Nel cuore di ogni tecnico ho infuso saggezza (Es 31, 6)
«Scienza» e «tecnica» sono sinonimi? Certo che no! I due termini vengono spesso impiegati come sinonimi nel parlare di tutti i giorni, e talvolta anche fra specialisti e addetti ai lavori. La «tecnica» rischia così di cedere le proprie competenze ad una più genericamente denominata e misteriosa «scienza», limitando la propria semantica al mondo commerciale di elettrodomestici e dispositivi elettronici, pubblicizzati come prodotti di «ultima tecnologia».
Il motivo di questa “confusione” è lo sviluppo odierno della «tecnoscienza», nella cui complessità la dimensione scientifica e quella tecnica si fondono divenendo al contempo causa ed effetto l'una dell'altra: epocali scoperte scientifiche non sarebbero possibili senza gli strumenti tecnologici, che divengono realizzabili applicando la conoscenza scientifica già acquisita. I frutti di questa fusione sono proficui e irrinunciabili, ma per comprendere in profondità il risultato di tale unione, l'evento della «tecnoscienza», è necessario in prima battuta indagare distintamente l'identità di queste due realtà, ormai nascosta all'evidenza, così da coglierne le peculiarità originarie.
Definendola «naturale», per «scienza» intendiamo la dinamica di meraviglia, indagine, scoperta e contemplazione della realtà del mondo che circonda l'uomo, con le sue leggi, la sua estetica e la sua eleganza, esprimibile anche in linguaggio matematico. Ben differente appare la «tecnica», che fenomenologicamente consiste nell'attività umana di modifica dell'ambiente circostante, della materia o di una attività umana in generale. Ma il pensare in profondità la tecnica, aprendo così alla «tecno-logia», manifesta come l'uomo sia colui in grado di pro-durre, di condurre dal nulla le cose, di portare le cose all'essere, trasfigurando la realtà materiale e la vita del singolo e della comunità umana. La tecnica – ambasciatrice culturale – si relaziona con la natura che così, pur mantenendo la propria alterità rispetto all'umano, diviene habitat per l'homo faber, non “gettato” in nessun ambiente particolare ma in grado di renderli tutti abitabili grazie al pro-durre della sua mente e della sua mano.
La tecnica – e la tecnologia, sua evoluzione “logica”– si mostra con una ricchezza di significato inatteso, ancestrale e fertile.
Da almeno più di due secoli le società tecnologicamente avanzate sono molto sensibili alla questione tecnologica: istanze etico-pratiche, decisioni sociali e istituzionali richiedono di tracciare una via per la risoluzione di problemi e la comprensione delle nuove possibilità aperteci dal novum tecnologico – solo per fare un esempio circa le questioni più attuali: la bioetica, l'ecologia, l'universo di internet, il villaggio globale, le biotecnologie. Molti dei saperi umani come storia, sociologia, economia, filosofia, antropologia, scienze dell'educazione, scienze mediali e della comunicazione, letteratura sono al lavoro per fornire una chiave di lettura di questi eventi, spesso nella veste di destinatari, beneficiari o vittime dei risultati tecno-scientifici. La tecnologia rivendica il proprio posto nel mondo e nella vita degli uomini.
Si assiste certamente all'affermazione di una forte componente strumentale-tecnologico in grado di imporre un paradigma tecnocratico (cfr. Francesco, Laudato Sii, 2015) ma altre prospettive radicate nell'umano, ben distanti da propositi illuministici, descrivono un mondo magico-spiritato – si vedano superstizioni, maghi, oroscopi e pseudoscienze – o addirittura estraneo a razionalità e ragionevolezza – un esempio per tutti le socio-tendenze cospirazionistiche.
Generalmente i più son convinti che donne e uomini di scienza e tecnica non si pongano domande e che la loro attività sia automaticamente scandita da un metodo scientifico tirannico, che in quanto autoreferenziale risulterebbe incurante di ogni realtà umana e saperi altri da esso.
Per rimuovere l'accusa, avanzata spesso dai non addetti ai lavori, che la tecnologia non sia in grado di auto-interrogarsi e di accogliere la chiamata ad auto-comprendersi, basta andare alle prime pagine di un manuale di progettazione meccanica molto diffuso in ambito ingegneristico: «La sostanza dell'ingegneria è l'utilizzazione delle risorse e delle leggi della natura per il beneficio dell'umanità» (R. Juvinall – K. Marsheck, Foundamental of Machine Component Design, 1983).
La tecnologia partecipa agli interrogativi più profondi dell'animo umano in ogni storia e cultura e il suo contributo è degno di ascolto, soprattutto nell'auto-comprensione antropologica. Parlare di tecnica vuol dire parlare di uomo.
Ma anche la tecnologia è solo uno dei saperi umani e il pensiero circa la questione tecnologica rischia di divenire goffo e maldestro se non si presta attenzione a due possibili rischi sempre in agguato: il primo è che un singolo sapere si erga al di sopra degli altri pretendendo di affermare la propria prospettiva come totalizzante ed assoluta rispetto agli altri.
Il secondo rischio, più sottile e diffuso, è quello di cercare affannosamente la risposta a problematiche circoscritte e alla soluzione di singole decisioni senza prestare attenzione alla visione globale dell'evento tecnologico. L'urgenza è tante volte giustificabile ma esasperando il pensare la tecnica, riducendolo ad un elenco di singole risposte confezionate, si rischia di perdere l'opportunità di intercettare una dimensione di senso capace di parlare all'umanità di sé stessa.
La risposta alla questione tecnologica richiede la collaborazione e la sinodalità di tutti i saperi umani, nessuno escluso. E nel momento in cui si ricerca l'unitarietà e l'unicità nello spazio umano dei saperi non si può quindi che ospitare e pensare l'essere umano nella sua globalità e interezza.
Luglio 1969. Per la prima volta nella storia l'uomo cammina sulla superficie lunare: «Onore a voi, uomini artefici della grande impresa spaziale! Onore agli uomini responsabili, agli studiosi, agli ideatori, agli organizzatori, agli operatori! Onore a tutti coloro che hanno reso possibile l’audacissimo volo! A voi tutti onore, che vi siete in qualche modo impegnati! Onore a voi, che, seduti dietro i vostri prodigiosi apparecchi, governate, a voi, che notificate al mondo l’opera e l’ora, la quale allarga alle profondità celesti il dominio sapiente e audace dell’uomo».
Dato il tono e il giudizio così estranei alla vita ecclesiale, si può pensare che queste dichiarazioni siano state rilasciate da uno scientista, un positivista o un transumanista. E' difficile che qualcuno attribuisca senza indugio queste parole al loro autore: papa Paolo VI (21 luglio 1969).
I teologi e il magistero della Chiesa hanno sporadicamente affrontato il problema della tecnologia secondo diverse intenzionalità, gradazioni e prospettive. Non è possibile svolgere qui un bilancio dettagliato del rapporto fra teologia, magistero e questione tecnologica. Per quanto riguarda la teologia possiamo rimandare a titolo esemplificativo ai contributi di R. Guardini, J. Moltmann e M. Chenu – solo per citare alcuni autori. Per l'ambito magisteriale si può consultare invece la voce Tecnologia del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Circa il Magistero della Chiesa è bene notare come negli ultimi anni il tema della tecnica sia stato oggetto di riflessione crescente, specialmente in alcuni testi di Benedetto XVI e Francesco rispettivamente con la Caritas in veritate e la Laudato sii. La questione della tecnica è un campo affrontato in prima battuta dal Magistero che così invita alla nascita di una riflessione teologica.
Un vero e proprio pensiero unitario e sistematico sul tema non è stato però ancora proposto, né in ambito teologico né magisteriale; tanto meno siamo in grado attualmente come Chiesa di offrire al mondo e al Popolo di Dio una significazione solida e argomentata della dimensione tecnologica della vita umana e degli orizzonti che essa può aprirci. Stranamente, perché anche da ambiti extra-ecclesiali giunge il suggerimento di approfondire e illuminare lo stretto connubio fra tecnologia e cristianesimo (cfr. D. Noble, The religion of technology, 1997).
Dalla scarsità di questo pensare teologicamente la tecnologia si spiega la sorpresa che può aver colto il lettore scoprendo l'identità dell'autore della citazione lunare: come per molte altre dimensioni vitali, il cristiano d'oggi rischia di esser dilaniato fra la propria vita di fede e il suo abitare il mondo, in questo caso condensato nel suo vissuto tecnologico.
Con ottica propositiva e costruttiva svolgiamo una breve analisi puntuale degli attuali limiti e dinamiche del (mancante) pensare teologico attorno alla tecnologia.
1) La grande esclusa
Forse sulla scia della separazione fra vita di fede e le altre dimensioni del vissuto umano, ecclesialmente si constata una parziale estraneità al mondo tecnico-scientifico (cfr. A. Strumia – G. Tanzella-Nitti, Scienza filosofia e teologia, 2014), seppur vada riconosciuto che la relazionalità fra i due mondi viva una componente dinamica: il dialogo con le scienze naturali ha visto molti passi avanti e sviluppi significativi sia in ambito ecclesiale che nella comunità scientifica. Ciò ha portato la teologia ad impostare la questione in maniera sistematica e colloquiale con le scienze. La grande esclusa da un lavoro simile è però ancora la tecnologia, confusa più o meno volutamente con la scienza naturale.
2) L'attesa e la dimenticanza
L'impostazione di un pensiero teologico unitario e sistematico circa la tecnologia non è ritenuto prioritario a fronte delle urgenze ecclesiali e dell'umanità: non trovando uno spazio fecondo per poter nascere e svilupparsi, il tema rimane in attesa, in “stand-by”, correndo il rischio di venire dimenticato. E in generale, tutto ciò che non è considerato urgente viene trattato spesso con un non velato imbarazzo da parte degli addetti ai lavori (cfr. per esempio l'introduzione di A. Kreiner, Gesù, gli UFO e gli alieni, 2012).
3) La difficoltà
La conciliazione dei saperi e la loro unificazione è una sfida teoretico-epistemologica che tocca ogni realtà culturale umana contemporanea e che è in continua tensione verso il suo scopo: anche la teologia nei suoi rapporti con altri saperi, così come la tecnologia, ne è coinvolta attivamente.
4) L'impoverimento antropologico
Rimuovendo l'istanza di una indagine teologica sistematica, l'opportunità del pensare l'uomo “tecnologicamente” rischia di non venire colta, diversamente invece da buona parte del mondo filosofico che ha reagito con entusiasmo o attento allarmismo (qualche esempio italiano: S. Boni, U. Galimberti, G. Longo, P. Rossi, N. Russo, E. Severino, C. Sini, R. Trabucchi).
5) La parzialità morale
Conseguentemente alla mancanza di una trattazione sistematica il pensiero teologico si riduce ad affrontare solo piccole aree problematiche, in cerca di risposte rapidamente spendibili: il potenziale di cui il pensare teo-antropologicamente la tecnica sarebbe capace viene ridimensionato così ad una trattazione nella sola dimensione morale circa l'agire del singolo e della società in particolari problematiche specifiche, secondo un'agenda dettata dalle urgenze etiche quotidianamente identificate da altri ambiti ecclesiali (pastorale, catechesi, opere di nuova evangelizzazione, nuova apologetica...).
Senza una solida fondazione si rischia di proporre non un pensiero morale capace di rivelare un habitus tecno-logico del cristiano ma solo una fragile e misera “casistica tecnologica” di taglio moralistico o ecologistico che alle orecchie dei lontani e dei cristiani impegnati in ambito tecnologico suonerebbe come un paternale ed anacronistico monito del tipo “fate i bravi”.
6) Paura, diffidenza e... “ignoranza”
Quando raramente la teologia affronta il tema da un punto di vista più globale troppo spesso il solo ed unico percorso di indagine è quello relativo all'ambiguità tecnologica – la possibilità con i suoi risultati di causare sia beneficio che sofferenza – o, più marcatamente, le conseguenze negative nella storia dell'umanità. Qualche accenno ai benefici e alle positività del fare tecnico distribuiti all'interno dei tentativi svolti non limano in ogni caso il sentimento di apparente diffidenza o di spaesamento di fronte ad un enigma, talvolta definito come shock (cfr. E. Scognamiglio, Il volto dell'uomo, 2006) da parte dei fedeli di ogni estrazione e cultura.
La visione strumentalistica del mondo e della realtà, denunciata anche da papa Francesco nella Laudato sii, è paradossalmente la prospettiva utilizzata fino ad oggi anche in sede teologica, intendendo la tecnica semplicisticamente come una possibilità, una capacità, uno strumento con il quale poter “dominare il mondo” dietro comando divino, aggrappandosi goffamente ad un singolo versetto decontestualizzato della Scrittura (Gen 1, 28). In conclusione la teologia rischia di ignorare la vera natura della tecnica ed unitamente il suo significato cristiano, non intuendo che anche il pensare la tecnica voglia dire pensare l'uomo nella sua complessità e realtà.
È tempo che la teologia riscopra la dimensione tecnologica dell'umano non come enigma né come uno shock. Bensì come mistero.
Che fare allora? Da dove avviare un pensiero teologico unitario sulla questione della tecnologia? La Sacra Scrittura non esita a suggerircelo: YHWH opera come un tecnico (es. Sal 126), la Sapienza divina è “artigiana, tecnica” (Pr 8,24-25), il Nuovo Adamo è “il figlio del tecnico” (Mt 13,55; Mc 6,3), e i credenti sono chiamati ad accogliere il Regno di Dio nel “già e non ancora” di questo mondo in attesa della Gerusalemme Nuova (cfr. Ap 21). Indagare il senso della tecnica, scavare nelle sue radici, vuol dire aprire alla possibilità di scoprire un poco di più il volto di Dio: il “saper fare” artigiano (cfr. R. Sennet, The Craftsman, 2008) è anch’esso una cifra della economia creazionale-salvifica divina, capace di mostrare all'uomo un poco di più del suo essere “immagine e somiglianza” di Dio (Gen 1,27).
La tecnica umana attende una “Parola altra” capace di dare un Volto e un Nome al profumo che abita la sua quotidianità. La teologia deve aver fiducia nella tecnica – quindi nell'uomo – e in sé stessa, nella propria capacità di contribuire in maniera decisiva all'integrazione vitale della dimensione tecnologica nella vita di fede dei singoli cristiani, della Chiesa Universale e dell'umanità intera. Perché «benedetto è il legno per mezzo del quale si compie la giustizia» (Sap 14,7).