Proponiamo un estratto antologico del volume di Antonin-Dalmace Sertillanges, La vita intellettuale, pubblicato la prima volta in francese nel 1921 e più volte rieditato in lingua italiana, considerato un classico nel suo genere. L’Autore, filosofo e teologo francese, è stato professore di filosofia morale all'Institut Catholique di Parigi (1900), membro dell'Institut de France (1918) e direttore della Revue des jeunes. In questo brano si sottolinea che la ricerca intellettuale deve accompagnare quale “attività permanente” tutta la vita del soggetto, disponendolo ad un continuo ascolto della realtà, una realtà che le proprie ricerche fanno adesso vedere sotto una luce diversa.
Osservate ciò che accade quando volete ammobiliare un appartamento. Fino a quel momento non pensavate ai mobili, così che, circolando per Parigi, una città in cui, su quattro negozi, ce n’è uno d'antiquario, non li vedevate neppure; il loro aspetto non vi costringeva a fermarvi; non conoscevate le tendenze della moda, il valore di una scoperta, la specialità d'un quartiere, i prezzi, ecc. Ora, invece, tutto vi colpisce, tutto vi trattiene: Parigi sembra diventata un grande negozio e voi sapete in otto giorni ciò che tutta una vita non può insegnare.
La verità e più diffusa dei mobili. Essa grida nella strada e non ci trascura quando noi la trascuriamo. Ci sono idee nei fatti, nelle conversazioni, nelle coincidenze, negli spettacoli, nelle visite, nei vagabondaggi, nelle letture più banali. Tutto contiene dei tesori, perché tutto è in tutto e le leggi della vita o della natura governano tutto.
Newton non avrebbe scoperto la gravitazione, se la sua attenzione alla realtà non lo avesse avvertito e disposto ad accorgersi che le mele cadono come gli universi. Le leggi della gravitazione degli spiriti, le leggi sociologiche, filosofiche, morali, artistiche sono applicate dappertutto. Un grande pensiero può nascere a proposito di ogni fatto. Ogni contemplazione, fosse pure quella di una mosca o di una nube che passa, offre l'opportunità di riflessioni senza fine. Ogni barbaglio di luce può condurre al sole; ogni via aperta è un corridoio verso Dio.
Orbene, queste ricchezze noi potremmo captarle se fossimo presenti; se rivolgessimo a tutte le cose uno sguardo ispirato, vedremmo in ogni luogo lezioni, profezie o conferme del vero, prodromi o continuazioni. Ma nella maggior parte dei casi siamo distratti. «Tutti guardano ciò che io guardo», diceva Lamennais a S. Malò, davanti al mare in tempesta, «ma nessuno vede ciò che io vedo».
Prendete dunque l'abitudine di essere presenti a questa vita dell'universo materiale e morale. Imparate a guardare; confrontate ciò che si offre a voi con le vostre idee familiari o segrete. Sappiate vedere in una città non soltanto case, ma vita umana e storia; in un museo non soltanto quadri, ma scuole d'arte e di vita, concezioni del destino e della natura, orientamenti successivi o differenti della tecnica, del pensiero ispiratore, del sentimento. Un laboratorio non vi parli unicamente di ferro e di legno, ma della condizione umana, del lavoro, dell'economia antica e moderna, dei rapporti di classe. I viaggi v'insegnino l'umanità: i paesaggi evochino ai vostri occhi le grandi leggi del mondo; le stelle vi parlino di durate incommensurabili; i sassi della strada siano per voi il residuo della formazione della terra; la vita di una famiglia raggiunga in voi quella delle generazioni e il minimo rapporto con un uomo vi istruisca sulla più alta concezione dell'uomo. Se non sapete guardare cosi, non crescerete e sarete solo dei mediocri. Il pensatore è un filtro in cui le verità, passando, lasciano la loro sostanza migliore.
Imparate ad ascoltare e prima di tutto ascoltate chiunque. Se è vero, come pretendeva Malherbe, che la propria lingua s'impara al mercato, al mercato, cioè nella vita abituale, si può imparare la lingua dello spirito. Un gran numero di verità circola nei discorsi più semplici. La minima parola, ascoltata con attenzione, può essere un oracolo. Un contadino, in alcuni momenti, è più sapiente di un filosofo. Tutti gli uomini si ritrovano, quando rifluiscono in fondo a se stessi. Se qualche profonda impressione, un ritorno istintivo o virtuoso alla semplicità originale, rimuove le convenzioni, le passioni, che generalmente ci sottraggono a noi stessi e agli altri, allora quando un uomo parla si sente un discorso divino.
Nell'uomo qualunque c’è tutto l'uomo e i nostri rapporti con lui possono fare di noi degli iniziati. Non vedete che ricco materiale offre la vita semplice e quotidiana al romanziere? Il romanziere mediocre si forma nell'Università o nei salotti. Il grande per la strada nei crocchi che si adunano davanti alle porte. Egli non s'immerge in questo ambiente, si riserva, ha una sua vita autonoma che gli consente di salire, di vedere nella più piccola vita un grande spettacolo.
Ora non solo per il romanziere, ma per tutti è necessaria questa profonda esperienza. Il pensatore è veramente pensatore solo quando trova nel più leggero impulso estrinseco l'occasione di uno slancio senza fine. Ciò che lo caratterizza è il saper conservare per tutta la vita quella tendenza a veder tutto sotto l'angolo del mistero, quella fortunata capacità di trovare dappertutto sorprese feconde, quella curiosità, quella vivacità d'impressione che sono proprie dell'infanzia. Tuttavia state all'erta, soprattutto quando avete la fortuna di parlare con qualcuno che sa e che pensa. Che tristezza vedere gli uomini superiori così poco utili a coloro che li circondano. Praticamente vengono assimilati ai semplici di spirito; si prende da loro ciò che essi hanno di comune, non ciò che hanno di raro. Abbiamo un tesoro e giochiamo con la chiave, senza aprirlo. Si sorride qualche volta della loro goffaggine, delle loro piccole stranezze di gente astratta, ed è una cosa molto innocente: ma è sciocco prendere con loro un’aria di superiorità che dimentica la loro grandezza.
Sono così rare le persone di valore, e non le trascuriamo. In ogni modo non rimangono inutili perché si esplicano per se stesse, e tutti inconsapevolmente ne traggono giovamento. Ma se fossimo più coscienti nei nostri rapporti con loro, ne riceveremmo un’istruzione e un impulso che potrebbero essere decisivi per la nostra vita.
Molti santi, grandi condottieri, esploratori, scienziati, artisti sono diventati tali per avere incontrato una personalità eminente e aver sentito il suono di un'anima. Gli echi di questo appello muto si sono fatti sentire in loro fino alla fine della loro vita, ed era un clamore che li spingeva innanzi; un'invisibile corrente li portava. La parola di un grand'uomo, come quella di Dio, è talvolta creatrice.
Ma è scritto che i grandi uomini sono considerati grandi soltanto dopo la morte. La maggior parte degli uomini non li riconosce. Parlate con uno che forse vale Cartesio, non lo interrogate, discutete con lui con uno spirito litigioso, lo interrompete per dire delle sciocchezze. E se non è un Cartesio, ma ha tutta via un'anima grande, perché lasciate che seppellisca o porti via silenziosamente la sua ricchezza?
Osservando e ascoltando — non parlo della lettura perché su questa ritorneremo — imparerete a riflettere, renderete vostro e adatterete alle vostre necessità ciò che avrete acquistato. Le grandi scoperte non sono che riflessioni su fatti comuni a tutti. Si passa un milione di volte senza vedere niente, poi un giorno, l'uomo di genio osserva i legami che uniscono a ciò che ignoriamo, ciò che è sotto i nostri occhi ad ogni istante. Che cosa è la scienza se non una lenta e progressiva guarigione della nostra cecità? È vero che l'osservazione ha bisogno di essere preparata da studi e da soluzioni anteriori. Si trova ciò che si cerca. Soltanto colui che ha riceve. Ecco perché parlavamo di un andirivieni tra le luci dell'interno e quelle dell'esterno. Lo spirito deve essere perpetuamente disposto a riflettere come a vedere, a comprendere, a colpire a volo, come il buon cacciatore, la selvaggina che passa.
Precisiamo maggiormente e diciamo che questa vigilanza spirituale può giovare non soltanto alla nostra cultura generale, ma alla nostra specializzazione, al nostro studio attuale, al lavoro in cantiere. Portate con voi i vostri problemi. Il cavallo da tiro fa il suo lavoro e rientra nella scuderia; il cavallo libero ha sempre la criniera al vento.
Poiché la verità è dappertutto e poiché tutto si collega, perché non studiare ogni questione in rapporto a ciò che le è contiguo? Tutto deve nutrire la nostra specializzazione. Tutto deve testimoniare pro o contro le nostre tesi. L'universo è in gran parte ciò che noi l'abbiamo fatto. Il pittore vede dappertutto soltanto forme, colori, movimenti, espressioni, l'architetto equilibrio di masse, il musicista percepisce ritmi e suoni, il poeta soggetti di metafore, il pensatore idee in atto.
Non vi è in questo nessun particolarismo meschino; si tratta di metodo. Non si può seguire tutto. Serbando un occhio per la libera osservazione, si consacra ad una ricerca particolare l'attenzione in soprappiù e, pensando sempre, come Newton, si raccolgono elementi per un'opera.
Il grande segreto consiste nell'avere sempre qualche pensiero in attesa. Lo Spirito dell'uomo è un ruminante. La mucca guarda lontano, mastica lentamente, coglie un ciuffo qui, un filo là, prende tutto il prato per sé e anche l'orizzonte, componendo con l'uno il suo latte, con l'altro la sua anima oscura.
Ci hanno insegnato a vivere in presenza di Dio: non possiamo vivere anche in presenza della verità? La verità è come la divinità speciale del pensatore. Una particolare verità o un determinato oggetto di studio possono esserci presenti ad ogni momento. Non è né prudente né normale lasciare l'inventore nel laboratorio ed avere così due anime, quella dello scienziato e quella dell'uomo qualunque. Questo dualismo non è naturale; esso induce a pensare che la ricerca della verità è per noi un mestiere invece che di una nobile passione.
«C'è tempo per tutto» dice la Bibbia, e io ammetto che non si possa evitare la divisione, ma, poiché di fatto si pensa sempre, perché non utilizzare questo pensiero a beneficio di ciò che ci preoccupa?
Si dirà forse che una simile tensione è incompatibile con la salute cerebrale e con le condizioni della vita. D'accordo; ma non si tratta di tensione, e ordinariamente nemmeno di volontà attuale. Ho parlato di abitudine, parliamo se volete di subcoscienza. Il nostro spirito ha il potere di funzionare senza di noi, per poco che noi abbiamo preparato il suo lavoro, tracciando leggermente i canali in cui le sue correnti oscure s'ingolferanno. Se il desiderio di sapere è bene ancorato in voi, se la passione per la verità è accesa, se la vostra attenzione cosciente si orienta spesso sui fatti della vita propri ad intrattenere il fuoco e a soddisfare il desiderio, voi fate del vostro spirito un segugio perpetuamente a caccia. Esso non sente più il sacrificio, obbedisce ad una nuova natura. Voi penserete tanto facilmente in una direzione, quanto in passato pensavate a caso.
Questa direzione è senza dubbio molto approssimativa e una tensione eccessiva sarebbe assurda; ma non conviene rifiutare ciò che si può, con il pretesto di ciò che non si può. Vi è qui una risorsa immensa; voi potete sfruttarla, mettendo un po' di disciplina in un lavoro cerebrale che si compie, ma senza di voi e in modo anarchico. Regolate questa lavo ro e fate che il vostro cervello sia anch'esso un intellettuale.
Con l'abitudine, vi accorgerete che tutto ciò non stanca affatto, anzi risparmia molta fatica; poiché le scoperte fatte così a colpo d'occhio, senza averle cercate, semplicemente perché vi sarete proposti di non essere ciechi e vi sarete esercitati in questo senso, queste invenzioni, spesso le più felici perché sono spontanee, incoraggiano molto lo studioso, lo mantengono vigilante e gioioso: egli aspetta con delizia l'ora di solitudine in cui potrà fissare e sviluppare il suo acquisto.
Spesso troverete così l'introduzione difficile, la svolta che avreste vanamente cercata davanti alla scrivania fermi ad un punto di vista ed in capaci di uscirne. Ciò che non sembrava aver rapporto col lavoro conduce a qualche cosa che ne è il fondo. La scienza laboriosa ne sarà tutta illuminata; saprete dove andate e potrete sperare in una prossima buona fortuna.
Questo procedimento del caso corrisponde alle contingenze cerebrali e al lavorio oscuro dell’associazione delle idee. Numerose leggi trovano qui la loro applicazione, senza che vi siano delle leggi per l’applicazione dell’una o dell’altra, in questa o in quell’ora, e tutto ciò non è così faticoso come si crede, poiché si organizza senza di noi, cioè senza il consenso della volontà, sotto la sola impressione del desiderio che è l’anima del pensatore e che lo qualifica come il gioco qualifica l’infanzia, come l’amore qualifica la donna.
Una donna si stanca forse per la strada a spiare l'omaggio dei passanti od una fanciulla a cercare l’occasione per ridere o un ragazzo quella di far chiasso? Neanche l'intellettuale si affaticherà, se cerca la verità per amore, non per obbligo, per una tendenza, prima istintiva, poi coltivata senza dubbio, ma amorosamente, appassionatamente. Esso giuoca, caccia, si dà a uno sport utile e inebriante, ama nulla è più lontano dallo sforzo preciso e volontario delle ore di concentrazione.
Così il sapiente porta con sé in tutti i tempi e in tutte le vie uno spirito maturo per le conquiste trascurate dall’uomo volgare. L’occupazione più modesta è per lui il prolungamento della più sublime: le sue visite di cerimonia sono felici inchieste, le sue passeggiate esplorazioni, il suo ascoltare e rispondere silenziosamente un dialogo in lui della verità con se stessa.
Dappertutto il suo universo interiore si confronta con l’altro, la sua vita con la vita, il suo lavoro con l’incessante lavoro degli esseri, e, quando esce dallo stretto spazio in cui il suo studio si concentra, si ha l’impressione non che egli lasci il vero, ma che egli spalanchi la porta, perché il mondo spinga verso di lui tutto il vero che si dispensa nei suoi profondi sconvolgimenti.
Antonin-Dalmace Sertillanges, La vita intellettuale, Edizioni Studium, Roma 1998, pp. 80-87.