I. Terminologia e stato del problema - II. Tecnologia: interpretazioni e valutazioni - III. La tecnica nelle varie epoche storiche - IV. La critica umanistica e filosofica: utopie e futurologie - V. Prospettiva antropologica e umanistica - VI. Per una nuova cultura tecnologica - VII. Tecnicità originaria e speranza teologale - VIII. Lavoro e tecnica nella Rivelazione - IX. Progettualità, speranza e suoi impegni - X. Sintesi conclusiva.
I. Terminologia e stato del problema
La tecnica è nata con l'uomo. Il termine, nel tempo, ha avuto numerosi significati, indicando: regole e metodi pratici che presiedono a un'arte, professioni, mestieri, attività intellettuali, sportive ecc.; attività pratiche basate su norme acquisite con l'esperienza, nelle varie epoche ed aree; procedimenti per lavorare i materiali o produrre oggetti. In senso più generale e culturale, il termine «tecnica» indica le forme di attività che producono i mezzi volti a migliorare le condizioni di vita e del lavoro. Pure il termine «tecnologia» ha diversi significati: studio degli strumenti per risolvere problemi pratici; ottimizzazione delle procedure, scelte e decisioni strategiche volte a raggiungere dati obiettivi; insieme di elaborazioni teoriche e sistematiche volte a pianificare e razionalizzare gli interventi produttivi; analisi scientifica delle tecniche più progredite in un dato settore di ricerca o produzione; conoscenze della natura costitutiva dei materiali e dei loro usi e impieghi ecc. Con riguardo a realtà come impianti, oggetti, cose, oggi si preferisce parlare di «sistemi». Per «sistema tecnologico» s'intende: in senso generale, un insieme di elementi umani, concettuali e materiali, coordinati fra loro per formare un complesso organico funzionale soggetto a proprie regole; in senso particolare, un insieme di elementi coordinati, secondo determinati metodi, per attuare certe operazioni. Per «cultura tecnologica» s'intende l'insieme di idee, sentimenti, stili di vita, atteggiamenti e comportamenti che caratterizzano le socioculture tecnologizzate. In questo senso, cultura «tecnologica» e «tecnoscientifica» sono sinonimi.
Solitamente, affermazioni e valutazioni rivolte alla tecnologia riguardano, invece, la cultura tecnologica. Tutto ciò provoca frequenti equivoci e imprecisioni. Cercheremo, quindi, di distinguere, senza separarli, questi diversi aspetti. L'analisi delle culture tecnologiche rimane, comunque, difficile, perché le realtà e gli sviluppi tecnologici sono legati a situazioni complesse, sempre nuove, che coinvolgono numerosi elementi: condizioni storiche, culturali e sociali, precomprensioni filosofiche, pregiudizi ideologici, interessi economici, politici e di ogni genere ecc. Qui approfondiremo gli aspetti più significativi per il nostro tema, vale a dire la tecnologia e la cultura tecnologica, nel rapporto fra scienza e fede. È indispensabile considerare insieme scienze e tecnica, perché esse si possono distinguere ma non separare. Insieme sollevano complessi problemi sia all'Occidente che alle altre aree del mondo. Riguardo alle relazioni fra tecnologia e «scienza», s'intende quest'ultima come attività umana che indaga cause, leggi ed effetti di determinati fenomeni, mediante elaborazioni teoriche e verifiche sperimentali. Essa, però, è implicita nella tecnologia che è, insieme, scienza tecnica e scienza della tecnica e, attualmente, si caratterizza per tre elementi specifici: a) sistemi sempre più vasti e complessi; b) crescente potenziale energetico; c) aumento di efficienza operativa. Inoltre vanno rilevati i suoi tre caratteri di: progettualità, materialità, permanenza strutturale. Questi elementi e caratteri, in buona parte la differenziano dalla scienza. La rendono molto affine, invece, le procedure razionali: definire i problemi in termini empiricamente controllabili; analizzare rigorosamente le condizioni per le loro soluzioni; elaborare strategie necessarie per attuare tali condizioni; coordinare le conoscenze, per farne efficaci strumenti strategici (cfr. Agazzi, 1985, pp. 15-16).
La tecnologia, quindi, è pure un ambito di realtà e specifiche scienze progettuali (ingegneria), volte a trasformare le situazioni esistenti in situazioni desiderate (cfr. Simon, 1973, p. 79). Ciò significa che non è esatto ridurla a pura applicazione delle conoscenze scientifiche (scienza applicata). Infatti è coerente fino in fondo con l'ideale moderno della scienza, che non era contemplativo ma pratico: conoscere l'operare della natura, per imitarla, riprodurla e correggerla; dominare le leggi che “fanno” le cose per produrre cose nuove (cfr. Heidegger, Il problema della cosa, 1962; H. Volkmann-Schluck,Einführung in das philosophische Denken, Frankfurt a.M. 1965). Le scienze definite “pure” sono anch'esse intrinsecamente tecnologiche, in quanto le loro osservazioni, misurazioni, calcoli ed esperimenti esigono strumenti capaci di produrre anche artificialmente i fenomeni da osservare e misurare e con cui verificare ipotesi e teorie. La cultura moderna, quindi, è caratterizzata da una scienza divenuta tecnica e una tecnica divenuta scienza (tecnologia). Uomo scientifico e tecnologico collaborano strettamente fino a unirsi. Vide bene, quindi, Heidegger definendo la tecnica, non una pura applicazione dei risultati scientifici, ma la forma della scienza che traduce il pensiero da teoretico a produttivo. Pure gli storici hanno dimostrato che l'idea di scienza pura non esisteva in passato ma è una creazione recente (cfr. Jacob, 1992, p. 163). Una buona cultura tecnologica, quindi, deve riconoscere che l'uomo inventò tecniche e scienze, per varie ragioni: soddisfare necessità primarie; produrre tecnologie complesse in funzione della complessificazione delle sue esigenze; creare sistemi tecnologici per liberarsi dalle urgenze naturali o biologiche e dedicarsi a compiti più umani ed esigenze più spirituali e culturali.
II. Tecnologia: interpretazioni e valutazioni
Della tecnologia si danno molte interpretazioni e valutazioni, in positivo e negativo; ne esamineremo qui solo alcune più significative (umanistico-antropologica, bio-sistemica, sociale, evoluzionista). L'interpretazione «umanistico-antropologica» considera la tecnica rivelativa, poiché la sua progettualità mostra i limiti, le insoddisfazioni e gli inappagamenti da superare. Intuisce, quindi, un mondo differente e una vita diversa, più appropriati all'uomo, di cui svela le capacità interiori, cognitive e creative. Svela pure le intime esigenze di trascendenza, liberazione, salvezza e speranza, che fondano l'esperienza umana, denunciandone la natura spirituale e l'esigenza di un totalmente e radicalmente Altro. Anche l'enciclica Veritatis splendor (1993) esordisce sottolineando che: «lo sviluppo della scienza e della tecnica, splendida testimonianza delle capacità, dell'intelligenza e della tenacia degli uomini, non dispensa l'umanità dagli interrogativi religiosi ultimi, ma piuttosto la stimola ad affrontare le lotte più dolorose e decisive, quelle del cuore e della coscienza morale» (n. 1). La concezione umanistico-antropologica evidenzia, quindi, che un valido discorso sulla tecnologia non può limitarsi ai rapporti, dipendenze e priorità con scienze, economia e produzione. Esso va inserito in un ampio contesto umanistico e socioculturale, che riguardi pure la liberazione dell'uomo dai limiti e condizionamenti della sua materialità. È, quindi, decisivo riflettere sul significato antropologico della “tecnicità originaria” dell'uomo, aperta alla “progettualità” e alla “speranza”. Il «principio speranza» sottolineato da E. Bloch, prova l'esigenza di un umanesimo tecnologico, aperto alla riflessione filosofica, antropologica, etica e teologica (cfr. Gismondi, 1995, pp. 6-7, 150-151). Apre, quindi, un discorso sui fini, i significati fondamentali e i valori culturali globali, che superano il puro ambito tecnoscientifico (cfr. Gismondi, 1993a, pp. 243-245; 1995, pp. 20-22).
A differenza dell'interpretazione umanistica della tecnologia, le altre non sono esenti da proiezioni mitologiche e pregiudiziali ideologiche. Accenneremo solo alle principali, senza soffermarci sui dettagli. Iniziamo dall'interpretazione «bio-sistemica» o «bio-naturalistica», che vede nella tecnologia la sistematica estensione delle capacità biologiche umane, per mezzo di artefatti che riducono la dipendenza diretta dall'ambiente. Essa chiama «biosoma» il sistema unitario di persone, società, macchine, congegni e attività che costituisce il prolungamento socio-biologico dell'uomo. In breve, lo sviluppo tecnologico sarebbe un organismo biologico, che coordina società e macchine. Un'altra interpretazione, la «tecnologia sociale» studia le complesse relazioni fra tecnologia e società, per valutare utilità, benefici sociali, rischi e danni derivanti dalle grandi opere tecnologiche (autostrade, dighe, centrali nucleari ecc.). In particolare, s'interessa alla ripartizione dei rischi e dei costi delle nuove tecnologie, tra popolazione globale e diretti beneficiari. Analizza, quindi, le conseguenze positive (liberazione da mali e pericoli), negative (danni e pericoli nucleari, chimici e biologici) e i problemi sollevati (mutazioni nel lavoro e nelle professioni, automazione crescente, necessità di materie e fonti energetiche sempre nuovi).
L'interpretazione «evoluzionista» o «neo-darwinista» considera la tecnologia non come sistema singolo, ma come «popolazione di sistemi» in perenne evoluzione, guidata da scopi particolari e senza fini. Gli scopi sarebbero puri meccanismi privi di valore umano, spirituale, etico e culturale. Al riguardo, una critica specifica viene da Samuelson, premio Nobel per l'economia, che ritiene metodologicamente ingiustificato e concettualmente equivoco forzare i concetti di una scienza per applicarli a un'altra (cfr. Samuelson, 1978, p. 82). A loro volta, gli storici obiettano che i processi tecnologici sono di natura storica e che il principio arrestare la tecnica è impossibile, continuarla è catastrofe è ideologicamente fondato su presupposti deterministi, evoluzionisti, materialisti, naturalisti e scientisti, inadeguati per lo studio dei fenomeni complessi. Inoltre, a una visione neo-darwinista della tecnologia si oppongono i seguenti dati specifici: le componenti umane e culturali dei sistemi precedono quelle puramente materiali; il ruolo-guida compete alle finalità; la complessità è irriducibile a schemi puramente deterministici e meccanicistici (pura necessità) o casuali e aleatori (puro caso). Queste prospettive, inoltre, tendono a esagerare i vantaggi e sottovalutare gli svantaggi, a non distinguere fra essere e dover essere e ad omettere il discorso sui fini (cfr. Gismondi, 1995, pp. 35-36). Le prospettive storiche, culturali e sociali, che consentono modelli nuovi capaci di tener conto della complessità, progettualità e informazione, appaiono quindi, più adeguate (cfr. Gismondi, 1993a, pp. 103-123).
III. La tecnica nelle varie epoche storiche
La prospettiva storica tiene conto degli atteggiamenti, impostazioni concettuali, realtà e condizioni che formano l'identità e i caratteri della tecnologia, dei sistemi e della cultura tecnologica e dai quali provengono pure tecnicismi teorici e negatività (cfr. Staudenmaier, 1983, p. 12; Giedion, 1948). Nel mondo classico antico, il disprezzo del lavoro manuale e l'abbondanza di schiavi e prigionieri ostacolò l'evolversi della tecnica e consolidò una mentalità pre-tecnica (Actis Perinetti, 1977, pp. 1176-1178). Il cristianesimo, col suo messaggio spirituale e religioso sulla dignità, libertà, fraternità ed eguaglianza, pose le basi per superare la schiavitù e lo sfruttamento dell'uomo ridotto a pura energia fisica. Nell’anno 580 Gregorio di Tours condannava l'uso dei “timpani rotanti”, grandi ruote mosse dalle persone, per produrre energia umana, favorendo il diffondersi dei mulini ad acqua e a vento. Nel Medioevo la teologia sviluppò ulteriormente i concetti di natura come creazione, ambiente del Logos e “vestigia” di Dio (cfr. Summa theologiae, I-II, q. 105; s. Bonaventura: Determinationes quaestionum, pars I, q. 11, Opera Omnia (Quaracchi), vol. VIII; De perfectione evangelica, q. 2, a. 2, ibidem, vol. V; Sermones de Verbo Incarnato, V, ibidem, vol. IX). La morale si oppose sempre più allo sfruttamento dell'“energia umana” tanto che, nel secolo XII, furono inventati pure congegni mossi dalle maree. L'ingegno umano costruiva i timoni e le bussole per le navi e, nel secolo XIII, gli orologi meccanici. Quando la stampa diffuse i libri, artigiani e tecnici poterono perfezionare le loro conoscenze, migliorando le tecniche metallurgiche (forni) e per la produzione della ghisa.
Nuove esigenze, sempre più complesse e diverse, richiedevano nuovi sviluppi tecnici. Tuttavia, le innovazioni medievali, per quanto numerose e importanti, rimasero a livello della tecnica, senza divenire scienza o tecno-logia. Fu il Rinascimento ad aprire il periodo faustiano della tecnica, all'insegna del baconiano scientia et potentia in unum coincidunt (conoscenza e potere coincidono), o della scienza non contemplativa ma dominativa (Francesco Bacone, Nova Atlantis, I, 27). Il sapere come potere doveva condurre al paradiso tecnologico, dotato di tutte le invenzioni (cfr. Farrington, 1976). Cartesio proponeva di tralasciare gli aspetti teorici, per attuare una scienza utile al dominio della natura e alla vita migliore. Il sapere passava da “disinteressato” a “utile”, contrapponendo la natura manipolabile dall'uomo alla creazione biblico-cristiana e ai fini stabiliti da Dio. Lo spirito “prometeico” ispirava la cultura tecnologica moderna e preparava i giganteschi sistemi volti a costruire il mondo di un uomo dominatore dell'universo. Scienze esatte, naturali e tecniche stringevano rapporti sempre più stretti. L'ingegno tecnologico si espandeva, favorito da più condizioni: riscoperta della scienza greca, fermenti intellettuali e sociali, accumulo di ingenti risorse finanziarie, sorgere di società e banche ecc. Nasceva il dominio pratico sulla natura, mediante la razionalità tecnologica.
La scienza, per operare, esigeva strumenti e apparecchi sempre più potenti e complessi: pendoli, orologi, telescopi, cannocchiali, microscopi, ecc. Nel 1776 le macchine a vapore rendevano l'uomo indipendente dalle energie naturali (venti e acque), dando un decisivo impulso alla tecnologia. Iniziava l'industria che “meccanizzava” il lavoro e la produzione (rivoluzione industriale). Occorreva produrre e accumulare energie per sempre nuovi progetti. Bisognava passare dalle singole operazioni tecniche ai grandi sistemi tecnologici (cfr. Ellul, Tecnica, 1984, p. 334). Il passo successivo sarebbero state le macchine prodotte e gestite da altre macchine (automazione) (cfr. Spengler, 1980, p. 136; Abbagnano, 1980, p. 860). Nel secolo XX, questa eccezionale crescita, le idee che l'avevano accompagnata e le conseguenze che essa aveva provocato, furono sottoposte a una riflessione sistematica. Alcuni prevedevano miglioramenti radicali delle condizioni di lavoro, la fine dei suoi aspetti meno gratificanti e la riduzione della fatica. Altri vedevano nel progresso tecnologico un perfezionamento delle persone. Le critiche, invece, sottolineavano la rottura dell'antica alleanza fra uomo, tecnica e natura operata dalla tecnologia moderna. Il problema era lo sfruttamento e distruzione della natura, legato ai progetti scientifici, tecnologici e industriali. Questi cenni storici, per quanto brevi, mostrano le numerose variazioni della tecnica e delle sue comprensioni, nelle diverse epoche e culture. L'uomo l'adibì sempre, senza rigidi schemi teorici, alle proprie esigenze, non solo materiali. Se ne servì per sopravvivere, migliorare la propria vita e persona, perfezionare il mondo e aumentare il senso, significato, valore e bellezza delle cose.
I suoi usi migliori sembrano collegati a una concezione della natura, come creazione da rispettare e amare. Al contrario, le visioni scientiste, razionaliste, positiviste, dell'assoluta autonomia della ragione, della razionalità come dominio e della manipolazione della natura, instaurarono le ideologie di una tecnologia onnipotente e onnicomprensiva. Oggi si riscopre la storicità e contingenza delle sue molte forme. Ciò significa che quelle vigenti potrebbero essere sostituite da altre e scomparire del tutto, mentre altre sono possibili. Esse, a loro volta, dipendono da scelte di fondo, che possono porre il senso della tecnologia e delle culture tecnologiche nelle cose materiali o nei significati spirituali, ossia scelte profonde riguardanti la vita, la società, la cultura e il futuro. Poiché esse riguardano il futuro, sollevano il problema delle speranze e delle utopie, della liberazione e della salvezza, ossia nei grandi beni e valori in cui l'uomo intende, o meno, credere e impegnarsi (cfr. Ex corde Ecclesiae, 7; Gismondi, 1995, p. 59).
IV. La critica umanistica e filosofica: utopie e futurologie
Riguardo al futuro, il secolo XX ha sviluppato una “futurologia scientifica” che, dapprima, cercò di capire il futuro per orientare il presente. Non riuscendovi, cercò di capire il presente per anticipare il futuro, ma con nuovi insuccessi (cfr. De Jouvenel, 1972; Jungk, 1975; Gismondi, 1976; De Rougemont, 1979). L'ultimo tentativo, l'analisi dei contenuti (content analysis), si basava sull'analisi dello spazio riservato a certi argomenti, su certe pubblicazioni, in certi tempi (cfr. Naisbitt, 1990). Anch'esso, dopo esiti incerti fu abbandonato, poiché le transizioni sociali aggiungono ai problemi tecnologici ed economici quelli assai più complessi e imprevedibili di gruppi e persone, poco rispondenti ad enunciati generici. I limiti dello “strategismo tecnocratico” stanno nell'identificare erroneamente il progresso tecnologico con quello umano e sociale. Esso assume, quindi, come indici: l'ampliamento dell'attività economica; l'aumento dei posti-lavoro e della domanda di prodotti industriali; le produzioni e consumi di massa; l'aumento di produttività e dei salari; l'eliminazione dei lavori pesanti e insalubri e degli eccessivi orari di lavoro (cfr. Noble, 1993, pp. 10-13). Si tratta di elementi che solo in parte sono significativi e, comunque, che restano soggetti a errori d'interpretazione derivanti dalle chiavi di lettura. Nell'era della mobilità mondiale degli investimenti e delle produzioni sempre più automatizzate, in cui la competizione fra aziende e la produttività non garantiscono la prosperità sociale né la sicurezza del lavoro, quella del “progressismo tecnologico lineare” è ormai un vecchio residuo scientista e le letture “economiciste” sono poco attendibili.
La presunta “catena della prosperità”, infatti, che doveva legare gli investimenti alle innovazioni, le innovazioni alla produttività, la produttività alla competitività e la competitività alla prosperità e al benessere sociale si è rivelata illusoria. La realtà è data piuttosto da disoccupazione strutturale, destabilizzazione sociale, erosione di capacità professionali (competenza, creatività, elasticità e versatilità produttiva ecc.). Occorre, pertanto, capovolgere questa impostazione, assumendo come costanti anziché variabili: piena occupazione, comunità stabili, infrastrutture solide, integrità ambientale e regionale, sanità decente, istruzione efficace. La “democrazia economica” reale, per quanto difficile da realizzarsi, appare l'unica alternativa. Queste critiche riguardano la cultura delle società tecnologiche più che la tecnologia. Occorre, quindi, porre la persona come valore culturale prioritario e la qualità della vita come elemento cui subordinare gli altri: competitività, produttività, innovazioni, rendimenti ecc. (cfr. Noble, 1993, pp. 169-170). Leggiamo nella Centesimus annus: «è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali» per cui «l'obbedienza alla verità su Dio e sull'uomo è la condizione prima della libertà, consentendogli di ordinare i propri bisogni, i desideri e le modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia» (nn. 36, 41-42).
Pure la sociologia conferma quest'impostazione, criticando i pregiudizi per cui le innovazioni tecnologiche, da sole e necessariamente, darebbero luogo a tipi nuovi e migliori di società (ad es. le società informatiche), mediante un'evoluzione naturale di tipo quasi-organico e un continuo sviluppo evolutivo omogeneo. Propone pure che le scelte prioritarie per le tecnologie siano basate sui valori umani e sociali, scelti in modo democratico (cfr. Lyon, 1988, p. 226). La “idolatria del silicio”, ossia la razionalità matematica computerizzata, alterando le essenziali capacità spirituali, etiche, culturali e sociali delle persone, può essere anch'essa disumanizzante (cfr. Shallis, 1984, p. 169). Scientismo e tecnicismo propongono le società informatiche come soluzione per il futuro dell'umanità. Le scienze umano-sociali le denunciano come minaccia. Centesimus annus sottolinea che la soluzione dei problemi più gravi non è mai puramente economica, giuridica o strutturale, ma umana ed etico-religiosa, poiché esige cambiamenti di mentalità, di comportamento e di valori (cfr. n. 60).
V. Prospettiva antropologica e umanistica
In linea con quanto ricordato da Gaudium et spes, che valuta con equilibrio gli aspetti positivi e negativi della tecnologia, il pensiero cristiano privilegia gli approcci antropologici, umanistici e culturali. Il citato documento del Concilio Vaticano II riconosce che la tecnologia apre nuove vie, contribuisce a migliorare la vita e diffonde la cultura; sottolinea, tuttavia, che non sempre essa persegue veri valori umani. L'equilibrio fra lo sviluppo tecno-scientifico e tali valori, quindi, è uno dei compiti più urgenti nelle attuali culture tecnologiche. Scienze e tecnica possono migliorare società e culture, far conoscere meglio la natura e trasformarla. La ricerca scientifica e le trasformazioni tecniche possono consentire una miglior convivenza sociale e maggior responsabilità. Tuttavia, esse provocano pure agnosticismo, perdita della trascendenza e illusioni di autosufficienza (cfr. Gaudium et spes, 54, 56-57; cfr. Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 29.10.1990, n. 6). In realtà la “raffinata razionalità” delle culture tecnologiche ha pure diffuso illusioni fideiste e utopie miracolistiche quali: guarigione di tutte le malattie, viaggi intergalattici, governo mondiale dei saggi (tecnici), previsione e controllo perfetto del futuro, fine di fatiche e disagi, vittoria su vecchiaia e morte. Invece di questi beni illusori, si sono verificati dei mali reali: disastri nucleari, biologici e chimici; catastrofi ambientali; i rischi legati all’effetto serra e ai buchi nell'ozono ecc. Essi hanno prodotto nell’opinione pubblica delusioni e angoscia uniti al timore d'inquinamenti irreversibili e mortali, esaurimento delle risorse, che hanno attirato su scienze e tecnologie le accuse di “raffinata irrazionalità” (cfr. Ellul, Tecnica, 1984, pp. 340-341). Inoltre, aumenta la percezione che i congegni che sottraggono all'uomo capacità ed esperienze un tempo sue lo impoveriscono e lo svuotano (tesi di Leroi-Goughan) (cfr. Cotta, 1968; Finzi, 1977).
La riflessione antropologica affronta questi problemi a diversi livelli di profondità (cfr. Baudrillard, 1974). Al livello materiale, più immediato, mostra che una crescita incondizionata dei sistemi tecnologici non è ipotizzabile, dati i limiti del sistema terra e l'imprevedibilità della crescita che la biosfera può sopportare (cfr. Ellul, ibidem, pp. 348-349; Kranzberg, 1980). Al livello epistemologico e filosofico, intermedio, chiede una verifica delle idee che orientano sistemi tecnologici e innovazioni (cfr. Serrand, 1965). Al livello spirituale ed etico-morale, il più profondo, s'interroga sui fondamentali valori che devono ispirare le culture tecnologiche. I primi due livelli vanno impostati a partire dal terzo, ossia dai significati, fini e valori più profondi, per liberare la cultura tecnologica dal “tecnicismo” e restituirle significati e valori più autentici. In realtà, fino agli anni sessanta si cercava d'integrare le persone nelle socioculture tecno-scientifiche. Nei decenni 1970 e 1980 si cercò, piuttosto, di modificare le culture. Ciò dipese dalla percezione che lo sviluppo tecnico, elevato a fattore prioritario o variabile indipendente, riduce le esigenze umane e socio-culturali a fattori secondari e variabili dipendenti (impostazione “tecnomorfa”), rendendo uomo e società puri “derivati” tecnici (cfr. Koslowski, 1991, p. 5). Emerse pure che la conoscenza e l'informazione contano più della materia e che le analisi storiche, socio-culturali e antropologiche sono più significative di quelle puramente naturalistiche.
Pure la filosofia della cultura percepì che la tecnologia, nata da scelte e decisioni umane, è soggetta alle vicende storiche, economiche e politiche e legata a fini, scopi e interessi di parte. Cominciò, quindi, a valutarla in una prospettiva antropologica centrata sul bene comune, per capire come farne coefficiente di liberazione anziché d'imposizione. La tecnica produrrebbe ciò che non esiste se l'uomo non lo facesse apparire (cfr. Koslowski, ibidem, pp. 8-10). La tecnologia, vista come svelamento, allarga il discorso ai fini, gli effetti, i significati e i valori, con importanti conseguenze euristiche ed etiche (cfr. Maldonado, 1979). La capacità di svelare mostra che la tecnica appartiene essenzialmente al mondo dello spirito, delle rappresentazioni e dell'intelletto agente (intellectus agens). Essa svela la sua autentica essenza umana e culturale, fuori della quale si svuota e snatura. Di qui l'insufficienza delle sue interpretazioni naturalistiche, materialiste, deterministe, biologiche, evoluzioniste, ecc., incapaci di comprenderne i contenuti autenticamente umani. Di qui la necessità di rendere “antropomorfe” le culture “tecnomorfe”, privilegiando le espressioni della coscienza umana e le esperienze dello spirito, impenetrabili ai tecnicismi, funzionalismi e utopismi tecnocratici (cfr. Laborem exercens, 13).
VI. Per una nuova cultura tecnologica
La moderna cultura europea ha considerato l'uomo come risposta alla domanda sulla verità. Dimenticò, tuttavia, che egli non è ancora la verità, né tutta la verità e che questa, comunque, è sempre incommensurabile all'uomo. Le religioni avevano risposto che la verità è Dio, a costo di sminuire il valore e significato dell'uomo. La fede cristiana, invece, risponde che la verità è Dio fatto uomo, per cui i progetti culturali non possono fondarsi né sull'uomo come verità, né su una verità riferita genericamente ed esclusivamente a Dio. Occorre percorrere, fino in fondo, l'itinerario che va dalla cultura all'uomo, dall'uomo alla sua verità, dalla verità dell'uomo alla verità di Dio, dalla verità di Dio alla verità di Dio fatto uomo. La validità di ogni progetto culturale, quindi, si misura confrontandolo con questoitinerario veritativo (cfr. Koslowski, 1991, pp. 276-277). Questi rilievi sull'approccio umanistico alle culture tecnologiche sono corroborati da numerosi testi del Magistero della Chiesa cattolica sulla cultura tecnoscientifica, il progresso tecnologico e i valori della coscienza: «Non esiste alcun motivo per concepire la cultura tecnico-scientifica in opposizione con il mondo della creazione di Dio. […] Ma non ci possono essere dubbi riguardo alla direzione verso cui guardare per distinguere il bene dal male. La scienza tecnica, diretta alla trasformazione del mondo, si giustifica in base al servizio che reca all'uomo e all'umanità» (Giovanni Paolo II, Discorso agli scienziati e agli studenti nella Cattedrale di Colonia, n. 4). «Lo sviluppo tecnologico caratteristico del nostro tempo soffre di un'ambivalenza di fondo: mentre da una parte consente all'uomo di prendere in mano il proprio destino, lo espone, dall'altra, alla tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura, mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza e integrità della persona umana» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti a due congressi medici, 27.10.1980, Insegnamenti, III,2 (1980), p. 1007).
Perciò, ancora con parole di Giovanni Paolo II, «siamo confrontati da una grande sfida morale che consiste nell'armonizzare i valori della tecnologia, sorta dalla scienza, con i valori della coscienza» (Discorso al CERN, Ginevra, 15.6.1982, Insegnamenti, V,2 (1982), p. 2322); «bisogna mobilitare le coscienze e congiungere le forze vive della scienza e della religione per preparare i contemporanei alle sfide dello sviluppo integrale» (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 29.10.1990, n. 7). Ciò significa che bisogna superare i limiti e difetti più gravi della cultura tecnologica, per poter recuperare i valori e significati fondamentali della tecnologia. Più esplicitamente, si tratta di: superare l'oblio dell'essere; ridimensionarne i falsi assoluti; riscoprire la “presenza nascosta” e recuperare la Trascendenza; riproporre un discorso sui valori umanistici e i significati antropologici della tecnicità; rivalutare l'autentica verità dell'uomo, le esigenze etico-morali e le istanze di libertà. Il compito è indubbiamente difficile, ma è sollecitato da una rinascente sensibilità verso i valori più profondi, da ricondurre alla “presenza nascosta” e alla Trascendenza. Le filosofie dell'esistenza hanno manifestato la necessità di uscire dalle “gabbie di acciaio” (scientismo, razionalismo, irrazionalismo, immanentismo, nichilismo ecc.), che imprigionano il pensiero e soffocano le coscienze. È significativo che il «principio speranza» sia germogliato in un autore come Ernst Bloch (1885-1977), esponente della cultura tecnicistica più preclusiva e negatrice della Trascendenza (Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt 1959), che nel XX secolo cercò d'imporre al mondo i suoi progetti di totale immanenza (marxismo, comunismo).
L'opzione fra immanenza e Trascendenza ritorna decisiva. Un discorso sulla trascendenza può sembrare fuori luogo, per una tecnologia legata a progetti materiali immediati. Quello sulla speranza può apparire irrealistico per traguardi di produzione e urgenti necessità materiali, che esigono certezze. Se, però, colleghiamo questi progetti e traguardi al contesto di preoccupazioni del presente e angosce per il futuro, sollevate proprio dalla presenza e gestione dei colossali sistemi tecnologici attuali, i due discorsi appaiono assai meno astratti. È la realtà quotidiana di milioni di persone a reclamare e rivalutare la necessità di una speranza. Occorre, tuttavia, chiedersi sinceramente quale: le speranze limitate, esclusivamente terrene, immanenti e secolari o la speranza autentica, che esige aperture trascendenti? La differenza è sostanziale. La speranza autentica ha dimensione teologale, religiosa e metafisica. È ad essa che va orientato il discorso sulla speranza, riapertosi nel cuore della cultura tecnologica moderna. A tal fine, il fallimento dei progetti tecnoscientifici utopici e rivoluzionari, totalmente immanenti, va analizzato fino in fondo. Occorre sottolineare che il principio speranza del marxista Bloch non lasciava «nessun Dio nei cieli, perché lassù proprio non c'è e non ce n'è mai stato uno» e che per «trascendere senza trascendenza […] è l'avanti che attira, perché lo si può formare, non il lassù» (Il principio speranza, Milano 1994; Ateismo nel cristianesimo, Milano 1971). Un altro marxista faceva della speranza «l'anticipazione militante dell'avvenire terreno» (cfr. R. Garaudy, Parola di uomo, Assisi 1975). Queste speranze sono svanite nel 1989. Nessuna speranza che svanisce nel tempo può essere vera. Come vedremo più avanti, vera speranza è solo quella che non può svanire nell'uomo, né nel mondo.
VII. Tecnicità originaria e speranza teologale
È proprio il resistere a ogni vicenda storica e a ogni riduzione secolarizzante e immanentista che conferisce alla speranza il suo valore. Lévinas (1905-1995) sottolinea che l'immanentismo moderno, nel titanico sforzo di sopprimere la trascendenza, riuscì solo a negare l'altro, ossia ogni essere dotato d'identità e dignità propria: l'uomo, la persona, Dio stesso. Per superare questa crisi e recuperare la speranza si deve ritornare a riconoscere e rispettare ogni altro (cfr. Lévinas, 1983, pp. 5-26). Riguardo alla natura, ciò significa la fine di ogni dominio, manipolazione e sfruttamento indiscriminato di energie e risorse. Riguardo all'uomo, significa il riconoscimento della sua verità, dignità, libertà e delle sue ineliminabili dimensioni ed esigenze spirituali, relazionali e comunionali. Riguardo a Dio, significa rivalutare integralmente l'essenziale dimensione spirituale, religiosa ed etica di persone, culture e società, che lo riconoscono Signore, Creatore e Salvatore universale. Questi riconoscimenti costituiscono gli itinerari di speranza che concordano con la saggezza antica e l'autentico umanesimo. Essi sostengono il rispetto verso l'altro, come eguale (uomo) o come inferiore (natura), partendo dal rispetto per l'Altro che è superiore (Dio) (cfr. Gismondi, 1993a, p. 177). Tuttavia, la speranza terrena è autentica solo per chi riconosce il limite invalicabile della finitezza umana. Tale riconoscimento, se si limita alla percezione della temporalità chiusa e disorientata, produce nichilismo, sentimento dell’assurdo e disperazione.
Esso vanifica il desiderio e le spinte umane al superamento e all'apertura divenendo, come disse magistralmente Gabriel Marcel (1889-1973), «coscienza del tempo come prigione» (Marcel, 1967, p. 64). L'orizzonte dell'esistenza chiuso unicamente in un “al di qua” privo di trascendenza sprofonda ogni speranza nell'illusione impotente (cfr. K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, Milano 1970, p. 724). La dimensione umanistica e la visione antropologica della tecnicità, come anelito a un mondo e a una vita diversi da quelli puramente naturali, preservano da tale sprofondare. Per esse la tecnica è segno e svelamento di una condizione consona alle esigenze umane, non reperibile in nessuna delle dimensioni storiche e terrene, per quanto perfezionate e idealizzate. Il principio speranza immanente non offre nulla all'esigenza incolmabile, all'anelito spirituale, all'esigenza di liberazione dai limiti del presente, all'ansia di apertura al totalmente Altro. L'originaria tecnicità antropologica mostra che tecnica e tecnologia non escludono ma esigono una prospettiva trascendente, non rifiutano ma attendono una speranza ultraterrena che le preservi da ogni pretesa immanente di autoliberazione e autosalvezza (cfr. Gismondi, 1998b, pp. 124-126).
Le speranze secolari moderne, per onestà teoretica e oggettività storica, devono riconoscere che assai prima di loro vi furono le speranze religiose e, al di sopra di tutte, la speranza teologale cristiana, le cui proposte radicali la diversificano da ogni altra. Il suo specifico irrinunciabile è l'annuncio-testimonianza della speranza che radica il tempo, dalla creazione al suo esito escatologico, nel mistero dell'Incarnazione e Redenzione di Cristo, sua base, centro e vertice (cfr. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 8.12.1975, n. 27; Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, 7.12.1990, n. 44). Essa non è solo qualcosaper il tempo, la storia e l'“al di qua”. È il dono di Qualcuno che, nel tempo e nella storia, offre il pieno compimento oltre il tempo e la storia. La speranza di Cristo e in Cristo fa del tempo e della storia molto più di una semplice attesa o apertura, rendendoli, con la sua presenza, tempo di grazia e storia di salvezza. Pertanto, la speranza cristiana è fondata nell'Assoluto che, in modo gratuito e straordinario, si dona e manifesta nel relativo, facendosi via, verità e vita e operandovi come mistero di grazia e di salvezza (cfr. Gv 1,14; 14,6). Tale mistero non contraddice l'intelligenza né la ragione, ma solo le pretese razionalistiche dell'assoluta autonomia dell'uomo. Per una ragione e intelligenza veramente umane, invece, è dono e sfida positiva, che apre ricerche, riflessioni e impegni illimitati.
Senza di essa è impossibile rispondere in modo convincente alla domanda kantiana: «che cosa posso sperare?». Essa mostra alla cultura tecnologica la sua impossibilità di “significare”, in modo convincente ed esaustivo, la pienezza dell'esperienza umana. Infatti, la speranza, con le sue esigenze d'intenzionalità, fini, senso e significato, trasgredisce tutti i limiti dei saperi contingenti e supera i confini di ogni razionalità protocollare. Spazia nell'intera esperienza personale, ove abitano l'ulteriorità e l'ultimità di domande veramente umane, che esigono solo risposte vere, nei confronti delle quali lagaranzia razionale non può arrogarsi controlli onnicomprensivi, né impedire aperture. Pur giungendo e muovendosi a queste altezze, la speranza teologale non si sottrae alle esigenze della cultura tecnologica, ma le propone il recupero di un atteggiamento umano autentico che, unendo fede e ragione, sappia progettare e operare, per risolvere responsabilmente i problemi, e provvedere alle incertezze e rischi del futuro. Essa consente una vera “progettualità” tecnoscientifica, orientata a giusti fini, rispettosa dei metodi, consapevole dei mezzi e delle risorse da adibire. La sincera speranza e l'autentica progettualità non si escludono ma s'integrano a vicenda nel mobilitare le migliori capacità dell'uomo.
VIII. Lavoro e tecnica nella Rivelazione
Per capire la relazione fra speranza e tecnologia occorre risalire all'autentica tecnicità originaria che la Sacra Scrittura descrive più volte, mostrandone la novità e diversità dal concetto greco-classico ditékne (cfr. Aristotele, Metafisica, XII, 3, 1070a) ripreso, poi, dal pensiero cristiano, per esplicitare la responsabilità dell'uomo nell'universo. Nella Bibbia, la visione della tecnica trasformatrice della natura e dell'uomo prevale su quella della produzione di beni. Il Creatore chiama l'uomo, sua immagine, ad aver cura della creazione (cfr. Gen 2,15). Lavoro e abilità tecnica, prima che sostegno o adattamento dell'ambiente, vi esprimono la «cura amorosa delle cose» (cfr. Testa, 1959). La natura, intesa come creazione, invita alla ricerca, alla riflessione, a interventi rispettosi e amorosi. Nel rispetto a Dio e alle sue opere, le creature non sono oggetti o cose, ma alleate e amiche dell'uomo, che aiutano a vivere in un mondo rinnovato e trasformato dal suo ingegno. Il creato, espressione amorosa e sapiente del Creatore, può ricevere, senza danno, ogni intervento umano ispirato dallo stesso amore e sapienza (cfr. Caprioli-Vaccaro, 1983). L'universo rivela un sistema di entità ordinate ragionevolmente, che l'uomo può osservare-contemplare da molti punti di vista: religioso, simbolico, estetico (cfr. Gilson, 1983, pp. 441-465). Il confronto fra questo quadro e la costruzione della torre di Babele mostra chiaramente l'origine e il contenuto degli abusi. Quanti si oppongono al progetto di Dio — agli inizi Adamo, più tardi i costruttori della torre — producono effetti negativi, finendo confusi e divisi dalle proprie opere (cfr.Gen 11,1-26). I mali, dunque, non derivano dalla tecnica, ma dalla stoltezza e insipienza umana.
La Genesi mostra il mondo chiamato da Dio a uscire dal disordine per essere ordinato. Il tempo scandito dalla Parola non appartiene al caos né al cosmo, ma solo alla volontà di Dio che, nominandoli in giorni successivi, crea il tempo di ogni cosa fino all'ultimo giorno, tempo dell'uomo, al quale Dio affida tutte le creature e i loro tempi. L'originalità biblica emerge qui rispetto al mondo pagano di Eraclito, chiuso in se stesso e privo di progresso: «questo cosmo di fronte al quale ci troviamo e che è lo stesso per tutto e per tutti, non fu creato da un Dio né dall'uomo. Era già, è e sempre sarà. Il fuoco del suo logos divampa eternamente e si spegne di nuovo secondo tempi immutabili» (Diels-Kranz, fr. 30). Per il messaggio biblico, il rapporto fondamentale non è fra l'uomo e il mondo, ma fra Dio e l'uomo, come base del rapporto uomo-mondo. Per questo la concezione biblica della tecnica è positiva. Diversamente da quelle pagane o atee, essa evidenzia l'autentico senso umano della tecnicità. Per il Creatore, natura e universo non sono cose da sfruttare, ma creature da rispettare e custodire, con amore intelligente e intelligenza amorosa. L'annuncio biblico, quindi, sostiene le giuste esigenze della tecnologia, ma contrasta le illegittime pretese del tecnicismo. Il libro della Genesi non parla di «mondo» e «universo» ma di «cielo e terra», immagini di realtà celesti. Dopo il peccato, il mondo rimane la casa dell'uomo, ma diviene il luogo del contrasto fra male e bene. Ogni rapporto fra uomo e mondo, compreso il lavoro e la tecnica, esprime il mistero dell'iniquità e della salvezza. Secondo il messaggio contenuto nel Qoèlet e in altri testi sapienziali, la vita umana, senza Trascendenza, non produce sorprese e novità, ma solo noia, sofferenza e disperazione mortale (cfr. Alfaro, 1972). Nella pura immanenza non vi è posto per la vera speranza, che abita altrove.
Nell'AT il mondo è incompiuto e va completato e perfezionato, imprimendovi il segno del Creatore. Nel NT va liberato e purificato con la grazia di Cristo e la potenza dello Spirito, per essere trasfigurato in vera immagine delle realtà celesti (cfr. C. Lesquivit, P. Grelot, Monde, in “Vocabulaire de théologie biblique”, Paris 1970, coll. 784-791). Il riferimento a Dio, Creatore e Signore, impedisce all'uomo ogni dominio indiscriminato o assoluto. La narrazione del libro dell'Esodo illustra gli aspetti negativi e positivi della tecnica. Quelli negativi emergono dalla schiavitù di Egitto: oppressione, dominio, sfruttamento e abbrutimento (cfr. Es 6,6). Quelli positivi appaiono nella costruzione del tempio: capolavori d'arte, d'abilità e d'ingegno che sono la gloria di Dio e dell'uomo (cfr. Es c. 35; Alfaro, 1972, pp. 40-41). Lavoro e tecnica, quindi, completando la creazione divina, migliorano l'uomo e il mondo, purché non siano ridotti a servire la grandezza, ricchezza e potere terreni. Il NT sottolinea la tecnica come prudenza evangelica. Nel Vangelo il costruttore della torre deve calcolare spese e mezzi prima di costruire (cfr. Lc 14,28). Le costruzioni devono avere fondamenta solide e appropriate (cfr. Lc 6,48-49). S. Paolo presenta il valore della speranza per l'universo, enfatizzandone il dinamismo, che trascina con sé la fede e la carità (cfr. 1Cor 13,13; Gal 5,5-6; 1Tes 1,2 e 5,8; Ef 1,15-18; Col 1,4-4). Il suo discorso s'inserisce in un contesto di salvezza e speranza totale, per il cosmo misteriosamente trasformato (cfr. S. Lyonnet, Dieci meditazioni su San Paolo, Brescia 1966, pp. 89-90). Tutta la creazione è protesa a questa liberazione dalla vanità e corruzione, anche se il suo modo rimane misterioso (cfr. Rm 8, 19-23). Tecnicità e progettualità tecnologica partecipano a questo sforzo per edificare un mondo rinnovato e una convivenza degna dell'uomo, il cui cuore «è più grande di tutto ciò che non è Dio» (cfr. Verhoeven, 1969, pp. 183-184, 197).
IX. Progettualità, speranza e suoi impegni
La speranza cristiana pone l'uomo in un dinamismo perenne verso la trascendenza assoluta, che conferisce valore alla temporalità, inserendola nell'eterno. Essa fonda pure un'etica della temporalità, che riscatta il divenire dalla banalità e insignificanza, mediante risposte non puramente concettuali, che sono vere “opere della speranza”. Conferisce, quindi, particolare valore ai progetti umani, come preparazione al nuovo futuro divino per il mondo, togliendo fatalità alla storia e valorizzando le responsabilità del presente. Marcel sottolinea che la virtù della speranza impegna i singoli e tutta l'umanità (cfr. Marcel, 1970, vol. II, pp. 144-145). La speranza, come “definizione” dell'esistenza cristiana, si estende ai problemi della tecnologia, dell’economia e della ecologia perché, nota s. Paolo, l'uomo è così profondamente unito alla creazione, che la sua salvezza implica quella del creato (cfr. Rm 8,19-23). Per la fede cristiana, quindi, i recenti tentativi di rilanciare la speranza, sia pur secolarizzata, al fine di sostenere le migliori energie dell'uomo, non vanno sottovalutati, come non vanno sottovalutati i fallimenti delle speranze puramente immanenti. In modi opposti testimoniano la necessità della speranza per la vita umana. Tuttavia, la speranza trascendente non è mai estranea al mondo e all'uomo, poiché esige la quotidiana traduzione in segni e impegni (opere della speranza). La speranza cristiana teologale-escatologica, quindi, discerne la storia e l'orienta al futuro assoluto con opere concrete, rispondenti alle esigenze umane e alle attese culturali e storiche. La cultura tecnologica diviene, allora, un grande scenario dell'azione rinnovatrice e liberatrice della speranza cristiana.
Il Concilio Vaticano II, collegando sviluppo tecnologico e rivoluzione industriale, ha cercato di illuminare il significato umano, socio-culturale e salvifico-spirituale dei problemi emergenti nelle culture tecno-scientifiche. Per la costituzione Gaudium et spes, gli sforzi per migliorare le condizioni di vita, come frutti dell'ingegno e del coraggio dell'uomo, corrispondono alle intenzioni di Dio. Sono segni del suo grande progetto. L'attività umana permette di trasformare cose e società, perfeziona e aumenta le conoscenze dell'uomo, sviluppa le sue facoltà e lo porta a superare se stesso, attuando la sua vocazione integrale. Il comandamento dell'amore è la legge fondamentale della perfezione umana e della trasformazione del mondo, rendendo l'uomo capace di amare e rispettare il creato (cfr. nn. 34-35, 37-38). Dal canto suo, nell’enciclica Laborem exercens (1981), Giovanni Paolo II ha posto in una prospettiva mondiale i problemi del lavoro creati dal nuovo contesto dell'automazione e dalle ristrutturazioni da essa provocate. Ha confermato l'aspetto umano del lavoro come chiave essenziale della questione sociale (cfr. nn. 1-3); ha notato che scienze, tecnica e industria gli sono debitrici del loro particolare impulso e ne confermano il grande valore etico e spirituale (cfr. nn. 4, 6); ha valutato la tecnologia come «alleata del lavoro e dell'uomo», senza nascondere che, sovente, viene trasformata in sua avversaria, dai responsabili dell'economia che l'adoperano per «soppiantare» i lavoratori, sottraendo loro creatività, responsabilità e occupazione (cfr. n. 5).
Analogamente, in Sollicitudo rei socialis (1987) è stato sottolineato il contributo della tecnica alla liberazione dell'uomo, anche su scala mondiale (cfr. nn. 7, 10). Si ricorda che tecnologia e industrializzazione contribuiscono alla solidarietà e all'interscambio, tuttavia producono pure conseguenze negative, come le contaminazioni ambientali che danneggiano il pianeta e la salute dei popoli (cfr. nn. 34, 43). Infine, l’insegnamento contenuto nella Centesimus annus (1991) ha evidenziato la stretta relazione fra i mutamenti ideologici e tecno-scientifici e la questione sociale. Essi condizionano non solo l'economia, ma la società e le persone. Vi si sottolinea pure che i poteri economici, politici e militari trasformano i progressi tecnologici e scientifici in strumenti di devastazione e di morte, rendendoli micidiali e distruttivi, al servizio dell'odio ideologico e di oscuri interessi di ogni genere (cfr. nn. 4, 17). L'ingiustizia dei sistemi economici e tecnologici, quindi, non dipende dalla tecnologia, ma dai soggetti che se ne servono e, soprattutto, dalle condizioni culturali e ideologiche, radicate nella carenza dei fondamentali valori spirituali, religiosi ed etici di culture e società (cfr. n. 24).
X. Sintesi conclusiva
Attualmente la cultura tecnologica e gli impegni “sociali” della speranza sono chiamati a fronteggiare i gravi problemi analizzati e sottolineati. Nell'acuto dibattito tra fautori entusiasti del potere tecnologico e radicali pessimisti che criticano o rifiutano ogni innovazione, il messaggio cristiano può inserire il suo solido equilibrio. Riconosce le difficoltà, i rischi e i mali, ma anche le possibilità di uno sviluppo tecnologico corrispondente al disegno di Dio. Ricorda che occorrono princìpi per guidarlo, orientarlo e controllarlo al fine di evitarne gli abusi (cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Chiesa e lavoratori nel cambiamento, Bologna 1987, n. 5). Propone di contestualizzare le innovazioni tecnologiche nelle culture locali, tenendo conto delle esigenze mondiali e dei problemi emergenti, quali la crescente disoccupazione provocata nei vari contesti economico-sociali e l'aumento degli esclusi (anziani, emarginati, nuovi poveri, aree mondiali più fragili) dai miglioramenti (cfr. ibidem, n. 6). Ammonisce che nessuno dei problemi esaminati può essere risolto con le sole innovazioni tecnologiche, ma va affrontato con spirito nuovo, tenendo conto di tutte le componenti umane culturali e sociali. Sottolinea che le diverse interpretazioni scientifiche, filosofiche, umanistiche, antropologiche e teologiche mettono in luce la necessità d'integrare le componenti della cultura tecnologica nella prospettiva più ampia della speranza trascendente, escatologica e teologale, capace di resistere alle prove storiche e alle verifiche più severe.
La molteplicità e complessità degli argomenti trattati non consente una sintesi dettagliata delle esigenze emerse, ma solo alcune indicazioni generali. Riguardo alle “culture tecnologiche” la fede cristiana dovrà: a) illuminarne e orientarne la progettualità secondo i fini, significati e valori del Vangelo; b) valorizzare l'istanza originaria della tecnicità, come glorificazione di Dio nel creato, trasformazione della realtà al servizio del bene comune e del prossimo, realizzazione ed espansione delle persone; c) orientare i responsabili al controllo delle tecnologie e innovazioni nel rispetto, conservazione e sviluppo del creato a servizio dell'uomo; d) affrontare con misure adeguate la costante diminuzione dei posti di lavoro conseguente alle innovazioni e sviluppi tecnologici; e) contrastare la perdita delle capacità umane conseguente agli sviluppi tecnologici. Riguardo alle “tecnologie” la fede dovrà orientare: a) ad agevolare il lavoro, liberandolo dagli aspetti più dannosi, pericolosi, faticosi e frustranti; b) a pianificare trasformazioni del creato benefiche e ragionevoli; c) a controllare le conseguenze negative; d) a rispettare le esigenze delle generazioni future; e) a controllare e contrastare le conseguenze negative degli sviluppi tecnologici.
All' “uomo tecnologico”, infine, la fede dovrà ricordare la sua vocazione di co-protagonista consapevole e responsabile della redenzione del mondo; invitarlo a non porre le sue speranze solo nell'opera delle proprie mani e della propria mente; spingerlo a innovare per il vero bene di tutto l'uomo e tutti gli uomini; incoraggiarlo ad affrontare difficoltà, rischi e fatiche fidando nella vera «speranza del mondo» (cfr. Gismondi, 1998b, pp. 184-186). A tal fine dovrà unire, al messaggio della fede, le opere della speranza, essenziali per trasformare la cultura tecnologica in una cultura del sociale relazionalee dell'economia solidale, perché uomo tecnologico, tecnologia e sistemi tecnologici servano alle autentiche esigenze dell'uomo e dell'umanità (cfr. Gismondi, 1995, pp.180-181).
Documenti della Chiesa Cattolica correlati:
Gaudium et spes, 5, 23, 33, 39, 54, 57; Apostolicam actuositatem, 7; Populorum progressio, 42, 48, 65; Redemptor hominis, 15-16; Laborem exercens, 1-3, 4-6, 24-25; Sollicitudo rei socialis, 15, 27, 29, 46; Ex corde Ecclesiae, 7; Centesimus annus, 4, 17, 24, 31-33, 36-38, 50-51; Fides et ratio, 46. Giovanni Paolo II: Discorso agli scienziati e agli studenti nella Cattedrale di Colonia, Colonia 15.11.1980, Insegnamenti III,2 (1980), pp. 1200-1211; Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 29.10.1990, Insegnamenti XIII,2 (1990), pp. 961-967.
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