Maritain biologo e la Filosofia della natura

María Ángeles Vitoria

Jacques Maritain (1882-1973), è stato uno dei più importanti filosofi tomisti del XX secolo e, senza dubbio, quello che ha contribuito di più, insieme a Gilson, a far conoscere il pensiero dell’Aquinate in epoca contemporanea. Provenendo originariamente da posizioni ben lontane dalle filosofie delmedioevo, l’adesione alla filosofia di Tommaso d’Aquino è stata per lui qualcosa di profondamente meditato. Quello che Maritain ha visto nel pensiero di Tommaso non è stato tanto un contenuto quanto un atteggiamento rigoroso, che ha alla base una forte fiducia nella capacità della ragione di cogliere l’essere, adattandosi con grande duttilità a tutte le esigenze del reale. Da questa apertura alla realtà a tutto tondo e, quindi, alla verità, prende avvio la notevole capacità di dialogo della filosofia maritainiana.

Pensatore convinto della virtus del pensiero dell’Aquinate, Maritain cercò d’illuminare con i principi del tomismo tutti gli ambiti della cultura e della vita umana. La vastità della sua opera, raccolta in diciassette volumi, ognuno di 1200 pagine circa[1], non comunica immediatamente quanto la filosofia della natura occupi in essa un posto rilevante. Tuttavia, il progetto di Maritain nell’ambito speculativo, così come emerge in una sua opera fondamentale, I gradi del sapere(1932), era quello di formulare una cornice filosofica che non trascurasse nessuna espressione della conoscenza umana. All’interno di questo progetto, la definizione dello statuto epistemologico della scienza moderna e quello della filosofia della natura, occupano un luogo singolare.

L’interesse di Maritain per la razionalità scientifica, peraltro, era presente già nei suoi primi scritti (La scienza moderna e la ragionee Il neovitalismo in Germania e il darwinismo, pubblicati entrambi nel 1910). Nel primo articolo - La scienza moderna e laragione - si avverte l’influsso della critica di Bergson alla scienza moderna, sebbene Maritain offra nuove sfumature rivolte a distinguere in modo più chiaro e radicale la scienza dallo scientismo. Nell’articolo dedicato al neovitalismo e al darwinismo, confronta queste due scuole della biologia presentando il meccanicismo come prospettiva filosofica sottointesa in certe interpretazioni del darwinismo, mentre trova in alcune direzioni del neovitalismo indicazioni positive per la rinascita della filosofia della natura. In particolare dà rilievo ai lavori di Driesch, emarginati dalla scienza ufficiale, che dimostrano l’impossibilità d’identificare l’essere vivente con una macchina, o di ridurlo a semplici processi di natura fisico-chimica. La conclusione del biologo tedesco è che nei viventi deve esistere un principio immanente di determinazione specifica, non riducibile ad un fattore spaziale, che si potrebbe omologare con la causa formale aristotelica. Questo passaggio - come sottolinea Maritain - richiederebbe un discernimento metafisico, che non è alla portata della scienza.

Ancora nel 1910, Maritain aveva scritto una recensione al libro di Felix Le Dantec, La crisi del trasformismo[2], soffermandosi su alcuni degli errori del darwinismo materialista, tra essi, la pretesa di spiegare l’armonia e la finalità del mondo vivente come risultato del caso. Anni dopo, nel 1921, scrisse l’introduzione all’opera più importante di Driesch, La filosofia dell’organismo[3], dando risalto ai suoi studi e diffondendo la sua conoscenza in Francia.

Senza sottovalutare altri contributi, certamente I gradi del sapere(1932) e Filosofia della natura(1935) sono le due opere più importanti nelle quali Maritain sistematizza la distinzione e l’unità tra tutti gli ordini del sapere, precisando in modo particolare lo statuto epistemologico delle scienze e della filosofia della natura. In particolare, il secondo di questi saggi era concepito come una introduzione di carattere epistemologico, al quale doveva seguire un vero e proprio trattato di filosofia della natura che però non vide mai la luce per l’esigenza di doversi dedicare ad altri argomenti. Questa aspirazione rimase, come lui stesso ricordava un rêve évanoui de ma jeunesse . Su come Maritain pensasse di sviluppare questo trattato abbiamo a disposizione soltanto alcune indicazioni nelle note per un programma di questa materia che egli aveva elaborato per le Facoltà ecclesiastiche di Filosofia nel 1934[4]. In esse sottolinea come aspetto più importante, l’insegnamento dei temi scientifici insieme allo studio dello sviluppo storico di questa conoscenza fatta da un punto di vista filosofico. Qui va sottolineando lo sguardo positivo verso il contenuto propriamente conoscitivo della scienza, nonostante Maritain fosse al corrente della risposta convenzionalista data inizialmente nell’ambito epistemologico francese alle novità suscitate dalla meccanica quantistica e dalla teoria della relatività.

Altro aspetto meritevole di questo programma è l’abbondante spazio dedicato ai viventi, in modo particolare agli esseri umani, esseri naturali per eccellenza. Si tratta di una novità significativa, giacché dal XVIII secolo in poi, e senz’altro all’epoca di Maritain, la stragrande maggioranza dei manuali di filosofia della natura si limitavano allo studio della natura fisica inanimata, rimandando lo studio dei viventi alla psicologia e all’antropologia. Anche per questo, Maritain si colloca sulla scia del percorso che condurrà ad un rinnovamento della filosofia della natura dopo quasi tre secoli di assenza. Il ritorno della centralità dei viventi consentì, infatti, di mettere in primo piano concetti quali forma e fine, che erano stati accantonati dalla filosofia meccanicistica e godevano di scarsa visibilità nell’approccio analitico del metodo scientifico.

A partire da questo momento, l’urgenza dei drammi del mondo richiese da Maritain di dedicarsi ad altre tematiche e attività. Comunemente si pensa che dalla fine degli anni 30, il suo interesse per la filosofia della natura fosse praticamente scomparso. In realtà, esso è stato presente anche negli anni successivi, fino alla sua morte, sebbene con contributi più brevi e sporadici. Vanno segnalati, tra altri, l’articolo Scienza, filosofia e fede, e la prefazione al libro di Mortimer Adler (Problems for the Thomists: Problems of the Species), entrambi pubblicati nel 1940. Senza pretesa di esaustività, pregevoli contributi scritti negli anni successivi sono: Scienza e sapienza(1942), Ragione e ragioni(1948), La science, le matérialism et l’esprit humain(1949). Questo ultimo scritto, che raramente viene citato nelle monografie dedicate al pensiero maritainiano su filosofia e scienze, contiene sfumature significative riguardo la distinzione - non separazione - tra questi due ambiti del sapere, di cui si sottolinea con forza la complementarietà. Qui la scienza viene presentata sotto un’ottica eminentemente positiva, e chiaramente distinta dallo scientismo: la scienza è una strada che guida verso la conoscenza della verità in un certo ambito, senza ostacolare il lavoro conoscitivo in altre aree, né tantomeno la scienza è fonte di materialismo, che è piuttosto il risultato di un cattivo uso della libertà.

Nell’edizione del 1956 di Quattro saggi sullo spirito umano nella sua condizione carnale(1939), Maritain riprende il tentativo di conciliare l’evoluzione biologica con il concetto di forma sostanziale. Suggerisce la possibilità di considerare gli organismi che appartengono a quello che la classificazione scientifica denomina famiglie, ordini, ecc., come appartenenti ad una stessa specie ontologica. Questa indicazione punta verso una considerazione più estesa e dinamica della forma sostanziale, stimandola quasi come un impulso ontologico che si realizzerebbe in diversi tipi all’interno dello stesso phylumo della specie ontologica in questione. Lo stesso Maritain riconobbe che si tratta di un’affermazione di carattere generale e, infatti, un concetto così ampio di specie -praticamente identificata con quello di phylum - fu oggetto di alcune critiche.

Nel suo ultimo periodo, dopo la morte di Raïssa (1960), Maritain si ritirò presso il convento de Les Petits Frères de Jésus(Tolosa). La riflessione di Maritain s’indirizza ora soprattutto verso tematiche prevalentemente teologiche ed ecclesiali. Egli riprese, comunque, il problema del rapporto tra scienza e filosofia in alcuni articoli. Forse il più significativo è Dieu et la science(1962)[5], nel quale si esprime di nuovo molto positivamente sulla scienza moderna, e non soltanto nell’ordine delle applicazioni pratiche, ma anche nella dimensione più profonda e propriamente conoscitiva. In questo articolo troviamo inoltre una trattazione chiara e vivace della necessità dei presupposti ontologici e gnoseologici del realismo filosofico per l’esistenza e significatività della conoscenza scientifica.

Nel 1973, anno della sua scomparsa, scrisse la prefazione al libro di M.J. Nicholas (Evolution et christianisme. De Theilhard de Chardin a Saint Thomas d’Aquin) dove indica nuovamente due tipi di evoluzione: quello che è oggetto di ricerca scientifica, e che dopo un accurato esame critico si potrà integrare con la filosofia tomista, e l’evoluzionismo assoluto che viene considerato da lui una pseudoscienza.Inoltre, questioni di epistemologia e di filosofia della natura sono trattate in alcuni seminari tenuti presso il convento de Les Petits Frères de Jésus, e inclusi nel 1973 in una sua opera postuma[6].

Dopo questa breve presentazione degli scritti di Maritain che trattano della scienza, del suo rapporto con la filosofia e della filosofia della natura, è il momento d’indicare brevemente, quale sia stato il suo contributo innovativo a questi studi. Essendo quasi certamente il filosofo tomista che con maggior profondità ha colto la novità epistemologica della scienza moderna, Maritain avvertì fortemente le conseguenze della mancanza di una filosofia della natura capace di avviare con le scienze un dialogo costruttivo. Egli, infatti, fu pienamente consapevole che in assenza di essa, non poteva esistere una metafisica come conoscenza speculativa dell’essere in quanto essere.  

Distinguere per poi unire è il noto il leit motivdell’epistemologia maritainiana. All’inizio del suo lavoro, egli si era prefissato di stabilire lo statuto della scienza, staccandola dalle aderenze pseudo-filosofiche con cui si presentava. In seguito, mostrò la possibilità di una filosofia della natura, determinandone a sua volta lo statuto epistemologico, chiaramente distinto da quello della scienza e della metafisica. Finalmente, si propose di elaborare una filosofia della natura, compito che purtroppo non riuscì a concludere.

Operando una breve sintesi, possiamo dire che la proposta maritainiana ha soprattutto un valore propedeutico. Offre una prima segnalazione dei livelli sui quali si muove ogni sapere che, sebbene tracci un percorso ampio, segna già una certa distinzione che è necessario rispettare. Maritain supera, il problema di fondo delle diverse posizioni sul rapporto tra filosofia e scienze, che vanno dall’estremo di una unificazione totale, all’estremo contrario di una totale separazione. Il suo libro I gradi del saperesintetizza bene i limiti dentro cui si muove la sua posizione: «si debbono evitare ugualmente, sia un separatismo pigro, sia un concordismo condiscendente»[7].

Può essere opportuno anche un breve chiarimento su quale sia stata la posizione di Maritain riguardo la dimensione veritativa della scienza. Tra gli studiosi del suo pensiero troviamo, infatti, opinioni diverse e, in particolare all’interno del tomismo, il filosofo francese viene spesso citato tra gli autori che sostengono un minore realismo scientifico

Il minore realismo che attribuisce ai saperi empiriologici (e, soprattutto alle scienzeempirio-metriche)è conseguenza della netta distinzione che ha stabilito, in ambito metodologico, tra analisi ontologica e analisi empriologica. Fu l’esigenza di far fronte allo scientismo dominante che lo indusse ad evidenziare l’aspetto metodologico e a sottolineare i limiti della scienza, cercando di mostrare - tra l’altro - che la scienza moderna non è, né potrà mai essere, una filosofia della natura.

«Se opponiamo la spiegazione o l’analisi empiriologicaall’analisi ontologica, non è perché l’analisi emipiriologica prescinda dall’essere, poiché questo è impossibile per l’intelligenza e significherebbe cadere nel nominalismo; non si oppongono nemmeno nel senso che l’analisi empiriologicanon abbia valore di realtà (si coglie sempre qualcosa di reale), bensì poiché l’analisi empiriologica, avendo pur sempre un riferimento all’essere, non ha come oggetto proprio estrarre il valore intelligibile di esso»[8].

In alcuni passi delle sue opere lo vediamo quasi combattere tra una scienza che esprime qualcosa della realtà e che, proprio per questo, ha una funzione determinante nel processo di rivitalizzazione della filosofia della natura e della metafisica, e una scienza della quale vede necessario mostrare i limiti nella sua capacità di cogliere la realtà, per allontanare il pericolo di una nuova confusione con la filosofia della natura.

Per cogliere il realismo scientifico sostenuto da Maritain occorre esaminare il modo con il quale egli stesso ha affiancato alla prospettiva metodologica, che è astratta, una considerazione della scienza di carattere personale, soggettivo. Se, a livello metodologico, la separazione tra scienza e filosofia è netta, l’esercizio stesso dell’attività scientifica è sostenuto, invece, da un realismo filosofico basilare senza il quale l’attività scientifica non avrebbe nemmeno senso. La filosofia ha, quindi, un carattere fondativo rispetto al sapere scientifico[9].

Maritain ha fatto anche attenzione ad un altro livello d’incontro della scienza con la filosofia. Lo scienziato, infatti, di fronte ai risultati della scienza e all’immagine del mondo che essa offre, si fa delle domande, ad esempio, su l’origine dell’ordine della natura che la scienza progressivamente riesce a formulare, o su l’origine assoluta dell’universo. Le risorse concettuali e sperimentali della metodologia scientifica non hanno la capacità di formulare domande di questo tipo, e tantomeno di dare una risposta. Sono questioni che lo scienziato si pone a proposito dei risultati del suo lavoro, ma che richiedono una risposta che è filosofica. In questo modo, la frontiera metodologica della scienza sembra costituire più che un limite, uno slancio verso sfere più alte (o più profonde) della speculazione.

Nel rispetto del legittimo sfasamento metodologico tra scienza e filosofia, sul piano personale è stato costante il suo chiedere al filosofo (e al teologo) di interessarsi alle scienze, e allo scienziato di aprirsi alla filosofia (e alla teologia). «Un filosofo non può fare il suo lavoro se non è autenticamente istruito nelle scienze, e uno scienziato non può avere idea del senso e della portata del proprio lavoro se non è autenticamente istruito nella filosofia»[10]. Soltanto così - pensava Maritain- si potrà riconciliare la scienza con la saggezza[11].

María Ángeles Vitoria

 

Bibliografia

Jacqueset Raïssa Maritain, Oeuvres Complètes, Saint Paul (Paris) – Éditions Universitaires (Fribourg-Suisse) 1982-2007.

 


[1] Jacques et Raïssa Maritain, Oeuvres Complètes, Saint Paul (Paris) – Éditions Universitaires (Fribourg-Suisse) 1982-2007.

[2] ŒC I, pp. 1082-1085.

[3] ŒC II, pp. 1253-1260.

[4] Notes pour un programme d'enseignement de la philosophie de la nature et d'enseignement des sciences dans une Faculté de Philosophie:  ŒC VI, pp. 1045-1059.

[5] ŒC II, pp. 1179-1203.

[6] Approches sans entraves (ŒC XIII, pp. 413-1223): Vers une idée thomiste de l’evolution(ŒC XIII, pp. 573-648); A propos de l’instinct animal (ŒC XIII, pp. 649-675); Une disgression sur la microphysique(ŒC XIII, pp. 675-678).

[7] ŒC IV, p. 377.

[8] ŒC V, p. 896.

[9] ŒC III, p. 424 ; ŒC IV, p. 358; ŒC V, p. 883; ŒC XII, pp.1198-1199.

[10] ŒC IX, p. 967.

[11] ŒC VII, p. 1031.

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