Visita pastorale a Bologna: incontro con gli studenti e il mondo accademico

Cari amici,

sono contento di condividere questo momento con voi e ringrazio cordialmente il Rettore e lo studente per i loro interventi. Non potevo venire a Bologna senza incontrare il mondo universitario. L’Università di Bologna è da quasi mille anni laboratorio di umanesimo: qui il dialogo con le scienze ha inaugurato un’epoca e ha plasmato la città. Per questo, Bologna è chiamata “la dotta”: dotta ma non saccente, proprio grazie all’Università, che l’ha sempre resa aperta, educando cittadini del mondo e ricordando che l’identità a cui si appartiene è quella della casa comune, dell’universitas.

La parola universitas contiene l’idea del tutto e quella della comunità. Ci aiuta a fare memoria delle origini – è tanto prezioso coltivare la memoria! –, di quei gruppi di studenti che cominciarono a radunarsi attorno ai maestri. Due ideali li spinsero, uno “verticale”: non si può vivere davvero senza elevare l’animo alla conoscenza, senza il desiderio di puntare verso l’alto; e l’altro “orizzontale”: la ricerca va fatta insieme, stimolando e condividendo buoni interessi comuni. Ecco il carattere universale, che non ha mai paura di includere. Lo testimoniano seimila stemmi multicolori, ognuno dei quali rappresenta la famiglia di un giovane venuto qui a studiare, non solo da tante città italiane, ma da molti Paesi europei e persino dal Sudamerica! La vostra Alma Mater, e ogni università, è chiamata a ricercare ciò che unisce. L’accoglienza che riservate a studenti provenienti da contesti lontani e difficili è un bel segno: che Bologna, crocevia secolare di incontri, di confronto e relazione, e in tempi recenti culla del progetto Erasmus, possa coltivare sempre questa vocazione!

Tutto qui è iniziato attorno allo studio del diritto, a testimonianza che l’università in Europa ha le radici più profonde nell’umanesimo, cui le istituzioni civili e la Chiesa, nei loro ruoli ben distinti, hanno contribuito. Lo stesso San Domenico rimase ammirato dalla vitalità di Bologna e dal grande numero di studenti che vi accorrevano per studiare il diritto civile e canonico. Bologna col suo Studium aveva saputo rispondere ai bisogni della nuova società, attirando studenti desiderosi di sapere. San Domenico li incontrò spesso. Secondo una narrazione, fu proprio uno scolaro, colpito dalla sua conoscenza della Sacra Scrittura, a domandargli su quali libri avesse studiato. È nota la risposta di Domenico: «Ho studiato nel libro della carità più che in altri; questo libro infatti insegna ogni cosa».

La ricerca del bene, infatti, è la chiave per riuscire veramente negli studi; l’amore è l’ingrediente che dà sapore ai tesori della conoscenza e, in particolare, ai diritti dell’uomo e dei popoli. Con questo spirito vorrei proporvi tre diritti, che mi sembrano attuali.

1. Diritto alla cultura. Non mi riferisco solo al sacrosanto diritto per tutti di accedere allo studio – in troppe zone del mondo tanti giovani ne sono privi –, ma anche al fatto che, oggi specialmente, diritto alla cultura significa tutelare la sapienza, cioè un sapere umano e umanizzante. Troppo spesso si è condizionati da modelli di vita banali ed effimeri, che spingono a perseguire il successo a basso costo, screditando il sacrificio, inculcando l’idea che lo studio non serve se non dà subito qualcosa di concreto. No, lo studio serve a porsi domande, a non farsi anestetizzare dalla banalità, a cercare senso nella vita. È da reclamare il diritto a non far prevalere le tante sirene che oggi distolgono da questa ricerca. Ulisse, per non cedere al canto delle sirene, che ammaliavano i marinai e li facevano sfracellare contro gli scogli, si legò all’albero della nave e turò gli orecchi dei compagni di viaggio. Invece Orfeo, per contrastare il canto delle sirene, fece qualcos’altro: intonò una melodia più bella, che incantò le sirene. Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione.

Armonizzando nella vita questa bellezza custodirete la cultura, quella vera. Perché il sapere che si mette al servizio del miglior offerente, che giunge ad alimentare divisioni e a giustificare sopraffazioni, non è cultura. Cultura – lo dice la parola – è ciò che coltiva, che fa crescere l’umano. E davanti a tanto lamento e clamore che ci circonda, oggi non abbiamo bisogno di chi si sfoga strillando, ma di chi promuove buona cultura. Ci servono parole che raggiungano le menti e dispongano i cuori, non urla dirette allo stomaco. Non accontentiamoci di assecondare l’audience; non seguiamo i teatrini dell’indignazione che spesso nascondono grandi egoismi; dedichiamoci con passione all’educazione, cioè a “trarre fuori” il meglio da ciascuno per il bene di tutti. Contro una pseudocultura che riduce l’uomo a scarto, la ricerca a interesse e la scienza a tecnica, affermiamo insieme una cultura a misura d’uomo, una ricerca che riconosce i meriti e premia i sacrifici, una tecnica che non si piega a scopi mercantili, uno sviluppo dove non tutto quello che è comodo è lecito.

2. Diritto alla speranza. Tanti oggi sperimentano solitudine e irrequietezza, avvertono l’aria pesante dell’abbandono. Allora occorre dare spazio a questo diritto alla speranza: è il diritto a non essere invasi quotidianamente dalla retorica della paura e dell’odio. È il diritto a non essere sommersi dalle frasi fatte dei populismi o dal dilagare inquietante e redditizio di false notizie. È il diritto a vedere posto un limite ragionevole alla cronaca nera, perché anche la “cronaca bianca”, spesso taciuta, abbia voce. È il diritto per voi giovani a crescere liberi dalla paura del futuro, a sapere che nella vita esistono realtà belle e durature, per cui vale la pena di mettersi in gioco. È il diritto a credere che l’amore vero non è quello “usa e getta” e che il lavoro non è un miraggio da raggiungere, ma una promessa per ciascuno, che va mantenuta.

Quanto sarebbe bello che le aule delle università fossero cantieri di speranza, officine dove si lavora a un futuro migliore, dove si impara a essere responsabili di sé e del mondo! Sentire la responsabilità per l’avvenire della nostra casa, che è casa comune. A volte prevale il timore. Ma oggi viviamo una crisi che è anche una grande opportunità, una sfida all’intelligenza e alla libertà di ciascuno, una sfida da accogliere per essere artigiani di speranza. E ognuno di voi lo può diventare, per gli altri.

3. Diritto alla pace. Anche questo è un diritto, e un dovere, iscritto nel cuore dell’umanità. Perché «l’unità prevale sul conflitto» (Evangelii gaudium, 226). Qui, alle radici dell’università europea, mi piace ricordare che quest’anno si è celebrato il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, degli inizi dell’Europa unita. Dopo due guerre mondiali e violenze atroci di popoli contro popoli, l’Unione è nata per tutelare il diritto alla pace. Ma oggi molti interessi e non pochi conflitti sembrano far svanire le grandi visioni di pace. Sperimentiamo una fragilità incerta e la fatica di sognare in grande. Ma, per favore, non abbiate paura dell’unità! Le logiche particolari e nazionali non vanifichino i sogni coraggiosi dei fondatori dell’Europa unita. E mi riferisco non solo a quei grandi uomini di cultura e di fede che diedero la vita per il progetto europeo, ma anche ai milioni di persone che persero la vita perché non c’erano unità e pace. Non perdiamo la memoria di questi!

Cent’anni fa si levò il grido di Benedetto XV, che era stato Vescovo di Bologna, il quale definì la guerra «inutile strage» (Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti, 1° agosto 1917). Dissociarsi in tutto dalle cosiddette “ragioni della guerra” parve a molti quasi un affronto. Ma la storia insegna che la guerra è sempre e solo un’inutile strage. Aiutiamoci, come afferma la Costituzione Italiana, a “ripudiare la guerra” (cfr Art. 11), a intraprendere vie di nonviolenza e percorsi di giustizia, che favoriscono la pace. Perché di fronte alla pace non possiamo essere indifferenti o neutrali. Il Cardinale Lercaro qui disse: «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia» (Omelia, 1° gennaio 1968). Non neutrali, ma schierati per la pace!

Perciò invochiamo lo ius pacis, come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza. Per questo ripetiamo: mai più la guerra, mai più contro gli altri, mai più senza gli altri! Vengano alla luce gli interessi e le trame, spesso oscuri, di chi fabbrica violenza, alimentando la corsa alle armi e calpestando la pace con gli affari. L’Università è sorta qui per lo studio del diritto, per la ricerca di ciò che difende le persone, regola la vita comune e tutela dalle logiche del più forte, della violenza e dell’arbitrio. È una sfida attuale: affermare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi è scartato, e del creato, nostra casa comune.

Non credete a chi vi dice che lottare per questo è inutile e che niente cambierà! Non accontentatevi di piccoli sogni, ma sognate in grande. Voi, giovani, sognate in grande! Sogno anch’io, ma non solo mentre dormo, perché i sogni veri si fanno ad occhi aperti e si portano avanti alla luce del sole. Rinnovo con voi il sogno di «un nuovo umanesimo europeo, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia»; di un’Europa madre, che «rispetta la vita e offre speranze di vita»; di un’Europa «dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile» (Discorso per il conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016). Sogno un’Europa “universitaria e madre” che, memore della sua cultura, infonda speranza ai figli e sia strumento di pace per il mondo. Grazie.