Ecco un testo in cui l’Autore propone il suo punto di vista sui rapporti fra scienza e dogma, enfatizzando il ruolo dei limiti conoscitivi, e talvolta del peccato dell'uomo, nell'influire non poco sulla loro corretta comprensione. La scienza deve lecitamente emanciparsi da ogni lettura dogmatica o preconcetta, ma tale emancipazione non eqiuvale ad una autonomia assoluta dal Creatore nell'ordine delle cose naturali.
Io predicherò sempre adunque per la scienza divina l’assoluta emancipazione dalla scienza umana, e per la scienza umana, entro i limiti assegnatile, con diritti imprescrittibili, proclamati e sanciti dal dogma, l’emancipazione dal dogma. Ritengo tuttavia opportuno di spiegare qui meglio le mie idee sulla natura e sulla convenienza, anzi necessità di quella mutua, affatto relativa, emancipazione.
Ragionando in teoria, ripeto che sarebbe un dir cose senza senso il voler discorrere d’emancipazione della scienza dal dogma, o del dogma dalla scienza, non vi essendo, né potendovi essere rapporto di padronanza o di servitù, e nemmeno di reciproca dipendenza tra l’uno e l’altra, nel senso che il dogma possa in nessun caso imporre alla ragione di accettare ciò che alla ragione ripugna, o la ragione costringere il dogma a sottomettersi alle sue leggi ed al suo sindacato. Per levare di mezzo qualunque equivoco circa il significato di quello che affermo, basta riflettere:
1º Che alla ragione ed alla fede è assegnato a ciascuna il suo campo, con limiti, almeno in teorica, ben definiti. Alla ragione il naturale; alla fede il soprannaturale; alla ragione ciò che si può conoscere per via d’osservazione e d’esperienza (interna od esterna che sia questa, materia- le o spirituale, cioè della coscienza); ed alla fede, strettamente parlando, ciò che non si può conoscere che per rivelazione.
2º Che è lo stesso lume sostanziale di verità, che illumina tanto la ragione per natura, quanto la fede per grazia.
3º Che è sempre del pari doveroso l’assenso che si deve prestare alla verità, comunque naturalmente o soprannaturalmente conosciuta.
4º Che è sempre lo stesso soggetto identico, l’identico intelletto, che ap- prende la verità, sia per natura, sia per grazia, e l’identica volontà che è obbligata a prestare il suo assenso tanto alla verità scientifica, quanto alla verità rivelata. La differenza sta solo nella via diversa che segue la verità per giungere all'intelletto. […]
Non ci può essere adunque né cozzo, né contraddizione, e nemmeno impero servaggio, della ragione in rapporto alla fede o viceversa; e quantunque la fede stia sopra alla ragione tanto per la dignità e pratica certezza della fonte da cui emana direttamente, quanto per l’altezza delle verità, inaccessibili alla ragione senza la fede, che essa propone; questa superiorità non implica in nessun modo tale sudditanza da parte della ragione che ne scemi la libertà e la indipendenza, rimanendo essa ragione integra, e in pieno possesso de’suoi diritti e delle sue facoltà anche in faccia alla fede.
Un’altra cosa è se ragioniamo di quello che avviene in pratica; cioè se introduciamo l’uomo, qualunque sia il titolo che gli compete e il grado che occupa nella civile società o nella Chiesa; l’uomo che, avendo, oltre al potere di conoscere la verità, anche tutto il diritto e tutto il dovere, molte volte anche l’ufficio, di professarla e difenderla, è sempre, come uomo, soggetto ad errare, e quindi a peccare, se non volontariamente per malizia e perversità di cuore, involontariamente per errore di mente, così nell’esercizio di questo diritto, come nell’adempimento di questo dovere.
A. Stoppani, L’Exemeron: Nuovo saggio di una esegesi della Storia della Creazione secondo la Ragione e la Fede. Volume I: I commentatori della storia della creazione. Sul generale significato esegetico della cosmogonia mosaica, Utet, Torino 1893, pp. 319-320