Edizione originale: Cristopher Dawson, Religion and the Rise of Western Culture, Sheed & Ward, London 1950.
Alcuni testi, nonostante il passare degli anni, rimangono dei classici. Il volume di Cristopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della città occidentale, sebbene pubblicato per la prima volta più di settant’anni fa quale resoconto delle lezioni dell’autore tenute aEdumburgo negli anni precedenti, è senza dubbio tra questi. Ciò non solo per la quantità di informazioni contenute e la capacità di sintesi dell’autore, ma soprattutto per la capacità di verificare continuamente la tenuta della propria tesi fondamentale.
L’autore
Cristopher Dawson (1889-1970), dopo gli studi al Trinity College di Oxford intraprese la propria carriera accademica nel campo degli studi storici, e in particolare della storia della cultura. Al centro della sua riflessione compaiono i rapporti tra la cultura occidentale, specialmente europea, e il cristianesimo, così come tra quest’ultimo e le altre religioni, come quelle dell’Estremo Oriente. Egli era convinto, come scriveva in un articolo pubblicato nel 1962 (On the Place of Religious Study in Education), che proprio la dimenticanza delle radici spirituali e culturali dell’Occidente avesse messoin pericolo la libertà della cultura occidentale e dell’uomo, verso i quali era stato sferrato l’attacco diretto da parte degli stati totalitari e delle ideologie del secolo scorso.Ognuno di questi elementi si ritrova nel volume qui presentato.
L’opera
La tesi portante del volume di Dawson è esposta esplicitamente all’inizio del primo capitolo: «Il Cristianesimo costituisce la civiltà alla quale noi tutti in qualche modo apparteniamo. Perciò ci è impossibile considerarla allo stesso modo delle civiltà antiche» (p. 15). Il Cristianesimo, per l’autore, è fondamento della civiltà occidentale non al modo di semplice ideologia, ma bensì come fede, ovvero come l’elemento in grado di introdurre «nella vita umana un elemento di libertà spirituale che può avere un influsso creativo e trasformatore sulla cultura sociale e il destino storico dell’uomo, come pure sulla sua intima esperienza personale» (p. 19).
Occorre anzitutto notare come il testo, pur occupandosi del periodo medievale e dei suoi aspetti più rilevanti, non voglia offrire la storia di un’epoca quanto di una cultura. Per Dawson, infatti, il medioevo non fu – come sottende lo stesso termine – l’età di mezzo tra due civiltà, quella classica e quella moderna, ma il periodo che vide l’affermazione di quella cultura cristiana, base dell’Europa.
L’Europa, come noto, nacque dalla fusione tra la cultura classica e cristiana e la popolazione barbarica. Eppure, in origine non vi era alcun terreno possibile di incontro tra due civiltà tra loro opposte.Occorre dunque, per comprendere la cultura occidentale, esaminare quali furono le diverse convinzioni di queste due componenti e quale fu l’esito del loro incontro, talora drammatico. Fu infatti proprio il cristianesimo il terreno che divenne sempre più comune tra romani e barbari, i quali da iniziali evangelizzati divennero in seguito loro stessi evangelizzatori. Anzi, più profondamente, l’ideale cristiano – e monastico in particolare – fu secondo Dawson l’elemento in gradoal medesimo tempo di elevare e conservare le credenze e i valori dei barbari, attirando questi ultimi – nobili e popolazione – alcristianesimo.Così, lungi dal considerare la civiltà medievale «come intollerante di ogni cosa che fosse al di fuori della Cristianità latina», occorre notare come al contrario la mitologia e le saghe nordiche furono create o conservate proprio grazie alla cristianità medievale. La Chiesa infatti penetrò nel mondo barbarico non solo come portatrice di un messaggio salvifico, ma anche di una cultura superiore, in grado di innalzare anche elementi delle culture preesistenti. La religione cristiana non fu dunque un semplice aspetto tra i tanti all’interno della cultura occidentale, ma ne costituì il vero fondamento.
La religione incarnata
Affermare l’influenza sulla storia culturale dell’Europa dell’elemento cristiano non significa tuttavia, per Dawson, dimostrare la superiorità della cristianità medievale su quella di altre epoche o su altre culture, alimentando la nostalgia per un passato idealizzato acriticamente. Anzi, le contraddizioni di un’epoca con elementi tra loro diversissimi non vengono mai sottaciute: la brutalità delle popolazioni barbariche e le ingiustizie feudali, i tentativi degli imperatori di piegare ai propri interessi la Chiesa e gli elementi paganeggianti dei trovatori sono costantemente richiamati. Si tratta infatti di un periodo lungo dieci secoli, iniziato con una crisi – quella delle invasioni e della caduta dell’Impero Romano d’Occidente – e conclusosi con un’altra crisi, questa spirituale: il declino del movimento riformista all’interno della Chiesa e della forza unificatrice della cultura medievale,esemplificata dalla caduta degli Stati crociati e dalla soppressione dei Templari. E tuttavia, questa epoca così variegata – non dimentichiamo che lo stesso concetto di medioevo intendeva in origine racchiudere tutto ciò che separava il Rinascimento dallo splendore della classicità –presenta un fil rouge che accomuna Cassiodoro e Beda a Erasmo e Copernico, il periodo tra la caduta dell’Impero d’Occidente e l’Umanesimo. Il cristianesimo fu infatti l’elemento dinamico che, incarnandosi continuamente nelle diverse strutture sociali, permise alla cultura occidentale non solo di crescere, ma soprattutto di «trasmettersi da un popolo ad un altro in un continuo concatenamento di movimenti spirituali» (p. 24): «un susseguirsi di rinascite, di rinnovamenti spirituali e intellettuali che ebbero luogo indipendentemente gli uni dagli altri» (p. 25).
Dawson esamina tutti i principali temi del medioevo: dal rapporto reciproco tra barbari e Chiesa alla peculiarità dell’esperienza monastica in Occidente; dalla diffusione delcristianesimo nelle regioni settentrionali e orientali, all’emergere della tradizione bizantina in Oriente; dalla riforma gregoriana al mondo feudale; dalla tensione tra ideale cortigiano e tradizione cristiana ai conflitti sanguinosi che essi hanno originato; dalla rinascita dei secoli successivi all’XI alla crisi religiosa del XIII secolo.In sottofondo è costantemente evidenziato il movimento di riforma spirituale che, iniziato all’interno dei monasteri e in essi quasi confinato, si andò poco a poco estendendo a tutti gli aspetti della civiltà e in ogni parte d’Europa.
Quella europea fu una vera e propria «attività missionaria» che, per Dawson, fu peculiare del medioevo occidentale, contribuendo fondamentalmente a distinguerlo dalle altre civiltà contemporanee. Mentre infatti l’Estremo Orientesi caratterizzavaper un ordine sacro e immutabile, da trasmettere immutabilmente ad ogni generazione successiva, l’Europa occidentale vide una continua trasformazione e la sostanziale assenza di una struttura unitaria e centralizzata – se si eccettua il breve e appunto fallimentare tentativo dell’impero carolingio. La stessa religione cristiana non poté mai configurarsi quale teocrazia sul modello dell’Impero d’Oriente, e anche la Chiesa – che pure costituiva indubbiamente l’elemento unificatore di diversi popoli e culture – dovette sempre fare i conti con la dualità del potere temporale e spirituale. Eppure, proprio questi aspetti furono quelli che paradossalmente diedero alla cultura occidentale la propria continuità sostanziale.
Lo stesso metodo scientifico occidentale, secondo Dawson, è erede non solamente del Rinascimento e del risveglio degli studi classici. Il periodo decisivo in tal senso va infatti individuato nella nascita delle università e dei comuni, ovvero all’affermazione di quel «processo di “masticazione” [che] non solo acuì la prontezza d’intelletto e la precisione di pensiero, ma sviluppò soprattutto quello spirito di critica e di dubbio metodico al quale la cultura occidentale e la scienza moderna sono così grandemente debitrici» (p. 247).
Certo questo profondo legame tra circostanze sociali e cristianesimo ebbe anche conseguenze che ai nostri occhi contemporanei appaiono difficilmente accettabili, come le Crociate. Tuttavia, collocate nel loro contesto, esse assumono tutt’altro significato, e più precisamente un duplice valore. Da un lato, esse furono «il tentativo della Chiesa di trovare un nuovo sbocco alle incontenibili energie guerriere della società feudale» (p. 194), dopo il sostanziale fallimento dal punto di vista pratico del movimento delle «Paci di Dio». D’altro canto, le Crociate furono anche il primo grande elemento unificatoredella società feudale, accomunando i diversi particolarismi locali sotto l’egida della passione religiosa. Così, le Crociate rappresentano «tutto ciò che vi era di più elevato e di più basso nella società medioevale», soddisfacendo «gli istinti aggressivi dell’uomo occidentale, mentre li sublimava rivestendoli d’idealismo religioso» (p. 197).
Insomma: nel medioevo di Dawson compaiono tanto le luci quanto le ombre di un periodo variegato, ma unito dal tentativo di incarnare il cristianesimo in una società in continuo cambiamento.
Che cosa ne abbiamo fatto?
Quale può essere il valore di una riflessione sull’influsso del cristianesimo nella formazione della cultura occidentale? Il dibattito sulle radici religiose dell’Europa, così vivo negli ultimi decenni, è solo l’ultimo capitolo di una società che, sempre più secolarizzata, si dimostra spesso poco favorevole allo studio della cultura cristiana. «Il vecchio ordine della cristianità occidentale è passato – scriveva Dawson pochi anni dopo la pubblicazione del suo volume – ma la tradizione della cultura cristiana è inseparabile dalla tradizione della vita e della fede cristiana. Di conseguenza il nostro interesse per la cultura cristiana del passato non può mai essere puramente storico o letterario. Essa è rilevante per il problema della cultura cristiana oggi, nonostante gli immensi cambiamenti che hanno trasformato il mondo moderno. La cristianità medievale è l'esempio eccezionale nella storia dell'applicazione della fede alla vita: l'incarnazione della religione nelle istituzioni sociali e nelle forme esteriori; e perciò sia i suoi successi che i suoi fallimenti sono degni di studio».
Per Dawson il mondo della cultura cristiana medievale ha un grande aspetto comune con il nostro. Esso doveva continuamente confrontarsi con il problematico tema delle civiltà barbariche, sia quando rappresentavano culture esterne ed ostili, sia quando occorreva controllare e trasformare l’elemento barbarico interno alla civiltà europea. Lo studio della cultura cristiana, con i suoi successi e i suoi fallimenti, può offrire numerosi elementi di riflessione sull’esperienza umana di quanti l’hanno faticosamente costruita. Se è vero che probabilmente la cultura attuale non può più dirsi realmente cristiana, tuttavia proprio quella «minoranza creativa» di cui parlava Benedetto XVI può offrire in questo modo il suo contributo alla società. E si tratta di un contributo che si fa sempre più indispensabile quanto più il secolarismo avanza nel mondo contemporaneo, per evitare che il pensiero e la cultura del passato diventino incomprensibili per l’uomo, con la conseguente perdita delle esperienze e dei successi faticosamente raggiunti.
Ma non solo il mondo secolarizzato potrà avvantaggiarsi di questo contributo. Lo stesso cristiano potrà liberarsi di quel senso di inferiorità culturale che rischierebbe di portarlo a una tendenza settaria di chiusura nei confronti degli altri, in un atteggiamento che non potrebbe essere più distante da quello richiesto dal cristianesimo, per sua natura portato a penetrare ogni attività umana. È proprio questa la caratteristica del cristianesimo medievale, al tempo stesso pieno di senso soprannaturale eppure capace di trasformare tutti i campi della società.
In conclusione di quello che vuole essere un invito alla lettura, vorrei riportare le frasi conclusive di quest’opera di Dawson, nella quale mi pare siano racchiusi non solo il significato più profondo del suo studio, ma anche la sua continua attualità.
«Che cosa abbiamo fatto di questa eredità? Per lo meno l'abbiamo ricevuta. Essa è diventata parte della nostra carne e del nostro sangue e del patrimonio della nostra lingua.
L'importanza di questi secoli, di cui ho tracciato lastoria, non deve esser giudicata in base all'ordine esterno da essi creato o che cercarono di creare, ma considerando la trasformazione interna ch'essi operarononell'anima dell'uomo occidentale, che non potrà maiessere interamente annullata se non dalla negazione totale e dalla distruzione dell'uomo occidentale stesso. Se vi è qualche verità in ciò che ho detto, essa sta appunto in questa constatazione: i momenti di fusione vitale tra una religione vissuta e una civiltà operante costituiscono gli eventi creatori della storia, a confrontodei quali tutto ciò che è realizzazione esterna, tanto nell'ordine politico quanto in quello economico, è transitorio e insignificante» (pp. 292-293).
Bibliografia
C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della città occidentale, BUR, Milano 1995.
C. Dawson, On the Place of Religious Study in Education, «The Cristian Scholar», 45 (1962), pp. 37-43.
C. Dawson, Medieval Essays, Sheed and Ward, London 1954.
Brani Antologici proposti
Christopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale