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La sapienza di Dio manifestata nelle opere della creazione

John Ray
Introduzione e traduzione a cura di Andrea Balzarini, prefazione di Franco Buzzi
Marietti 1820, Genova-Milano 2004
pp. 218
ISBN:
8821168220

Indice: Prefazione di Franco Buzzi - Introduzione di Andrea Balzarini - Epistola dedicatoria - Introduzione - Le opere visibili di Dio e la loro suddivisione: i corpi celesti; i corpi terrestri inanimati semplici; le meteore; i corpi inanimati misti; i vegetali o piante; i corpi dotati di un'anima sensibile o animali - Il corpo intero della Terra - Il corpo umano - Inferenze pratiche.

L'idea di proporre in traduzione italiana l'opera di John Ray (1627-1705) The Wisdom of God, uno dei masterpieces della “Fisico-teologia” anglicana a cavallo fra i secoli XVII e XVIII, pubblicata per la prima a Londra nel 1691, può sembrare a prima vista in certo disaccordo con il contesto contemporaneo, sia in ambito scientifico che teologico. Il movimento storico in questione, che ebbe illustri rappresentanti, fra gli altri, in Robert Boyle (1627-1691), William Derham (1657-1735), William Paley (1743-1805), proponeva una teologia naturale i cui argomenti sono stati in gran parte superati dal darwinismo nell'Ottocento e dai progressi scientifici del Novecento, mentre da parecchi decenni il pensiero teologico non pare rivolgere alcun interesse speciale all'idea che una teologia “naturale”, in quanto tale, rappresenti un cammino ancora praticabile.

Riteniamo tuttavia che l'opera di Ray, così come quelle degli autori che ne condivisero le prospettive, operata la necessaria contestualizzazione, offra ancora oggi spunti di significativo interesse. Segnaliamo in proposito due motivi. Anche se buona parte delle argomentazioni sviluppate da questi autori risultano alquanto ingenue agli occhi del lettore contemporaneo, esse partivano da una convinzione di fondo certamente valida, e cioè che se il Dio rivelatosi nella storia della salvezza è lo stesso Dio che ha creato il mondo, allora il creato deve in qualche modo contenerne delle tracce visibili. Inoltre, se la scienza è fonte di vera conoscenza, allora essa è anche sorgente di pensiero morale ed è capace di suggerire quale atteggiamento l'essere umano debba mantenere di fronte ad un Creatore riconosciuto causa prima e causa finale dell'universo. Al di là del complesso intreccio di trame storico-filosofiche nelle quali l'affermazione di una teologia naturale si è trovata inevitabilmente coinvolta — dalla possibilità di dare origine ad una morale naturale in opposizione ad una morale rivelata, fino a favorire la progressiva ascesa del deismo prima e dell'ateismo poi — riteniamo che i motivi che giustificano l'idoneità di un percorso teologico-naturale non siano mai del tutto tramontati. Più precisamente, l'oblio di un tale percorso è maggiormente dovuto alla difficoltà speculativa incontrata da molti contemporanei al momento di sviluppare una riflessione teoretica che tenga conto del dato scientifico, e non alla sua impraticabilità filosofica in senso generale. Non va dimenticato che oggi il pensiero credente è richiamato sia alla riscoperta della “unità della verità” (si pensi ai numerosi appelli in proposito contenuti nella Fides et ratio), sia ad una valorizzazione della legge morale naturale come terreno di dialogo e di fondazione per molti aspetti che riguardano la vita umana e la sua dignità, l'ambiente, la convivenza civile e le sue forme di organizzazione politica e religiosa. Non è escluso che una nuova considerazione di quanto attenga all'ordine naturale e alla carica di significato in esso contenuto, possa offrire alla teologia strumenti insospettati per affrontare alcuni dei suoi problemi più urgenti, senza permettere che la natura divenga (come oggi già in larga parte) il terreno proprio di riflessione di un pensiero meramente naturalista , forse perfino religioso, ma non illuminato da un necessario “principio di creazione”, senza del quale la stessa natura resta incomprensibile all'uomo e a se stessa.

Tornado all'opera di John Ray, La sapienza di Dio manifestata nelle opere della creazione si snoda come un grande climax che partendo dai corpi materiali, celesti e terrestri, passa a considerare i vegetali e quindi gli animali, fino ad ascendere all'anatomia umana. La prospettiva dell'Autore, e in certo modo quella di tutto il movimento cui appartiene, è debitrice sia al platonismo, nella visione ascendente di gradi di perfezione e nelle virtualità estetiche, sia all'aristotelismo, nella esplicita assunzione delle sue categorie sistematiche e tassonomiche, ma anche di molti elementi della sua filosofia della natura. Le argomentazioni di Ray, inoltre, intendono prendere le distanze sia dall'atomismo di Democrito e di Lucrezio, sia dal meccanicismo di Cartesio. La finalità che il naturalista intende mettere in luce vuole contraddire sia la casualità dell'atomismo, sia la necessità del meccanicismo. Se l'atomismo esclude del tutto ogni principio di causa, il meccanicismo riduce la sua lettura del mondo alle sole cause efficienti. In nessuna delle due visioni il pensiero è capace di innalzarsi fino all'inferenza di una causalità finale di origine intenzionale.

Come accennato, la lettura del finalismo operata dalla Fisico-teologia, una volta esaminata alla luce delle conoscenze contemporanee, può risultare a tratti ingenua. È il caso, ad esempio, della suggestione di Ray che la forma sferica della terra sia la più conveniente ai suoi moti di rotazione e di rivoluzione intorno agli assi, non riconoscendo che quella forma è proprio l'effetto della rotazione; o l'idea che la posizione eretta dell'essere umano sia la più conveniente per le nostre varie funzioni, non conoscendo ancora che molte di quelle funzioni, quali ad esempio il linguaggio e l'abilità delle mani, si sono sviluppate proprio grazie alla stazione eretta. Se è vero che vari di questi argomenti sono facilmente riconoscibili come esempi di post-hoc propter-hoc, come oggi sappiamo in base alla comprensione dell'azione di leggi di natura in ambito fisico e di leggi di adattamento o di selezione naturale in ambito biologico, altri mantengono inalterata la loro suggestione. È il caso della nota esposizione del coordinamento e della precisione delle diversificate funzioni dell'organo della vista, alla cui discussione Ray dedica una decina di pagine (cfr. pp. 175-184), e che sarà destinata ad esercitare una notevole influenza fino ai nostri giorni. In ambito biologico, più di quanto non avvenga in ambito in fisico, le argomentazioni di Ray e dei fisico-teologi in genere non fanno altro che mettere in luce l'esistenza di teleonomie che la scienza moderna non contraddice, ma che, su un piano di pura inferenza scientifica non rimandano all'esistenza di una causa intenzionale, bensì ad un coordinamento funzionale la cui origine ed efficienza sono in parte ancora non del tutto spiegate se valutate sulla scorta dei tempi a disposizione dalla selezione naturale e che dunque, anche in ambito scientifico, vengono oggi ricondotte all'azione di “motori evolutivi” alternativi. C'è in ogni caso da dire che le considerazioni di Ray, come quelle di Boyle o di Derham, non intendevano restare confinate sul piano meramente empirico (non va dimenticato che ci muoviamo ancora nel contesto di una filosofia naturale o filosofia sperimentale) e che, pertanto, non vedevano come salti logici la proposta, in ambito scientifico, di inferenze di carattere filosofico. Se lo studioso contemporaneo ha oggi acquisito l'abito di formulare tali inferenze con un maggiore rigore epistemologico, può aver forse perso l'abito di pensare che la scienza può davvero essere fonte di riflessione filosofica o anche religiosa, dimenticando che lo scienziato , nell'unità della sua esperienza intellettuale ed esistenziale, di tali appelli meta-empirici può ancora avvertirne tutta l'attrazione. L'opera di Ray, sebbene datata e avvolta da certo candore, è in fondo interprete di un comune sentire che ha accompagnato la riflessione filosofica di tutte le epoche e che difficilmente potrà considerarsi totalmente superato, anche laddove il linguaggio, gli esempi e il contesto scientifico lo saranno, necessariamente, con il procedere del tempo e l'approfondimento delle conoscenze.

La lettura de La sapienza di Dio riserverà anche qualche sorpresa, come quella di trovarvi le interessanti visioni cosmologiche dell'Autore. Convinto assertore del copernicanesimo —che saprà esporre in modo prudente, rispettoso di «alcune persone pie che potrebbero sentirsi offese da questa opinione» (p. 158)— Ray abbozzerà una cosmologia di taglio ormai contemporaneo, comprendendo le stelle come innumerevoli altrettanti soli, attorno ai quali si muovono pianeti, sui quali potrebbero essersi sviluppate molteplici e svariate forme di vita. Si tratta di un “pluralismo” che, lungi da indebolire l'immagine del Creatore, viene esplicitamente allegato proprio al fine di esaltarne la sapienza e la gloria. «Apparirà come, da questo punto di vista, esse [le molteplici creature] siano ben meritevoli di ammirazione, essendo noi addirittura incapaci di investigarne il numero; e offrendoci pertanto una prova dell'infinita estensione delle capacità del Creatore, e della fecondità della sua sapienza e potenza. Che il numero delle creature corporee sia incommensurabilmente grande e noto solo al Creatore stesso, può probabilmente essere così mostrato: 1) il numero delle stelle fisse è ovunque riconosciuto come prossimo all'infinito; 2) ciascuna stella fissa —secondo le ipotesi più accreditate— è un Sole e un corpo simile al Sole, e in modo simile circondato da un chorus di pianeti che si muovono attorno ad esso; 3) ciascuno di questi pianeti è con tutta probabilità provvisto di grandi varietà di creature corporee animate e inanimate come lo è la Terra, e così differenti per natura quanto lontano dalla Terra, e tanto quanto sono lontani fra di loro» (p. 66). In campo biologico, va segnalato che John Ray ha già le idee chiare circa il rifiuto della generazione spontanea, in accordo con gli esperimenti di Redi e di Malpighi, di cui è al corrente (pp. 199-200).

Meritano infine un'importante menzione le considerazioni che Ray sviluppa nella sua analisi del corpo umano, proponendo in nuce una vera e propria teologia del corpo tesa a valorizzare il valore “spirituale” che la corporeità possiede per l'essere personale, riparando e superando il dualismo cartesiano anima/corpo. Ne derivano delle “inferenze pratiche”, quale Appendice del testo, quasi un piccolo trattato di ascetismo cristiano: il senso dello sguardo, l'impiego corretto della lingua, la cura del corpo come tempio di Dio, ecc. Come osserva opportunamente Andrea Balzarini, al quale si devono l'ottima traduzione, l'Introduzione e la cura attenta del volume, «la conoscenza della natura, e segnatamente della natura e della fisiologia dell'essere umano, ci mette sulle tracce di una morale che è insieme naturale e cristiana, quella morale che ci fa conoscere il corretto utilizzo delle nostre membra a partire da come il nostro Creatore ce le ha fatte. Allora siamo invitati a impiegare la nostra lingua nell'adorazione di Dio, evitando lo sproloquio, il giuramento e la bestemmia; ci viene chiesto di educare i nostri occhi ad una compitezza degna della dignità di figli di Dio. Si viene qui a stemperare quel rigido dualismo —platonico e cartesiano— del corpo e dell'anima, perché anzi il corpo, l'esteriorità, in quanto prodotto sublime della sollecitudine divina si fa in qualche misura anche educatore dell'anima» (p. 50).

In una temperie culturale ove si tornano ad ascoltare voci a favore di un nuovo dialogo fra discipline scientifiche ed umanistiche, e si cerca di valorizzare le dimensioni umanistiche e personaliste dell'impresa scientifica, le pagine di John Ray mostrano una sensibilità ancor oggi di esempio a chi si occupa di ricerca scientifica, specie se realizzata da una prospettiva credente. «The Wisdom of God —sintetizza Andrea Balzarini nella sua Introduzione — costituisce una summa di tutte le conoscenze scientifiche di Ray, inquadrata nella dimensione religiosa che è la motivazione prima di tutto il suo lavoro. Come ha scritto, essere un naturalista significa riconoscere che “Divinity is my profession”, ovvero, “la teologia è la mia professione” (Further Correspondence, a cura di R.T. Gunther, London 1928, p. 163)» (p. 40).

Giuseppe Tanzella-Nitti