La saggezza del mondo. Storia dell'esperienza umana dell'universo

Indice : Prima parte: Lo scenario. - 1. Preistoria: una saggezza precosmica - 2. nascita greca del cosmo. - Seconda parte: Quattro modelli. 3. Rivoluzione socratica, restaurazione platonica - 4. L'altra Grecia: gli atomisti - 5. L'altro dalla Grecia: Le Scritture - 6. L'altro altro: la gnosi. - Terza parte: Il modello medievale. - 7. I modelli marginali - 8. La visione standard del mondo - 9. Un cosmo etico - 10. Un'etica cosmologica - 11. L'eccesso abramitico. - Quarta parte: Il nuovo mondo. - 12. la fine di un mondo - 13. L'imitazione impossibile - 14. Il mondo perduto.

 

La domanda fondamentale che guida questo saggio di Rémi Brague, professore di filosofia medievale all'Università di Parigi e studioso di storia della filosofia e della religione, e che giustifica la sua presentazione in questa rubrica del Portale di Documentazione Interdisciplinare, può così riassumersi: “Quale nesso intercorre tra la comprensione che l'uomo ha del mondo e quella che ha di sé?”. Partendo da un chiarimento semantico sul significato dei termini cosmografia, cosmogonia e cosmologia, l'A. afferma in modo programmatico che «in ogni cosmologia è necessariamente presente un elemento di riflessione, mentre non è strano che sia assente in una cosmografia o in una cosmogonia dove sarebbe perfino fuori posto. Una cosmologia deve giustificare la sua possibilità già a partire dalla prima condizione della sua esistenza, cioè dalla presenza al mondo di un soggetto, capace di farne esperienza in quanto tale, cioè l'uomo. Una cosmologia deve quindi necessariamente implicare qualcosa come un'antropologia» (p. XVIII). Osserviamo qui incidentalmente che anche la tradizione teologica cristiana ha considerato in stretta corrispondenza queste due prospettive, comprendendole come due “vie” verso la conoscenza di Dio. L'esistenza di una profonda relazione fra antropologia e cosmologia — aspetto anch'esso del rapporto che collega inevitabilmente scienze dello spirito e scienze della natura, secondo una divisione che tende ormai ad essere superata e ricompresa — è certamente oggi sostenuta da molti autori; è tuttavia meno frequente incontrare dei lavori che ne sappiano illustrare, senza retorica e luoghi comuni, lo sviluppo storico, enucleandone gli snodi principali. L'opera di Brague, pubblicata originariamente a Parigi nel 1999 e ora tradotta in lingua italiana dall'editore Rubbettino, rappresenta uno dei contributi che meglio colma questa lacuna, offrendo un'analisi accurata ed insieme accessibile al grande pubblico.

La tesi di Brague merita di essere considerata con attenzione. Fra cosmologia e antropologia, infatti, esistono delle reciproche, profonde implicazioni. E non soltanto perché guardando il cosmo l'uomo si interroga su se stesso — come già illustrava magistralmente Giacomo Leopardi nei versi del suo Canto notturno di un pastore errante dell'Asia  — ma anche perché la comprensione che l'uomo ha di sé, del suo destino, del senso della sua vita, finisce con l'influenzare il suo modo di interpretare l'universo che lo circonda. L'idea di mondo e quella di uomo sono da pensare nella loro reciproca appartenenza. Il cielo stellato può essere guardato con sentimenti di contemplazione derivandone conferme etiche per giustificare un comportamento morale che rifletta una natura governata da leggi; o essere osservato da un uomo disilluso, e perciò considerato come un paesaggio freddo e inospitale, nel quale l'uomo, abbandonato a se stesso, non legge alcuna promessa di retribuzione per le sue azioni. La diversa valenza di questa percezione non compare soltanto nella letteratura e nell'arte, ma viene veicolata anche dalle visioni scientifiche del mondo avvicendatesi lungo i secoli, le quali sono spesso, quasi inevitabilmente, anche implicite visioni dell'uomo. Non deve allora sorprendere se, proprio nel tentativo di dare forma a tali implicazioni, il linguaggio del mito e quello delle scienze possano rincorrersi, riproponendo anche in tempi moderni visioni e tensioni proprie delle epoche passate. Basterebbe pensare alla divulgazione scientifica degli ultimi decenni — osserviamo noi — per convincersi di come la precomprensione di certe “visioni dell'uomo” finisce col determinare anche l'immagine del mondo che si intende esporre attraverso le scienze. Ma ciò accade anche con le ideologie in genere — osserva Brague — le quali hanno condotto con il marxismo e il materialismo a forzare una certa interpretazione del mondo, talvolta paradossale, allo scopo di sostenere la loro particolare antropologia.

Il rilievo di fondo presente nel lavoro di Rémi Brague non va interpretato nel senso di una perdita di oggettività nei confronti del mondo esterno o di una riconduzione dell'esperienza naturale e morale alla sola sfera di un'emotività soggettivistica. Si vuole solo sostenere che “problema antropologico” e “problema cosmologico” sono in sostanza aspetti dello stesso problema filosofico, e che, come tale, questo deve essere affrontato nell'interezza delle sue implicazioni. «Mettere l'idea di mondo in rapporto con l'antropologia non consiste affatto nel rigettare l'infinito dell'universo a vantaggio della calda intimità del circostante. Entrando nel mondo, nel momento della nostra nascita, entriamo in qualcosa che contiene tutto tanto saldamente, ma altrettanto indifferentemente, la nostra culla e le più lontane nebulose. Più radicalmente, non si tratta di rifugiarsi nella soggettività, abbandonando il mondo degli oggetti “concreti”. È proprio l'inverso: si tratta di dimostrare che il mondo vero è situato dalla parte del soggetto e che ciò che noi chiamiamo “mondo” — ossia l'universo degli oggetti — non è in grado di soddisfare ai requisiti del concetto di mondo» (p. 350). Non a caso nelle pagine finali di questo saggio l'A. cederà spesso la parola a Ludwig Wittgenstein, meritevole di aver notato, nel tentativo di voler restringere il mondo al mondo dei fatti, che il mondo doveva essere necessariamente qualcosa di più.

L'opera di Brague costituisce anche un buon sommario di documentazione storico-filologica sulla storia del rapporto fra uomo e natura, del quale egli riepiloga in modo sistematico l'itinerario concettuale. Se è vero che nell'idea di kosmos della cultura greca erano presenti delle virtualità che il cristianesimo ricomprenderà e rileggerà alla luce della sua teologia, specie medievale, dando origine ad una antropologia cosmologica e ad una cosmologia antropologica, e anche se l'epoca moderna ha in parte dissolto tale relazione, l'A. segnala in chiusura che in essa si ritrovano al tempo stesso dei germi che ne reclamano una riproposizione attraverso paradigmi nuovi. Concordiamo con questa tesi dell'A. e riteniamo che il dialogo fra pensiero scientifico e pensiero umanistico, di cui gli ultimi decenni sono stati testimoni, rappresenti un terreno fertile ove tali germi possano fruttificare senza perdere in vigore critico, ma senza cedere a stereotipati riduzionismi.

Giuseppe Tanzella-Nitti