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La teologia come scienza

Tommaso d´Aquino
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Commento al De Trinitate di Severino Boezio, questione 2, articolo 2

Alcuni anni prima della redazione della Quaestio di apertura della Summa theologia ove s. Tommaso si domanda se la teologia fosse una scienza (utrum theologia sit scientia, cfr. q. 1, a. 2), l’Aquinate vi aveva dedicato un omonimo articolo nel commento al De Trinitate di Boezio. Spetta a s. Tommaso il merito di aver per primo sostenuto la possibilità di attribuire alla teologia uno statuto “scientifico”, diversamente da altri autori medievali che vedevano la teologia come un’arte, oppure una scienza da intendersi in senso generale, incapace di giungere a conclusioni significative su oggetti particolari (Robert Kilwardby), o ne segnalavano il carattere di conoscenza affettiva (Bernardo di Chiaravalle), e per questo riguardante più la volontà nel suo tendere al bene, che non l’intelletto nel suo tendere alla verità (Alessandro di Hales, Bonaventura). Per s. Tommaso, la teologia è una scienza speculativa che, muovendo dalla parola di Dio rivelata, giunge a conclusioni nuove ed originali.

Articolo Secondo: La teologia come scienza

Per rispondere alla seconda domanda si procede come segue.

Sembra non possa esservi scienza delle realtà divine che si conoscono per fede. Infatti:

1. La sapienza si distingue dalla scienza. Ora, è la sapienza che tratta le cose divine [Agostino, De Trinitate , XII, 15,25]. Dunque, non se ne occupa la scienza.

2. Secondo il primo libro degli Analitici secondi [I, 1, 71a12] ogni scienza presuppone la conoscenza dell'essenza del suo oggetto. Ora, non possiamo assolutamente conoscere l'essenza di Dio, come dice il Damasceno [ De fide , I, 4]. Dunque non può esservi scienza su Dio.

3. Spetta a ogni scienza considerare sistematicamente le parti e le determinazioni del suo oggetto [Aristotele, Analitici Posteriori , I, 2, 71a13]. Ma Dio, essendo semplice forma, non ha parti in cui possa essere analizzato né può essere soggetto di determinazioni o accidenti. Dunque non può esservi scienza su Dio.

4. In ogni scienza la ragione precede l'assenso perché nelle scienze la dimostrazione causa l'assenso agli oggetti di conoscenza. Ma negli oggetti di fede si verifica l'esatto contrario, e cioè che l'assenso di fede deve precedere la ragione, come sopra si è detto. E dunque non può esservi scienza delle realtà divine, in particolare di quelle che si accettano per fede.

5. Ogni scienza procede da principi di per sé evidenti che chiunque accetta appena li ascolta, o da principi che traggono credibilità da quelle evidenti. Ma gli articoli di fede, che sono i primi principi nella fede, non sono di questo genere poiché non sono evidenti e nemmeno possono venir risolti in maniera dimostrativa nei principi evidenti, come s'è detto. Per questo non può esserci scienza delle verità divine che si sanno per fede.

6. La fede concerne realtà non evidenti [cfr. Eb , 11,1]; la scienza invece quelle evidenti perché per mezzo di essa diventano evidenti le realtà di cui tratta. Per questo non può esserci scienza delle verità divine che si sanno per fede.

7. Principio di qualsiasi scienza è l'intelligenza perché dalla percezione intellettuale dei principi si arriva alla conoscenza scientifica delle conclusioni. Ma nel campo della fede, l'intelligenza non è principio ma fine, come dice Isaia 7, 9: “Se non crederete non comprenderete”. Dunque non può aversi scienza delle realtà divine che si credono.

Argomenti in contrario:

1. Dice Agostino nel dodicesimo libro Sulla Trinità : “Attribuisco a questa scienza solo ciò che genera, difende e corrobora la fede che conduce alla vera felicità” [ De Trinitate , XIV, 1,3]. Pertanto si ha scienza delle verità di fede.

2. Nel medesimo senso orienta Sapienza 10, 10: “Gli diede la scienza delle cose sante”. Questo non può intendersi se non di ciò che distingue i santi dagli empi, ossia la scienza della fede.

3. Parlando della conoscenza dei fedeli l'Apostolo afferma in 1 Corinti 8, 7 che “non tutti hanno questa scienza”. Segue la stessa conclusione di prima.

Risposta:

La natura propria della scienza consiste nel fatto che in forza di verità già note si giunga necessariamente a conoscerne altre meno note. Poiché appunto questo si verifica anche nelle verità divine, ne risulta che delle verità divine si può fare scienza. Ma la conoscenza delle verità divine si può considerare secondo due prospettive. Rispetto a noi le cose divine si conoscono solo attraverso le cose create che conosciamo con i sensi. Rispetto alla natura degli oggetti conoscibili, invece, le cose divine sono in se stesse in sommo grado conoscibili. Benché noi non le conosciamo come sono in se stesse, Dio e i beati le conoscono secondo il loro modo.

Ne segue che delle cose divine si ha una duplice scienza. Una asseconda il nostro specifico modo di conoscere che prende inizio dalle cose sensibili per rendere note le cose divine. In questo modo i filosofi trasmisero una scienza delle cose divine, chiamando “scienza teologica” la filosofia prima [Aristotele , Metafisica, VI, 1, 1, 1026a19]. L'altra asseconda la natura propria delle realtà divine in modo che vengano comprese in se stesse. Quest'ultima scienza, nella sua perfezione, ci è preclusa nella nostra condizione di viatori; ne possiamo avere una qualche partecipazione e una assimilazione alla scienza divina in quanto, per mezzo della fede in noi infusa, aderiamo alla Verità Prima in se stessa.

Ora Dio, per il fatto stesso che si conosce, conosce le altre realtà secondo la sua natura, ossia per semplice intuizione e non discorsivamente; allo stesso modo noi, da quelle realtà che nella fede riceviamo, arriviamo a conoscerne altre secondo la nostra natura, passando dai principi alle conclusioni. Così, le stesse verità che accettiamo per fede fungono per noi da primi principi nella scienza teologica e il resto svolge il ruolo di conclusioni. Resta così dimostrato che questa scienza teologica è più nobile della teologia naturale insegnata dai filosofi poiché procede da più alti principi.

Replica agli argomenti:

1. La sapienza si distingue dalla scienza non per contrapposizione come fossero cose tra loro contrapposte ma perché la sapienza aggiunge una nota superiore alla scienza. La sapienza, come dice il Filosofo nel sesto libro dell' Etica [VI, 7, 1141a18-20], è capo di tutte le scienze in quanto, occupandosi dei principi più alti, dirige tutte le altre scienze. Per questo motivo, all'inizio dellaMetafisica [I, 2, 983a6], la sapienza viene anche detta “scienza divina”. Questo è ancora più vero della scienza che non solo tratta delle cause supreme ma proviene da esse. Ma al sapiente spetta dirigere e dunque questa altissima scienza, che tutte le altre regola dirige, si chiama sapienza, proprio come nelle arti “meccaniche” chiamiamo sapienti quelli che dirigono l'attività degli altri, ad esempio gli architetti. Il nome di scienza si lascia alle discipline meno nobili. In tal senso la scienza si contrappone alla sapienza come una proprietà alla definizione.

2. Come sopra si è detto, quando le cause si conoscono attraverso gli effetti, la conoscenza dell'effetto prende il posto della conoscenza dell'essenza della causa, ch'è di solito richiesta nelle scienze che trattano realtà conoscibili per se stesse. In questo senso per avere una scienza di Dio non occorre sapere prima ciò che egli è (la sua essenza).

Si può anche replicare che nella scienza divina la conoscenza negativa di Dio supplisce la conoscenza della sua essenza. Infatti le cose si distinguono una dall'altra in base a ciò che esse sono, e dunque anche si conoscono in base a ciò che non sono.

3. Con “parti del soggetto” in una scienza si intende non solo le parti integranti o soggettive, ma anche quelle cose la cui conoscenza è prerequisita per la conoscenza del soggetto poiché queste parti si trattano nella scienza soltanto in relazione al suo soggetto. Con “attributi” si intende tutto quello che si può dimostrare di una cosa , ossia negazioni o relazioni con altre cose. Molti attributi di questo genere si possono provare di Dio, tanto a partire da principi naturalmente noti quanto a partire da principi di fede.

4. In ogni scienza ci sono verità che fungono da principi e altre che fungono da conclusioni. L'argomentazione che si adduce nelle scienze (speculative) precede l'assenso delle conclusioni, ma segue l'assenso dei principi in quanto procede da essi. Ora nella scienza divina gli articoli di fede si comportano come principi e non come conclusioni. I principi vanno anche difesi contro chi li impugna, così come nel quarto libro della Metafisica [IV, 4-6, 1005b35-1011b22], il Filosofo confuta chi nega i principi. Inoltre gli articoli di fede si chiariscono in base a talune analogie, proprio come i principi conosciuti naturalmente per induzione che non si possono provare con argomentazioni dimostrative.

5. Anche le scienze, che insegnano a livello puramente umano, usano principi che non sono noti a tutti ma che devono essere presupposti perché dipendono da scienze superiori. Nelle scienze subalternate, ad esempio, si presuppongono e si credono principi provenienti da superiori scienze subalternanti e questi principi sono evidenti soltanto nelle scienze superiori. Gli articoli di fede, che sono principi della scienza teologica, intrattengono analogo rapporto con la conoscenza divina: le cose, che sono per sé note nella scienza che Dio ha di se stesso, vengono presupposte nella nostra scienza (teologica) e si crede a Chi le rivela per mezzo dei suoi messaggeri, come il medico crede al fisico quando questi assicura che gli elementi sono quattro.

6. L'evidenza di una scienza risulta dall'evidenza dei principi. Una scienza infatti mostra l'evidenza non dei principi ma delle conclusioni in forza dell'evidenza dei principi. In questo senso la scienza di cui ora parliamo non rende evidenti le verità di fede, ma da esse rende evidenti altre cose in modo si abbia la certezza che deriva dalle prime.

7. L'intelligenza è sempre primo principio di ogni scienza ma non sempre principio prossimo, anzi talora è la fede il principio prossimo della scienza, come risulta evidente nel caso delle scienze subalternate. Le loro conclusioni infatti procedono, come da principio prossimo, dalla fede in ciò che è presupposto evidente in base alla scienza superiore; invece come da primo principio, procedono dalla intelligenza di colui che possiede la scienza superiore, il quale ha certezza di conoscenza sulle verità che sono credute nella subalterna. Analogamente il principio prossimo di questa scienza è la fede, ma il primo principio è l'intelligenza divina nella quale crediamo. Scopo della fede è poi di giungere a comprendere ciò che crediamo. È come chi possiede una scienza inferiore e apprende la scienza di chi ne ha una superiore: allora finalmente conosce e sa ciò che prima soltanto credeva.

     

Forza e debolezza del pensiero. Commento al De Trinitate di Boezio, tr. it. di Guido Mazzotta, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996, pp. 49-54.