Un uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto. Riflessioni su san Tommaso d’Aquino a 700 anni dalla sua canonizzazione

Alberto Strumia
Consiglio scientifico del Centro di Ricerca DISF

Sono trascorsi ben sette secoli dal 18 luglio del 1323, quando papa Giovanni XXII iscrisse nell’Albo dei santi Tommaso d’Aquino (1225-1274). Eppure, la straordinaria sintesi scientifico-filosofico-teologica di san Tommaso d’Aquino continua a possedere ancor oggi un valore unico, non solo per la Chiesa cattolica, della quale egli è il doctor communis,ma per la cultura, la filosofia e il pensiero scientifico di tutti i tempi. La sintesi tomista, infatti, non può essere considerata semplicemente il frutto del lavoro di un uomo che fu nel contempo un “genio”, un uomo dotto in grado di “pensare in grande” e un “santo” – il che già di per sé basterebbe a renderla una cosa straordinaria – ma deve essere riconosciuta come l’opera compiuta dall’“uomo giusto” al “momento giusto” e nel “posto giusto”. Il verificarsi di questa coincidenza di condizioni favorevoli ha qualcosa di davvero provvidenziale.

Alcuni possono essere “geni”, più o meno riconosciuti, ma dotati di una conoscenza troppo specializzata per essere in grado di “pensare in grande” così da essere capaci di una sintesi tra scienza e filosofia; e in molti casi possono anche essere privi di quella fede cristiana, cattolica in particolare, che permetta loro di comprendere nella propria visione anche la teologia, e di comprenderla talvolta addirittura da “santi”.  Altri, poi, possono essere grandi “santi”, ma non essere uomini di studio, non essere né “geni” né “dotti”. Altri, ancora, possono essere sì “geni”, capaci di “pensare in grande” e “santi”, essere in certo senso l’“uomo giusto” (circostanza comunque rarissima!), ma non essersi trovati nel “posto giusto” al “momento giusto”.

Tommaso ha avuto in sorte, oltre alle sue straordinarie qualità umane, alla sua santità, la condizione storica favorevole di trovarsi al “posto giusto” nel “momento giusto”: in questo è consistita la sua “vocazione” ad essere “dottore comune” della Chiesa. L’appartenere ad un movimento di vita religiosa, come l’Ordine dei Frati Predicatori, fondato da san Domenico – che in quel preciso momento è stato in grado di accoglierlo e di valorizzarlo, di assimilare e di comunicare il frutto meraviglioso della sua mente e della sua vita, fino a farlo acquisire, con il tempo, dalla Chiesa universale, come un patrimonio irrinunciabile – ha voluto dire per lui essere al “posto giusto” nel “momento giusto”. Così da trovarsi anche ad avere il “maestro giusto” nel grande sant’Alberto Magno, scienziato, filosofo e teologo che gli ha preparato il terreno introducendolo al pensiero aristotelico.

Sembra di poter dire, a ragione, che difficilmente potrà ripetersi nella storia una simile contingenza favorevole, quasi una “pienezza del tempo” (adattando per analogia l’espressione paolina di Gal 4,4). Anche per questo «san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio,n. 43) e non appena come un grande del passato non più attuale.«Tommaso – continua Fides et ratio – riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione. Quest’ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi alla conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino. Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo «esercizio del pensiero»; la ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole» (n. 43).

Verrebbe allora da chiedersi, con altri autori, come mai il pensiero filosofico moderno abbia potuto rivolgersi così decisamente contro il “realismo” e la “metafisica”, e dunque in certo modo anche contro il tomismo, spingendo anche buona parte del pensiero teologico, almeno dalla seconda metà del secolo scorso, ad abbandonare l’ispirazione tomista, nonostante le raccomandazioni del Magistero della Chiesa. Ancora il Concilio Vaticano II, nel decreto Optatam totius (n. 16), chiedeva di affrontare lo studio, l’insegnamento e la ricerca filosofico-teologica sotto la guida di san Tommaso, ovvero sancto Thoma magistro.

Se «non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite» (Fides et ratio,n. 46), per una scelta culturale voluta – una sorta di peccato originale filosofico, se mi si consentel’espressione – bisogna dire che una tale “scelta contro” affonda le sue radici in un modo riduttivo, e quindi inadeguato, di affrontare almeno due grandi questioni che sono strettamente filosofiche: la prima consiste nella perdita della capacità di formulare una teoria logico-metafisica solida dell’“analogia”, riducendo quest’ultima progressivamente a una pura metafora linguistica; la seconda riguarda quelle che oggi chiamiamo “scienze cognitive” e consiste nel venir meno della dottrina cognitiva dell’“astrazione”.

Entrambi questi termini (“analogia” e “astrazione”) hanno un significato tecnico “forte” nel tomismo che non corrisponde più a quello “debole” che il linguaggio moderno attribuisce ad essi.La perdita dell’analogia, non solo del linguaggio (analogia dei “nomi”), ma dell’essere come tale (analogia dell’“ente”), ha radici antiche nel nominalismo univocista della scuola di Oxford (preparato da Ruggero Bacone e attuato da Scoto e Ockham), una scuola contemporanea e successiva ad Alberto e a Tommaso, che ha visto nell’univocità della matematica la sua forza dimostrativa e preparato la nascita della moderna scienza galileiana e della moderna fisica matematica.Il fraintendimento della teoria cognitiva dell’astrazione che riconosce, nella medesima “forma” che attua la “materia” degli enti reali, la capacità di attuare anche l’“intelletto possibile” – quasi esso fosse una sorta di “materia” atta alla conoscenza dell’universale, una volta che la forma sia stata “astratta” dalla materia “fisica” delle cose da parte dell’“intelletto agente” – ha introdotto quello sdoppiamento tra la “realtà” e la sua “rappresentazione” a livello della mente che è alla base di tutti i dualismi gnoseologici della filosofia moderna, da Cartesio a Locke, Berkeley e Hume, fino ai giorni nostri. E questo dualismo che rende inconcepibile il realismo conoscitivo e che porta inevitabilmente al relativismo odierno, vanificando ogni nozione di verità. In una simile prospettiva non c’è più posto, se non nella storia della filosofia del passato, per Tommaso d’Aquino, che viene così collocato inevitabilmente tra i realisti “ingenui”, tra i geni sì, ma superati.

Sorprendentemente, però, oggi sembrano essere proprio le scienze a riscoprire Aristotele e Tommaso, anche se per ora in modo in parte inconsapevole. Causa di ciò è che la “ragione” umana ha una sua natura insopprimibile, e che la “realtà” circostante possiede una “oggettività” metafisica che tende prima o poi a riemergere. La sintesi tomista sta diventando oggi interessante per chi lavora in ambito scientifico. La sua logica, la fisica e la metafisica non appaiono più come qualcosa del passato. Al contrario Tommaso si presenta come colui che suggerisce la strada per mettere a punto l’odierna “teoria dei fondamenti” delle scienze. Non sono tanto gli aspetti particolari delle teorie fisiche o cosmologiche ad essere rilevanti in proposito, quanto gli “aspetti fondativi” (logici e metafisici) della riflessione teorica. Bisogna tenere presente anche il fatto che la Scolastica, ai tempi di Galileo, era piuttosto decadente e deteriorata, e non era più quella di Tommaso. Mentre l’epistemologia suggerita dall’Aquinate prevedeva già una fisica matematica collocata tra le “scienze medie” (cfr. In Boethii de Trinitate,p. III, q. 5, a. 3 ad 6um), occorreva che i tempi fossero maturi perché ci si occupasse di svilupparla concretamente, come del resto si incominciò a fare con Keplero, Galileo e soprattutto Newton. Lo stesso Tommaso aveva detto, a proposito dell’astronomia tolemaica, nel Commento al “De caelo”: «Non è necessario che siano vere quelle ipotesi che hanno elaborato [gli antichi astronomi]: infatti, benché, fatte queste supposizioni, si salvino i fenomeni che appaiono, tuttavia non bisogna dire che tali supposizioni siano vere, perché forse con un altro sistema non ancora intuito dagli uomini, si salva ciò che appare riguardo alle stelle» (Libro II, lettura 17, n. 451). Così, si deve riconoscere che se Tommaso commenta Aristotele, non lo assolutizza mai, anzi talvolta lo corregge e sempre lo interpreta opportunamente alla luce della ragione e con la sapienza che gli viene dalla fede nella Rivelazione.

Al rifiuto di una Scolastica decadente si accompagnarono il rigetto di Aristotele in totoe un progressivo allontanamento della scienza moderna dal pensiero tomista, che rimase affidato ai teologi più “tradizionali”. Oggi un certo aristotelismo cacciato dalla porta si sta riaffacciando dalla finestra, e in questo l’opera logica, fisica e metafisica di san Tommaso si presenta come preziosa anche per gli scienziati. Basti pensare alle due parole chiave a cui ho fatto riferimento prima, cioè “analogia” e “astrazione”, cercando di cogliere anche alcune di quelle che a queste si affiancano, come “materia” e “forma”, “potenza” e “atto”, “tutto” e “parti”, “causalità”, finalità”, “spazio”, “tempo”, e così via; non sfugge che si tratta di concetti di grande rilievo nell’attuale dibattito scientifico sulla “complessità”, nella “teoria dell’informazione”, nell’interpretazione della “teoria della relatività” e della “meccanica quantistica”. Queste tematiche fondazionali stanno emergendo nei più diversi ambiti delle scienze dei nostri giorni. Se ai più ciò appare come qualcosa di accidentale e casuale, è perché non possediamo ancora una sintesi matura di pensiero interdisciplinare. Si tratta in realtà di problematiche molto affini a quelle aristotelico-tomiste e che da queste potrebbero ricevere una luce importante. Il Centro DISF le ha identificate, fino dalle sue origini, come uno degli oggetti centrali del proprio lavoro e cerca di riproporle con un linguaggio adeguato al momento presente.