Indice: Prefazione (Alberto Strumia); I. La religione come oggetto di studio filosofico; II. Le concezioni greca e romana della natura della religione (Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca); III. La relazione tra fede e ragione in Tommaso d’Aquino e nei riformatori (Tommaso, Lutero, Calvino); IV. Interpretazioni moderne della religione (Hume, Kant, Hegel, Kierkegaard); V. Interpretazioni moderne della religione (Mill, Marx, Dewey, Freud); VI. Religione e stato nelle democrazie occidentali (Jacques Maritain); VII. Religione e stato nella costituzione degli Stati Uniti (John Courtney Murray); VIII. Religioni orientali e manifestazioni culturali consimili (Buddhismo e Confucianesimo); IX. L’unità dell’esperienza religiosa.
«Questo libro è stato volutamente intitolato La logica della religione, perché non è necessaria un’analisi empirica particolarmente ampia per rilevare che esiste una qualche logica, una struttura caratteristica del fenomeno della religione, ovunque esso compaia. E questo è vero, in modo particolare, per le religioni occidentali, che sono l’oggetto di questo libro». È questa idea semplice a costituire il nucleo di The Logic of Religion, saggio dello studioso cattolico americano Jude P. Dougherty, già ordinario di Filosofia alla Catholic University of America a Washington – il cui titolo riprende esplicitamente quello di un altro breve saggio, della metà degli anni Sessanta del XX secolo, di Joseph Bochensky, – tradotto in italiano da Alberto Strumia e pubblicato da Cantagalli. L’A. individua la logica della religione in una serie di elementi comuni a qualsiasi fenomeno religioso, dei quali il primo ed imprescindibile è la credenza in una qualche forma di forza superiore, responsabile del corso naturale degli eventi e della vita umana. Da ciò deriveranno vari atteggiamenti di fronte al divino, e varie forme di culto, a seconda della cultura di riferimento e del livello intellettuale dei credenti. L’altra domanda che l’A. si pone immediatamente, dunque, riguarda l’origine del sentimento religioso: la religione è un semplice sentimento naturale o è un’attitudine culturale? È una questione istintiva, o nella formazione della credenza entrano in gioco elementi dell’educazione? E ancora, la fede è un fatto esclusivamente emotivo, o anche razionale? La tesi di Dougherty è che non sia possibile dare una risposta univoca a tali domande, ponendosi dal punto di vista della psicologia della religione, ma che sia invece necessario esaminare ogni forma di religiosità alla luce dei vari periodi storici in cui è andata definendosi, e degli autori che l’anno plasmata facendo del discorso sulla religione una parte integrante della propria visione del reale.
La logica della religione, quindi, non è un libro sulla storia del cristianesimo, tanto meno un testo di filosofia della religione. Si tratta, invece, di una piacevole panoramica sul punto di vista che di volta in volta i maggiori filosofi occidentali hanno espresso riguardo al fenomeno religioso. Del resto, l’A. è ben consapevole di quanto il discorso sulla religione sia una ricaduta della visione del mondo propria di ogni filosofo. Come afferma nel primo capitolo, «la storia della filosofia occidentale, in fondo, è una sorta di cronaca dei tentativi dell’uomo occidentale di aggrapparsi alla trascendenza, nell’intento di affermare o di negare la realtà dell’ordine materiale», e questi tentativi spesso comprendono una specifica scelta religiosa. Lo sviluppo di tale analisi si dipana dal mondo greco e romano fino al periodo illuminista, passando attraverso i nodi cruciali della nascita del cristianesimo e della successiva frattura protestante. Fra gli autori presi in considerazione troviamo, oltre naturalmente ai grandi del pensiero cristiano, come sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino, Platone, Seneca, i Padri della Chiesa, Lutero, Hume, Kant, Marx, Freud, ecc. Fino a giungere agli autori americani – come Dewey – che in epoca contemporanea si sono interrogati sulle relazioni tra stato e confessioni religiose, all’interno del complesso scenario degli Stati Uniti. Molto interessante anche l’intero capitolo dedicato a Jacques Maritain, che tutti conoscono in veste di rigoroso neo-tomista, il quale però si è anche occupato seriamente del rapporto tra religione e stato nelle democrazie occidentali.
La prospettiva storica, tuttavia, non esaurisce il contenuto del volume, divenendo anzi l’appiglio per una vasta gamma di riflessioni circa le implicazioni sociali della religione. Innanzitutto, la constatazione della progressiva de-cristianizzazione delle società occidentali, dove il fenomeno religioso è stato in questi ultimi decenni sempre più identificato con grandi eventi mediatici, oppure relegato nella sola ed unica sfera del privato. Una perdita di rilevanza della religione, all’interno della sfera pubblica e sociale, già preconizzata da autori come Durkheim e Dewey, eredi dei filosofi illuministi anglosassoni e francesi. D’altra parte, l’uscita di un libro come La logica della religione testimonia del rinnovato interesse per la religione, a seguito dell’ansia di spiritualità che da qualche anno sembra pervadere nuovamente l’occidente. Ansia che, tuttavia, spesso si rivolge ai vari movimenti new age, o alle vulgate delle filosofie orientali, non prendendo in considerazione, invece, il messaggio cristiano. In un simile contesto, allora, il volume di Dougherty diviene utile strumento per mettere in chiaro alcuni punti fondamentali del fenomeno religioso, spiegando innanzitutto cosa non sia una religione e - come scrive Alberto Strumia nella prefazione - «quali sono i criteri per riconoscere un’autentica religione da un fenomeno solo apparentemente religioso, o da una forma degenerata di religione (superstizione, magia, satanismo)».
Naturalmente, l’A. non pretende di aver individuato un criterio unico ed indiscutibile per definire, invece, cosa sia una religione, ma sostiene tuttavia che dovrebbe essere sempre possibile averne una prospettiva filosofica, cioè un punto di vista non legato a qualche specifico credo o confessione. E questo significa che uno studio serio sulla natura del fenomeno religioso non dovrebbe interessarsi tanto al problema dell’esistenza di Dio, quanto alle manifestazioni umane della fede in Dio, perché «la religione è una ricerca umana, anche se il suo oggetto è Dio». Vi è quindi un presupposto, questa volta unico e imprescindibile, che Dougherty pone come condizione iniziale dell’indagine sulla religione: la convinzione che l’atto di fede sia un atto razionale. Infatti, se si pensa che credere, anche di fronte all’impossibilità di una prova empirica dell’esistenza di Dio, sia una dimostrazione di scarsa intelligenza, non si potrà poi costruire nessuna analisi della religione, perché quest’ultima si ridurrà ad un prodotto della superstizione o, peggio, della follia. In fondo, è proprio in virtù della razionalità del credere che i maggiori filosofi della storia hanno sempre riservato un posto per il fenomeno religioso all’interno dei propri sistemi di pensiero. Le profonde connessioni tra i prodotti della religiosità occidentale – luoghi di culto, simboli, riti, festività, opere d’arte sacra, ecc. – e la storia e la cultura dell’Europa, del resto, sono un’altra testimonianza della complessità e della profondità con cui si esplicita l’originaria tensione umana verso la trascendenza. Se è vero, infatti, che «uno come Auguste Comte fu un grande ammiratore delle tradizioni rituali cristiane; George de Santayana amava meditare stando seduto nella basilica di san Giovanni in Laterano, la chiesa del Papa, tra i titani barocchi che ne abbelliscono le colonne; Leonard Bernstein, il compositore ebreo, ha scritto una messa cattolica», allora, sostiene l’A., bisogna pensare alla religione anche come ad un fenomeno culturale, nonostante oggi si tenda a rimuovere la cultura religiosa dalla sfera sociale. Quest’ultima tematica, sentita in modo particolare negli Stati Uniti, e per questa cara all’A., è sviluppata diffusamente nel penultimo capitolo, che risulta molto interessante anche per il lettore italiano che voglia comprendere un po’ meglio l’intricato scenario socio-politico d’oltreoceano, all’interno del quale il problema dei rapporti tra confessioni religiose, sia cristiane che islamiche, e istituzioni pubbliche gioca un ruolo fondamentale, oggi come ieri, nella definizione di un’idea comune di democrazia.