La scienza ha bisogno della religione perché comprende che la sua visione del mondo non può dare ragione di tutta la realtà e, soprattutto, perché è necessario affidare i rapidi progressi scientifici e tecnologici contemporanei alla saggezza di una guida spirituale. Al tempo stesso, la religione deve tener conto delle scoperte scientifiche e inglobarle nella sua visione spirituale del mondo: una religione che non fosse in grado di farlo, non giungerebbe al XXII secolo.
Al nostro ingresso in un nuovo secolo probabilmente destinato ad essere dominato da formidabili progressi scientifici e tecnologici, il bisogno di una guida spirituale sarà più forte che mai. La scienza da sola non può provvedere adeguatamente ai nostri bisogni spirituali, ma qualsiasi religione che rifiuti di abbracciare la scoperta scientifica difficilmente sopravviverà nel XXII secolo. Nel XXI secolo la religione ha di fronte sfide straordinarie. Sorprendenti progressi nella scienza e nella tecnologia hanno trasformato la nostra visione del mondo e hanno provocato cambiamenti sensazionali nel modo di vivere e nel benessere materiale. Ma questo enorme progresso ha lasciato indietro la religione. Pochi teologi stanno al passo con gli sviluppi rivoluzionari all’avanguardia dell’astronomia, della fisica, della biologia molecolare o della genetica. Le chiese e le istituzioni religiose sembrano mal equipaggiate per occuparsi del nuovo, splendido mondo della cosmologia del Big Bang, della realtà dei quanti, dell’ingegneria genetica e delle nanotecnologie. Di conseguenza, molte persone vedono la religione sulla difensiva contro l’assalto furioso del progresso scientifico. Essi ritengono che la scienza screditi o rimpiazzi la religione.
È vero che, storicamente, la maggior parte delle scoperte scientifiche, come la teoria dell’evoluzione di Darwin, si sono rivelate sconvolgenti per alcuni ambiti religiosi. Inoltre, tre secoli di pensiero scientifico materialista e riduzionista hanno alimentato l’impressione che gli scienziati siano individui freddi, duri e senz’anima, che cercano di ridurre lo splendore della natura a sterili formule matematiche.
Ad ogni modo, questa visione di due sistemi di credenza in opposizione spietata e in costante conflitto, è gravemente fuorviante. Per quei pensatori religiosi preparati ad occuparsi con uno spirito costruttivo di quanto la scienza proporrà come ordine del giorno, i prossimi decenni saranno un’epoca di vivace attività e di rinnovamento. La scienza non deve necessariamente essere nemica della religione. In realtà, lungi dal minacciare il benessere spirituale del genere umano, la scienza è vista sempre più come fonte di ispirazione positiva. Quanto più gli scienziati svelano i segreti della natura, tanto più essi rivelano un universo di bellezza e ingegnosità sbalorditiva, uno splendido piano cosmico davvero degno del nostro stupore e della nostra lode.
Il pronosticato accordo tra scienza e religione non avverrà, ad ogni modo, senza un progresso religioso rilevante. Per comprendere le affascinanti sinergie che stanno emergendo nel campo scienza/religione si richiede un livello di raffinatezza teologica molto al di sopra di quello che caratterizza il semplicistico azzuffarsi di gran parte del dibattito pubblico fra scienza e religione. D’altra parte, se gli scienziati fossero meglio istruiti in materia di religione e spiritualità, sarebbero meno inclini a congedare tali temi come anacronistici.
Per spiegare quello che intendo, riporterò due esempi tratti dalla “frontiera” scientifica, presentati frequentemente come minacce per la religione e mostrerò che, in realtà, le cose stanno diversamente. Il primo è la teoria della nascita dell’universo come Big Bang, il secondo è l’origine della vita. Il mio argomento centrale sarà questo: nessuno di questi avvenimenti ha bisogno di un miracolo che li spieghi. Ambedue sono accaduti, io credo, attraverso processi fisici naturali, miliardi di anni fa. Ma, ben lungi dal supportare l’idea di un cosmo senza scopo ed un freddo ateismo, come molti hanno voluto concludere da essi, questi progressi scientifici fanno proprio l’opposto.
Iniziamo con l’origine dell’universo. Ricordate l’entusiasmo suscitato quando Stephen Hawking disse, più o meno, che Dio non era necessario per spiegare il Big Bang? Ho sempre considerato questo commento di Stephen una beffa spensierata, piuttosto che una seria dichiarazione di teologia.
Hawking, infatti, stava affermando poco più di quanto fatto da s. Agostino il quale, nel quinto secolo, aveva già concluso che «il mondo fu fatto con il tempo e non nel tempo». Agostino era desideroso di demolire l’immagine ingenua di un Dio inteso come una sorta di “super Essere” che opera miracoli manifestatosi nel corso del tempo, un Essere rimasto inattivo per un’eternità, prima di creare capricciosamente l’universo in un preciso momento, e poi messosi di nuovo a sedere per vederlo funzionare. Se il tempo stesso costituisce parte della creazione, argomentava Agostino, allora questa imbarazzante eternità prima della creazione non esisterebbe. Egli pose perciò Dio completamente fuori del tempo e spiegò che «la creazione dal nulla» include la creazione del tempo. Oggi, quando la maggior parte dei teologi cristiani parlano di “creazione”, non intendono primariamente che l’universo balzi nell’essere dal nulla, ma il suo venir sostenuto nell’essere, cioè il fatto che il tempo, lo spazio, la materia e le leggi della natura siano sostenute nell’essere in ogni momento. In questa più raffinata interpretazione della creazione, Dio è considerato non tanto come un mago cosmico o un ingegnere pirotecnico, quanto come il fondamento razionale su cui tutta l’esistenza fisica è eternamente radicata.
Sorprendentemente, Albert Einstein giunse più o meno alla stessa conclusione 1500 anni più tardi. La sua teoria della relatività chiarisce che il tempo è inseparabile dallo spazio e dalla materia, e che questi sono tutti parte dell’universo fisico, soggetti alle leggi della natura. Personalmente trovo l’idea di un dio intrappolato nel tempo e subordinato alle sue leggi teologicamente molto insoddisfacente. Nella teoria di Einstein, l’intero universo può originarsi letteralmente dal nulla in un Big Bang. Non esiste il tempo prima del Big Bang: il tempo stesso viene all’esistenza assieme allo spazio e al tempo. Inoltre, vi sono noti princìpi fisici che permettono la comparsa spontanea del tempo e dello spazio dal nulla, senza il bisogno di un atto soprannaturale per far sì che il Big Bang faccia “bang”, ossia esploda. Così Hawking stava semplicemente attaccando un concezione di Dio che era stata in ogni caso abbandonata molto prima da dotti teologi.
Sfortunatamente molte persone considerano questa versione scientifica della nascita del cosmo come un inganno. Sospettano che gli scienziati stiano solo coprendo la loro ignoranza con una sorta di tecnica nebulosa, per timore di lasciare aperta una scappatoia alla possibilità di un Dio. A questa conclusione erronea sono giunti molti commentatori, compreso l’eminente giornalista britannico Bernard Levin. Su una mordace colonna del London Times, che iniziava con le memorabili parole «Bene, povero vecchio Dio… », Levin criticava aspramente il grande fisico americano John Archibald Wheeler per aver fatto notare, del tutto correttamente, che la domanda «Che cosa accadde prima del Big Bang?» è semplicemente senza senso nel contesto della teoria generale della relatività.
È una domanda senza senso, poiché il tempo stesso iniziò con il Big Bang. Come Stephen Hawking spiega, è un po’ come chiedere che cosa ci sia a nord del Polo Nord. La risposta è “nulla”, non perché vi sia lì qualche misteriosa Terra del Nulla, ma perché non c’è alcun posto a “nord del Polo Nord”. Allo stesso modo, non c’è alcun tempo “prima del Big Bang”. La teoria del Big Bang descrive come l’universo si è originato dal nulla — proprio nulla, nemmeno lo spazio e tempo — in pieno accordo con le leggi della fisica. Agostino avrebbe capito perfettamente.
A questo punto voglio inserire due importanti avvertimenti. La teoria del Big Bang è, naturalmente, un modello matematico. C’e un grande quantità di dati osservativi a sostegno dell’idea di un’improvvisa origine esplosiva del cosmo circa 15 miliardi di anni fa, e non penso che lo scenario di base sia posto in dubbio. Ma l’effettivo verificarsi dell’evento stesso è ben al di là di qualsiasi osservazione prevedibile. In laboratorio è possibile ricreare le condizioni presenti all’incirca un miliardesimo di miliardi di secondo dopo il Big Bang, ma il tipo di fisica di cui abbiamo bisogno per spiegare l’inizio dello spazio e del tempo ebbe origine ben prima di ciò, a energie miliardi di miliardi di volte più grandi. Così, la spiegazione dell’origine naturale dell’universo con l’uso della cosmologia dei quanti è un esempio di teoria matematica molto speculativa. Potrebbe rivelarsi completamente lontana dal bersaglio. Ma questo non importa! Il punto chiave è che noi possiamo avere idea di come l’universo avrebbe potuto generarsi dal nulla, senza violare alcuna legge fisica. Non è necessario un particolare evento soprannaturale perché l’universo prenda l’avvio.
Il secondo avvertimento è che il modello del Big Bang che ho illustrato potrebbe essere, nell’insieme, troppo semplice. Potrebbero esserci stati molti “bang”, e quello che noi chiamiamo “l’universo” potrebbe essere in realtà soltanto una bolla di spazio-tempo nel mezzo di un vasta classe di universi — un multiverso se si vuole. Ma non voglio abusare troppo della vostra pazienza, così lascerò da parte questi sviluppi e procederò con il secondo dei miei argomenti: l’origine della vita.
Darwin spiegò notoriamente come la vita sulla Terra si è gradualmente evoluta dai microbi primitivi fino alla ricca diversità della biosfera che noi vediamo oggi. Ad ogni modo, egli lasciò aperta la questione di come il primo essere vivente giunse all’esistenza. E questo rimane profondamente problematico. Come si trasformarono spontaneamente le stesse sostanze chimiche, prive di vita, nel primo essere vivente? Nessuno lo sa. Ci sono molte teorie, ma tutte hanno seri limiti. Si tratta di un autentico mistero.
Ora, vi sono alcuni che si agganciano proprio a questo enigma per affermare che Dio creò il primo essere vivente con un evento miracoloso. Ma questo è cascare nel vecchio tranello del dio-tappabuchi, invocando Dio per spiegare un fenomeno imbarazzante. Trovo sgradevole, sia scientificamente che teologicamente, l’idea di Dio come un padrone assente, che si fa vedere di tanto in tanto per punzecchiare il mondo, muovendo gli atomi, quasi ponendosi in competizione con le forze della natura. Inoltre è un affermazione tatticamente temeraria, perché la scienza ha la consuetudine, prima piuttosto che dopo, di risolvere i misteri.
C’è molta ricerca in corso di avanzamento nel campo della biogenesi. Alcuni scienziati stanno cercando di creare la vita da zero, in laboratorio, combinando sostanze chimiche in svariati modi. Altri stanno seguendo una pista dall’alto verso basso, prendendo microbi esistenti e ricostruendoli gene per gene nella speranza di creare nuove, più primitive forme di vita in provetta. La speranza è che questi studi risolvano il mistero di come Madre Natura abbia portato a compimento lo “scherzetto” della generazione della vita sulla Terra primitiva — o forse su corpi celesti vicini, nel sistema solare — miliardi di anni fa, senza l’aiuto di una speciale attrezzatura e di un gruppo di esperti chimici organici. Maggiori sviluppi sono attesi nei prossimi decenni.
Si vuole per questo dire che il nocciolo della questione si riduce alla domanda se la vita sia un miracolo oppure se Dio sia superfluo? Certamente no! Come scienziato, preferirei credere che la vita si sia realmente formata attraverso processi fisici naturali. Ad ogni modo, difficilmente saremmo, per questo, alla fine della storia. I processi fisici accadono secondo due modalità: in modo da corrispondere a delle leggi, oppure casualmente. Tradizionalmente gli scienziati supponevano che l’origine della vita fosse stato un colpo di fortuna chimico di stupefacente improbabilità, un vezzo del fato, unico nell’intero cosmo. Se così fosse, allora noi saremmo soli in un universo altrimenti sterile, e l’esistenza della vita sulla Terra, in tutta la sua esuberante gloria, sarebbe soltanto un caso, senza significato. D’altra parte, un crescente numero di scienziati sospetta che la vita sia iscritta nelle leggi fondamentali dell’universo, cosicché questa sarebbe quasi obbligata ad emergere ovunque prevalgano condizioni ambientali simili a quelle terrestri. Se hanno ragione — se cioè la vita è parte della struttura di base della realtà — allora noi esseri umani siamo rappresentazioni viventi di un piano cosmico sbalorditivamente ingegnoso, costituito da un insieme di leggi che sono in grado di far sorgere la vita dalla non vita e l’intelletto dalla materia non pensante. Quanto è più impressionante, questo grandioso insieme di princìpi fisici — che fornisce tutti i marchi di garanzia del progetto —, di un intervento sporadico di una divinità che semplicemente “convogli” queste meraviglie nell’esistenza.
Siamo allora qui di fronte ad un meraviglioso esempio di come la scienza stia ispirando il dibattito teologico in maniera crescente. La questione se la vita si sia formata per necessità o per caso può essere verificata, e io credo che lo sarà, dall’osservazione e dall’esperimento. Se la vita sarà finalmente prodotta in provetta, o scoperta su Marte, dimostrandola completamente indipendente dalla vita terrestre, allora la teoria senza senso del “colpo di fortuna chimico” sarà confutata. La vita e l’intelletto saranno svelati come parte di uno splendido piano cosmico, impressi nella natura delle cose al più profondo livello di realtà. La nostra stessa esistenza sarà vista in connessione con questo profondo livello, in maniera intima e determinata. Invece di giocare noi un ruolo futile, come supplemento cosmico casuale, ove la vita sulla Terra sia vista come un incidente insignificante in un universo senza scopo, il nostro posto nel cosmo sarà assai più che intrigante. Certo, non sarebbe quello di riportarci al centro dell’universo o sul pinnacolo della creazione — il nostro posto è molto più modesto — ma nemmeno sarà quello di relegarci nello status di meri agglomerati di atomi in movimento. Secondo la mia opinione, la scoperta che la vita e l’intelletto siano emersi come parte dell’esecuzione naturale delle leggi dell’universo, sarà una forte prova della presenza di uno scopo più profondo nell’esistenza fisica. Poiché è facile immaginare altri universi e altri insiemi di leggi fisiche che non rendano possibile la vita, il fatto che il nostro universo sia così ingegnosamente benevolo verso di essa sarebbe certo un fatto della massima importanza. Spero che si veda l’intento del mio discorso. Invocare un miracolo per spiegare la vita è esattamente quello di cui non c’è bisogno per avere la prova di un scopo divino nell’universo.
Concludo così le mie osservazioni con una nota positiva. Al nostro ingresso in un nuovo secolo probabilmente destinato ad essere dominato da formidabili progressi scientifici e tecnologici, il bisogno di una guida spirituale sarà più forte che mai. La scienza da sola non può provvedere adeguatamente ai nostri bisogni spirituali, ma qualsiasi religione che rifiuti di abbracciare la scoperta scientifica difficilmente sopravviverà nel XXII secolo.
Conferenza pronunciata a Filadelfia su invito della John Templeton Foundation e diffusa da Meta List on Science and Religion, http://www.meta-list.org