Prima o poi questo tema sarebbe saltato fuori. Chi si mette in viaggio alla ricerca di senso sa benissimo che questa parola, breve e antica, dai tanti significati, a un certo punto qualcuno la proporrà ai naviganti, come risposta del loro cercare. Di Dio parlano la storia, la letteratura, l’arte, la filosofia e, se ci si mettono d’impegno, talvolta anche le scienze. Sono altri i luoghi, altre le pagine di questo sito, ove i cercatori di senso possono trovare riflessioni più approfondite su come l’essere umano abbia pensato Dio, quali volti gli abbia dato, come lo abbia invocato, perché lo abbia postulato come risposta a precise domande o soluzione a determinati problemi. Qualcuno dichiara di averlo perfino incontrato, i santi e i mistici di averne fatto l’esperienza. Il cristianesimo annuncia addirittura che Dio si è fatto uomo, ha parlato con parole umane, ha lavorato con mani d’uomo. Qui vogliamo solo riprendere l’argomento, più brevemente, per vedere cosa il tema di Dio potrebbe dire a ciascuno di noi, a te e a me; se rappresenta una questione astratta, oppure se vi sono motivi per prenderlo sul serio, perché capace di influire su quello che farò fra cinque minuti, alla fine di questa giornata o negli anni a venire della mia vita. Va da sé che con questa parola, Dio, intendiamo Chi abbia creato il mondo, chi ne custodisca le chiavi, chi sia in grado di rispondere ai miei perché più profondi: perché esisto, cosa c’è dopo la morte, se dolore e sofferenze hanno qualche significato, se c’è una giustizia che sanerà tutte le ingiustizie che vedo e che mi indignano. Se c’è, in definitiva, Qualcuno per cui io valgo, anzi sono prezioso; Qualcuno che non mi lascerà perdere nell’oblio del nulla, ma continuerà a pensarmi, amarmi e farmi vivere anche quando il corpo di cui sono composto, fra cento anni o poco meno, sarà ridotto a un mucchietto di polvere…
Anche se i nomi con cui i popoli e le culture hanno indicato questa Causa e questo Fondamento sono diversi (e talvolta assai diversi i suoi volti, la sua natura e la sua personalità), consentimi per un momento di unificare la nostra ricerca e intenderci su quanto ci siamo appena detti. La gran maggioranza degli abitanti del nostro pianeta sono persuasi dell’esistenza di questo Fondamento, credono in una Causa trascendente che regge le sorti del mondo. Fra essi vi sono contadini e scienziati, ricchi e poveri, persone colte e persone semplici, abitanti delle Isole Fiji e cittadini di New York. Homo sapiens manifestava fede in un’Onnipotenza che trascende il mondo e la vita umana quando seppelliva i suoi morti secondo rituali sacrali; i cinesi del secondo millennio avanti Cristo la manifestavano quando adoravano Thien, Dio del Cielo; i cristiani lo fanno quando pregano anche oggi nelle chiese dell’Occidente secolarizzato. Il tema di Dio non pare riservato a un’epoca storica, a un’area geografica, a livelli di cultura o a tipologie di attività umana. Se, come diceva Freud, Dio è per l’essere umano una malattia, in particolare una nevrosi, questa malattia è la più grande pandemia mai verificatasi, che perdura da quasi centomila anni. L’essere umano è l’unico believing primate, il solo primate superiore che sperimenta sentimenti religiosi. Gli storici e i filosofi della religione affermano che la credenza in Dio fa parte della struttura della coscienza umana. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non sparisce con il nostro crescente controllo sulla natura, né con l’alfabetizzazione dei popoli delle nazioni più sviluppate. Chi coltiva un po’ di scienza sembra farlo fuggire, affermava il fisico Henrí Poincaré, ma chi ne studia molta lo fa subito tornare.
Non poter “definire” Dio, non poterlo pensare né immaginare, l’incapacità umana di farlo rientrare in qualche categoria concettuale che si possa maneggiare, sembrerebbe a prima vita decretarne l’insignificanza. Se la filosofia getta la spugna, la religione e il pensiero mistico rilanciano il tema, affermando che l’impensabilità di Dio non lo svuota, ma protegge la sua vera natura, perché è Altro dall’uomo, è al di là dello spazio e del tempo, trascende la storia. Se Dio esiste, sarebbe ben poca cosa che lo definisse una voce di Dizionario o l’esprimesse una formula matematica.
C’è un punto che, per procedere la navigazione, sentiamo adesso di dover affrontare. Perché occuparmi di questo tema? In cosa cambierebbe la mia vita? Non si può forse vivere, lavorare, esistere, prescindendo dall’interrogarmi su Dio, facendone completamente a meno? Conosciamo qualcuno che lo fa e ciò potrebbe bastarci per suggerirci di fare anche noi altrettanto. Parlare di Dio potrebbe essere come andare dietro a sirene, fantasmi. Riprendiamo in mano gli strumenti di bordo e cerchiamo subito un mare pescoso per risolvere un problema più urgente: cosa mettere oggi sulla tavola. Restare indifferenti al tema di Dio, alla domanda se c’è Qualcuno per cui sono prezioso e che custodisce il senso della mia vita, è un atteggiamento certamente possibile: ho solo bisogno di distrarmi tutte le volte che questo pensiero riaffiora, alzare il volume della musica, gettarmi su ciò di cui posso fruire in modo immediato. Non sembra, però, una soluzione stabile. Prima o poi accadrà qualcosa che “fa la differenza”: desiderare di contemplare per sempre il volto della persona di cui mi sono innamorato, gioire senza fine del figlio che ho generato, trovare una risposta alla perdita di quelle persone care, morte prematuramente, volere che non termini mai quell’attimo che adesso, finalmente, mi ha reso felice. Se intendo restare indifferente al tema del senso della vita e della morte, della gioia e del dolore, della giustizia che desidero e del male che disapprovo, e dunque restare indifferente al tema di Dio, dovrei pagare un prezzo piuttosto alto. Vorrebbe dire distanziarmi da ciò che, guardando la storia della mia specie biologica, mi ha reso umano, e continua, anche oggi, a rendermi tale. Nella domanda su Dio sembra nascosta la dignità più profonda della specie umana. L’indifferenza a questa domanda, così radicale e così radicata, si tradurrebbe in progressiva indifferenza verso ciò che è umano. Non è un pregiudizio, ma qualcosa che sembra dirmi la storia dei popoli: dove qualcuno ha cercato di costruire una società contro Dio ha finito per costruirla contro l’uomo.
È allora una decisione sensata, ragionevole, prestare ascolto a chi mi parla di Dio, a chi mi fornisce istruzioni per navigare verso di Lui. Gli chiedo soltanto che lo faccia in modo rispettoso della mia umanità, senza chiedermi di mettere da parte la ragione con la quale conosco cose vere sul mondo, né di snaturare ciò che mi dice il cuore, che mi ha insegnato a capire ciò che mi rende davvero felice. È ragionevole ascoltare chi mi parla dell’unico e vero Dio, creatore del cielo e della terra, aiutandomi a distinguerlo dagli idoli che non durano. È sensato stare a sentire cosa hanno da dire coloro che mi annunciano che Dio si è fatto uomo, è morto per perdonare i miei peccati ed risorto dai morti. Portano con sé dei motivi per prestar loro fede: la credibilità e i segni di Gesù di Nazaret, l’oggettiva sintonia fra i suoi insegnamenti e ciò che riconosco già presente nel mio cuore, la testimonianza della vita di chi lo ha incontrato e non lo ha più lasciato. Sono gli stessi credenti che mi rivelano che Dio è comunione di Amore: è una Paternità trascendente, è una Figliolanza eterna alla quale sono chiamato a partecipare, è uno Spirito che sigilla la relazione fra il Padre e il Figlio e che pervade il mondo. È insieme Logos-ragione che conferisce senso a tutte le cose e Agape-amore che partecipa tutto ciò che ha nella libertà del dono. È verità e vita. Parlare di Dio e ascoltare chiunque possa dirmi qualcosa su di Lui misura il mio essere umano. Rinunciarvi o rifiutarlo vorrebbe dire smettere di essere cercatori di verità e di senso. Smettere di essere uomini.