Alberto Magno (1193 ca. - 1280)

Anno di redazione
2002

I. La vita e le opere - II. Alberto ed Aristotele - III. La scienza di Alberto Magno - IV. Un confronto con i modelli scientifici medioevali 1. I modelli neoplatonici di scienza. 2. Il confronto tra il modello albertino e quello baconiano. - V. Riflessioni conclusive.

I. La vita e le opere

Noto anche come Alberto di Lauingen, Alberto Magno nacque fra il 1193 e il 1206 nella Germania meridionale, a Lauingen presso Ulma sul Danubio. La determinazione della data della sua nascita ha fatto lavorare e discutere molto gli storici, ma una datazione poco prima del 1200 sembra essere la più probabile (cfr. Weisheipl, 1994, p. 19). Anche della sua giovinezza non si sa molto di concreto. La famiglia apparteneva probabilmente alla bassa nobiltà, legata — se non ne era addirittura un ramo — alla famiglia del conte di Bollstädt, che possedeva un castello a trenta chilometri da Lauingen. Alberto stesso ci racconta, fra le righe di tante sue opere, come in gioventù andasse a pesca e a caccia, comportandosi nel modo tipico di un giovane nobile della sua contea. Verso il 1220 lo troviamo “studente delle arti” a Padova, sotto la direzione di uno zio. Certamente, con il suo carattere spiritualmente ardente, Alberto meritava di ricevere un’ottima educazione, ma necessitava anche una buona sorveglianza e Padova era città particolarmente idonea a questo scopo.

Nel 1223, Giordano di Sassonia, maestro generale dell’Ordine dei Predicatori (i domenicani) passò a Padova alla ricerca di nuove “reclute” e la sua visita fu determinante per porre fine a ogni possibile ambizione dei familiari di Alberto; questi, dopo aver incontrato Giordano, decise di entrare nell’Ordine domenicano, rinunciando a divenire il futuro erede di un notevole patrimonio. Evidentemente doveva essere già maggiorenne per poter prendere autonomamente una tale decisione e, anche se incontrò delle difficoltà da parte dei familiari, queste non furono di certo paragonabili a quelle che dovette affrontare, più tardi, il suo giovane e straordinario discepolo Tommaso d’Aquino. Alberto godeva già da giovane di una matura libertà di spirito e di azione, di una padronanza e lucidità che conserverà intatta pressoché fino alla morte: una “sovranità” che tutti rispetteranno profondamente.

Dove compì, poi, gli studi di teologia e dove fu ordinato sacerdote, non lo sappiamo con certezza. Ad ogni modo, poco dopo, lo troviamo come “lettore” in diversi nuovi conventi domenicani in Germania. «Nessun convento priorale domenicano poteva essere istituito dal capitolo generale se non aveva almeno dodici frati, un priore e un lector di teologia. Il compito del lector, la cui importanza nella casa era seconda solo a quella del priore, era quello di tenere conferenze all’intera comunità, compreso il priore, su qualche libro della Bibbia» (Weisheipl, 1994, pp. 23-24).

Fino agli anni 1243-44 Alberto viaggia, percorrendo un po’ alla volta praticamente tutta la Germania e insegnando teologia agli studenti. Doveva essere stato stimato, già subito dopo l’ingresso nell’Ordine, come uno dei migliori insegnanti per poter ricevere tali incarichi in Germania. E deve essere stato proprio in quei vent’anni che egli definitivamente si trasformò in uno scienziato così eminente da meritare di essere inviato a ricoprire — fu il secondo, come straniero, a ricevere questo onorevole incarico — una delle due prestigiose cattedre dell’Ordine, a Parigi.

Nel 1248 ricevette dal maestro generale dell’Ordine il mandato di creare uno studium generale domenicano a Colonia. Lì lo troviamo insieme con Tommaso d’Aquino (1224-1274), che diventerà, più tardi, una specie di suo “assistente” e che, nel 1252, prenderà possesso, anche grazie all’intervento del cardinale Ugo di St. Cher, della cattedra di Parigi che era prima stata del suo maestro: nessun altro poteva essere più meritevole di lui per occupare un tale posto.

Nel 1254 Alberto viene nominato priore provinciale della Teutonia, all’epoca una delle più vaste province dell’Ordine, che si estendeva grosso modo in tutta l’Europa centrale e contava più di quaranta conventi. Alberto, che si dimostra come un magistrale organizzatore, non dimentica però mai i suoi interessi scientifici: anzi, approfitta dei viaggi che deve compiere come provinciale per raccogliere nuove informazioni, fatti scientifici, citazioni, ecc. «Era costume di Alberto, durante i viaggi — sempre a piedi — di visitare per prima cosa la cappella delle case religiose, dove intendeva fermarsi per la notte, per ringraziare Dio per il buon esito del viaggio, poi la biblioteca per esaminare se ci fossero dei libri che non aveva ancora visto. Spesso la candela rimaneva accesa fino a tarda notte, mentre copiava lunghi passi interessanti che sarebbero potuti servire in futuro» (Weisheipl, 1994, p. 41).

Alberto non era soltanto il più eminente scienziato del suo Ordine, ma era anche noto come buon diplomatico e mediatore; non c’è pertanto da meravigliarsi che nel 1256 sia stato scelto per difendere l’Ordine domenicano contro gli attacchi di Guglielmo di St. Amour (m. 1272) presso la corte del Papa ad Anagni. Difende l’Ordine in modo elegantissimo davanti alla commissione cardinalizia. Il Papa, rimasto affascinato del suo genio, non lo lascia partire, chiedendogli di curare l’esegesi di s. Giovanni. E provvede anche a non farlo rieleggere come provinciale: Alberto è troppo prezioso come professore per immergerlo nell’amministrazione. E di nuovo, con serena superiorità, Alberto si libera di tutti, torna a Colonia a fare il professore per continuare le sue Parafrasi aristoteliche.

Tale idillio non dura però a lungo: Papa Alessandro IV (1254-1261) lo nomina nel 1260 vescovo di Ratisbona. La diocesi di Ratisbona era finanziariamente in bancarotta e decaduta in fervore, a causa del precedente malgoverno. Non potendo contare su qualcuno adatto a reggerla, a Roma si pensò ad Alberto di Colonia: il suo prestigio e le sue alte qualità spirituali, nonché diplomatiche, lo facevano apparire come l’uomo ideale per tale gravosa incombenza. Il maestro dell’Ordine, Umberto de Romans, lo implorò di non accettare, ma Alberto, vista la seria necessità, decise di ricevere la nomina per obbedienza al Papa, ripromettendosi di riordinare la diocesi e trovare poi un successore più giovane per potersi in seguito dimettere, obbedendo in tal modo anche ad Umberto, nonché alla sua intima vocazione che lo voleva domenicano e studioso.

A Ratisbona, Alberto verrà chiamato «il vescovo con gli scarponi» (episcopus cum bottis): come vescovo indossa l’abito domenicano, ma con le scarpe del popolo; solo il pettorale e l’anello lo distinguevano dagli altri frati. In un anno riorganizza le finanze della diocesi, arrivando a consolidare spese ed entrate. Per sua iniziativa, i vescovi della provincia ecclesiastica di Salisburgo fanno fronte comune contro gli abusi della nobiltà. Solo un anno dopo, nel 1261, darà le dimissioni. L’11 maggio 1262 Papa Urbano IV (1261-1264) nomina il suo successore Leone, e Alberto può così tornare alla sua vita domenicana, mantenendo però i diritti episcopali compreso quello di avere una proprietà privata. Il Papa lo trattiene presso la sua Curia, a sua speciale disposizione, e Alberto non sarà più soggetto alla giurisdizione del Maestro Generale.

Con l’incarico speciale di Papa Urbano IV di predicare la crociata (1263-1264) si trova di nuovo in Germania, dove dovrà anche riordinare la situazione della diocesi di Brandenburgo, nonché adoperarsi per la pace a Colonia. Dopo la morte di Urbano IV, nell’ottobre 1264, il suo successore Clemente VI (1265-1268), considerando le crociate ormai sorpassate, non rinnovò l’incarico ad Alberto. Così questi rimase a Würzburg, dove probabilmente terminò il suo Commento al Vangelo di Luca ed anche la grande Parafrasi sulla Metafisica di Aristotele. Nell’estate 1267 si trasferisce a Colonia, poi, nell’inverno, a Strasburgo. Nel 1269 viene offerta ad Alberto una cattedra a Parigi, ma egli la rifiuta considerandosi ormai troppo avanti negli anni; inoltre, a Parigi c’era già il discepolo Tommaso a tenere le redini della Scolastica domenicana.

A partire dal 1270 Alberto si stabilisce a Colonia, ove trascorrerà l’ultimo decennio della sua vita. Ma non vi trova particolare riposo, richiesto continuamente come mediatore di pace e come consultore negli affari ecclesiastici. Vi sono alcune prove che Alberto abbia favorito la scelta di Rodolfo di Asburgo come re dell’impero, anzi che si fosse recato al concilio di Lione (1274) per appoggiare con il suo influsso l’accettazione del re da parte del Papa. Nel 1277 Etienne Tempier, vescovo di Parigi, voleva condannare come eretiche varie proposizioni, fra le quali ve n’erano anche alcune di Tommaso d’Aquino, morto tre anni prima. A tale notizia, Alberto vuole subito andare a Parigi per protestare. Tale volontà è storicamente accertata: se però vi si sia veramente recato non lo si può sapere con certezza, in quanto il fatto viene riportato solo da una delle sue biografie del tardo medioevo. Ad ogni modo, l’interessamento dimostrato dal più grande maestro del tempo sarebbe stato sufficiente per far togliere le proposizioni di Tommaso dall’elenco di quelle da condannare.

Nel 1278, durante una sua lezione a Colonia, Alberto perse la memoria e circa due anni dopo si spense nella pace del Signore, il 15 novembre 1280. Nel 1484 venne beatificato da Innocenzo VIII. Canonizzato e dichiarato dottore della Chiesa il 16 dicembre 1931 da Pio XI, verrà successivamente proclamato da Pio XII, nel 1941, patrono dei cultori delle scienze naturali.

Non c’è il pericolo che Alberto Magno, uno dei geni più onnicomprensivi della cultura europea — e non solo europea — venga sopravvalutato. Già i suoi contemporanei gli tributarono i più alti onori in campo scientifico collocandolo — ancora vivente — tra le “autorità” classiche, come riconobbe lo stesso Ruggero Bacone, che fu pure uno dei suoi avversari scientifici più accaniti (cfr. J.M. Hackett, L’atteggiamento di Ruggero Bacone verso la “scientia” di Alberto Magno, in Weisheipl, 1994, pp. 61-82). Se il suo maggiore allievo, s. Tommaso d’Aquino, per anni assistente di Alberto a Colonia, meritò il titolo di doctor angelicus in virtù della chiarezza, della profondità ed altezza della sua sintesi filosofico-teologica, egli, il maestro Alberto, fu giustamente chiamato doctor universalis. Infatti, quale aspetto del sapere del suo tempo poteva sfuggire al suo sguardo perspicace e al contempo pacato, alla luce intensa della sua mente limpida ed innamorata della bontà della creazione divina, alla forza classificatrice e lucida di quello spirito che alla sua epoca era l’unico che sapesse «rendere intelligibile ai latini», in tutti i suoi aspetti, la nuova scienza greco-giudeo-araba? Ma, a differenza di Tommaso, Alberto fu gradualmente dimenticato e, in un certo senso, messo da parte. Solo ultimamente si comincia a percepire l’opportunità di un confronto intellettuale fra le scienze ed il suo pensiero: un pensiero integrale, armonioso, rispettoso, veramente umano.

I suoi scritti sono numerosissimi e spaziano in tutti i campi del sapere del tempo: da quello scientifico (logica, fisica, astronomia, chimica, biologia, fisiologia, psicologia) a quello più propriamente filosofico e a quello teologico. Basti qui ricordare le Parafrasi e i Commenti alle opere di Aristotele (alla Fisica, alla Metafisica, al De anima, ai Secondi analitici, all’Etica, e al testo pseudo-aristotelico Liber de causis), il De mineralibus, i libri De vegetalibus, De animalibus, Summa de creaturis, e poi i commenti biblici, la Summa theologica ed altre opere teologiche, nelle quali risalta una particolare attenzione alla figura della Vergine Maria (per l’esposizione approfondita delle sue opere cfr. Grabmann, 1931; Weisheipl, 1994).

II. Alberto ed Aristotele

La fase veramente significativa della sua esperienza di studioso e docente si svolse a Parigi, dove Alberto Magno si dovette confrontare con un aristotelismo ormai in auge. Messosi al lavoro senza fare tanto clamore, Alberto cominciò a scrivere le sue famose Parafrasi, ripercorrendo in un’ottica cristiana tutto Aristotele (384-322 a.C.). Questa impresa, anche da sola, sarebbe stata sufficiente a farlo considerare come l’incomparabile padre dell’aristotelismo cristiano, base razionale dell’alta Scolastica. Non solo egli avrebbe esposto i fondamenti della scienza naturale con tutti gli ausili di cui disponeva, ma confidava di esporre sistematicamente l’intero sapere umano riguardante le scienze della natura (inanimata e animata): la logica, la retorica, la matematica, l’astronomia, l’etica, l’economia, la politica e la metafisica. «La nostra intenzione — diceva — è quella di rendere comprensibili ai Latini (latinis intelligibiles) tutte queste branche del sapere» (Physica, I, tr. 1, c. 1, Ed. Coloniensis, vol. IV/1, p. 1, vv. 48-49). Che il piano fosse ponderato, sistematico e conseguente al corpus Aristotelico, può essere ben visto dalla copia autografa esistente a Vienna presso la Österreichische Nationalbibliothek (Cod. misc. lat. 273) che contiene le ultime cinque righe della Physica (fol. 72v) e continua dallo stesso folio al De Caelo, al De natura locorum e al De causis proprietatum elementorum. L’ordine cronologico del restante corpus albertino di scienza naturale sembra essere il seguente (cfr. Weisheipl, 1994, p. 37): De generatione et corruptione, Meteora, De mineralibus et lapidibus, De anima, Parva naturalia (undici opere distinte), De vegetalibus e De animalibus libri XXVI.

Proprio all’inizio delle Parafrasi, Alberto spiega che il suo modo di procedere avrebbe seguito l’ordine e l’opinione di Aristotele, cercando di spiegare e di dimostrarne il punto di vista, qualora sembrasse necessario, ma in modo tale da non citarne direttamente il testo. Questo metodo lo lasciava libero di ripensare, rielaborare e sviluppare a modo suo il pensiero dell’autore dal quale prendeva spunto; perciò non si può dire che Alberto riproponga o esponga appena Aristotele: piuttosto ne assume il metodo all’interno di un contesto diverso, come quello cristiano medioevale, e lo utilizza come strumento di un’elaborazione propria e in buona parte autonoma. Per questo motivo, al testo originale avrebbe continuamente aggiunto delle digressioni, per chiarire difficoltà e per completare con quant’altro fosse stato utile a spiegare il punto di vista di Aristotele. Avrebbe anche aggiunto, in vari luoghi, materiali nuovi e a volte interi libri, che Aristotele aveva omesso o lasciati incompleti, o perché il filosofo non aveva scritto su quegli argomenti, o, se lo aveva fatto, perché gli scritti non erano giunti fino a noi.

La dottrina presentata da Alberto era sistematicamente e volutamente aristotelica, anche se egli non mancò mai di correggere Aristotele quando questi era in errore riguardo a fatti, esperienze o questioni in conflitto con gli insegnamenti della fede o con l’evidenza sperimentale: «Coloro che credono che Aristotele fosse un dio devono anche credere che non sbagliò mai; ma se uno crede che Aristotele era un uomo, indubbiamente deve ritenerlo passibile di errore, come tutti noi» (Physica, VIII, tr. 1, c. 14, Ed. Coloniensis, vol. IV/2, p. 578, vv. 23-27). Egli stesso così illustra il suo modo di lavorare sui testi aristotelici: «Avendo a disposizione un libro di Aristotele […] lo seguiremo, allo stesso modo in cui lo abbiamo seguito in altre opere, facendo qualche digressione da lui (ab ipso) quando ci sembra esserci qualche affermazione non del tutto corretta, e divideremo l’opera in libri, trattati e capitoli, come abbiamo fatto per le altre» (De somno et vigilia I, 1, 1, Ed. Borgnet, vol. IX, 123a). Nella pratica come nella teoria, Alberto riconobbe che «lo spirito della scienza naturale non consiste nella semplice accettazione delle altrui affermazioni, ma nell’investigare le cause che operano in natura» (De mineralibus, II, tr. 2, c. 1, Ed. Borgnet, vol. V, 30a).

L’impostazione metodologica di Alberto Magno viene così riassunta da Weisheipl: «Personalmente Alberto fu un aristotelico convinto e insistette (i) sull’autonomia delle scienze naturali nel loro campo, (ii) sull’impossibilità di scoprire le “cause reali” dei fenomeni naturali in quanto naturali, attraverso la matematica e (iii) sulla necessità di stabilire i fondamenti dell’etica e della metafisica nella natura delle cose del mondo reale, cioè nell’ambito della filosofia naturale. Questo non significa che Alberto fu integralista nell’accettare, alla lettera, tutto quello che Aristotele aveva detto, o che escluse qualsiasi verità proveniente da qualunque altra fonte compatibile con le sue convinzioni cristiane. Semplicemente vuol dire che Alberto fu veramente un realista e accolse l’autonomia della ragione umana nel suo campo, perché niente di quanto la ragione correttamente conosce può entrare in contraddizione con la verità rivelata» (Weisheipl, 1994, p. 38).

L’intento della nostra breve esposizione, non potendo certo qui mettere in rilievo in tutti i suoi aspetti l’importanza del doctor universalis, sarà piuttosto quello di commentarne un ambito che riteniamo dei più fruttuosi: esaminare la “parte scientifica” del suo pensiero. E anche a proposito di questa, non potendo entrare nella discussione di ogni singolo scritto, ci limiteremo a richiamare gli aspetti fondamentali dell’universo intellettuale di Alberto, alle particolarità della sua impresa e delle sue iniziative scientifiche, all’importanza che la sua visione scientifico-filosofica può ancora oggi rivestire.

III. La scienza di Alberto Magno

Come Aristotele, Alberto Magno è l’uomo dell’osservazione empirica, ed è dotato di un realismo critico davvero eccezionale. L’osservazione scientifica la compiva, per così dire, seguendo “spontaneamente” il metodo aristotelico, ancor prima di aver avuto un’estesa conoscenza del corpus peripateticorum. Durante i suoi viaggi, in gioventù e poi per quasi vent’anni come “lettore” in diversi conventi dell’Ordine domenicano in Germania (prima di esser nominato alla prestigiosa cattedra di Parigi), egli osserva, classifica e cerca di spiegare i fenomeni mediante “ragioni naturali”; come Aristotele, si interessa specialmente alla fauna e alla flora, e dunque alla biologia. Possiamo in questo associarlo in parte ad Ildegarda di Bingen (1098-1179), la famosa redattrice della prima classificazione della flora tedesca. Alberto raccoglie elementi di sapere ovunque li trovi: osservazione propria, racconti o esperienze di autori credibili, autorità riconosciute. Egli ha acquisito tutti i criteri e gli strumenti della scienza aristotelica; come e più ancora di Aristotele, egli critica le opinioni delle auctoritates valutandole con la propria ragione e con osservazioni da lui personalmente condotte.

Durante gli anni di lettorato, Alberto deve aver assimilato il sapere del suo tempo giungendo ad una matura formazione scientifica: non si comprenderebbe, altrimenti, come sia potuto divenire il secondo docente non francese in una delle più prestigiose cattedre dell’Ordine a Parigi. Come Aristotele, egli ha una mente da biologo: spiega tutto in modo “organico”, dopo un’osservazione empirica, sobria e critica, orientata alla considerazione “completa” del fenomeno. È proprio questo tipo di approccio che può renderne attuale il pensiero, in un momento in cui la scienza contemporanea, mediante un largo utilizzo delle tematiche della complessità e della analogia, si dirige verso una comprensione non riduzionista del rapporto tra il tutto e le parti, spostandosi da un’impostazione meccanicista e fisicalista verso una visione più organica, in certo modo affine a quella biologica.

Alberto si interroga sul fenomeno e sulla “cosa”, in tutti i suoi aspetti, si confronta con le opinioni delle autorità, ne dà poi una descrizione in termini di cause e di ragioni, proprio secondo lo stile di quella razionalità peripatetica che egli trova come “fatta su misura” per lui. Il quadro di riferimento per una spiegazione causale viene dato da quella che Aristotele aveva proposto come una “proto-filosofia”, la metafisica, ma che in ambito cristiano si potrebbe agevolmente inquadrare in una “teologia naturale della creazione”: «Questa scienza è chiamata anche divina, perché tutti questi princìpi sono divini, ottimi e primi, fornendo a tutte le altre realtà il loro compimento nell’esistenza. Perché l’esistenza (esse) che questa scienza considera non è contratta da questo o da quel genere di esistenza, ma è piuttosto considerata in quanto è il primo flusso proveniente da Dio e la prima creatura, prima della quale nient’altro è creato» (Metafisica, I, tr. 1, c. 1, Ed. Coloniensis, vol. XVI/1, pp. 2-3).

La metafisica fornisce per lui la “teoria dei fondamenti” — come diremmo oggi — di tutte le altre scienze, che vengono inquadrate secondo una collocazione gerarchica e analogica che si ritroverà poi in Tommaso (cfr. In Boethii de Trinitate, II, q. 1, a. 3, ad 6um). Si tratta del sapere intorno ai princìpi dell’essere, dell’Assoluto come fondamento di ogni razionalità, sul fondo del quale il contingente diventa intelligibile e può essere compreso come l’incarnazione limitata dell’idea nel tempo e nello spazio. Ecco la sintesi della sua epistemologia, espressa con le stesse parole di Alberto: «La prima [scienza] nell’ordine reale (secundum ordinem rei) è quella che si occupa in maniera universale dell’ente (ens) in quanto ente, astraendo dal moto e dalla materia sensibile in se stesso o nei suoi princìpi, sia secondo l’essere (esse) che secondo la ragione (ratio). E questa è la filosofia prima, chiamata metafisica o teologia. La seconda nello stesso ordine reale è la matematica, che astrae dal moto e dalla materia sensibile secondo l’essere ma non secondo la ragione. L’ultima è la fisica, che considera interamente il moto e la materia sensibile sia secondo l’essere che secondo la ragione» (Physica, I, tr. 1, c. 1, Ed Coloniensis, vol. IV/1, p. 1, vv. 49-58).

Alberto — come già Aristotele — è una sorta di “empirista critico”: ambedue hanno in comune la convinzione profonda che lo spirito umano sia aperto alla struttura della realtà. Partendo dalla conoscenza sensibile, la mente la struttura secondo l’essere: partendo dal dato empirico, essa isola per modo di induzione i primi princìpi fondamentali che governano l’essere e nel contempo fondano la conoscenza. Una volta passata dall’empiria all’assoluto universale, essa scende di nuovo nel contingente per applicarvi i princìpi trovati e per elucidare ogni parte della creazione, per assegnare ad ogni cosa il suo luogo nel tutto, in una sorta di “ecologia dell’essere”. Già Aristotele aveva in fondo scoperto che la metafisica, in fin dei conti, diventava teologia (naturale); per Alberto, ricercatore cristiano nell’orizzonte culturale dell’occidente cristiano nutritosi di agostinismo, la philosophia realis parte da una teologia naturale, o forse meglio, da una teologia della creazione.

A ben vedere, possiamo parlare qui di una “scienza eidetica”, e forse di una “osservazione disinteressata”, non utilitaristica, un’osservazione, che richiede un giudizio pronunciato della mente, sulla cosa osservata che viene integralmente rispettata in se stessa, una scienza che vale anche per l’arte e per il mondo della vita. Una scienza, dunque che fa da ponte fra la scienza teorica, di intendimento quasi matematico, ed il sapere dell’agire in modo umano, secondo precisi valori, una scienza con un carattere unitario e progettuale. Sia Aristotele che Alberto rifiutano una scienza riduzionista, appiattita, democritea, nel senso di riduzione a quantità, o relazione matematica, come se solo in una tale descrizione “unidimensionale” risiedesse ogni ragione, ogni intelligibilità dell’essere creato. «Bisogna guardarsi dall’errore di Platone, che diceva che le realtà naturali erano fondate in quelle matematiche e quelle matematiche in quelle divine, come la terza causa è fondata sulla seconda e la seconda sulla prima, e perciò affermava che le realtà matematiche sono princìpi di quelle naturali, il che è completamente falso» (Metaphysica, I, tr. 1, c. 1, Ed. Coloniensis, vol. XVI/1, p. 2, vv. 31-35).

Si è spesso rivolta contro Alberto Magno l’obiezione che la sua scienza sia soltanto una grande “enciclopedia”, per di più mal fatta, e che egli manchi di un rigoroso sistema. Alberto risponderebbe piuttosto che l’intenzione della scienza è essenzialmente l’intellezione della natura: egli si sforza di ritrovare la struttura intelligibile del cosmo, com’è, in tutta la sua pienezza; intende giungere a contemplarlo nella razionalità del progetto che lo sostiene come universo materiale. Il sistema si trova “dentro”, risiede nell’oggetto della nostra osservazione, preso in senso totale. Tutto ciò che viene osservato e studiato s’innesta, dunque, secondo l’ordine della creazione, armoniosamente, in una veduta globale metafisico-teologica, che si svela una volta che sia stata compresa la strutturazione intelligibile di ciò che è.

La scienza sarebbe dunque il tentativo di intravedere — sebbene in uno specchio rotto — la pienezza ed armonia estesa delle cose create, la pienezza intensiva dell’Essere stesso, attraverso un’immagine e un riflesso limitato. In una tale visione anche la più piccola cosa merita tutto il nostro interesse, perché riflette la bontà e la verità del Creatore. Tali considerazioni possono forse condurci ad una reminiscenza platonica in Alberto, ma non si può neanche dissociare troppo Aristotele da Platone, e Alberto questo l’aveva ben compreso. L’interesse dedicato alle cose singole, però, deve essere oggettivo ed integrale, non soggettivo e parziale, limitato al mondo secondario delle apparenze (oppure a quello delle idee in senso platonico), quasi non avesse un valore vero e proprio in sé: ecco la precisazione che dinanzi al platonismo fa il grande naturalista Alberto, come già Aristotele.

In una parola, la scienza di Alberto si potrebbe chiamare «integrale»: una scienza di apertura metafisica così come di apertura categoriale. Si tratta di una radicale fedeltà e sincerità della mente in confronto all’oggetto com’è; si tratta veramente di verità nel senso di adaequatio mentis ad rem. In una tale visione si può senz’altro inserire — come aveva già anticipato Aristotele — ogni scienza particolare: essa rimane ben legata ad un orizzonte che le dà la misura ed il centro; ogni riduzionismo metodico viene di nuovo risolto nel tutto del ragionamento per cause naturali, le quali sono rese intelligibili dai princìpi dell’essere stesso.

Alberto è un grande scolastico: egli rappresenta da solo quasi un’università completa, tanto vasto è il suo interesse e il suo sapere. Ma egli non ci propone una scienza arida, scheletrica, basata su una rigida discussione scolastica. Al contrario, le sue opere sono ricche di esperienza vissuta, quella di uno scienziato che attinge alle fonti vive di una scienza esuberante. Un uomo immerso nella vita della sua epoca, della quale avvertì i bisogni e le necessità. Un uomo dotato di spirito critico, il quale, ben sapendo che non si può ripetere ogni tipo di esperimento e bisogna pur sempre affidarsi a delle autorità (cosa che accade anche nella scienza odierna), intende comprovarne l’affidabilità prima di aderire alle loro teorie. Un uomo coraggioso, che in un mondo forse troppo fedele alle auctoritates, osa porre la propria osservazione ed il proprio ragionamento logico, “secondo cause naturali”, al di sopra delle opinioni delle autorità stesse, anticipando a suo modo l’idea della verifica scientifica, e con essa quella mentalità scientifica che caratterizzerà i tempi moderni. Alberto è dunque un pensatore che sa distinguere con lucidità e sicurezza l’oro della verità dall’ottone della ciarlataneria: questo vale anche per la scienza di moda nel suo tempo, l’alchimia, della quale egli volle mostrare anche i limiti, dichiarando e tenendo per certo — col suo consueto stile oggettivo e sobrio — che non si possono mutare elementi poveri in oro mediante una colorazione, ma semmai mediante una trasmutazione di elementi.

Dal concetto dell’affinità chimica fino alla questione di un ordine intrinseco ed efficace presente nei processi naturali, dal problema dell’osservazione empirica fino alla questione della formazione di una “teoria” (o visione della natura), Alberto è sempre alla ricerca della coerenza e del nesso naturale, inteso come il nucleo della creazione. E poiché egli conduce la sua ricerca in un momento di rinascita del pensiero classico, i dati di fatto (la realtà) non gli appaiono irrazionali, ma aperti allo spirito umano. Lo spirito umano che si interroga e ricerca non è alieno alla creazione, ma proviene anch’esso dallo Spirito del Creatore, le cui tracce l’uomo può riconoscere nell’universo. In tale clima di pensiero, non è dunque lo spirito umano ciò che pone ordine in una realtà ritenuta di per sé inintelligibile, ma, al contrario, è dalla stessa realtà creata e dal dialogo sublime con il Creatore che ogni intelligibilità deve essere attinta.

IV. Un confronto con i modelli scientifici medioevali

L’impresa scientifico-filosofica legata al nome di Alberto Magno non rappresenta certamente il solo modo di fare scienza nel medioevo, benché, come lamentava Ruggero Bacone, questo sia stato di fatto quello emergente.

1. I modelli neoplatonici di scienza. Di fronte all’aristotelismo cristiano, fra i modelli epistemologici che avevano un valore fondante per la cultura, al neoplatonismo dell’epoca rimanevano due possibilità. La prima di esse era il modello allora tradizionale, cioè quello professato con particolare chiarezza dalla Scuola di Chartres, secondo il quale le conoscenze in materia naturale venivano interpretate in senso platonico, specialmente alla luce del Timeo (si pensi all’opera di Boezio). Questo dialogo platonico è un vero compendio di conoscenze ed interpretazioni riguardanti il mondo naturale. Esso si muove in un contesto che si poteva facilmente accordare con l’agostinismo allora in auge: motivato dalla propria bontà e secondo un’idea eterna, il demiurgo crea il mondo come un kósmos ordinato, retto da un’anima universale e lo fa ad immagine della sua sapienza e bontà. Mediante una continua interazione fra ragione, necessità e spazio, si costruisce tutto l’universo platonico. Il demiurgo stesso, responsabile anche della creazione dei vari dèi dai quali prenderanno forma tutte le cose, dai residui della formazione dell’anima universale crea l’anima umana immortale, che immetterà in un corpo mortale. Queste poche righe bastino qui per indicare il clima generale del Timeo e di quanto esso poté ispirare.

La seconda possibilità era rappresentata dal modello pitagorico, il modello della matematizzazione assoluta. Di fatto, lo stesso platonismo indica una forte inclinazione verso la matematica, come può evincersi dal Timeo. Era pertanto da attendersi che tale tendenza alla matematizzazione si concretasse in una scuola: nel medioevo vi troviamo impegnati personaggi come Roberto Grossatesta (1175-1253) e, ancora, Ruggero Bacone. Benché Grossatesta contribuisse molto alla diffusione del corpus aristotelicum (tramite le sue traduzioni), nel suo studio e nella sua ricerca egli era partigiano del pitagorismo, influenzando in questo anche Bacone. Anch’egli stima molto Aristotele, ma non lo segue, ed insistendo nelle sue opere principalmente sulla via matematica, finirà col diventare nemico accanito dell’approccio albertino, realista e sperimentale. Secondo Ruggero Bacone, la conoscenza scientifica si caratterizzava come intendimento matematico della natura, con la disciplina dell’ottica (perspectiva) quale scienza che fungeva da base e da modello. Egli insisteva sul valore pratico e quasi tecnologico della scienza, che prevedesse, per dirla con Popper, una “verifica” o “falsificazione” per modum experimenti. Però, tale esperimento non è concepito come lo era l’osservazione oggettiva aristotelica, cara ad Alberto, bensì come un experimentum del tipo di quello dell’astronomia di Tolomeo, per il quale ciò che conta è “salvare i fenomeni”, mentre la verità era garantita da idee innate.

2. Il confronto tra il modello albertino e quello baconiano. Nel modello pitagorico di scienza, seguito da Bacone, i fatti sono ridotti, in modo analitico, a princìpi teoretici, giustificati dall’intuizione di idee innate e concernenti solo l’aspetto quantitativo. Invece, nel modello albertino-aristotelico, i fatti sono giustificati da un’intuizione che si fonda sui princìpi dell’essere, trovati nell’organizzazione stessa delle cose reali, nell’ordine del sensibile. Per tentare una certa sistematizzazione si potrebbe forse dire che sotto il regno del platonismo scientifico nel medioevo, ispirato al Timeo, sorgono due possibilità alternative, l’una e l’altra intimamente legate al problema fondamentale platonico: a) la via delle “cose in sé”, che riflettono l’essere, e dunque una scienza empirica, ma integrale e metafisicamente aperta; b) la via pitagorica dell’ordine matematico, con l’intuizione dei rapporti armonici: una specie di idealismo il quale, mediante la riduzione alla quantità misurabile e l’impiego della matematizzazione, termina “appiattendosi” sulle cose materiali, fisiche; un idealismo che si capovolgerà presto nel (Ú) materialismo monistico di buona parte della scienza moderna, divenuta poi metafisicamente chiusa.

Il punto cruciale del confronto fra una scienza secondo il modello di Ruggero Bacone e quello di Alberto Magno sembra risiedere nel diverso tipo di scienza che fa da modello epistemologico di riferimento. Per Bacone, il modello di riferimento è offerto, come abbiamo già indicato, da una disciplina particolare nell’ambito della fisica: la perspectiva, ossia l’ottica. Assistiamo qui ad un ragionamento, se si vuole, pre-gassendiano o pre-cartesiano. La fisica, attuata in una disciplina particolare (l’ottica), diventa il modello della scienza come tale, e in fin dei conti tutto dovrebbe essere ridotto ad una fisica così intesa. Chiamiamo tale tendenza fisicalismo, matematizzazione, o anche, geometrizzazione ad oltranza. Per Alberto, invece, si tratta di un pensiero più o meno organologico, di tipo biologico, senza però cadere in un puro biologismo. Il modo di procedere della (Ú) biologia darebbe l’ispirazione per una procedura scientifica, conscia del “concreto”: si rispetta la molteplicità dei punti di vista, si riconosce che ogni oggetto richiede il suo metodo particolare di osservazione ed intellezione, adatto alla situazione, ci si riferisce a cause naturali “integre”.

Quanto alle conseguenze derivabili da questi due modelli epistemologici, potremmo dire, sinteticamente, che lungo la linea baconiana si giunge alla scienza tecnologica odierna, segnata dalla volontà di dominio sulla natura, secondo una tendenza che fu quella del sogno della magia: tutto diventa calcolabile, prevedibile e realizzabile dall’uomo a suo piacimento (Ú Natura, VI). Pare già qui manifestarsi il mito del (Ú) progresso, legato ad un’ideologia secondo la quale nulla è sottratto al potere della tecnocrazia: tutto può e deve esser fatto. Con la scienza di Alberto, invece, si giungerebbe ad un più equilibrato sfruttamento dei ritmi e delle ricchezze naturali, senza forzature; una scienza molto più fine, sottile ed elegante. Il suo prototipo sarebbe una biologia delle grandi simbiosi, nelle quali l’uomo si riconoscerebbe come il primogenito; l’uomo dispone di un’osservazione applicata a cause che sono finalizzate, in modo naturale, ad un effetto che non fa violenza all’ordine della creazione, del quale egli si sente responsabile. Una certa “ascesi” tecnocratica sarebbe dunque l’indole innata di tale cultura.

V. Riflessioni conclusive

Si percepisce una chiara consonanza fra la scienza che sognava Ruggero Bacone e quella dei tempi moderni: troviamo un’analogia sia per quanto riguarda la finalità, che per quanto riguarda il modello epistemologico di riferimento. La nostra scienza formalmente riduce tutto alla categoria di quantità: la parola d’ordine è quantifiers, si assoggetta tutto alla matematizzazione; una spiegazione “per cause integrali” non si trova più, a meno che essa non abbia una rappresentazione in qualche formalismo matematico. Dal causalismo siamo giunti ad un fenomenismo statistico, che si traduce in una formula: si potrebbe forse dire che la matematica applicata prende il posto dell’ontologia. Quanto al contenuto della scienza, esiste una forte tendenza al riduzionismo verso una disciplina chiave, la (Ú) meccanica quantistica, che dovrebbe rendere calcolabile ogni fenomeno materiale, anche in biologia. Per ciò che riguarda la scienza come tale, in quanto sapere umano, si può dire che la sua principale motivazione sembrerebbe non più essere la ricerca della (Ú) verità, ma la ricerca del potere: ogni conoscenza si trasforma subito in (Ú) tecnologia e l’utilità tecnologica diventa un fattore selettivo nel progresso delle scienze. Il modello di una scienza riduzionista e matematizzata ci ha dato un potere inaspettato sulla materia, fornendoci una conoscenza sorprendente e una profonda esplorazione nel campo della quantità.

Oggi c’è però un nuovo ed urgente lavoro da compiere: occorre prendere coscienza delle tendenze che si delineano “all’interno” della scienza, verso la riunificazione dei rami dispersi, rappresentati dalle scienze particolari. Sempre di più la scienza rileva, e talora dimostra, che con una riduzione metodologica alla sola categoria della quantità si giunge a dei limiti insormontabili. Molte questioni sui fondamenti costringono alla riformulazione di alcuni concetti di base della fisica, della matematica e delle altre discipline, spingendo la scienza verso inaspettate aperture, che mettono in crisi il riduzionismo tradizionale e suscitano domande analoghe a quelle che si ponevano già secoli or sono, nell’ambito della logica e della metafisica aristotelica e medioevale. È forse il momento giusto per ricordare che la scienza di ispirazione baconiana ha fornito delle soluzioni per un aspetto parziale dell’essere e per attirare l’attenzione sulla feconda possibilità di ricerca che sorge quando si opera un medesimo slancio intellettuale verso altre categorie ugualmente in gioco nella realtà.

Questa ricomposizione e questo recupero erano in fondo il progetto caro ad Alberto Magno, possibile solo mediante un “ragionare per cause integrali”, verso una spiegazione completa del fenomeno, in una unità scientifica, filosofica e teologica. Alberto intendeva attribuire ad ogni cosa la giusta, appropriata attenzione. Per questo la sua opera può apparire come una sorta di Enciclopedia, mentre nell’insieme è piuttosto il risultato di una concezione plurivalente e pluriforme della realtà, come un cristallo le cui varie sfaccettature possono cogliersi solo con uno sguardo amoroso e innocente, che ruota stupito attorno al suo oggetto. L’unità del sapere si trova per Alberto nell’unità del creato, ma anche nella mente di chi conosce, quando questi si applica alle diverse discipline, teologia inclusa, con la medesima razionalità ed intenzionalità amorosa, nella convinzione che il Dio creatore è lo stesso Dio rivelatore. Per questo, come dimostra la sua vita, egli può “saltare” da una scienza all’altra ed occuparsi di problemi diversi: biologo e pacificatore, teologo ed amministratore.

Parlando dell’opera di Alberto Magno, alla luce della particolare epoca in cui egli visse, e del suo valore e significato per il rapporto fra la fede e la scienza, Giovanni Paolo II si esprimeva così, a Colonia, nel 1980: «Gettiamo brevemente uno sguardo alla situazione storico-culturale dell'epoca di Alberto. Essa è contrassegnata dalla riscoperta crescente della letteratura aristotelica e della scienza araba. L'occidente cristiano fino ad allora aveva tenuto desta e sviluppata scientificamente la tradizione dell'antichità cristiana. Ora essa si incontra in una visione complessiva del mondo non cristiana, fondata unicamente su una razionalità profana. Molti pensatori cristiani, dei quali alcuni rinomati, videro in tale fatto soprattutto un pericolo. Ritennero di dover difendere contro di esso l'identità storica della tradizione cristiana. D'altro lato, vi furono persone e gruppi radicali che, giudicando insolubile il conflitto tra razionalità scientifica e verità di fede, fecero le loro scelte a favore di questa “scientificità”. Tra questi due estremi Alberto percorre la via di mezzo: viene riconosciuta l'istanza di verità di una scienza razionalmente fondata; anzi, essa viene accettata nei contenuti, completata, corretta e sviluppata nella sua intrinseca esigenza di razionalità. E proprio in questo modo viene resa patrimonio del mondo cristiano. Questi a sua volta vede enormemente arricchita la propria comprensione del mondo, senza per ciò rinnegare alcun elemento essenziale della propria tradizione e soprattutto nessuno dei fondamenti della propria fede. […] Alberto riconosce l'articolarsi della scienza razionale in un complesso di ordine di conoscenze diverse, ove essa trova conferma della sua natura peculiare ed insieme si scopre orientata verso le mete proprie della fede. In questo modo Alberto ha concretizzato lo statuto di una intellettualità cristiana, i cui princìpi fondamentali sono da ritenersi ancor oggi validi» (Incontro con scienziati e studenti nella cattedrale di Colonia, 15.11.1980, n. 2).

Sancti Alberti Magni cultus addito doctoris titulo, AAS 24 (1932), pp. 5-17; Sanctus Albertus Magnus cultorum scientiarum naturalium coelestis patronus declaratur, AAS 34 (1942), pp. 89-91; Giovanni Paolo II, Incontro con scienziati e studenti nella cattedrale di Colonia, 15.11.1980, Insegnamenti III,2 (1980), pp. 1200-1211.

Bibliografia

Opere di Alberto Magno: Opera Omnia, a cura dell’Institutum Alberti Magni Coloniense e diretta da B. Geyer, Aschendorff, Münster 1951– (nota come Editio Coloniensis, prevista in 40 tomi, non ancora conclusa); Opera Omnia, a cura di Auguste Borgnet, 38 voll. Vives, Paris 1890-1899 (rimasta incompleta). Bibliografie: H. Laurent, M.Y. Congar, Bibliographie albertine, “Revue thomiste” 30 (1931), pp. 422-168; M. Schooyans, Bibliographie philosophique S. Albert le Grand, 1931-1960, “Revista de Universidade Catolica de São Paulo” 21 (1961), nn. 37-38; T. O’Meara, Albert the Great. A Bibliographical Guide, “Thomist” 44 (1980), pp. 597-598. Fra le edizioni in lingua italiana: Tesori di vita spirituale. Estratti dalle opere di S. Alberto Magno dottore della Chiesa, a cura di A. Dezani, SEI, Torino 1935; Il sacramento dell'amore. Elevazioni sul mistero eucaristico, Libreria Editrice Gregoriana, Padova 1939; L'unione con Dio, a cura di P.M. Perna, Paoline, Roma 1962; Il bene. Trattato sulla natura del bene, Rusconi, Milano 1987.

Fra le opere su Alberto Magno: P.F. Mandonnet, Albert le Grand, in DTC, vol. I, coll. 666-674; G. Delorme, Bacon, Roger, in DTC, vol. II, coll. 8-31; F. Pelster, Kritische Studien zum Leben und zu den Schriften Alberts des Grossen, Herder, Freiburg 1920; M. Mastrorilli, La filosofia naturale di Alberto Magno, Napoli 1922; H. Balss, Albertus Magnus als Zoologe, München 1928; M. Grabmann, L’influsso di Alberto Magno sulla vita intellettuale del medioevo, Roma 19312; H. Wilms, Alberto Magno, Bologna 1931; P.G. Meersseman, Introductio in Opera Omnia B. Alberti Magni, Beyaert, Bruges 1931; H. Scheeben, Albertus Magnus, Verlag der Buchgemeinde, Bonn 1932; A. Garreau, Albert le Grand, Desclée, Paris 1932; M. Grabmann, Der hl. Albert der Grosse, ein wissenschaftliches Charakterbild, M. Hüber, München 1932; B. Monterosso, Il contributo di Alberto Magno alla conoscenza degli organismi animali, Napoli 1942; F. Tinivella, Il metodo scientifico in S. Alberto Magno e Ruggero Bacone, “Angelicum” 21 (1944), pp. 65-83; A. Walz, L’opera scientifica di Alberto Magno secondo le indagini recenti, “Sapienza” 5 (1952), pp. 442-457; J.A. Weisheipl, Albertus Magnus and the Oxford Platonists, in “Proceedings of the American Catholic Philosophical Association” 32 (1958), pp. 124-139; P. Simon, Alberto Magno (s.), in “Enciclopedia filosofica”, Edipem, Roma 1979, vol. I, pp. 151-158; J.A. Weisheipl, Albert the Great, St, in “New Catholic Encyclopedia”, McGraw-Hill, New York 1967, vol. I, pp. 255-258; W.A. Wallace, Albertus Magnus, Saint, in DSB, vol. I, 1970, pp. 99-102; R. Mathes, Incontro con Alberto Magno. Breve presentazione nel VII centenario della sua morte, “Sacra Doctrina” 94 (1980), pp. 293-310; T. Vinaty, Sant'Alberto Magno embriologo e ginecologo, “Angelicum” 58 (1981), pp. 151-180; J.-P. Torrell, La question disputée “De prophetia” de saint Albert le Grand, “Revue des sciences philosophiques et théologiques” 65 (1981), pp. 5-53; 197-231; Pontificia Università S. Tommaso (a cura della), Sant’Alberto Magno, l’uomo e il pensatore, Massimo, Milano 1982; G. Wilms, Sant’Alberto Magno. Scienziato, filosofo e santo, ESD, Bologna 1992; J.A. Weisheipl (a cura di), Alberto Magno e le scienze, ESD, Bologna 1994.