Facendo salvo il criterio che il contenuto che le narrazioni trasmesse dalla Scrittura hanno un preciso contenuto veritativo, Agostino, in questo brano del De Civitate Dei, suggerisce e impiega una interpretazione allegorica del paradiso terrestre e di quanto in esso viene descritto.
21. Alcuni riducono a un'allegoria ciò che narra la Scrittura sul paradiso terrestre dove vissero i primi uomini, progenitori del genere umano, e considerano valori di vita e caratterizzazioni gli alberi e le piante da frutto. Ragionano come se queste cose non fossero visibili e materiali ma fossero dette e scritte per simboleggiare contenuti di pensiero. Parlano, cioè, come se il paradiso terrestre non fosse destinato al corpo poiché può essere inteso quale dimora dello spirito, come se Agar e Sara non fossero due donne da cui nacquero i due figli di Abramo, uno dalla schiava, l'altro da una donna libera, giacché in esse secondo l'Apostolo sono figurati i due Testamenti [cfr. Gen 16,4; 21,1; Gal 4,22-24], come se infine non fosse sgorgata acqua dalla pietra colpita da Mosè [cfr. Es 17,6; Nm 20,21] poiché in essa può essere indicato simbolicamente il Cristo secondo il citato Apostolo che dice: E la pietra era il Cristo [1Cor 10,4]. Non è certamente proibito intendere allegoricamente nel paradiso terrestre la vita degli eletti, nei suoi quattro fiumi le quattro virtù, cioè prudenza, fortezza, temperanza e giustizia, nelle piante tutte le conoscenze che servono per la vita, nei prodotti delle piante il comportamento delle persone dabbene, nell'albero della vita la sapienza che è madre di ogni bene e nell'albero della conoscenza del bene e del male l'esperienza che segue alla trasgressione del comando. Dio ha infatti stabilito la pena per i trasgressori in vista di un bene, quindi con giustizia, ma non per il proprio bene la sperimenta l'uomo. Questi simboli possono anche riferirsi alla Chiesa come indicazioni profetiche che precorrono il futuro. Così nel paradiso terrestre sarebbe indicata la Chiesa stessa, come se ne parla nel Cantico dei cantici [cfr. Ct 4,13], nei quattro fiumi del paradiso i quattro Vangeli, negli alberi da frutto gli eletti, nei prodotti le loro buone opere, nell'albero della vita il Santo dei santi, cioè il Cristo, nell'albero della conoscenza del bene e del male il libero arbitrio individuale. L'uomo appunto, dopo avere oltraggiato la volontà divina, anche di se stesso non può servirsi se non a proprio danno, così apprende la differenza fra il perseguire un bene universale e il dilettarsi di un bene individuale. Compiacendosi di se stesso in sé si chiude, perciò colmo di timore e di angoscia, se è consapevole del proprio male, dice le parole del Salmo: L'anima mia rientrando in sé ha provato il tormento [Sal 41,7] e ravveduto prosegue: Riprenderò vigore tornando a te [Sal 58,10]. Queste figure e altre si possono convenientemente usare nell'interpretare simbolicamente il paradiso terrestre. Nessuno lo proibisce, purché si ammetta che la verità di quel racconto è garantita dalla fedele narrazione dei fatti.
La città di Dio, XIII, 21, tr. it di D. Gentili, testo dell’Opera Omnia, Città Nuova, Roma 2000, pp. 664-665.