Testo a fronte bilingue e tr. it. in Scritti sull'Università, a cura di M. Marchetto, pp. 5-967.
L’autore e il contesto dell’opera
Le considerazioni di John Henry Newman (1801-1890) nascono essenzialmente dal suo ruolo di promotore e primo rettore dell'Università Cattolica di Dublino. I rapporti fra Newman e l'università furono sempre assai intensi. Formatosi nell'anglicanesimo e ordinato ministro di questa confessione nel 1825, Newman aveva compiuto i suoi studi umanistici nell'Università di Oxford, come alunno del Trinity College, divenendo poi Fellow e Tutor nell'Oriel College. Già prima della sua conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1845, affronta tematiche legate alla cultura universitaria nei suoi University Sermons, e durante la sua permanenza presso l'Oriel College, dal 1822 al 1843, si occupa di seguire da vicino la vita universitaria, restaurando fra l'altro la funzione della tutoria personale, allora in disuso rispetto a quella collettiva. Ordinato sacerdote cattolico nel 1847, riceve nel 1851 dai vescovi irlandesi il compito di realizzare una prima università confessionale, sul modello di quella che l'espiscopato belga aveva fatto a Lovanio. Egli dirigerà la nuova istituzione fin dall'inizio, divenendone formalmente rettore, su incarico della Santa Sede, dal 1854 al 1858.
Le prime riflessioni sulla natura dell'istituzione universitaria e la portata dell'educazione che vi si deve impartire sono già presenti nei Sermoni pronunciati all'Università di Oxford, ma troveranno un'esposizione articolata e approfondita nelle nove conferenze intitolate The Scope and Nature of University Education con le quali egli presenterà a Dublino nel 1852 il suo progetto di università cattolica, raccolte poi nella sua opera The Idea of a University. Tale opera comprende una seconda parte "University Subjects" (da pag. 475 a 967), che raccoglie “Argomenti universitari discussi in conferenze e in saggi di occasione”. Esiste inoltre una terza ed ultima parte contenente "Schizzi storici" sull'origine e lo sviluppo dell'Università (pp. 969-1429). Chiude il volume curato da Michele Marchetto la presentazione del secondo testo del Discorso V del 1852 intitolato "General Knowledge viewd as one Philosophy".
Obiettivo della nuova fondazione dublinese era offrire ai giovani cattolici di quel paese una istruzione superiore che evitasse l'indifferentismo religioso dei Queen's Colleges, voluti a Cork e Galway dal ministro inglese Peel, con i quali si riaprivano nominalmente le porte d'ingresso dell'università ai cattolici ma si prolungava sotto altra forma la discriminazione culturale e scientifica presente fino a quel momento. In questo progetto educativo Newman lavorò con fervore, andando incontro però a notevoli incomprensioni, proprio nei confronti dell'episcopato irlandese, a motivo della sua concezione dei rapporti fra fede e cultura, più specificamente fra formazione cattolica ed «educazione liberale». Ciononostante, l'influenza della sua The Idea of a University in campo cattolico sarà enorme ed il suo pensiero continua ancor oggi a dividere gli animi. Le idee di Newman saranno riprese da altri autori, fra i quali Jacques Maritain, e determineranno buona parte dello sviluppo delle Università Cattoliche nei decenni successivi. La costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae citerà per ben tre volte l'opera di Newman[1].
Riflessioni sull’educazione universitaria
Missione dell'università è innanzitutto quella di educare. Essa «è un luogo ove insegnare un sapere universale», ove «dedicarsi all'educazione dell'intelligenza», o anche «educare al sapere»; un'istituzione che deve condurre chi vi studia a ciò che egli chiama «la perfezione dell'intelligenza», fino a formare uomini capaci di «sentirsi a casa loro in qualsiasi ambiente». L'educazione universitaria che Newman propone «è l'educazione che dà all'uomo una chiara visione consapevole delle proprie opinioni e dei propri giudizi, una verità nello svilupparli, un'eloquenza nell'esprimerli, e una forza nel farli valere. Essa gli insegna a vedere le cose come sono, ad andare dritto alla sostanza, a sbrogliare una matassa di pensieri, a scoprire ciò che è sofistico e a scartare ciò che è irrilevante. Essa lo prepara ad occupare ogni posizione con dignità, e a dominare qualunque tema con facilità. Gli mostra come adattarsi agli altri, come entrare nel loro stato mentale, come presentare loro il proprio, come influenzarli, come giungere a comprendersi con loro, come sopportarli. Egli è a proprio agio in qualunque società» (pp.359-361). Fine dell'università non è far nascere nuovi geni, leaders politici o autori immortali — sebbene molti di essi attraverseranno le sue mura — ma formare personalità mature, dotate di «libertà, equità, moderazione, calma e saggezza». Newman chiamerà questa educazione “educazione liberale”, la cui finalità è quella di formare un gentleman.
Si tratta di un'educazione ad un habitus filosofico, un'«educazione al sapere» appunto, non mossa da fini utilitaristi, perché il «sapere è fine a se stesso». Essa ha di mira la persona, il suo porsi di fronte al mondo e di fronte agli altri, il suo modo di acquisire le varie cognizioni collocandole nel loro giusto contesto e valore, non in base a criteri esterni, ma fondandosi su quanto il soggetto stesso va maturando in sé mediante il suo conoscere. Una simile educazione dell'intelligenza si dice dunque liberale in opposizione a ciò che risulterebbe servile, come le arti liberali si differenziavano dai mestieri, perché adatte a coltivare il sapere per il sapere, e non in vista di un'utilità pratica. L'epoca nella quale Newman formulava le sue tesi non era disposta ad accoglierle più benevolmente di quanto farebbe oggi la nostra, specie l'ambiente di cultura inglese cui egli si dirigeva, dominato da un pragmatismo filosofico ormai affermato e con una rivoluzione industriale già in pieno sviluppo. Egli le esporrà in forma dialettica nella sua settima conferenza dublinese, rispondendo ai sostenitori del sapere professionalmente utile e cercando di mostrare che la formazione di maggiore utilità sociale implicita è appunto quella fornita dall'educazione liberale. «Locke e i suoi discepoli vorrebbero distoglierci dal coltivare l'intelletto, in base all'idea che non sia utile alcuna educazione che non ci insegni una professione mondana, un'arte meccanica o un segreto fisico. Dico che un intelletto educato, per il fattoc che è un bene in se stesso, porta con sé una forza e una grazia in ogni opera e occupazione che intraprende, e ci rende capaci di essere più utili, e ad un numero maggiore di persone» (p. 339). L'università, liberata pertanto dal sapere finalizzato ad una funzione specificamente determinata, diviene luogo della libertà del sapere. L'educazione così profilata si distingue da quello che potremmo chiamare semplice istruzione, si distingue dalla formazione professionale, e si distingue anche dall'acquisizione delle virtù cristiane, cioè da una formazione religiosa di tipo morale.
Si distingue dall'istruzione perché l'università non è il luogo dell'erudizione, anche se in essa si acquisisce un crescente numero di informazioni. L'erudizione non ha di per sé la capacità di formare la persona, né di coltivare la sua intelligenza. La conoscenza autentica ha bisogno di innalzarsi sulla mera messe dei dati, deve saperli organizzare e giudicare, ricondurli ad un principio, comprenderne le reciproche relazioni, dar loro una forma. «Il fine vero e adeguato dell'educazione intellettuale e dell'Università non è l'apprendimento o l'acquisizione di nozioni, ma piuttosto, è il pensiero o la ragione esercitati sulla conoscenza, o quella che si può chiamare filosofia [...]. Se intendiamo migliorare l'intelletto, prima di tutto, dobbiamo salire; non possiamo ottenere una vera conoscenza rimanendo al pian terreno; dobbiamo generalizzare, dobbiamo ridurre a metodo, dobbiamo avere la comprensione dei principi, e attraverso di essi raggruppare le nostre acquisizioni dando loro forma» (p. 289). Per Newman, la finalità dell'università non può essere nemmeno la preparazione professionale, con tutto ciò che anche noi intenderemmo oggi con questo termine. Egli non è per nulla contrario al fatto che vi si insegnino delle scienze pratiche, ma ritiene che una scienza di questo tipo, isolata in sé e staccata dal senso che occupa in una visione globale, non può essere l'unico orizzonte della formazione di un universitario. Così lo esprime lo stesso Newman in un brano che merita di essere citato per intero: «Se allora argomento, e argomenterò, contro il sapere professionale o scientifico inteso come il fine sufficiente dell'educazione universitaria, non si pensi, Signori, che sia irrispettoso nei confronti di studi, arti o professioni particolari, e di coloro che se ne occupano. Nel dire che il diritto o la medicina non sono il fine di un corso universitario, non intendo suggerire che l'Università non insegni diritto o medicina. Che cosa può insegnare dunque, se non insegna qualcosa di particolare? Insegna tutto il sapere insegnando tutte le branche del sapere, e in nessun altro modo. Dico soltanto che ci sarà questa distinzione per quanto riguarda un professore di diritto, di medicina, di geologia, o di economia politica, nell'Università e al di fuori di essa, che al di fuori dell'Università egli rischia di essere assorbito e limitato dalla sua ricerca, e di tenere lezioni che sono solo le lezioni di un giurista, di un medico, di un geologo, o di un economista politico; mentre nell'Università saprà esattamente dove si trovano lui e la sua scienza, vi è giunto, per così dire, da una vetta, ha avuto una visione di tutto il sapere, è trattenuto dagli eccessi dalla stessa rivalità con altri studi, ne ha derivato una speciale illuminazione, ampiezza mentale, libertà e auto-controllo, e quindi tratta i propri con una filosofia e una risorsa, che appartengono non allo studio in se stesso, ma alla sua educazione liberale» (p. 339). In accordo con tale visione, il rettore dell'università di Dublino sarà incline ad una distinzione fra università ed Accademia. L'insegnamento universitario deve certamente nutrirsi della ricerca, ma ha la sua professionalità, i suoi luoghi e le sue virtù, che non debbono necessariamente coincidere con le virtù ed i luoghi dei ricercatori[2]. La didattica ne soffrirebbe e ne soffrirebbe anche la ricerca. L'università è sì un luogo di ricerca, ma questo termine indica un contenuto meno specifico e più alto.
L'educazione universitaria non è finalizzata al sapere religioso o alla formazione morale. La sua libertà è tale da sganciarla anche da un ordinamento di questo tipo. L'educazione liberale offre certamente una valida preparazione alle virtù cristiane, ma da sola non le determina, né viene vista in funzione di esse. A tale impostazione corrisponderà un certo modo di concepire la «teologia universitaria», tema che in queste pagine riprenderemo più avanti. Newman parlerà del rapporto fra formazione cristiana ed educazione dell'intelligenza specialmente nella ottava conferenza dell'Idea di Università; ne troveremo un precedente nelle lettere inviate nel 1841 al ministro dell'Educazione inglese Robert Peel, pubblicate sul The Times[3]. L'università non è il luogo appropriato per la formazione religiosa e morale: questa deve essere data dalla Chiesa all'interno delle sue strutture già predisposte a farlo. Nell'università la Chiesa può essere presente con fenomeni associativi e con la cura della vita cristiana all'interno dei Colleges. Nel mirare alla «perfezione dell'intelligenza», la formazione impartita all'università aiuta a rimuovere gli errori, fa cogliere quanto conforme alla dignità umana, dispone a riconoscere la verità e dunque conduce anche a concludere l'esistenza di un Essere Supremo, secondo quell'immagine di Esso che è accessibile alla ragione, ma ciò non è sufficiente a fare di un uomo una persona moralmente buona, né a farle meritare qualcosa davanti a Dio. Un'intelligenza ben formata non corrisponde ad una personalità cristiana e sarebbe ancora compatibile con una vita lontana da Dio. Newman terrà pertanto a sottolineare che «l'educazione liberale non fa il cristiano né il cattolico, ma il gentiluomo» (p. 255).
Caratteristica importante della formazione che l'università è chiamata a dare è la capacità di giungere ad una visione unificata della realtà, alle distinzioni fra le varie discipline ed ai nessi fra le loro conoscenze, ad un giudizio critico sulle conclusioni cui ciascuna di esse perviene, riconoscendo nel contempo il contributo di ogni sapere parziale alla ricerca di una verità colta come coerenza con il tutto. L'università è, per eccellenza, il luogo dell'interdisciplinarità. Questa attività di unificazione e di discernimento risponde primariamente ad un habitus filosofico, a quello che forse potremmo chiamare uno sguardo metafisico. L'educazione liberale, che in vari luoghi Newman indicherà col termine di «educazione filosofica», diviene allora quell'educazione adeguata ad esercitare tale sguardo, riconoscendovi un sapere che ha valore in sé. Egli sottolinea come tutti i settori del sapere siano, almeno implicitamente, l'oggetto dell'insegnamento universitario. Questi settori, infatti, non sono isolati e indipendenti l'uno dall'altro, ma formano insieme un tutto o un sistema; essi si completano vicendevolmente. L'esattezza e la veridicità del sapere che essi, ciascuno per suo conto, trasmettono, sono relativi alla visione che ne abbiamo come di un tutto. La vera cultura dunque consiste nel processo di trasmissione del sapere all'intelletto in questa "maniera filosofica"; una tale cultura è un bene in se stesso; la conoscenza la quale è tanto il suo strumento quanto il suo risultato è chiamata "Conoscenza Liberale".
Riflessioni conclusive
Newman vede l'università come una comunità viva, ove lo spontaneo associazionismo di coloro che coltivano il sapere, scambiandosi esperienze e condividendo la passione per il vero, è più importante degli aspetti strutturali e perfino della legislazione didattica, un luogo ove il dialogo e la conoscenza reciproca costituiscono una base irrinunciabile[4]. Egli vuole per l'università una formazione della mente che non sia mera accumulazione di nozioni, una formazione che non abbia il suo nucleo vitale nella preparazione a disimpegnare una professione, non finalizzata a produrre una leadership sociale o politica, e neanche un intelletto confessionalmente cristiano, anche se una simile formazione non sarà certamente di ostacolo al suo sviluppo. In positivo, Newman aspira ad un'educazione universitaria dove ogni disciplina venga impartita tenendo presente gli apporti delle altre ed il contesto generale cui tutte appartengono; un'educazione che «educhi al sapere» ed aiuti la persona ad amare la sapienza, a valutare le cose con «libertà, equità, moderazione, calma e saggezza»; una formazione culturale che va cercata per il valore che ha in se stessa e non per altri fini, trovando proprio in questo libero orientamento della ragione il motivo ultimo della sua utilità. Un'educazione, infine, necessaria per ogni vita morale buona, ma insufficiente, da sola, a causarla. La sua tensione positiva verso la verità, cercata in una sapienza filosofica che tutto unisce e tutto giudica, e l'ascesi intellettuale che ne deriva, la distanzia decisamente da un'educazione «neutra», anche se non v'è motivo di chiamarla «cristiana».
L'università contemporanea ha intrapreso una strada certamente diversa da quella auspicata da Newman. Rinunciando ad un'impostazione culturale liberale, ha privilegiato invece la libera frammentazione delle discipline, senza farsi troppe domande sull'unità filosofica che dovrebbe legarle. Per molti, l'«Idea» newmaniana potrebbe oggi sembrare priva di interesse. Ma l'importanza di Newman, e l'attualità della sua provocazione, derivano dal fatto che il suo non è un modello di università, bensì un modello di educazione della persona. Egli ha mostrato fino in fondo le implicazioni personali della cultura, capaci di determinare tutto un modo di porsi di fronte al mondo, agli altri, alla propria coscienza: per questo, l'«Idea» rappresenta ancor oggi una riflessione suggerente.
Riflessioni newmaniane su un lavoro universitario di ispirazione cristiana
Una raccolta di conferenze e saggi scritti da Newman quando era Rettore dell'Università Cattolica d'Irlanda, venne pubblicata per la prima volta nel 1859 con il titolo "Lectures and Essays on University Subjects". Tale raccolta divenne, nel 1873, la seconda parte dell'opera "L'idea di Università", con il titolo University Subjects. In questi scritti l'idea di Università definita nei "Discorsi", viene illustrata attraverso la sua applicazione ai contenuti che vengono insegnati nell'Università. Fra gli argomenti discussi segnaliamo: "Il Cristianesimo e la scienza fisica" (Conferenza tenuta alla Scuola di Medicina); "Il Cristianesimo e la ricerca scientifica" (Conferenza scritta per la Scuola di Scienza); "Il Cristianesimo e la scienza medica" (Allocuzione agli studenti di medicina).
Newman precisa l'importanza che il ricercatore, lo studioso, sia libero e indipendente nella sua attività speculativa. Accanto a ciò esprime la sua ferma fiducia nella "sovranità della verità", tracciando le linee di un'epistemologia che procede inevitabilmente per prove ed errori: «Nessuno può salire su una montagna procedendo in linea retta; nessuna nave a vela si dirige al porto senza bordeggiare. [...] Se ragioniamo, dobbiamo sottometterci alle condizioni della ragione. Non possiamo usarla a metà; dobbiamo usarla in quanto procede da Colui che ci ha dato anche la Rivelazione; e interromperne sempre i processi, e distrarne l'attenzione con obiezioni avanzate da un sapere più alto, è simile allo gomento di un uomo di terra ai mutamenti del corso di una nave su cui si è deliberatamente imbarcato, e dimostra certamente sfiducia o nei poteri della ragione da una parte, o nella certezza della verità rivelata dall'altra. [...] la Rivelazione è così vera che le variazioni e le perplessità dell'opinione umana alla fine non possono certo offenderne l'autorità» (p.887). Ciò che Newman intende sollecitare in ciascuno studioso, quale che sia la sua linea di ricerca, è appunto una ferma credenza nella sovranità della verità. A tal proposito egli scrive: «L'errore può fiorire per un momento, ma alla fine prevarrà la verità. Alla fine l'unico effetto dell'errore è di promuovere la verità. Nascono teorie, speculazioni, ipotesi; forse sono destinate a morire, tuttavia non prima di aver suggerito idee migliori di se stesse» (p.893).
Bibliografia
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J.F. Crosby, Emancipazione delle scienze e compiti dell'università. Sull'idea di università di Newman, «Il Nuovo Aereopago» 7 (1988/4) 65-77.
I. Ker, John Henry Newman. A Biography, Oxford University Press, Oxford 1988.
J. Morales, Newman (1801-1890), Rialp, Madrid 1990.
G. Morra, Newman e l'idea di Università, in «L'eredità di Newman», a cura di G. Morra, Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna, Bologna 1992, pp. 37-47.
G. Mura, L'“idea di università” di J.H. Newman, in «L'unità del sapere. La questione universitaria nella filosofia del XIX secolo», o.c., pp. 125-160.
J. Pelikan, The Idea of a University. A Reexamination, Yale University Press, New Haven 1992.
G. Rutler, Il concetto di università cattolica nel pensiero di Newman, in «Newman Oggi. Studi sul card. John Henry Newman», a cura di S. Jaki, LEV, Città del Vaticano 1992, pp. 97-123.
[1] Cfr. ECE, n. 3, nel contesto dell'università come luogo che serva la causa della verità e le note nn. 19 e 25, in merito all'interdisciplinarità ed al concetto di formazione universitaria.
[2] Cfr. ibid., prefazione, pp. 32-33.
[3]Cfr. J. Morales, Newman (1801-1890), o.c., pp. 113-115.
[4] Cfr. ibid., pp. 181-184. «Qui dunque [in una simile comunità] vi è un reale insegnamento (...). Esso almeno riconosce che la conoscenza è qualche cosa di più che una specie di accettazione passiva di frammenti e dettagli; esso è un qualche cosa, e fa un qualche cosa, che non sarà mai prodotto dagli strenui forzi di un corpo di insegnanti, privi di reciproca simpatia e di intercomunione, di una serie di esaminatori privi di opinioni che abbiano il coraggio di professare, e privi di principii comuni, i quali istruiscano od esaminino una serie di giovani che non li conoscono, e che non si conoscono l'uno con l'altro, su di un grande numero di argomenti, diversi in genere, e non connessi da alcuna ampia filosofia...» (p. 184).
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