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La potenza del Creatore e la spiegazione dell'immortalità futura

Quinto Settimio Fiorente Tertulliano
197
Apologeticum, XLVIII, 1-12

Ingaggiando un dialogo con il sapere critico del suo tempo, e formulando domande che ben si avvicinano al contemporaneo sentire, Tertulliano mostra la coerenza logica della fede cristiana nella resurrezione e nell’immortalità, illustrandone la non contraddittorietà rispetto alle conoscenze umane sulla vita e sulla morte: “qualunque sia la materia che ti avrà distrutto, assorbito, annientato, quella stessa materia ti restituirà alla vita. Anche il nulla appartiene a Colui cui soggiace il tutto”.

1. Supponiamo che un filosofo si sforzi di sostenere, come Laberio afferma sostenesse Pitagora, che dopo la morte un mulo si reincarni in un uomo e una donna in un serpente e ricorra a tutti gli argomenti suggeritigli dalla sua abilità dialettica per confermare quella opinione. Non riscuoterà forse il vostro consenso e non vi indurrà a credere che ci si deve astenere dalla carne di animali, nel timore che si compri del bue in cui riviva qualche suo antenato? Ma se un cristiano venisse mai ad annunciare che un essere umano tornerà a vivere come un essere umano, ecco che allora si cercherà una vescica piena d'aria e, più che con schiamazzi, il popolo lo caccerà a sassate.

2. Come se quella ragione che vi induce a credere nella migrazione delle anime in corpi diversi, non esigesse molto più che tali anime tornino a vivere nei medesimi corpi, dal momento che tornare non è altro che essere di nuovo ciò che un tempo si fu! Infatti, se esse non sono ciò che furono, e perciò rivestite di un corpo umano, anzi del loro medesimo corpo, non saranno più quelle stesse di prima. E come si potrà parlare di ritorno, se non saranno di nuovo ciò che prima furono? O sono divenute altre e non sono più le stesse, oppure sono sempre le stesse e non potranno venire se non dal loro medesimo corpo.

3. Se volessimo divertirci a passare in rassegna tutte le bestie nelle quali si è creduto di poter tornare a reincarnarsi, si potrebbe farne ricerca in numerosissimi passi di autori. Ma noi ci preoccupiamo soprattutto di difendere la nostra tesi, e sosteniamo perciò che è molto più ragionevole credere che un uomo tornerà ad essere uomo, ogni uomo per ogni uomo e non altro che quell'uomo, così che l'anima conservi intatta la sua struttura e sia restituita, se non alla medesima figura, per lo meno alla stessa sua condizione. 4. Del resto, se motivo della resurrezione è il giudizio delle anime fissato da Dio, è necessario che l'uomo rinasca non diverso da quello stesso che fu, perché sia giudicato da Dio secondo i suoi meriti o secondo le sue colpe. Non per altro motivo dunque anche i corpi saranno restituiti, giacché l'anima da sola, senza la materia corporea che la riveste, è insensibile alla gioia e al dolore, ed inoltre perché il premio o il castigo, che essa riceverà in virtù del giudizio di Dio, non fu da essa meritato senza il concorso di quella carne che la rivestiva quando in vita operava.

5. Chiederete come mai possa ricomporsi, una volta disgregatasi, la materia corporea. Considera te stesso, o uomo, e in te stesso troverai la prova della resurrezione. Pensa quello che fosti, prima di essere. Fosti il nulla: altrimenti, te ne ricorderesti. Tu, dunque, che eri nulla prima di esistere, e che nulla sarai quando avrai cessato di esistere perché non potresti di nuovo risorgere dal nulla, per opera di Colui che dal nulla ti trasse? 6. Sarà per te cosa nuova? Tu non eri, e sei stato fatto: non sarai più e sarai rifatto. Spiegami, se puoi, come sei stato creato, e domandami allora come sarai nuovamente creato. E tuttavia sarà per te molto più facile tornare ad essere ciò che eri un tempo, dal momento che non fu difficile essere ciò che non eri mai stato.

7. Si dovrà forse dubitare della potenza di Dio, che dal nulla, non altrimenti che dal vuoto desolato della morte trasse questa mole immensa dell'universo, tutte le cose animando del suo soffio generatore e imprimendovi il simbolo e la testimonianza stessa dell'umana resurrezione? 8. Ogni giorno la luce si spegne e di nuovo risplende, e con uguale vicenda le tenebre si diradano e tornano ad avvolgere la terra; come le stagioni, gli astri declinano e con immutabile ritmo riprendono il loro corso; i frutti marciscono e rinascono, né le sementi spuntano più rigogliose e feconde, se prima la morte non le ha decomposte e corrotte: ogni cosa si conserva morendo, e tutto rinasce dalla sua distruzione. 9. E tu, che sei uomo e al di sopra di tutti gli esseri creati, se potessi conoscere te stesso anche apprendendolo dalla iscrizione pitica, tu solo, signore di tutto ciò che perisce per risorgere, morirai dunque per dissolverti nel nulla? No, tu risorgerai: qualunque sia la materia che ti avrà distrutto, inghiottito, assorbito, annientato, quella stessa materia ti restituirà alla vita. Anche il nulla appartiene a Colui cui soggiace il tutto.

10. Sempre dunque, direte voi, si dovrà morire e sempre rinascere? Se così avesse stabilito il signore di tutte le cose, anche tu, pur a malincuore, saresti soggetto alla legge della tua creazione: ma ciò che Egli ha decretato concorda con quanto aveva predetto. 11. Quella stessa sapienza divina, che dalla diversità delle cose creò l'armonia dell'universo, sì che elementi contrari si componessero in unità, vuoto e pieno, animato e inanimato, sensibile e insensibile, luce e tenebra, vita e morte, il tempo stesso ha ripartito in due distinti periodi: l'uno, quello che noi viviamo dall'origine dell'universo, scorrerà fino al suo epilogo, ed ha una durata limitata; l'altro, quello che noi attendiamo, si prolungherà senza fine per tutta l'eternità. 12. Quando dunque sopraggiungano questo epilogo e questo termine, che si frappongono tra le due età, ed anche il mondo trasformi il suo aspetto, anch'esso temporaneo da Dio prestabilita, allora tutto il genere umano risorgerà per rendere conto del bene e del male operato in questa vita, e da allora sarà premiato o punito per l'infinita durata dell'eternità.

da Apologeticum, XLVIII, 1-12, tr. it. a cura di A. Resta Barrile, Mondadori, Milano 1994, pp. 167-171.