In cammino alla ricerca della Verità. Lettere e colloqui con Benedetto XVI

Nell’ottobre 2013, G. Tanzella-Nitti scriveva un editoriale a breve commento del volume “Caro Papa ti scrivo…” e del successivo carteggio tra l’autore, Piergiorgio Odifreddi e il papa emerito Benedetto XVI, raccontando come fosse rimasto perplesso dal libro, al punto da declinare l’invito dell’autore a presentarlo. In quel medesimo editoriale si riportava, poi, la risposta che Ratzinger indirizzò ad Odifreddi, citando il quotidiano Repubblicadel 24 settembre 2013. Il libro che qui adesso presentiamo, intitolato In cammino alla ricerca della Verità apre un capitolo nuovo in questo singolare dialogo.

Il 19 novembre 2013 Piergiorgio Odifreddi scriveva a Benedetto XVI: Ma fin d’ora la ringrazio sinceramente e cordialmente per tutto ciò che mi ha già donato, andando ben oltre i miei meriti, e senza che io possa ricambiare degnamente in alcun modo: il tutto, in accordo con il più profondo significato della parola “dono” (p. 114). Di che cosa lo ringraziava? Di aver letto il suo libro “Caro Papa ti scrivo” e di averlo commentato in una lettera personale del 30 agosto precedente, nella quale scriveva, tra l’altro: «In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io – come ho già detto ripetutamente – sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica e, ancora diversamente nei capitoli su Gesù [...]. Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve, però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. [...] Anche lei non può non sapere quante forme di aiuto disinteressato ai sofferenti si realizzino attraverso il servizio della Chiesa e dei suoi fedeli. [...] Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico. [...] Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “la Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male» (pp. 107-111).

Nella sua lettera il papa emerito mostrava interesse e, a volte, apprezzamento per ciò che Odifreddi aveva scritto nel libro, ma le frasi succitate non sono proprio un elogio: suonano piuttosto a rimprovero. Colpisce positivamente lo stile di risposta dell’autore che, lungi dal sentirsi offeso, ringrazia con toni né banali né formali, lasciando da parte la sua frequente ironia tagliente, a volte sarcastica e, in alcuni casi, offensiva.

Questa parte dello scambio epistolare tra i due protagonisti era già contenuta nel libro “Caro papa teologo, caro matematico ateo” aprendo uno spiraglio interessante sulla Weltanschauung di Odifreddi, mostrandone un volto “tenero”. In questo nuovo volume “In cammino alla ricerca della Verità”, alla relazione epistolare a distanza si aggiungono cinque incontri personali tra i due, molto significativi, e altre lettere successive.

La prefazione è a cura di Gianfranco Ravasi perché proprio il papa emerito, alla fine del 2021, rispondeva a Odifreddi di essere troppo debole per affrontare la revisione del carteggio e dei resoconti degli incontri, invitandolo a chiedere al cardinale di occuparsene. E quest’ultimo si riallacciava all’iniziativa, promossa proprio da Benedetto XVI nel 2009, del “Cortile dei Gentili” come arena di dialogo tra credenti e agnostici o atei.

Questo libro ne è in qualche modo un’espressione e mostra la grande disponibilità del papa emerito di dedicare tempo e le sue scarse energie di anziano a un autore che l’aveva contestato in modo fin troppo vivace. Afferma Ravasi: «Sorprende, comunque, una indubbia delicatezza affettuosa del narratore, che rivelerà a molti un volto inedito, rispetto a certe asprezze fin aggressive riservate in passato al mondo cristiano, e in particolare all'orizzonte ecclesiale. Spesso egli curiosamente ricorda la sua matrice cattolica tradizionale, fin seminaristica, col suo ingenuo proposito (o sogno) di diventare, più che prete, papa» (p.16). E cita Benedetto XVI, in relazione al “Caro Papa ti scrivo”: «La mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch’io lo sia» (p. 17).

Ravasi si sorprende delle numerosissime citazioni erudite di Odifreddi. Condivido la sorpresa e personalmente colgo che, ad ogni spunto o citazione di Benedetto XVI, il matematico si lanci in una lettura del libro corrispondente per cercare di capire fino in fondo le ragioni del suo interlocutore. Atteggiamento molto onorevole anche se non sembra seguire il consiglio di Plinio il giovane: “Aiunt enim multum legendum esse, non multa”. Concordo anche con Ravasi nello stupirmi per la varietà e originalità dei regali portati da Odifreddi al papa emerito, segno di un’attenzione riverente: quando si vuol bene a una persona non si fanno doni banali ma si cerca qualcosa che possa veramente far piacere.

Una lettera di fine 2014 di Benedetto XVI diceva molto: «In ogni caso Lei rimane inquieto circa la questione di Dio e di Gesù Cristo. Oso dire che la Sua inquietudine è proprio l'atteggiamento chiamato dai Padri della Chiesa “quærere Deum” e considerato da loro come l'atteggiamento essenziale dell'uomo davanti al mistero divino» (p.144).

Ancor più intensa quella di fine 2015: «Le assicuro che interiormente rimango in dialogo con Lei. In modi diversi cerchiamo il cammino della verità che non è mai semplicemente trovata, rimanendo la verità sempre più grande di noi. E nello stesso tempo non è mai totalmente assente: trovare e cercare, cercare e trovare vanno insieme, importante è resistere alla tentazione di accontentarsi con le cose tangibili e di rinunciare così al cammino verso la verità – verso Dio. Opporsi a questa pigrizia che diminuisce la grandezza dell'uomo, mi sembra essere l'incarico essenziale di un teologo e della Chiesa» (p.168). È una sintesi del programma di vita di Joseph Ratzinger e il “matematico impertinente” accetta di sottolinearlo, con Ravasi che interpreta i sentimenti di quest’ultimo citando il carme di Catullo “odi et amo”.

Nel periodo tra il 16 dicembre 2013 e il 17 dicembre 2018 avvenivano cinque incontri personali fra Odifreddi e Ratzinger, nell'ultimo dei quali il matematico sarà accompagnato dalla moglie. La trascrizione di questi colloqui è molto dettagliata perché l’autore aveva avuta la saggia accortezza di metterli per iscritto immediatamente dopo ogni incontro, fermandosi in un bar che, a sua insaputa, era quello abitualmente frequentato a suo tempo dal cardinal Ratzinger.

È difficile riassumere la ricchezza di questi dialoghi: anche solo per questi, il libro merita la lettura. Riporto alcuni passaggi a mio parere interessanti.

Nel primo colloquio: Chiedo al papa se sia mai stato in India, dove io ho trascorso più di un anno, in varie riprese. Risponde di no, e aggiunge di trovare incomprensibile il rifiuto orientale del principio di contraddizione. Obietto che anche la teologia negativa l’ha rifiutato, a partire da Cusano. Lui ribatte correttamente che non arriva però ad affermare: “Dio è sia questo, sia quello”, e si limita a negare: “Dio non è né questo, né quello” (p. 32).

In questo scambio apprezzo il ribatte correttamenteche dimostra come Odifreddi non fosse insensibile alle argomentazioni razionali e fondate dell’interlocutore. Continuava: Gli dico che ho letto [...] il volume “Creazione ed evoluzione”, e gli confesso che è stato proprio dalla relazione di Schuster che ho imparato per la prima volta del “Long-term evolution experiment”, poi discusso nella mia lettera aperta e nella sua risposta. Lui è divertito, e ritorce: «Allora abbiamo potuto insegnarle qualcosa di scientifico anche noi!» (p. 33).

Appare chiaro che i dialoghi si svolgevano in un clima molto cordiale anche se i temi trattati erano profondi e le posizioni di partenza erano decisamente lontane.

Nel trattare il mancato invito al Cortile dei Gentili aggiungeva Odifreddi: il nostro scambio ha rimediato al problema, almeno per me, e lui conferma di considerarlo come una sorta di Cortile dei Gentili sui generis. Gli faccio notare che, però, sembriamo essere gli unici due a trovarlo interessante. I giornali non hanno praticamente parlato del nostro libro, nemmeno quelli cattolici, e il pubblico sembra disinteressarsene. Lui esclama perplesso: «Strano!» Io suggerisco come spiegazione il fatto che “noi siamo due dinosauri”, nel senso di appartenere entrambi a mondi culturali ormai fuori moda. Ma lui ribatte sorridendo: «Oh, non esageriamo!» E aggiunge che, comunque, ci vuole qualcuno che continui a dissodare il campo. O, cito, io, a “lavorare nella vigna” (p. 55).

Mi sembra un interessante riferimento alla tendenza attuale, soprattutto tra i giovani, di ignorare le letture profonde e complesse per preferire le effimere manifestazioni digitali tipiche delle reti sociali: il fatto che anche le testate giornalistiche premettano agli articoli il tempo di lettura, generalmente molto breve, conferma la mia tesi. Impegnarsi a leggere a lungo è costoso: è più facile sfogliare filmati in rapida successione o brevi notizie senza preoccuparsi della loro affidabilità.

Del secondo colloquio, del marzo 2015, è utile sapere quanto segue: A proposito di scrivere molto, gli cito la recente autobiografia di Hans Küng, Una battaglia lunga una vita. Il papa si mette a ridere, scuotendo la testa. Poi punta il dito verso la libreria e dice: «È là. Tre volumi! Troppo egocentrico. Io non riuscirei mai» Da parte mia, ammetto di averlo letto in una maniera che a Küng non farebbe piacere: cioè, cercando nell'indice soltanto le parti in cui parlava, quasi ossessivamente, di Ratzinger e Benedetto XVI. E lui, alla domanda se ha letto almeno queste, confessa: «Non tutte». Mi ha colpito che in quel libro Küng, così pedante nel descrivere particolari e dettagli anche irrilevanti, non citi la lettera del papa emerito del 24 gennaio 2014, a cui aveva alluso in un'intervista, benché riporti un successivo biglietto di papa Francesco. Ratzinger spiega: «Perché quella lettera diceva cose che a lui non faceva piacere sentire». Mi azzardo a interrogarlo con lo sguardo, e dopo quella che percepisco come una lieve esitazione, lui aggiunge: «Küng mi aveva accusato di non aver fatto nulla contro la pedofilia ecclesiastica, e io gli ho enumerato le prove del contrario». Il testo continua con altri inediti commenti sull’antico collega del papa emerito (p. 42).

Nel terzo colloquio, di fine novembre 2016, oltre a parlare di Matteo Ricci, si soffermavano su Fidel Castro; Benedetto XVI diceva: «Del resto, il senso per la religione non ha impedito a Castro di prendere misure contro la fede concreta. Al contrario, ha cercato di abusare della religione come strumento per la sua politica come ha fatto la teologia della liberazione. Questo abuso della fede come strumento della politica è, in un certo senso, più pericoloso che una semplice persecuzione» (p. 59).

Nel quarto colloquio, del marzo 2018, Odifreddi parlava della correctio filialis contro Bergoglio, firmata lo scorso anno da una sessantina di sacerdoti e studiosi cattolici, che si sentono a disagio con le aperture “semieretiche” di papa Francesco. Ma Benedetto XVI afferma decisamente che chi fa e dice queste cose non vuole bene alla Chiesa, e aggiunge che in genere si tratta di ultraconservatori. “Come i seguaci del vescovo scismatico Marcel Lefebvre”, domando io. «Anche più tradizionalisti», risponde lui (pp.73-74).

Ci possiamo chiedere qual è l’affidabilità di tutte queste trascrizioni di Odifreddi. Credo che nella sua lettera del 16 aprile 2018 ci sia la garanzia del desiderio di non travisare il pensiero del pontefice emerito: Come lei saprà, Scalfari e papa Francesco hanno un rapporto amichevole, per alcuni versi simile a quello che abbiamo noi. Con la differenza che Scalfari, ogni volta che esce da un colloquio privato con Bergoglio lo pubblica, all'insegna di un'interpretazione fantasiosa del motto di Berkeley: esse est percipi (a legentibus). Come se non bastasse, ogni volta il giornalista mette in bocca al papa affermazioni per lo meno azzardate: l'ultima delle quali, che l'Inferno non esiste e le anime dannate non vanno da nessuna parte, ma semplicemente "si dissolvono". Regolarmente il portavoce del papa smentisce che quelle cose siano state dette, ma regolarmente il giornale continua a pubblicarle senza peraltro riportare mai le smentite, e senza che il Vaticano gli chieda di farlo. Il 2 aprile, nel giorno dedicato in tutto il mondo a stigmatizzare le cosiddette fake news, io ho dunque invitato sul sito di Repubblica il fondatore e il giornale a smetterla di praticare questo tipo di giornalismo fasullo e scorretto. Apriti cielo! Invece di un'improbabile mea culpa, è arrivato un farisaico stracciarsi di vesti seguito da un prevedibile licenziamento. Poco male per me, perché già da tempo non mi sentivo più in sintonia con il giornale con il quale ho collaborato per diciott'anni [...] Non so quale sia la sua percezione di questi oscuri fatti, ma mi rallegro che il dialogo fra noi non sia offuscato da simili ombre, avvenga lontano dalla luce dei riflettori (pp. 237-238).

Nel quinto e ultimo colloquio, del dicembre 2018, parlando dei fratelli Weil e di Gödel e della follia che accompagna alcune manifestazioni di genialità, Odifreddi riferiva: Ratzinger scherza dicendo: «Molti geni sono matti, ma ci sono eccezioni. Ad esempio, lei non lo è». E io ribatto che ha ragione, ma non nel senso che non sono matto, bensì che non sono un genio. Ma, a proposito di stranezze, racconto più seriamente che il giorno prima l'amico scrittore Paolo Giordano, autore del best seller “La solitudine dei numeri primi," mi ha sorpreso, dicendo seriamente: "Se Dio non ci fosse, io mi suiciderei". E mi sorprende anche il papa, che conferma aggiungendo: «Ha ragione! È vero! Senza Dio il mondo non avrebbe senso, e non ci sarebbe fondamento per la giustizia». Iniziare un dibattito con il papa emerito sulle possibilità di un’etica laica sembra però fuori luogo, dopo quasi un’ora di colloquio (p. 95).

L’alternanza di scambi ameni e considerazioni profonde non sorprende chi conosce bene la versatilità del defunto Papa Benedetto XVI capace di alternare teologia di altissimo livello a spiegazioni della dottrina cristiana ai ragazzi, come nel bellissimo incontro in preparazione della XXI giornata mondiale della gioventù, dove affrontò anche il problema del rapporto tra scienza e fede.

Terminata la narrazione degli incontri personali, intitolata “Verba volant”, inizia la sezione “Scripta manent”, con gli scambi epistolari. Anche qui è necessaria una selezione e sintesi che non possono essere che fortemente parziali, ma lasciano traccia di un’intensità di rapporto e di una sensibilità che abitualmente non si percepisce nelle conferenze o in altri scritti del matematico. Nell’aprile 2015 scriveva: Ma la morte che mi ha straziato di più è sicuramente quella di cinque anni fa del papà, con il quale avevo avuto un rapporto articolato: problematico nella mia adolescenza, affettuoso nella sua vecchiaia, e triste nel graduale disfacimento mentale dei suoi ultimi anni. Vederlo svanire lentamente mi ha causato innumerevoli pianti, quando uscivo dalle visite: a casa sua, prima, e all'ospizio, poi. E ricordo come un incubo straziante la notte che morì: di nuovo ero lontano, impossibilitato a rientrare fino al giorno dopo, e la passai a singhiozzare senza sosta, mentre sentivo lentamente sciogliersi il cordone che mi legava a lui. Per due o tre anni non sono poi riuscito a guardare la sua immagine o ascoltare la sua voce registrata, perché mi sentivo sopraffare dalla tristezza. Ma oggi una sua foto mi osserva dolce e sorridente dal muro a fianco della scrivania, mentre le sto scrivendo [...] Se dovessi riassumere il mio atteggiamento al proposito, oggi parafraserei semplicemente due massime stoiche: accettare volontariamente l'inevitabile morte, e non desiderare l'impossibile vita eterna [...] mi ha sempre manifestato un’attenzione e una gentilezza di cui le sono profondamente e sinceramente grato (p. 150).

In risposta, il Papa emerito gli spediva la sua autobiografia con la dedica autografa: Per Prof. Piergiorgio Odifreddi nel cammino della ricerca della verità con amicizia.

Nell’aprile 2016 l’autore scriveva a Benedetto XVI una lunga lettera sulla “ragione”, partendo dal famoso discorso di Ratisbona del Papa con la discussa citazione di Manuele II Paleologo contro l’Islam. Si dilungava nella difesa dell’Islam e nel sottolineare i lati negativi del francescanesimo, anche citando casi estremi. Nell’esaltare l’islamica Bayt al-Hikma, Casa della Saggezza, che tanta scienza produsse, ignorava tuttavia le successive evoluzioni di quel mondo con la soppressione degli studi scientifici e degli osservatori astronomici, come raccontava invece il premio Nobel per la Fisica, Abdus Salam nell’intervista che rilasciò alla RAI nel 1991. Odifreddi ovviamente portava acqua al suo mulino per dimostrare le proprie tesi, non mettendo sulla bilancia tutti i pesi: faceva una selezione accurata che, se giustificata dal punto di vista letterario, lo è meno dal punto di vista scientifico.

Lo conferma anche la risposta di Benedetto XVI del giugno 2016 in cui scriveva, tra l’altro: «Sul problema della violenza Lei ha accumulato una massa di fatti e parole che alla fine sembrano dimostrare che non esiste alcuna differenza ultima tra cristianesimo e islam. E tuttavia una più precisa analisi sistematica mostra che non è possibile risolvere la questione così. Vorrei sottolineare tre punti.

1. Lei tratta la Bibbia – Antico e Nuovo Testamento – e il Corano come se nelle religioni in questione svolgessero la stessa funzione e fossero in sé un'autorità dello stesso genere. Ma non è così. Mentre il Corano rappresenta nel suo complesso un libro scritto, per così dire, da Dio stesso, Antico e Nuovo Testamento costituiscono una letteratura sviluppatasi nell'arco di più di un millennio, con generi e pretese differenti.

2. Per gli ebrei il Talmud e la Mishnà sono la chiave per una retta lettura del loro canone. Per i cristiani, l'intero canone dell'Antico Testamento va letto nella chiave di Cristo crocifisso e risorto.

3. Non c'è veramente bisogno di dimostrare espressamente che le figure di Gesù Cristo e Maometto sono fondamentalmente diverse, proprio per quel che riguarda il tema della violenza. La Croce e la spada parlano ciascuna un linguaggio diverso.

En passant vorrei rilevare che la selezione dei passi del dialogo dell'imperatore Manuele II Paleologo che Lei ha fatto è però evidentemente molto unilaterale. Nell'insieme del dialogo trova, invece, una discussione obiettiva e profonda delle indicazioni essenziali che le due religioni danno riguardo alla vita umana.

La tesi secondo la quale il monoteismo con la sua pretesa di verità genera violenza, da qualche tempo è sostenuta con grande forza da Jan Assmann. Ma ciononostante essa è con tutta evidenza sbagliata, perché al tempo dei politeismi era proprio l'intolleranza reciproca tra gli dèi a generare le guerre e a doversi necessariamente esprimere in guerre. Gli dei degli uni divengono poi spesso diavoli per gli altri. Il monoteismo come tale e come viene insegnato nel Nuovo Testamento non rappresentava e non rappresenta alcuna causa di guerra» (pp. 190-191).

Nonostante il “rimprovero”, Odifreddi replicava con una graziosa lettera nella quale scriveva: vedo che lei stesso è intervenuto nel dibattito sulla “distinzione mosaica” con il libro “Fede, verità, tolleranza”, che mi riprometto di leggere presto come ideale proseguimento del nostro dialogo su questo argomento, a dimostrazione della propria disponibilità ad approfondire i temi discussi, con apertura al cambiamento di opinione (p. 194).

La lettera del 25 marzo 2017, giorno del matrimonio di P. Odifreddi, segna a mio parere uno spartiacque nel libro, perché è una lunga autobiografia dell’autore che svela aspetti poco noti della sua personalità: dal seminario minore, con l’ambizione di diventare papa, appassionato più della ritualità che della spiritualità, all’adolescenza segnata dal fastidio nel frequentare scout e oratori, oltre che le chiese, conclusasi con l’adesione a un ateismo scientifico alla Bertrand Russell. Intorno ai 40 anni, il viaggio in India segna una nuova immersione nella religione, anzi nelle religioni, con la conoscenza dell’antica letteratura spirituale di quelle regioni. Interessante il paragrafo dedicato ai grandi personaggi della psicologia europea: Freud e Jung sprecarono il loro grande talento e la loro vasta cultura a costruire vuoti castelli in aria, confondendo il non-conscio con l'inconscio e l'arcaico con l'archetipico, ma quando rimasero con i piedi per terra ebbero anch'essi qualche intuizione sensata. Ad esempio, nell'”Avvenire di un'illusione” Freud sostenne argutamente che "la religione è una nevrosi collettiva e la nevrosi una religione individuale", intendendo per religione la ritualità. E Jung dichiarò di aver scritto la propria “Risposta a Giobbe” in seguito allo “scandalo sollevato dal nuovo dogma mariano” dell'Assunzione, proclamato da Pio XII nel 1950 (p. 214).

Alcune pagine sono dedicate al libro “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” del 2007 che ha forgiato nell’immaginario collettivo il pensiero di Odifreddi, fermamente contrario alla storicità di Gesù Cristo. L’autore scriveva nella lettera citata che molti cattolici si erano schierati contro di lui ma Qualcuno comunque apprezzò il libro, che rimane tuttora il mio best seller. Per colmo dell’ironia, in quello stesso periodo anche lei aveva pubblicato il suo “Gesù di Nazaret”, e per molte settimane i nostri due libri si alternarono in vetta alla classifica dei saggi, in una sorta di anteprima a distanza del nostro successivo scambio ravvicinato.La conseguenza di questo libro era stata tra l’altro che il card. Ravasi mi aveva messo in una ristretta “lista nera” di atei da non invitare agli incontri del Cortile dei Gentili [...] per l'atteggiamento irridente verso la religione (p. 223).

La risposta del papa emerito arrivava molto tempo dopo, nel dicembre successivo: «La seconda circostanza per la quale devo ringraziarLa è la Sua autobiografia che ha accluso nella lettera. Si tratta di autentiche “Confessiones”, rispetto alle quali il pensiero va necessariamente all'autobiografia di Agostino. Mi ha commosso vedere come il Suo intero percorso esistenziale, il viaggio attraverso i continenti e i tempi sia sempre stato mosso dalla questione di Dio, anche se – perlomeno apparentemente – in senso opposto rispetto a quello del Santo nordafricano. Egli fu incessantemente alla ricerca di Dio, perché era convinto che solo all’ombra delle sue ali fossero possibili la libertà e una vita felice. Il cammino della Sua vita, al confronto, sembra invece andare da una divinità all’altra, per così dire, in modo da accantonare così Dio stesso come fantasma irreale, poiché evidentemente Lei era convinto che Dio sia per l’uomo un ostacolo alla libertà e alla vita buona. Leggendo il Suo testo, però, mi è sembrato di percepire che se questa fuga da un Dio spaventoso, da un lato, L'ha liberata da certe immagini di Dio, dall'altro, silenziosamente, la luce del Dio vero pian piano va penetrando nel Suo cammino (p. 231)».

Magistrale la capacità di Benedetto XVI di ribaltare la situazione, cercando nell’apparente totale negatività del discorso di Odifreddi il punto di contatto per mantenere aperto il dialogo. Mutatis mutandis, mi ricorda l’amicizia di san Giovanni Paolo II con il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, socialista ateo: meraviglioso fu l’invito del primo al secondo ad andare in montagna per trascorrere una giornata insieme.

 Sarebbe troppo lungo cercare di riassumere e citare le successive lettere tra Odifreddi e il papa emerito, anche quella in cui affronta in modo un po’ di parte la discussa vicenda di Ipazia e demitizza santa Ildegarda di Bingen, alla quale Benedetto XVI risponde elegantemente: «Posso dunque oggi esprimerLe unicamente il mio ringraziamento per essersi occupato approfonditamente della figura di Santa Ildegarda e per aver messo in luce l’unicità della sua personalità nell’Alto Medioevo» (p. 293).

 Parte della lettera del 18 ottobre 2020 merita di essere trascritta perché prende spunto dalla morte della mamma dell’autore: Spero che lei perdonerà questo mio sfogo filiale, tanto privato e personale da risultare quasi una “confessione”. Il 9 maggio 2014, in una delle sue prime lettere, lei mi aveva scritto che le interessava sapere “come un ateo vede la morte, e come si consola della perdita delle persone care”. Ma all’epoca le avevo mandato una risposta che oggi mi appare accademica, perché un conto è dissertare del problema in astratto, con il cervello, e un altro è affrontarlo in concreto, con il cuore (p. 302).

Queste parole mi hanno ricordato il travaglio di C.S. Lewis alla morte della moglie, raccontato nel suo capolavoro “Diario di un dolore”: dopo aver insegnato per anni l’accettazione cristiana del dolore si trova a subirlo violentemente e il suo castello intellettuale, sia pur fondato sulla fede, crolla, per poi risorgere in modo meno “razionale” e più basato sull’amore divino, tanto misterioso quanto profondo.

Se nella lettera di aprile 2015 aveva scritto: Intuivo dunque che l’atteggiamento corretto nei confronti della morte fosse di pensarci serenamente a volte, senza rimozioni né ossessioni, e l’ho trovato sviluppato in Epicuro e Lucrezio continuando con una sintesi stoica per accettare volontariamente l’inevitabile morte, e non desiderare l'impossibile vita eterna (p. 151), in quella del 2020 Odifreddi continuava: Davanti alla morte il non credente soffre più profondamente, perché non ha le speranze del credente [...]. Mi sono in quel momento venute in mente le tante sofferenze più grandi che avevano costellato la sua vita [della madre di Odifreddi]: il drammatico suicidio di suo padre, la freddezza irriconoscente di suo marito, le preoccupazioni causate dai figli e dai nipoti, le incessanti difficoltà della vita quotidiana. E mi consolavo dicendomi che almeno aveva finito di soffrire, anche se mi crucciavo perché mi era mancata un’estrema occasione per chiederle perdono delle sofferenze e delle lacrime che le avevo provocato io stesso, con la mia salute fragile da bambino, il mio carattere difficile da adolescente, e la mia disattenzione egoista da adulto (pp. 303-304).

Osservo che questi tre comportamenti non sono equivalenti: il bambino non è responsabile della sua salute, l’adolescente ha una scusante per la difficile fase di crescita, l’adulto invece ha tutta la responsabilità dei propri atti e omissioni e, giustamente, se ne pente.

Concludeva la lettera Odifreddi: Ed è con tenerezza e serenità che mi sono permesso di confidare queste mie sensazioni a lei, come a un padre spirituale coetaneo dei miei genitori materiali, e come a un fratello che ha di recente perso il suo, provando un dolore analogo al mio (p. 305).

Benedetto XVI, nonostante la propria situazione, non ometteva una rapida risposta, sia pure succinta: «La Sua lettera del 18 ottobre scorso circa la morte della Sua amata Madre mi ha profondamente toccato. Purtroppo il mio stato di salute non mi permette una risposta che entra nella profondità delle questioni, che toccano il cuore in questa situazione. La speranza di un miglioramento della mia situazione, che mi permetterebbe una lettera più adeguata, purtroppo non si realizza. Perciò mi limito a trasmetterLe l’assicurazione della mia partecipazione al Suo dolore e i migliori auguri per le feste imminenti e per l’Avvento. Dio La benedica!» (p. 306)

Replicava Odifreddi immediatamente, raccontando di altri lutti e del Covid nella sua famiglia, concludendo: Immagino che per un credente l’Avvento e il Natale siano un periodo ben più sereno e felice della Quaresima e della Pasqua, perché la gioia per la nascita del Bambino non è turbata, come la resurrezione dell’Uomo, dal dolore per la passione e la morte che la precedono. Le auguro dunque di vivere appieno la serenità, la felicità e la gioia di questo mese, e spero che nei suoi pensieri ci sarà un piccolo posto per mia moglie e per me. Sicuramente nei nostri c’è un grande posto per lei, e mia moglie si unisce a me nel ricordarla con affetto e amicizia (p. 307-308).

Ancora una volta l’autore si dimostrava non banale e scontato, ma profondamente coinvolto. E imparava da questo dialogo. Nella sua lettera del 3 settembre 2021 scriveva: Mi accorgo di averla a volte “sommersa” di parole, come lei stesso ha pazientemente osservato nella sua lettera del 24 giugno 2016, e solo lentamente ho imparato a essere meno irruente e verboso nelle mie argomentazioni. Mi sembra però che con il passare degli anni, gradualmente e naturalmente, le nostre lettere e i nostri incontri abbiano trovato un loro equilibrio, mentre cresceva la nostra conoscenza personale [...] Non so se lei sarà d’accordo nel considerare la nostra corrispondenza uno “strumento spirituale” (p. 313-314).

Gli rispondevail papa emerito alla proposta di pubblicare tutti gli incontri e le lettere in un nuovo libro: «Avendo visto la Sua lettera, mi sembrava doveroso leggere tutto, per poter dare in modo fondato il mio consenso alla Sua proposta [...] Vedendo la mia incapacità di trovare un tempo adeguato per la lettura, propongo che un amico sia invitato a leggere il “carteggio”. Ho pensato a Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi» (p. 315). E così il volume si conclude con la lettera di richiesta di Odifreddi al cardinale, che risponde positivamente.

Seguendo la moda del momento, ho chiesto a PizzaGPT una recensione sul libro fin qui riassunto sommariamente. Ecco la risposta dell’algoritmo: «In cammino alla ricerca della verità di Piergiorgio Odifreddi è un libro che invita alla riflessione e alla ricerca della verità. L'autore prende in esame vari temi, dalle origini dell'universo alla natura dell'uomo, passando per la morale e la religione. Ciò che colpisce di questo libro è la capacità di Odifreddi di porre domande profonde e di rispondere con argomentazioni convincenti. Non si limita a fornire un'opinione, ma fa appello alla ragione e alla scienza per cercare di rispondere alle grandi questioni dell'esistenza umana. Particolarmente interessante è l'analisi che Odifreddi fa della religione. L'autore non crede in Dio, ma non obietta contro coloro che lo credono. Al contrario, cerca di spiegare le ragioni che portano le persone a credere in un essere superiore e le implicazioni che questa fede ha sulla vita di ognuno. In cammino alla ricerca della verità è un libro che consiglio a tutti coloro che sono alla ricerca di risposte alle grandi domande dell'esistenza. Odifreddi offre un contributo prezioso alla riflessione e alla ricerca della verità».

Come mi è capitato più volte notare, l’intelligenza artificiale usata da OpenAI anche in questo caso dimostra buon senso. Concludo però con la citazione della quarta di copertina che riporta la lettera di John Nash a Piergiorgio Odifreddi, del 2014: “Non credo che tu possa prevalere nel dibattito con Benedetto XVI: sarebbe come se il famoso divulgatore della scienza atea Thomas Huxley vincesse contro il popolare san Nicola. Ma il confronto appare sicuramente colorito e stimolante”. Da barese qual sono e quindi grande devoto del santo taumaturgo, concordo pienamente con il premio Nobel per l’economia.

Michele Crudele
2023