La creazione? Un "colpo" ben orchestrato

In una intervista del 2004, il fisico e ministro della Chiesa anglicana, John Polkinghorne, risponde ad alcune domande fondamentali sul rapporto tra fede e scienza. Afferma lo scienziato: «Non siamo qui per caso: nell'universo tutto risponde a una logica che porta a Dio e al suo progetto sull'uomo».

«Parleremo del rapporto fra scienza e fede? Faccio subito una premessa: la scienza è possibile perché l’universo è una creazione e noi siamo creature fatte a immagine del Creatore. La ragione umana e la struttura razionale del mondo fisico attorno a noi hanno un’origine comune nella razionalità di Dio, che è il fondamento della nostra esperienza fisica e mentale. E anche della scienza. Lo vogliano riconoscere o no gli scienziati, attraverso le loro scoperte incontrano il Logos divino».

Prima di diventare ministro della Chiesa anglicana, il reverendo John Polkinghorne è stato per undici anni professore di Fisica e matematica all’Università di Cambridge. E, da prete, per altri venti anni ha ricoperto la carica di presidente dl prestigioso Queen’s College. Nel 2002 ha ricevuto il Templeton Prize, il “Nobel della Religione”. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. In Italia sono stati pubblicati, fra gli altri, Quark, caos e cristianesimo (Claudiana) e Credere in Dio nell’età della scienza (Raffaello Cortina). Polkinghorne fa parte della Royal Society, l’accademia scientifica indipendente che ha il compito di promuovere l’eccellenza della ricerca. È un personaggio di cui l’Inghilterra va fiera. A 49 anni, ha lasciato una solida e ben remunerata carriera accademica per diventare studente di teologia e andare a lavorare per cinque anni in una parrocchia di Bristol, al centro di una zona operaia. Poi l’università lo ha richiamato, gli ha offerto la presidenza del Queen’s College e lui ha accettato, continuando a fare il sacerdote.

 

Scienza e fede sono “cugine”, come lei dice. Però con qualche dura incomprensione, in passato.

«Perché c’è qualcosa invece del nulla?, si domandava Leibniz. Come è cominciato tutto questo? Le cose create non portano il marchio di fabbrica “fatto da Dio”, il Creatore è più sottile. Perciò, mentre la scienza può sottoporre ogni cosa a verifica sperimentale, la fede non può citare come testimone Dio nello stesso modo. Gli approcci sono diversi. Davanti alla realtà del mondo fisico, la scienza si pone la domanda: “come” avvengono le cose? La religione si chiede “perché” avvengono? L’incomprensione reciproca, certo, c’è stata. Ma non bisogna dimenticare che la religione ha fatto qualcosa per la scienza: ha preparato l’ambiente intellettuale nel quale la scienza può progredire. In virtù della concezione cristiana della creazione, ci aspettiamo che il mondo sia ordinato perché il Creatore è razionale; desideriamo e consideriamo giusto conoscere direttamente la realtà, osservarla, perché l’ha creata Dio (i Greci, tanto per dire, ritenevano invece che bastasse pensare e riflettere)».

 

E invece la scienza che cosa porta in aiuto alla religione?

«La conoscenza scientifica ci permette di trovare argomenti di indiscutibile efficacia. Se il rapporto tra due delle forze fondamentali della natura, la gravità e l’elettromagnetismo, non fosse esattamente quello che è, non vi sarebbe vita sulla Terra. Un Sole che brucia troppo debolmente non avrebbe potuto, con i suoi raggi, favorire la nascita delle creature viventi e alimentarle; un Sole che brucia troppo intensamente avrebbe esaurito la propria energia troppo presto perché la vita riuscisse a comparire. Il disegno ha coinvolto l’universo: è in seguito alle esplosioni di supernova che gli elementi necessari alla vita (a cominciare da carbonio e ossigeno) si sono diffusi nel cosmo. Perciò l’astronomo Fred Hoyle diceva che l’universo è un “colpo” perfettamente organizzato, il prodotto di una formidabile intelligenza».

 

L’esistenza del male nel mondo come viene spiegata dalla dottrina della Creazione?

«Contrariamente a quanto sembrano supporre scienziati come Stephen Hawking, secondo i credenti Dio Creatore non si è limitato ad accendere il fantastico fuoco d’artificio del Big Bang ritirandosi poi subito dalla scena, ma continuamente tiene in essere il mondo. Appena Darwin pubblicò L’origine delle specie, un prete anglicano, Charles Kingsley, coniò un concetto e una frase: Dio non ha soltanto creato un mondo “pronto per l’uso”, lo ha creato in grado di “farsi da solo”. E io aggiungo: non ha allestito un divino teatro dei burattini. Il Creatore infatti interagisce con le creature senza schiacciarle con la sua volontà; a loro è permesso di essere se stesse e di realizzarsi da sole. Le catastrofi, le malattie, i delitti sono l’inevitabile costo di una creazione cui è stato permesso di farsi da sola. Un esempio: gli stessi processi biochimici da un lato portano alcune cellule a produrre nuove forme di vita, dall’altro possono indurre mutazioni maligne. Più comprendiamo scientificamente ciò che avviene nella natura e più il mondo ci appare come un pacchetto integrato, una sorta di “tutto compreso” dal quale non è sempre possibile prendere ciò che è buono ed eliminare ciò che è cattivo. Quanto accade non è tutto in sintonia con la volontà diretta di Dio. Perché la creazione comporta un’autolimitazione del potere divino».

 

Il “New York Times” ha scritto che il 40% degli scienziati americani crede in Dio, o almeno in un Dio “personale” al quale rivolge le proprie preghiere.

«Spesso lo scienziato nemmeno si accorge di pregare. È esperienza comune dei ricercatori restare affascinati da ciò che scoprono ogni giorno nella realtà fisica. Ma c’è da domandarsi: che cosa chiede uno scienziato a Dio? Tutto quello che può chiedere un altro uomo. Il mondo dei processi fisici è sufficientemente aperto, può ospitare sia le azioni umane sia quelle divine. E ciò che conosciamo attraverso la scienza non esclude affatto l’intervento di Dio».

 

Allora nella scienza il riduzionismo fa oggi meno presa?

«Molti scienziati rifiutano l’idea che gli esseri umani siano computer fatti di carne. Crediamo con Pascal, che l’uomo sia una canna, la più fragile della natura, ma una canna che pensa. È importante il Big Bang, ma lo è ancora di più il momento in cui la vita acquista l’autocoscienza. E allora, anche se penso che la vita umana finisce e che lo stesso universo finirà in un big crunch o in un lento flebile lamento, so che la morte –quella umana e quella cosmica– non sarà l’evento finale. La sfida metafisica della fede mi fa ritenere che la nostra storia non sia “un racconto scritto da un idiota, pieno di suoni e furia, che non significano niente”, come conclude con disperazione Macbeth. La tomba vuota, dopo la Resurrezione, mi dice che il destino dell’uomo (e anche della materia) è in Cristo. La profonda sintonia tra la mia conoscenza scientifica e la mia fede cristiana rende ancora più credibile la speranza escatologica».

Di Luigi Dell'Aglio

 

Agorà, 14 ottobre 2004, p. 22.