Nato a Lismore, nella provincia di Munster in Irlanda, il 25 Gennaio 1627, settimo maschio tra i quattordici figli del Conte di Cork, Robert Boyle studiò in giovanissima età il latino, il greco ed il francese, a solo otto anni fu mandato al Collegio di Eton. Dopo tre anni di frequenza, intraprese, sotto la guida di un tutore francese, un lungo viaggio che lo portò in Francia, in Svizzera ed in Italia (1641-1644). In particolare soggiornò per due anni a Ginevra e trascorse l'inverno del 1641 a Firenze dedicandosi allo studio di Galileo Galilei (morto nel 1642). È durante questi anni, come scriverà poi Boyle nella sua autobiografia, che si convertì al Cristianesimo, esperienza che ne influenzerà l'intera esistenza. La sua profonda religiosità è più importante della sua estrazione nobiliare per comprendere la sua complessa personalità di intellettuale e di scienziato.
Rientrato in Irlanda alla fine del 1644, alla morte del padre ereditò la tenuta di Stalbridge nel Dorset (dove costruì un laboratorio) ed altre proprietà. Dal quel momento si dedicò agli studi scientifici, fatto salvo un periodo iniziale nel quale si dedicò all'aretologia (è di quegli anni la stesura di Seraphic Love pubblicato poi nel 1660) occupando un posto di primo piano nel gruppo di ricercatori chiamato “The Invisibile College”, tra i quali vi era anche Isaac Newton, che aveva scelto la prospettiva della nuova “filosofia sperimentale”. Da questo gruppo sarebbe nata successivamente la “Royal Society” (fondata nel 1660) di cui Boyle divenne in seguito presidente. Frequentò il Gresham College di Londra e la città di Oxford, dove si trasferì nel 1654. Nel 1657, stimolato dalle letture di un resoconto degli esperimenti di pneumatica effettuati da Otto Von Guericke, Boyle cominciò a pensare di costruire uno strumento che consentisse di produrre agevolmente il vuoto. Grazie alla collaborazione del suo assistente Robert Hooke, famoso per la sua abilità tecnica nell'escogitare efficaci soluzioni anche per i più difficili problemi sperimentali, egli riuscì ben presto a realizzare una pompa pneumatica, conosciuta come "macchina boyleiana", con la quale fu in grado di compiere importanti esperimenti ed esperienze, descritte nei Nuovi esperimenti fisico-meccanici intorno all'elasticità dell'aria ed ai suoi effetti del 1660. Gli esperimenti compiuti con la pompa pneumatica messa a punto da Hooke consentirono a Boyle di dimostrare che la sospensione della colonna di mercurio nel tubo barometrico, rilevato dalle esperienze Evangelista Torricelli nel 1644 , era riconducibile senza incertezze alla pressione atmosferica, che il suono era impossibile nel vuoto, che l'aria era indispensabile alla vita e alla combustione e, inoltre, che essa era caratterizzata da una permanente elasticità. Fece inoltre studi sulla densità relativa e sulla rifrazione, sui cristalli, sull'elettricità, sui colori, sull'idrostatica. Proprio studiando questa caratteristica dell'aria, e attraverso ulteriori esperimenti descritti nella seconda edizione dei New Experiments (1662), Boyle giunse a determinare la relazione che lega il volume e la pressione di un gas a temperatura costante stabilendo così quell'importante principio fisico noto con il nome di "legge di Boyle", enunciata rispondendo alle critiche del Gesuita, Franciscus Linus (1595-1675). Le legge di Boyle (1662) o legge dell'isoterma afferma che per un gas ideale a temperatura T costante il prodotto della pressione (assoluta) p per il volume V è costante, cioè in formule pV = costante (per T costante). È giusto segnalare che nel formulare la sua legge, Boyle non specificò che la temperatura dovesse essere mantenuta rigorosamente costante, condizione necessaria perché la relazione pV = costante sia effettivamente verificata. Egli diede infatti per scontata una tale precauzione; tuttavia il fisico francese Edme Mariotte (1630-1684), che scoprì indipendentemente la stessa legge, specificò chiaramente che la temperatura doveva essere mantenuta costante e per questa ragione nell'Europa continentale la legge di Boyle circola spesso col nome di legge di Boyle-Mariotte.
Benché portasse a termine un gran numero di importanti lavori nel campo della fisica, la chimica fu la scienza a cui si dedicò, tanto è vero che la sua fama è saldamente legata alla definizione della nozione di "elemento chimico", enunciata per la prima volta nell'opera The Sceptical Chymist (Il chimico scettico), pubblicata a Londra nel 1661. In questo lavoro, egli proponeva una rigorosa concezione corpuscolaristica della materia, in drastica opposizione alla tradizionale teoria aristotelica dei quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco). Criticava gli «esperimenti tramite i quali i volgari spagiristi tentavano di provare che Sale, Zolfo e Mercurio fossero i veri Principi della Materia». Per lui la chimica era la scienza della composizione delle sostanze, non banalmente un'aggiunta alle arti degli alchimisti o dei fisici. Fece passi avanti verso la moderna visione degli elementi come costituenti indivisibili della materia. Comprese la distinzione tra miscele e composti, ipotizzò inoltre che gli elementi fossero fondamentalmente composti di particelle di varia specie e misura, in cui, tuttavia, essi non potevano essere scomposti in alcun modo noto. La chimica applicata gli è debitrice di una migliore metodologia sperimentale e di ricerca, nonché di una conoscenza più ampia delle singole sostanze. Studiò anche la chimica della combustione e della respirazione, e fece esperimenti di fisiologia, nei quali, comunque, era ostacolato dalla "tenerezza della sua natura" che gli impediva di eseguire dissezioni anatomiche, in particolare di animali viventi, sebbene sapesse che erano "estremamente istruttive".
Nel 1664 pubblicò un saggio, La storia sperimentale dei colori , in cui fra l'altro proponeva di utilizzare i pigmenti di numerosi fiori come indicatori di acidità o basicità di determinate soluzioni. Malgrado condividesse in pieno l'impostazione meccanicistica cartesiana, sui colori non condivise l'idea del maestro; secondo Boyle i colori erano in grado di evidenziare la composizione delle sostanze colorate, erano, pertanto, una proprietà intrinseca degli oggetti. Questa idea, per le sue successive applicazioni in campo chimico, si rivelò molto feconda.
I contatti avuti con i discepoli di Galileo, lo studio dei lavori sull'atomismo di Gassendi, di cui conosceva l'opera La sintesi filosofica di Epicuro pubblicata nel 1649, determinarono in Boyle la convinzione sull'importanza della distinzione tra qualità oggettive dei corpi e qualità dipendenti dal nostro modo di percepirli. Boyle stesso introdusse, per distinguerle, i termini di qualità primarie e secondarie, destinati a far fortuna con Locke (1632-1704), di cui fu molto amico. Soprattutto capì che la scienza ha, essenzialmente, lo scopo di depurare le proprietà oggettive, neutralizzando l'influsso che, sul modo di percepire i fenomeni, può esercitare la costituzione del soggetto. Questo programma, che egli riprende da Democrito e da Epicuro, fu esposto nella Origine delle forme e delle qualità (1666), in cui Boyle sostenne l'esistenza di una materia universale, comune a tutti i corpi, estesa, divisibile e penetrabile, formata da innumerevoli particelle, ciascuna delle quali è solida, impercettibile ed ha una propria determinata configurazione.
Nel 1668 lasciò Oxford per Londra dove risiedette a casa di sua sorella, Lady Ranelagh, in Pall Mall. Amplissima fu in quegli anni la sua produzione scientifica. Nel 1688, nel saggio Alcune osservazioni curiose sui difetti della visione , descrisse con chiarezza e precisione numerosi casi di difetti visivi, fra i quali anche il caso di una giovane donna che, a partire dall'età di 18 anni, a causa di una malattia, aveva perso la capacità di vedere i colori, tanto che, se cercava di cogliere delle violette, non era in grado di distinguerle dall'erba circostante; si tratta di uno dei primi resoconti di questo genere, presenti in letteratura.
Oltre che alle scienze naturali, Boyle si dedicò alla filosofia naturale ed alla teologia (un quarto della sua produzione letteraria è infatti di carattere teologico), studiò l'ebraico e l'aramaico per poter leggere la Bibbia nella lingua originale, di cui raccomandava la lettura ogni giorno con regolarità. Sarebbe stato eletto prevosto di Eton, dopo la Restaurazione , se solo avesse preso i voti, ma rifiutò sostenendo che i suoi scritti avrebbero avuto maggior forza provenendo da un laico piuttosto che da un ministro stipendiato dalla Chiesa. Fra le sue opere di ambito apologetico vanno menzionate: Reflection about the Reconcileableness of Reason e Religion (1675), Discourse of Things above Reason (1681), Disquisition about the Final Causes of Natural Things (1688), e soprattutto The Christian Virtuoso (1690) di cui il lettore può trovare alcuni brani in questo Portale. Quest'ultima opera è di fondamentale importanza per il contributo che Boyle porterà alle riflessioni sul rapporto tra Dio ed il creato, e la possibilità dell'uomo di conoscere il creatore a partire dall'osservazione della natura.
Si profuse, inoltre, in opere di carità e, come Amministratore della Compagnia delle Indie Orientali, investì ingenti somme per promuovere l'espansione della Cristianità in Oriente contribuendo alle attività missionarie ed alla traduzione della Bibbia o parti di essa in diverse lingue. Per volontà testamentaria diede inizio alle “Boyle's Lectures”, un ciclo di conferenze di apologetica destinato ad avere una secolare tradizione, aventi per finalità quella di dimostrare la verità della religione cristiana anche in contesto scientifico.
Nel 1689, dopo essersi battuto contro la legge di Enrico IV contro la moltiplicazione di oro ed argento, incominciò ad essere cagionevole di salute, isolandosi dal mondo per “raccogliere il suo spirito e riordinare le sue carte”. La sua salute peggiorò nel 1891, e il 30 dicembre di quello stesso anno, morì, una settimana dopo la sorella con la quale visse venti anni. L'omelia nel giorno del suo funerale fu tenuta dal Vescovo Burnet, suo amico. Boyle fu sepolto nel cimitero di St Martins in the Fields.
Robert Boyle può essere considerato il più grande chimico e fisico del Seicento. Ebbe il merito di emancipare la chimica dalla alchimia e dalla medicina. Le parole di Francesco Redi, anch'egli scienziato del Seicento, chiamato il “Boyle italiano”, definiscono al meglio il personaggio Boyle: «litterato di alta fama, dotto, diligente e sempre veridico e meritevole d'ogni lode più sublime», che si era dimostrato, «negli scoprimenti delle cose naturali, il più grande che sia in Europa». Per tutta la vita Boyle si impegnò nel tentativo di conciliazione tra scienza e fede sottraendo l'una al dogmatismo e l'altra al fanatismo, e questo lo si può notare nelle sue riflessioni testamentarie: «Non ci si può mai preparare abbastanza alla morte. Altre azioni possono essere ripetute, si possono ritentare se non riescono la prima volta. Non è così con la morte: essa avviene una volta sola e non c'è alcuna possibilità di ripeterla perché riesca meglio»; «Prima di ogni altra cosa, affido la mia anima all'onnipotente Iddio, mio Creatore, con la piena fiducia che tutti i miei peccati sono stati perdonati per i meriti e la mediazione del mio unico Salvatore Gesù Cristo».
Bibliografia:
R. Boyle , Opere , a cura di C. Pighetti, Utet, Torino 1977 (contiene: The Christian virtuoso ; The Origin of Forms and Qualities ; The Sceptical Chymist ; New Experiments Physico-Mechanical touching the Spring of the Air and its Effects )
M. Di Donato , Boyle, Robert in “Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede”, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 1612-1617.