Il Signore

La presentazione di un libro come Il Signore di Romano Guardini, in un Portale dedicato ai rapporti fra pensiero scientifico e religione potrebbe destare, a prima vista, qualche sorpresa. Eppure Guardini è uomo del suo tempo, docente universitario che ben conosceva la mentalità dei suoi ascoltatori e le forme di razionalità che la forgiavano e la forgiano tuttora. Per questo motivo, la sua esposizione della vita e del mistero di Gesù risulta ancor oggi particolarmente attraente. Pur fedele al programma che la persona di Cristo non va analizzata con la psicologia umana, ma è piuttosto la psicologia umana ad essere rivelata e decodificata da quella di Cristo, l'A. offre un attento esempio di come anche le scienze umane possano servire per meglio comprendere l'evento di Gesù e tutto il suo contenuto.

Dalla predicazione di Guardini diretta a un gruppo di giovani studenti e sistematizzata in quest'opera, pubblicata originariamente nel 1949, emergono molteplici risposte, generate da altrettante domande. È possibile ridurre la figura di Cristo ad una delle categorie psicologiche? È possibile una Religione senza fede? È possibile un cristianesimo senza religione (domanda che ricorre anche nell'opera di Bonhoeffer “Resistenza e Resa”)? È la vita di Cristo un evento, come tanti, della storia?

Le riflessioni dell'Autore ruotano attorno a quelle questioni legate al riduzionismo del cristianesimo che in un'epoca di spiritualità scialba, rappresentano gli strumenti più utilizzati sia per un attacco macrostrutturale sia microstrutturale alla realtà cristiana: riduzione del valore sociale, riduzione del valore ideologico, riduzione del tutto alla somma delle parti.

La narrazione evangelica, con una particolare predilezione per il Vangelo di Giovanni, è lo strumento utilizzato da Guardini per delineare l'identità di Cristo che, come più volte rimarcato, non può essere riferita ad un ideal-tipico precedente e quindi definibile in termini psicologici. L'idea di fondo è che si può comprendere e definire una psicologia dell'uomo e dell'umanità partendo da Cristo Salvatore, mentre per comprendere e capire Cristo è necessaria l'apertura del cuore, quindi la fede: «la santa figura sorge in modo sempre nuovo dall'incontro della narrazione con il cuore disponibile ad accoglierla». La religione senza fede è psicologia e narrazione, la religione con la fede è totale apertura ed accettazione di una vita in Cristo e per Cristo.

Diverse ed ampie sono le riflessioni dell'Autore sulla condizione umana del Nazareno. La sua solitudine spesso ricercata ma ancor più spesso causata dall'umanità dei suoi discepoli e dei suoi seguaci, che non comprendono Lui «che è il veggente tra i ciechi, colui che ha sensibilità tra ottusi, che è libero e nell'ordine tra i confusi», Lui che obbedisce ad una logica non terrena, ma ai pensieri di Dio, che «sovrastano tanto i pensieri degli uomini, quanto il cielo sovrasta la terra» ( Is 55,9).

Tuttavia è nel silenzio che avvengono le grandi cose, non nella rumorosità e nella pomposità degli eventi esterni, ma nella chiarezza della visione interiore: «quando il cuore è toccato dall'amore, la libertà dello spirito è chiamata ad agire, ed il suo grembo è fecondato a generare l'opera» (p. 35).

Il teologo si sofferma sulle conseguenze che la vita di Cristo causa in chi non lo segue (i sadducei) e di chi gli è nemico (i farisei), la cui unione porterà poi alla follia della Croce. Scandalo, spavento, indignazione, inquietudine sono le sensazioni che turbano e sconvolgono gli avversari del Nazareno. È soprattutto il modo di rapportarsi con la legge che mette in risalto la diversità del Figlio di Dio: da una parte una legge che lega e condiziona i credenti a muoversi come pedine su una scacchiera , dall'altra una legge che libera e si tramuta in accettazione ed adesione alla volontà del Padre, una adesione che nasce dall'amore, che non è solo emozione e sentimento ma “azione e verità”. Un amore che non si tramuta in un tutto od un nulla come nella visione farisaica, ma come un “possibile” che termina poi sulla vetta: “tutto si deve pensare mirando a Dio”.

Guardini inoltre mette in risalto a più riprese quello che è il ruolo della Chiesa, fondata su Pietro. Compito di “avvocata” della debolezza umana, colei che compie l'azione di intercessione per il possibile, veramente madre che fa valere, «di fronte all'immensa pretesa di Dio ciò che oramai sono gli uomini» (p. 132). Una Chiesa che si pone in una azione di mediazione tra la pretesa di Cristo che sembra travalicare le forze degli uomini in rapporto con le loro possibilità offrendo aiuto e “passaggi”.

L'umiltà di Dio è poi esaltata, sottolineando il mistero di un Dio che si china e si pone al servizio dell'uomo, offrendo la vita del Suo figlio. L'Autore, che ha vissuto in prima persona la violenza del nazismo (l'opera è del 1949, ma le predicazioni sono tenute negli anni precedenti, a una assemblea composta per lo più da giovani studenti), sottolinea in questa occasione la differenza che vi è tra un Tutto umano e l'Uno divino. La differenza, che ruota intorno alla valorizzazione dell'individuo (i talenti) nell'Uno che porta alla creazione di una notte, illuminata da una pluralità di stelle, ed un Tutto la cui in-umiltà porta alla cooptazione e coartazione della singolarità, generando una notte buia e senza stelle. La differenza, appare chiaro, sta nella diversa declinazione della parola uguaglianza: una uguaglianza nella diversità nella visione cristiana, una uguaglianza nell'indifferenza nell'altra. Un Dio che viene divinizzato si contrappone alla divinizzazione dell'Io.

Tante sono le tappe e le riflessioni che Guardini compie sulla vita e sul significato delle Parabole che contrassegnano gli ultimi tre anni della vita di Cristo. Parabole che si tramutano poi in una esemplificazione di cosa è e di come deve essere interpretata la realtà in termini cristiani. Da qui le riflessioni sul sacerdozio, sul matrimonio, sulla verginità, sul significato del legame con la ricchezza, che caratterizzano il modus vivendi di una società che anela a qualcosa di eterno: “la luce di Dio”. Ma è nella capacita di accettare il proprio destino, frutto della volontà del Padre, che viene esaltata la figura di Cristo. Non un'accettazione dionisiaca o rassegnata della morte, ma una consapevolezza del compito che il Padre gli ha assegnato. Quello che viene delineato dall'Autore è un uomo consapevole di sé, che radica la sua identità nella fede.

La questione della fede è inoltre trattata da Guardini quando riflette sulla frase di Cristo “lasciate che i bambini vengano a me”. Il fedele non come un bambino credulone ed ingenuo che accetta tutto, ma un bambino che è capace di accettare con la sua apertura il messaggio cristiano, come il meno dotto che è più propenso a far sua la parola di Dio rispetto al dotto. Un bambino difeso, «chi fa qualcosa al più piccolo tra di noi è come l'avesse fatto a me», un bambino che rappresenta il futuro.

Tanto vasto il quale ed il quantum delle riflessioni proposteci da Il Signore da trasformare quest'opera in una “mediazione” tra le Sacre Scritture ed il lettore e tra il lettore e Dio. Ogni singola riga rappresenta un'esame di coscienza e la possibilità di capire cosa sia e cosa chiede Cristo attraverso la Chiesa.

Matteo Dellanoce