Il brano qui di seguito proposto sottolinea come il ruolo del soggetto nella ricerca scientifica si renda manifesto, ad un’analisi attenta, anche in quell’attività scientifica primaria che di per sé sembrerebbe dover essere eminentemente, se non esclusivamente, “oggettiva”: l’osservazione. In particolare, l’autore sottolinea che anche l’osservazione scientifica richiede una serie di attitudini e abitudini personali da parte del soggetto conoscente, quali un’audace apertura mentale, una forte dose di industriosità, o il sapersi mantenere in uno stato di disponibilità nei confronti della realtà.
La scienza sperimentale inizia con l’osservazione. Si tratta di un fatto ovvio radicato nella natura psicologica nonché fisiologica dell’uomo. Per citare un noto maestro, «le idee sperimentali non sono affatto innate. Non sono spontanee, ma devono avere un’occasione o stimolo esterno, come accade per tutte le funzioni fisiologiche. Per avere una prima idea delle cose, dobbiamo vedere quelle cose. Per avere un’idea di un fenomeno naturale, dobbiamo innanzi tutto osservarlo»[1]. Ma se l’osservazione è così fondamentale per la scienza, sorge subito un problema: qual è il ruolo dell’uomo nell’osservazione? A prima vista può sembrare che l’osservazione sia essenzialmente passiva. L’uomo non ha nulla da fare se non tenere gli occhi aperti e tentare di cogliere in ogni dettaglio l’oggetto di cui si sta occupando. Allora, d’un tratto, la scoperta lo folgora, luminosa, precisa, immutabile. Questo è il dono misterioso spesso attribuito alla mente scientifica da coloro che non sono a contatto diretto con la scienza. Ma un’interpretazione così manifestamente ovvia è sbagliata. L’uomo scientifico diventa uno scopritore soltanto in virtù di un modo di porsi decisamente attivo, qual è quello della ricerca paziente e perseverante.
Le informazioni storiche illuminano in modo convincente questo argomento. Spesso si pensa che la scienza razionale sorta in epoca post-rinascimentale fosse dovuta alla disponibilità di sofisticate strumentazioni che resero possibile l’osservazione esatta. L’evidenza storica mostra però che la situazione era ben più complessa. Fondamentalmente, la grande diffusione della scienza ebbe luogo senza l’aiuto di alcun sofisticato strumento, come ad esempio per le osservazioni galileane sul moto dei corpi in caduta libera, gli studi di Vesalio sulla struttura del corpo umano e le ricerche di Harvey sulla circolazione del sangue. Nemmeno quell’osservatore preciso che fu Tycho Brahe, nelle sue osservazioni astronomiche, ebbe bisogno di maggior aiuto dei suoi occhi nudi integrati da dispositivi rudimentali quali canne e ruote. Quando furono inventati i sofisticati strumenti di osservazione, non si trattò di diretta dipendenza della scienza dalla tecnologia. Si trattò piuttosto di intelligenze attive che seppero come trarre vantaggio dalle nuove possibilità tecnologiche. Un esempio persuasivo è l’uso che Galileo fece del telescopio. Egli non fu l’inventore dello strumento. I contemporanei si divertivano con quel congegno bizzarro che ingrandiva e distorceva l’immagine delle cose. Ma Galileo, proprio perché aveva una concezione personale dell’attività di osservazione, capì immediatamente, sentendo parlare dello strumento, che si trattava di un dispositivo «di inestimabile utilità»[2]. Subito si dedicò al perfezionamento del telescopio stesso e se ne servì per le sue famose scoperte astronomiche. Chiaramente, l’osservazione scientifica non è una semplice questione di passiva recettività da parte dell’uomo; essa implica un’attività altamente complessa. Dobbiamo ora esaminare in dettaglio i principali aspetti di tale attività.
1. Audace apertura mentale
Mach, discutendo il lavoro di Galileo sul piano inclinato, rileva che egli manifestò «la sua grandezza di scienziato» perché «aveva l’audacia intellettuale di scorgere, in un argomento già a lungo indagato, più di quanto i suoi predecessori avessero visto, e di fidarsi delle proprie percezioni»[3]. Questo rilievo offre la chiave per la comprensione della mentalità scientifica. La coraggiosa determinazione di distaccarsi da ciò che è manifestamente ovvio allo scopo di capire meglio e più in profondità è il requisito base della scienza in quanto tale. In altre parole, la scienza consiste fondamentalmente di interrogativi le cui risposte appaiono convenzionalmente autoevidenti. Un’attitudine intraprendente può essere soltanto l’espressione di una personalità decisamente attiva, perché «occorre una mentalità fuori dal comune per intraprendere l’analisi dell’ovvio»[4].
Il motivo essenziale per cui l’osservazione scientifica esige un’attività da parte dell’uomo va trovato nella tendenza psicologica della natura umana a prendere l’apparenza per verità. Sembra sciocco e sterile mettere in questione ciò che è ovvio. Perciò il primo sforzo che lo scienziato deve fare è di tenersi mentalmente aperto. Ciò significa che la creatività scientifica non si manifesta in primo luogo con la scoperta di nuovi fenomeni, ma con la percezione di eventi familiari in una nuova luce. L’apertura mentale tipica degli scienziati significa rifiuto ad assumere le cose per certe — non in prospettiva scettica, ma allo scopo di mantenersi aperti alla intelligibilità delle cose stesse. In altri termini, essere mentalmente aperti significa farsi sensibili ai caratteri reali della natura senza permettere che le opinioni condivise pregiudichino la loro interpretazione. La scienza nacque quando fecero la loro apparizione i grandi personaggi capaci di assumere questo atteggiamento esigente. La scienza progredì in virtù di questa scelta sempre nuova di comportamento. Naturalmente, bisogna stare attenti a non equivocare sulla natura dell’apertura mentale, in particolare a non paragonarla all’insufficienza di informazioni delle vecchie opinioni su un argomento. Un osservatore ha di solito tanto maggior successo quanto più estese sono le sue informazioni intorno all’argomento, ma ciò che gli si chiede è la determinazione a non farsi catturare da conoscenze presunte mentre si sforza di conseguire la conoscenza autentica. «Solo bisogna... conservare la propria libertà di pensiero e credere che in natura potrebbe avvenire anche quello che ci sembra assurdo secondo le nostre teorie»[5].
2. Consuetudine attiva
C’è un secondo aspetto dell’osservazione scientifica che illumina ulteriormente lo sforzo verso l’apertura mentale che caratterizza la scienza. Esso può essere definito consuetudine attiva.
Per consuetudine s’intende in generale il processo mediante il quale una persona acquista familiarità con qualcuno o qualcosa grazie al contatto diretto e prolungato. La scienza si fonda su un processo del genere. Non c’è stato un solo scienziato che abbia fatto scoperte significanti, sia pure teoriche, senza qualche sorta di contatto diretto con gli oggetti materiali della sua ricerca. Einstein ci dà un esempio convincente di questa connessione, proprio Einstein che appare come l’autentica personificazione del teorico. Nella sua autobiografia egli confessa che, nonostante i suoi eccellenti professori di matematica al Politecnico di Zurigo, non riuscì a conseguire una valida istruzione matematica. Il motivo fu, ci dice, che «lavoravo la maggior parte del tempo nel laboratorio di fisica, affascinato dal contatto diretto con l’esperienza»[6]. La consuetudine è un processo lento e difficile. Spesso finisce per occupare tutta la vita di chi ha deciso di aprire nuovi campi di ricerca. Per esempio, Tycho Brahe — il grande astronomo i cui dati prepararono la strada al lavoro di Keplero e di Newton — dedicò la maggior parte delle notti dei venti anni che egli passò a Hveen a una sistematica esplorazione dei cieli. Leeuwenhoek impiegò letteralmente tutto il tempo che poté sottrarre ai suoi impegni a conseguire una vera maestria nell’uso del microscopio.
Allo scopo di comprendere come l’uomo riesca effettivamente a conseguire il successo nell’osservazione scientifica, è necessario insistere su un importante aspetto del processo di familiarizzazione. L’osservazione scientifica non giunge ordinariamente come semplice risultato di un’adesione protratta nel tempo a un determinato oggetto di studio. Occorre aggiungervi l’industriosità. In altri termini, l’aspirante osservatore deve aguzzare l’ingegno e impegnare tutte le sue risorse nell’impresa. Spesso si tratta anche di lavorare con le mani con la raccolta di esemplari e la costruzione di strumenti. Galileo, per esempio, riuscì a trasformare il telescopio da giocattolo a strumento «di inestimabile utilità» grazie alla sua industriosità. Come racconta al lettore nel Sidereus nuncius, la prima notizia sul telescopio «fu la causa che io mi volgessi tutto a cercar le ragioni e ad escogitare i mezzi per giungere all’invenzione di un simile strumento... E finalmente, non risparmiando fatiche e spese, venni a tanto da costruirmi uno strumento così eccellente...»[7]. Altri grandi osservatori mostrarono lo stesso attivo travaglio. William Herschel e Christian Huygens impiegarono ore ed ore a levigare le lenti per perfezionare i loro telescopi. Anche Leeuwenhoek diventò un eminente microscopista in virtù della sua abilità duramente conquistata nel levigare le lenti. In un altro settore scientifico, Darwin è noto per la sua indefettibile dedizione alla raccolta delle prove. Com’egli stesso afferma, «posso dire di avere una capacità superiore alla media degli uomini di notare cose che sfuggono facilmente all’attenzione e di osservarle con cura. Nell’osservazione e nella raccolta dei fatti penso d’aver messo tutto l’impegno di cui sono capace»[8].
Il risultato di questa attiva consuetudine costituisce l’osservazione scientifica al suo massimo grado — la capacità di vedere le cose solite in un modo realmente nuovo. Galileo, parlando della sua visione dei cieli, dice che «quello che ‘l puro senso della vista rappresenta, è come nulla in proporzion dell’alte meraviglie che, mercé delle lunghe e accurate osservazioni, l’ingegno degli intelligenti scorge nel cielo»[9]. L’apparato osservativo, al momento dell’impiego, diventa un’estensione virtuale del corpo dell’osservatore — un compagno e collaboratore che esige attenzione e rispetto, ma che, in compenso, fornisce informazioni d’incalcolabile valore. In breve, l’osservazione scientifica è una questione di attività scrupolosa. Come Leeuwenhoek dice succintamente, «mediante l’operosità e la diligenza possiamo scoprire cose che prima avevamo ritenuto imperscrutabili»[10]. La testimonianza di questo incomparabile osservatore è particolarmente appropriata. Quantunque semplicemente appassionato autodidatta, Leeuwenhoek diventò un microscopista talmente abile che anche gli esperti incontravano difficoltà a confutare le sue scoperte. Il segreto dei suoi successi? Martin Folkes, vice presidente della Royal Society, commentava opportunamente ricevendo il microscopio che io stesso Leeuwenhoek aveva destinato per lascito alla Society: «Il suo grande discernimento e l’esperienza nel modo di usarli (i microscopi), unitamente all’ininterrotta applicazione che egli dedicò a quel lavoro, nonché la sua infaticabile operosità... non potevano che metterlo in condizione di formarsi idee più precise sulla natura dei suoi oggetti, e di vedere più in profondità nella loro costituzione...».[11]
3. Disponibilità alla scoperta
L’attività che l’osservazione scientifica richiede presenta un altro aspetto di grande importanza. L’osservazione scientifica non consiste semplicemente nella percezione di alcuni dati che altri fin lì non avevano rilevato. Prima di ogni altra cosa, l’osservazione è scientifica quando contiene in germe la percezione di una profonda e prima d’allora insospettata intelligibilità della natura. Vale a dire che l’osservazione acquista il suo pieno status scientifico quando la persona raggiunge la consapevolezza che il fenomeno oggetto di studio non è che un caso singolo di una regolarità generale fino a quel punto non scoperta. Un esempio classico è offerto dal racconto di come Newton giunse a intuire resistenza della gravitazione universale attraverso l’osservazione di una mela che cade. Ma se l’osservazione è significativa specialmente per l’intuizione a cui essa conduce, è chiaro anche che la stessa osservazione scientifica richiede un’attività di tipo speciale da parte della persona che la persegue, giacché all’intuizione non si giunge in virtù di un mero tentativo. Questo terzo aspetto dell’attività che caratterizza l’osservazione scientifica può essere definito disponibilità alla scoperta.
Vanno messe in particolare rilievo l’importanza e la difficoltà del genere di attività che stiamo discutendo, poiché l’atteggiamento in questione coinvolge l’intera personalità dello scienziato, compreso in modo particolare ciò che è più difficile da produrre: lo sforzo coraggioso e tenace alla ricerca di una soluzione, anche quando i risultati sembrano deludere completamente la ricerca stessa. Il ricercatore deve essere entusiasta e attivo, ma anche indefettibilmente costante e capace di concentrazione assoluta. Deve far pesare tutte le sue facoltà sull’oggetto della ricerca, mentre attende pazientemente che l’intuizione affiori. Questa era, per esempio, l’opinione di Newton nelle sue celebri parole a Conduitt, secondo cui la verità è «figlia del silenzio e della meditazione ininterrotta»[12]. Newton parlava per esperienza e pratica personale. Quando gli chiesero come era giunto alle sue scoperte, rispose: «Tengo costantemente il soggetto davanti a me, e attendo fino a quando il primo albore si apre lentamente a poco a poco a una luce piena e chiara»[13].
In altri termini, l’attività fondamentale che si richiede a uno scienziato ricercatore è di mantenersi in uno stato di disponibilità. Lo scienziato deve, per quanto gli è possibile, acuire la propria sensibilità verso le manifestazioni di intelligibilità che l’oggetto presenta. Poi, non appena si apre una strada, deve seguirla fino in fondo. Questo aspetto essenziale della ricerca scientifica è particolarmente chiaro nelle cosiddette scoperte fortuite. Si tratta di eventi in cui un ricercatore, trovandosi inaspettatamente di fronte a un fenomeno inaspettato, riesce rapidamente a rendersi conto di una regolarità generale della natura incorporata nel fenomeno stesso. Un esempio famoso è la scoperta dei raggi X. Numerosi eminenti fisici avevano già notato strani effetti su lastre fotografiche esposte a scariche elettriche in tubi a vuoto. William Crookes ne era rimasto contrariato e aveva rispedito le lastre al fabbricante ritenendole difettose. Goodspeed di Filadelfia aveva realizzato persino una fotografia ai raggi X (22 febbraio 1890) senza rendersi conto del significato di ciò che aveva fatto. Nel dicembre del 1895, a Rontgen accadde di notare lo stesso fenomeno. La differenza fu che egli prestò grande attenzione a quei dati e li sottopose a indagine durante più di un mese di febbrile lavoro. Conclusione: le strane macchie sulle piastre non erano affatto apparenze accidentali o prive di significato. Esse manifestavano piuttosto una ben definita proprietà della materia, di cui non si era ancora sentito parlare. Di qui l’appellativo di raggi X — cioè, sconosciuti[14]. Questo esempio mostra come una percezione sensibile diventa genuina osservazione scientifica in virtù dell’attiva disponibilità del ricercatore.
In linea generale, sembra allora discutibile distinguere fra scoperte fortuite e altre scoperte, poiché in tutte le scoperte non c’è soltanto un elemento attribuibile al caso, ma anche un elemento che ha a che fare con l’attività intenzionale del ricercatore. L’elemento fortuito consiste in questo: una data persona non avrebbe mai avuto a disposizione l’evidenza sufficiente per fare la scoperta di cui si parla se non fosse stata esposta a certe informazioni. Ma il ruolo svolto dal caso non è mai assolutamente determinante. Anche le scoperte più chiaramente dovute al caso sono il risultato di una predisposizione della mente. Pasteur riassumeva la situazione nel famoso detto: «Nel campo dell’osservazione, la fortuna favorisce soltanto una mente preparata». L’espressione, di tono paradossale, contiene una profonda verità. La fortuna lancia una sfida. Solo la mente che si è pazientemente adoperata a mettere insieme tutti gli indizi necessari alla soluzione è in grado di raccogliere la sfida con successo e in tal modo di realizzare la scoperta. A questo proposito, un grande neurofisiologo scriveva: «La scoperta accidentale è un premio che va al ricercatore perseverante»[15]. Sono parole appropriate, perché la scoperta scientifica è essenzialmente un addentrarsi nell’ignoto che inizia dall’esperienza sensibile. Questo addentrarsi ha luogo soltanto come risultato dell’atteggiamento attivo da parte del ricercatore – la sua instancabile tenacia e indomabile perseveranza. In altri termini, il ricercatore è un investigatore scrupoloso, e la scoperta la sua ricompensa. Ma l’osservazione scientifica è lo sforzo durevole alla ricerca di questa ricompensa. Come afferma in modo convincente Konrad Lorenz, un maestro dell’osservazione: «Ciò che un osservatore non riesce a scorgere in un oggetto le prime venti volte, vedrà infine chiaramente la duecentesima volta».[16]
Note
[1] C. Bernard, Introduzione allo studio della medicina sperimentale, a cura di F. Ghiretti, Feltrinelli, Milano 21973, p. 43.
[2] Citato in V. Ronchi, Storia del cannocchiale, Pontificia accademia delle scienze, Città del Vaticano 1964, p. 789.
[3] E. Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, tr. intr. e note a cura di A. d’Elia, Boringhieri, Torino 1968, p. 81.
[4] A.N. Whitehead, Science and the Modern World, tr. it. di A. Banfi, La scienza e il mondo moderno, Bompiani, Milano 1945, p. 21.
[5] Bernard, Introduzione, p. 48.
[6] In P.A. Schilpp (a cura), Albert Einstein, Philosopher-Scientist, tr. it. di A. Gamba, A. Einstein, Autobiografia scientifica, con interventi di'W. Pauli, M. Born, W. Heitler, N. Bohr, H. Margenau, H. Reichenback, K. Godei, Boringhieri, Torino 1979, p. 15.
[7] G, Galilei, Sidereus Nuncius, con tr. it. a fronte, L. Lanzillotta, in Galileo, Opere, a cura di F. Flora, Ricciardi, Milano-Napoli 1953, pp. 12-15.
[8] C. Darwin, Autobiografia 1809-1882, con raggiunta di passi omessi nelle precedenti edizioni, Appendice e note a cura della nipote Nora Barlow, pref. di G. Montalenti, tr. it. di L. Fratini, Einaudi, Torino 1962, p. 122.
[9] Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena, in Opere, p. 1027.
[10] Citato in A. Schierbeek, Measuring the Invisible World: The Life and Works of Antoni van Leeuwenhoek, Abelard-Schuman, New York 1959, p. 202.
[11] Citato in C. Dobell, A. van Leeuwenhoek and His «Little Animals», Russell and Russell, New York 1958, pp. 104s.
[12] Citato in F.E. Manuel, A Portrait of Isaac Newton, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1969, p. 86.
[13] Manuel, A Portrait, p. 86.
[14] Particolari in O. Glasser, Wilhelm Conrad Roentgen, Charles C. Thomas, Springfield 111. 1958, spec. pp. 84s.
[15] S. Ramon y Cajal, citato in E.H. Craigie-W.C. Gibson, The World of Ramón y Cajal with Selections from His Nonscientific Writings, Charles C. Thomas, Springfield 111. 1968, p. 197.
[16] Tradotto da K. Lorenz, Gestaltwahrnehmung als Quelle wissenschaftlicher i denntnis, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1964, p. 45.
Enrico Cantore, L’uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, EDB, Bologna 1987, pp. 72-79, trad. it. di Scientific Man, ISH Publications, New York 1977.