Come le scienze naturali favoriscano la riflessione su Dio e aiutino a chiarire, grazie ad analogie e similitudini, alcuni aspetti delle verità rivelate

Antonio Stoppani (1824-1891), sacerdote e geologo, autore della prima ricognizione geologica completa del territorio italiano (Il Bel Paese, 1875), si dedicò con passione, nel clima conflittuale dell’Ottocento, ad accostare il clero ai risultati della scienza, offrendo egli stesso riflessioni e sintesi sul rapporto fra scienze e Sacra Scrittura. In questo brano, sebbene con il linguaggio e le conoscenze del tempo, mostra alcuni aspetti dei vantaggi che, per la conoscenza delle cose della fede, potrebbe derivare dalla considerazione dei risultati e dei metodi delle scienze naturali. Al tempo stesso, mette in guardia da un impiego ideologico della scienza, quando realizzato allo scopo di porre in discredito le verità della fede.

13. La scienza della natura infine già per se stessa uno studio che si fa di Dio nello sue creature, e che ci deve obbligare via via più potentemente e più ragionevolmente a venerarlo. Essa, per quanto si voglia sottrarla all'influenza della religione, non ha mutato né la natura né lo scopo del mondo. Mondo, uomo, natura, sono parole che non dicono altro che un complesso di fatti sensibili. Ma la ragione, portandosi sopra di essi, vi ha sempre trovata una rivelazione più o meno imperfetta di Dio e de’ suoi attributi. Ora la scienza non fa che studiare ne’ suoi particolari quell’ordine meraviglioso, che fino dal principio del mondo si è presentato anche alle menti più volgari: essa non fa che mettere in luce quanto di conforme a quest'ordine si sottrae alla volgare esperienza. Le conseguenze che la ragione umana può derivarne, sono sempre le stesse. Il miracolo, per es., che, come arresto od infrazione delle leggi ordinarie della natura, fu preso sempre, e senza nessun sforzo dell'umana ragione, come una prova dell'intervento di una potenza che sovrasta alla natura, non può che acquistare di valore davanti alla scienza, la quale va sempre più dimostrando quanto lo leggi della natura siano per se stesse imprescrittibili; poiché, quanto più per via d’ analisi e di esperienze si renderà certo ed evidente che non c’è potenza umana o naturale che possa costringere la natura a violare le proprie leggi; tanto più si renderà certo ed evidente, nel caso che una tale violazione si verifichi di fatto, l' intervento di una virtù non soggetta a quelle leggi, ed alle quali anzi sono le stesse leggi soggette.

15. Se poi, dopo aver detto e dimostrato in genere che lo studio della natura giova certamente a svolgere in tutte le sue parti il concetto degli attributi di Dio, convenisse riflettere sopra gli effetti speciali che può produrre sull' animo nostro in questo senso alcuna delle naturali scienze in particolare; dirò, come persona non affatto inesperta, qualche cosa di quella che in particolar modo io coltivo, e che farmi così propizia a dar sviluppo nella mente all’idea, e nell’uman cuore al sentimento della divina Provvidenza. Nel concetto di Provvidenza c’è già incluso, tanto chiaramente quello di previdenza, che il volgo suol dire che Dio vede e provvede, alludendo specialmente a quei fatti che si verificarono anche molto prima di un dato avvenimento, a cui quegli altri sembrano essere stati, per divina disposizione, provvidamente ordinati. Nel concetto di previdenza però, la Provvidenza si considera più limitatamente, o per meglio dire si guarda da un lato affatto speciale, in quanto cioè operò in passato in vista del presente, od opera in presente in vista del futuro. Questa previdenza, cosi diversa dall'umana, perché opera colla previsione di chi prevede ciò che vuole, e ciò che vuole fa, è proprietà, al lutto divina che, una volta chiarita alla mente nostra dai fatti naturali o soprannaturali, produce una grande impressione sul nostro intelletto, ed esercita una grande influenza sulla nostra volontà. Lasciando alla storia dell'umanità, e specialmente a quella della nostra redenzione, il pregio di mettere nella sua maggior luce davanti all’occhio del credente questa idea così salutare della divina previdenza, io credo che tra le scienze naturali quella in ispecie che, ignota agli antichi filosofi, ebbe un si meraviglioso svolgimento nell’ età nostra (voglio dire la geologia), facendoci padroni del passato, sia la più atta a suggerirla e a farla, per dir così, toccar con mano anche all’incredulo, senza obbligarlo a lasciare il campo a lui prediletto delle scienze esperimentali. E in questo senso e con questo intento ch’ io ho creduto di scrivere un libro [Acqua ed aria, ossia La purezza del mare e dell’atmosfera fin dai primordi del mondo animato; Milano, 2a. ediz., Hoepli, 1882] il quale, per quanto è a mia cognizione, fu letto da pochi e da pochissimi inteso in questo senso; colpa certamente della meschinità dell'opera, ma fors' anche un pochino del titolo, che sonava un'opera troppo filosofica ai positivisti e troppo positiva ai filosofi, mentre nell’intenzione dell'autore era un di mezzo tra l’una e l’altra, colla pretesa d'offrire, in qualunque modo, un saggio d'una Teodicea positiva, trattata largamente sulle basi delle scienze naturali. Mi permetterò di riportarne un brano della prefazione, risparmiando al lettore il molto che mi suggerisce l'argomento, quando fosse il caso di trattarlo ex professo. «L'esperienza d'ogni giorno, e in più larghe proporzioni l’esperienza delle umane generazioni, hanno suggerito e radicato nell’umana coscienza l'idea d'una Provvidenza, ragione e principio d'ogni cosa creata, il cui concetto è quello di una previdenza efficace, cioè di una intelligenza divina che, mentre prevede il bisogno, ha anche il potere e il volere di provvedervi. Il nascere del sole ogni giorno, l'alternare delle stagioni, cioè di tutti i fenomeni di temperatura, di pioggie, di venti, con regolarità ed opportunità cosi sorprendenti; infine tutto quel sistema di periodicità, cosi caratteristico di tutti i fenomeni naturali, per cui si mantiene l’equilibrio degli elementi, e si perenna la vita delle piante e degli animali, e tutto si rinnova e si perpetua quaggiù, rivela sufficientemente l’instancabile vigilanza e la provvida attività di un Essere che, anteriore a tutti i tempi, tutto ha preveduto, perché tutto sia pronto a tempo opportuno quanto si esige all'ordinato svolgimento del mondo animalo ed inanimato. Ora la geologia, allargando immensamente i limiti del tempo oltre quelli assegnatile dall'esperienza o dalla storia, allargando con essi il concetto della periodicità o della perennità dei fenomeni tellurici, descrivendo anzi, direi, sulla tela smisurata di un tempo senza confini, circoli ignoti di periodicità così immensamente vasti, che l’esperienza delle generazioni non sarebbe riuscita a delinearne un sol grado; la geologia, dico, ha pure immensamente allargalo nell'umana mente il concetto della eterna divina previdenza. Come sotto i nostri occhi si rimutano i giorni, cosi sotto gli occhi di questa novissima fra le scienze si rimutano i mondi, senza che mai l'equilibrio sia rotto, o sia turbato un solo istante l'ordine dell'universo. E tutto è misurato, previsto; tutto preordinato ad uno scopo, che non fallisce, non può fallire. Quando si vede (e la geologia ce lo fa vedere) che l'oggi, con quanto ha di buono e di bello, trova la sua ragione di essere in un giorno che spuntava or fanno milioni di anni; quando i vantaggi di cui godiamo si scorgono preparati; colla economia più meravigliosa, coi più sapienti artifici, con una cura gelosa, e direbbesi materna, tanti milioni di anni prima che l’orma di un uomo fosse stampata sulla terra, prima ancora che esistessero nemmeno i continenti che l'uomo avrebbe abitali, il concetto della divina previdenza, come ragione e principio delle rivoluzioni telluriche, si fa nella mente nostra gigante, e solleva lo spirito, dalle regioni della scienza, in quelle dell'amore».

16. Veniamo ora al secondo punto; a vedere cioè come la scienza della natura, secondo il dettato di S. Tommaso, valga a rischiarare, per mezzo di certe similitudini, le cose di fede. L'Angelico Dottore, per riportare un esempio di quelli che hanno fatto uso di questo argomento delle similitudini, non cita che S. Agostino, forse perché fu sempre considerato come principe dell'antica filosofia cattolica. Ma nelle S. Scritture, nelle opere dei Padri, dei dottori e degli scrittori ecclesiastici le similitudini sono cosi di sovente introdotte che, radunandole, si potrebbe comporne un grosso volume e forse parecchi. Tra i libri del Vecchio Testamento ne ridondano specialmente i Proverbi, la Sapienza, la Cantica, Giobbe e le profezie d'Isaia e di Geremia. Ma ciò che fa senso sopratutto e ne mostra il valore e l'opportunità, è il vederle adoperate dalla stessa incarnata Sapienza con tanta frequenza, che i profeti annunciarono quest'uso delle parabole, che vale lo stesso come dire delle similitudini, come una delle caratteristiche del futuro Messia: Aperiam in parabolis os meum [Salmo LXXVII, 2; Matt. XIII, 35]. Sine parabolis non loquebalur eis [Matt. XIII, 34]. Su questo argomento non avrei nulla da aggiungere a quanto ne scrissi in un libro popolare, pel quale il pubblico fu mollo indulgente, dove appunto feci osservare che: «Gesù Cristo s'indirizzò alla natura sensibile, ai fenomeni più volgari, come il comportava la povertà intellettuale de’ suoi ascoltatori, per cercarvi, non già semplicemente delle similitudini, ma le testimonianze dirette, le prove più chiare, irrecusabili della sua dottrina sulla natura e sugli attributi di Dio, e sulla morale ch’egli veniva insegnando. Egli chiama in testimonio la natura, come altri ricorrerebbe ad una autorità incontestabile; mostrandoci cosi, come, in certo senso, la dottrina, ch' Egli era sceso dal cielo ad insegnarci, era già tutta nella natura» [Il bel Paese: considerazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia, 4a. ediz., pag. 525]. C'è infatti tale convenienza tra l'ordine della natura visibile e l'ordine spirituale e soprannaturale, che, oltre al poterne cavare in ogni caso le più parlanti similitudini, si può dire che tutta la natura è similitudine di ciò che si avvera in quelle sfere tanto superiori alla sua. Anche in questo senso l’argomento fu da me trattato in un discorso, dove, parlando di educazione cristiana, faceva tra gli altri i seguenti riflessi, che ora ripeto, applicandoli all'apologia cattolica: «Pensate alla potenza persuasiva che esercitarono sempre, fin dai tempi più antichi, anche su di noi stessi fin dalla prima infanzia, le similitudini, gli apologhi, le parabole, i proverbi, suggeriti dalla osservazione prima della natura animata ed inanimata, o dalla più volgare esperienza. È un fatto che le menti vergini, primitive, a cui ancora, non nocque (e nuoce tante volte pur troppo) l'abitudine o la pretesa di ragionar di lutto, di ridur tutto a sillogismo e dilemma, sono così disposte a ricevere il vero ed il bene sotto le suddette forme, che presentano l'idea visibile, palpabile, personificata in qualche cosa di vivo e parlante. Volete che la scienza, la quale, oltre al poco che appare, rivela il molto che si nasconde, e ci mette dentro i più intimi segreti della natura, non abbia sulla volgare esperienza dei grandi vantaggi? [Lo studio della natura come elemento educativo, estratto dal periodico Gli studi in Italia. Roma, 1879]». Continuavo poi dimostrando come natura è ordine, provvidenza, previdenza, forza e soavità, carità, pazienza, operosità, economia, magnificenza, non volendo indicare soltanto come essa sia maestra di morali virtù, ma anche vera rivelazione (rivelazione naturale) di Dio, perciò vera scuola di religione. Nè dimentichiamoci che al sentimento della natura, come lo prova l’esperienza, spontaneamente s’associa il sentimento di Dio, sicché questo nasce naturalmente e spesso inconsapevolmente da quello: grande indizio codesto di quell'accordo di somiglianza e di leggi che c'è tra il visibile e l'invisibile, tra il creato e il Creatore.

17. Se la contemplazione della natura produce e fomenta il sentimento religioso (e spesso si ottiene più dal sentimento che dal raziocinio), lo stesso effetto debbono produrre i libri che trattano di cose naturali, tanto più se sono scritti sotto l'impressione di quello stesso sentimento che si vuole in altri destare. Ricordiamo, a titolo d'esempio, quello che lasciò scritto S. Gregorio Nazianzeno riguardo alle omelie di S. Basilio, scritte sotto il titolo di Hexemeron (i sei giorni, ossia i sei giorni della creazione) è forse il più antico dei libri d'apologia cattolica, intesi nel senso di cavarne la materia dalle scienze fisiche, trovandovisi quanto di più peregrino possedeva la scienza fisica dei Greci. «Come io prendo fra le mani o recito l’Hexemeron di lui (di S. Basilio), mi unisco al Creatore, conosco le ragioni della creazione, e il Creatore stesso maggiormente ammiro e comprendo, più di quanto ero solito dapprima, allorché mi era unica maestra la vista» [S. Gregorio Nazianzeno,Oratio XX, traduz. maurina].

18. Il terzo modo finalmente col quale, secondo S. Tommaso, lo studio della natura può essere vantaggioso alla fede, è quello di usarne ad impugnare quelle cose che contro la fede si asseriscono. Nello spiegare questo punto, l’Angelico Dottore ci ha data, secondo me in termini precisissimi, la norma principale da seguirsi nella controversia. Le proposizioni contro la fede, da qualunque ramo di scienza si pretenda cavarle, o sono false, o non sono necessarie. È una di queste cose che l'apologista deve, e potrà sempre dimostrare, usando degli stessi mezzi che il naturalista ha adoperati per stabilire la difficoltà. Un passo di più o sempre, in genere, arrischiato; come sarebbe nel caso che l'apologista volesse prendere in mano egli stesso dei fatti non ancora ben stabiliti, o delle semplici opinioni o ipotesi scientifiche, per farne ultroneamente puntello al dogma. L'opinione, l'ipotesi, sono sempre qualche cosa di posticcio, di labile, né possono anche da parte loro gli increduli cavarne seriamente un’obiezione a ciò che si crede per fede. A quale pericolo si espone il dogma, io non dirò in sé stesso perché è incrollabile e non ha bisogno dell'appoggio di ragioni naturali, ma nell'opinione del volgo e dei miscredenti, quando, come troppo spesso avviene, si veggono cadere quelle idee, quei sistemi scientifici, a cui il dogma medesimo si voleva appoggiare, e che il progresso della scienza manda a mano a mano ad ingrossare il volume già si enorme degli spropositi e delle aberrazioni scientifiche! Sarò forse sembrato petulante quando dissi in quella mia lettera pubblicata nel primo numero del periodico La Sapienza, alludendo a certi apologisti e commentatori antichi e moderni: Dagli amici li guardi Dio, che dai nemici li guardo io. Eppure io non mi pento d’averlo detto, e credo che non mi pentirò mai della mia impenitenza. Qui la prudenza non è mai troppa, ne cum aliis praedicaverim, ipse (benché senza volerlo) reprobus efficiar, come diceva S. Paolo. Quando la scienza ci vien dinanzi con delle obiezioni, guardiamola ben bene in faccia: se dice il vero, sia sempre la ben venuta; ma dopo un rigoroso esame, il quale ci ponga in grado da scoprire se dice il falso. In questo caso tocca a noi dimostrarglielo. Se poi troviamo (e ci avverrà questo nella maggior parte dei casi) che la scienza non ha a sua disposizione che delle opinioni o delle ipotesi, messe fuori da uno scienziato, ma non accettate od impugnale da altri, ovvero dei fatti che non hanno nessun rapporto, o almeno nessun rapporto necessario col vero che si vuole combattere, noi le diremo, col più bel garbo possibile, che venga più tardi, quando sarà sicura del fatto suo, come noi siamo sicuri del nostro, ovvero che, se vuole brigarsi colla dogmatica, la studii prima un po' meglio

19. Il pensiero di S. Tommaso adunque sarebbe che, mentre possiamo e dobbiamo giovarci della scienza in genere e delle scienze naturali in ispecie, per rischiarare e svolgere le nostre cognizioni circa la fede, per farla sempre meglio conoscere, accettare ed amare da tutti (il che è stabilito nei primi due punti); quanto agli attacchi di cui può esser fatta segno, basterà tenerci sulla difensiva, lasciando che la scienza si maneggi liberamente entro i suoi legittimi confini, pronti però a batterci, quando con mire ostili li oltrepassi. Ma anche quando sia ristretta entro questi termini, le esigenze dell’apologia cattolica non sono poche. È già inteso intanto che l’apologista deve essere ben sicuro del fatto suo, cioè avere la più perfetta cognizione e la più sicura certezza del dogma. Ma poi bisogna capacitarsi di ciò che, per sostenerne la difesa contro le scienze naturali, è necessario farsi naturalista ad ogni costo, e naturalista ben dotto, ben sicuro. Non è cosa tanto agevole scoprire l’errore, o sottoporre a censura i diversi fatti, di cui gl’increduli possono valersi per combattere il dogma. Per chi ha un po’ d’esperienza in queste materie, si intende facilmente che questo sindacato dei fatti è la parte più scabrosa, non solo per l’apologista, ma anche per lo stesso scienziato già maturo ed avvezzo a vederci al fondo. Non sono mai i fatti certi quelli che possono a lungo, non dirò contraddire al dogma, ma nemmeno aver l’apparenza di farlo. Sono invece i fatti supposti, o mal definiti od anche inventati, quelli che danno le maggiori brighe alla scienza come al dogma. Non basta aver nome di scienziato per esserlo; e tra quelli che dettano dalle cattedre, battono i congressi e scrivono libri ce n’ha sempre d’ignoranti, di leggeri, ed anche (spiace doverlo dire) di malafede. Di granchi a secco se ne piglia sempre e dappertutto, specialmente in quei rami delle scienze, naturali, per esempio nella geologia, che si appoggiano specialmente all’induzione, cioè ad un lavoro puramente razionale da farsi su dei fatti di molto difficile appreziazione e talvolta molto discutibili, anche quando siano per sè già depurati. Si prenderanno, per esempio dei cocci romani per avanzi di stoviglie preistoriche; si dirà che la spezzatura di un osso di elefante fu fatta dall'uomo per cavarne la midolla, mentre gli elefanti di midolla propriamente detta non n’ebbero mai, le scalfiture più accidentali, prodotte probabilmente o dal morso di animali, o per semplice azione meccanica naturale, passeranno senz’altro come indizi del lavoro dell'uomo; un cavicchio, avanzo di un ramo rosicchiato dal castoro, vi sarà presentato come arma o strumento qualunque di un preadamitico; non mancheranno gli scheletri preadamitici sepolti, forse da qualche secolo soltanto, a fior di terra. Che? non abbiam visto da poco tempo annunciala ripetutamente la scoperta di una popolazione fossile d’uomini marini (cioè in un pretto terreno marino, tra conchiglie e coralli marini) sulle nostre colline? E guai a chi non ci crede! è un gufo che odia la luce. È incredibile la leggerezza con la quale si è proceduto in questi ultimi tempi nelle questioni dell’uomo fossile, dell’uomo preadamitico, in quelle insomma che riguardano le origini e l’antichità dell'uomo. Vedrete i naturalisti che si accapigliano per un nonnulla; che discutono della differenza specifica di due mosche, come si trattasse di un affare di Stato: ma poi, quando si tratta di cose gravissime, di fatti, per esempio, che hanno l’apparenza di compromettere la Bibbia, l’accordo tra i più è facilissimo; non c’è dubbio, non c’è riserbo; chiunque, sia pur privo dei primi rudimenti della scienza, ha diritto di sede e a scranna trinciando sentenze a dritta ed a sinistra. Badi il lettore che queste non sono immaginazioni, ma allusioni a fatti veri. Fossero anche i naturalisti tutti seri, dotti appassionati unicamente della verità, come lo sono molti anche tra quelli che hanno la sventura di non credere; fossero anche incapaci di ingannarsi da sé: la verità non è ancora pienamente al sicuro. Chi può salvarsi dalle frodi? Si ricorderà che ai tempi di Cuvier, quando si pigliava una salamandra per un uomo, ci fu anche un tale, che s'era messo a fabbricare l’uomo fossile, e, si dice, con tal arte che avrebbe tratto in inganno qualunque naturalista meno esperto di quel grande fondatore dell'anatomia comparata. A’ giorni nostri di cose fabbricate sono pieni i musei di Europa; e già s’intende che si fabbricano le cose più ricercate o tra queste a preferenza quelle che il naturalista cerca, senza averle mai potute trovare, perché non si posson trovare, pronto, s’intende, a pagar bene chi le trovasse. — Trovami — dirà quel bravo scienziato, all'onesto operajo — trovami in questo terreno un cranio, una mascella, un dente d’uomo, e ti do cento lire. — Non volete che, fra qualche po’ di giorni, l’ onesto operajo non abbia trovato ciò che preme all'accorto scienziato? Insomma c'è proprio da mettersi le mani nei capelli, quando si pensa in quale rovajo debba in oggi dimenarsi la geologia; e nessuno potrà negare che l’incredulità, la smania di combattere la Bibbia, riempiendo di pregiudizi la mente degli scienziati, rendendoli proclivi a cercare e a credere d’aver trovato, non quello che è, ma quello che si desidera o si vuole che sia vero, e dando ai falsari un indirizzo in questo senso, ha contribuito immensamente a rendere cosi spinoso un campo già per sua natura di così difficile accesso.

Il dogma e le scienze positive, ossia la missione apologetica del clero nel moderno conflitto fra la ragione e la fede, Fratelli Dumolard Editori, Milano 1884, Parte Seconda, cap. I, nn. 13 e 15-19, pp. 104 e 107-116.