbio sensato in quella direzione. Per farlo dovremo avere dei dati e degli scenari che al momento non possediamo. Questi dubbi hanno una probabilità troppo elevata di dimostrarsi falsi, e quindi investire su di essi è un dispendio inutile e insensato. Nella scienza, però, vi sono dei dubbi veri, poi smentiti (avvalorando la teoria iniziale) o confermati (smentendo o correggendo la teoria iniziale). Questi dubbi sono utili perché dimostrandosi veri o falsi, aiutano a progredire, confermando o smentendo qualcosa. Soltanto i dubbi “veri” forniscono veri risultati e veri progressi; invece gli pseudo-dubbi fanno perdere risorse, oppure mirano ad altri fini che poco hanno a che vedere con un’autentica ricerca.

Saper riconoscere se un dubbio è autentico o uno pseudo-dubbio, è una attività faticosa che nei vari ambiti richiede conoscenza, competenza ed esperienza. Non avere queste qualità può significare confondere facilmente gli elementi del discorso. Solo così il dubbio è e rimane assolutamente necessario; imprescindibile nella filosofia, nella scienza, nella politica, nella società e, in generale, nel pensiero.

Altra caratteristica degli pseudo-dubbi è che la loro confutazione richiede molta più energia di quanta essi ne abbiamo richiesta per essere formulati: è facile mettere insieme una lista di video, foto e articoli dei tanti “dubbi” che dimostrerebbero che non siamo mai andati sulla Luna; ma molto faticoso è scrivere libri per dimostrare che invece sulla Luna ci siamo andati davvero e mettere così in luce le infinite contraddizioni in cui i complottisti “no-luna” si imbarcano con le loro argomentazioni. Scrivere cose contraddittorie che appaiono plausibili è molto meno faticoso che dimostrare la verità dei fatti. E nella logica dei click, che vincono sempre su internet, è facile vedere dove conviene investire di più per ottenere facili guadagni.

Provo a raccontarvi una breve storia. Provengo da una famiglia in cui non si usava il forno a microonde e anzi vi era verso questo nuovo elettrodomestico una certa diffidenza; non tutti lo avevano all’epoca, era ancora poco diffuso. Ancora ragazzino mi accostavo da giovane adolescente ai primi studi sulle onde elettromagnetiche. Maturai dentro di me dei forti “dubbi” sul forno a microonde; ecco come procedeva il mio argomentare: «Vuoi vedere che quelle onde elettromagnetiche creano sostanze dannose? Chi mi dice che alcune molecole, eccitate dalle radiazioni, non cambiano composizione diventando nocive? D’altra parte non è così che accade anche con il cancro? Come mai non esistono studi che certificano che non fanno male? Se non ci sono questi studi, evidentemente, vuol dire che non hanno interesse che si sappia… Ecco, il solito discorso interessato delle industrie che ti nascondono la verità per venderti i forni a microonde». Dal mio punto di vista questi “dubbi” dimostravano ampiamente che le lobby industriali insabbiavano tutto per vendere gli elettrodomestici. Altrimenti perché non vi erano studi di quel tipo? Poi, crescendo e studiando meglio come funziona sia il forno a microonde sia come sono fatti gli atomi e come interagiscono con le onde elettromagnetiche, capii che un conto sono le radiazioni ionizzanti e ultraviolette, tutt’altra cosa le radiazioni non ionizzanti (infrarossi, radio e – appunto – microonde). Semplicemente un forno a microonde non è in grado – per quanto potente possa essere – di ionizzare gli atomi e le molecole, quindi può solo riscaldare ma non rompere i legami chimici, cambiando una sostanza da una molecola in un’altra. Allora ecco come si spiegava l’assenza di studi che avessero dimostrato che “non faceva male”: semplicemente quel dubbio non era fondato, non era consistente. E così crollava miseramente anche il mio “complottismo” verso le lobby industriali. Il dubbio che a me sembrava così razionale, così fondato, così evidente e lineare, non era in realtà un vero dubbio, ma uno pseudo-dubbio.

Si comprende bene che è molto facile esprimere dubbi: è una attività che possiamo definire “a bassa energia”, cioè costa molto poco: le argomentazioni non necessitano di troppa coerenza, ma sono sufficienti narrazioni che mettano in luce le (tante) contraddizioni che pure esistono a causa della spaventosa complessità che ci circonda. Ignorare grosse parti del sapere è un modo perfetto di eliminare alla radice tanta complessità, ma ciò genera bias di insospettabile grandezza e impedisce di esercitare un giudizio critico profondo. Il pensiero autentico invece, la vera ricerca, il risultato, la fatica che elimina il rumore e i bias sono invece attività ad “alta energia”, cioè richiedono molto studio, davvero molta fatica, molti anni, molto investimento di risorse, esperienze, anche solo per poter essere formulati, e molto di più per essere risolti! Si tratta di processi molto più costosi di una semplice esternazioni di dubbi. Un vero dubbio si distingue da uno pseudo-dubbio, in sostanza, perché richiede molta più energia per essere elaborato. La vera fatica è trovare le domande giuste.

Gli pseudo-dubbi sono parenti stretti delle “etichette”. Esistono categorie quasi automatiche che si affibbiano ad esempio con etichette tipo “no-vax”, se esprimi dubbi su un vaccino, oppure “complottista” sulle teorie economiche, o “populista” su certi argomenti politici. Sono etichette generalmente sbagliate e piuttosto superficiali; ma rilanciano quasi sempre in realtà degli pseudo-dubbi alimentati da un ego pregiudiziale, che opera spesso con occhi incapaci di mettere a fuoco, come accadeva a me con la storia del microonde.

Provo a tirare qualche conclusione.Non tutti i dubbi sono sullo stesso piano e non tutti possono essere accolti nel dialogo allo stesso modo: se formulati con premesse o presupposti errati, bias cognitivi, rumore informativo non adeguatamente filtrato, oppure scarsa (se non nulla) conoscenza dei contesti, allora diventano difficili da inserire in un autentico dialogo. Un dialogo serio presuppone un vocabolario comune, dei dati di partenza condivisi; occorrerebbe prima fare un’analisi dei presupposti che hanno portato a formulare quei dubbi, e verificare davvero se sono dei dubbi autentici o degli pseudo-dubbi. Chi non è disposto a vagliare i propri dubbi probabilmente escogiterà argomenti di ogni tipo per non rinunciare alla propria visione delle cose: si sentirà forse “bullizzato” e radicalizzerà ancor di più le proprie convinzioni con affermazioni del tipo: “è tutta colpa delle lobby”, dei “poteri forti”, la “narrazione mainstream è inattaccabile”. Questo non vuol dire che non esistano delle lobby che tramino a loro vantaggio, o dei poteri forti, o che non vi siano opinioni dominanti che sovrastano ogni parere discordante. Ma è altrettanto vero che non si può argomentare apoditticamente con sentenze che, invitando a dubitare di tutto, chiarirebbero finalmente ogni cosa. E soprattutto difficilmente falsificabili.