Etica del lavoro scientifico

I. Il problema della formulazione di un'etica del lavoro scientifico - II. Neutralità etica, etiche del limite, etiche positive - III. Condizioni di un'etica del lavoro scientifico - IV. Teorie dei sistemi e proposta sistemica - V. Proposta sistemica e nuovo pensiero scientifico: limiti e possibilità - VI. Etica dei diritti umani - VII. Modi e forme della verità - VIII. Etica della verità ed etica del lavoro scientifico - IX. Sintesi conclusiva: oltre una visione neutrale della scienza.

I. Il problema della formulazione di un'etica del lavoro scientifico

1. Uso dei termini e stato del problema. L'abituale espressione: «etica della scienza» non è molto chiara e si presta ad equivoci. La parola «scienza», infatti, nonostante il moltiplicarsi degli ambiti disciplinari, nella mentalità comune indica tuttora le scienze fisico-naturali e matematiche. Inoltre, la parola «etica» indica un'esigenza esclusiva delle persone, rendendo più appropriata la locuzione: «etica dei ricercatori» o «etica degli operatori scientifici». Essa, tuttavia, sarebbe alquanto limitativa, riguardando solo alcuni dei molti soggetti coinvolti nell'impresa della scienza. Per questo viene preferito il termine più ampio e generale di: etica del lavoro, dell'impegno o dell'attività scientifica. «Lavoro» indica maggiormente le attività professionali specifiche della ricerca. «Impegno» riguarda tutti i soggetti coinvolti nelle varie imprese scientifiche. «Attività» esprime i due precedenti aspetti, essendo il termine più ampio. Dei tre, quindi, nessuno è identico all'altro, ma solo analogo o affine. Per non complicare oltremodo, li useremo sovente come sinonimi. Quanto a «scienza», designa un tipo di sapere rigoroso, oggettivo, dotato di autonomia metodologica, organizzato in modo sistematico, organico e razionale (cfr. Agazzi, 1984, vol. I, p. 7). Si divide in pura e applicata o, meno esattamente, in scienza e tecnica. Per una certa confusione, la «scienza pura» è considerata, in quanto pura conoscenza, esente da esigenze etiche, che riguarderebbero, invece, la «scienza applicata», ossia le applicazioni tecniche.

La dizione «lavoro scientifico», quindi, sembra più appropriata, comprendendo sia la scienza pura che applicata. La differenza è che gli operatori scientifici non si dedicano a “produrre” direttamente i frutti della ricerca poiché, solitamente, lo fanno i tecnici. La confusione deriva dal fatto che la scienza moderna, pur appellandosi all'ideale puramente cognitivo di Galilei (1564-1642), di fatto ha seguito quello operativo di Francesco Bacone (1561-1626), finalizzato a dominare la natura. Inoltre, anche la tecnica è divenuta una scienza: la «tecnologia». La dizione più corretta e realistica sarebbe, quindi, «attività o lavoro tecnoscientifico» (Gismondi, 1995, pp. 14-15). Seguendo Bacone, le scienze moderne, dalle osservazioni iniziali alle sperimentazioni finali si tecnicizzarono, vincolandosi sempre più strettamente alla tecnologia, fino a divenirne inseparabili (cfr. Buzzoni, 1995; Boniolo, 1999). Tale simbiosi produsse strumenti sempre più potenti, complessi e costosi: le macchine. Ideate inizialmente per la ricerca scientifica, ben presto servirono a molti altri usi. La loro diffusione provocò: la completa tecnologizzazione delle scienze; la rivoluzione industriale; la crescente manipolazione della natura; la creazione di bisogni artificiali per aumentare prodotti e profitti; la valorizzazione e insieme lo sfruttamento del lavoro. In epoca più recente, il pensiero tecnoscientifico ha fatto proprio l'ideale di realizzare tutti i “possibili”, riaprendo su vasta scala l'antico problema morale che non è moralmente lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile.

La scienza, quindi, alla ricerca disinteressata della verità ha sempre più unito il dominio e la manipolazione della realtà, facendo proprie le categorie dell'utilità, dell’efficacia e dell’efficienza. Del resto, fin dagli inizi, la ricerca e il metodo sperimentale moderno furono tecnici e manipolativi. Da allora, per definire gli aspetti e gli oggetti di ogni ricerca la scienza manipola artificialmente le cose, mediante artefatti tecnologici sempre più potenti e sofisticati. La ricerca e la manipolazione sull'uomo hanno sollevato problemi morali assai delicati. Con le sue importanti conseguenze, la progettualità tecnoscientifica influenza fino alle radici il senso etico-morale di ogni sociocultura (cfr. Agazzi, 1990, pp. 1177-1178). La dizione «etica del lavoro tecnoscientifico», più adeguata, invita a riesaminare tutto il discorso sulla neutralità etica della scienza, apportandovi premesse e distinzioni. Da un punto di vista storico, va ricordato che le trasformazioni socio-culturali dell'era moderna fecero apparire le elaborazioni etiche, maturate nelle precedenti socio-culture statiche, inadeguate a risolvere i nuovi problemi dinamici. La razionalità tecnoscientifica, forte dei suoi primi successi nello spiegare le realtà materiali e indagare i problemi umani, sembrò capace di sostituirle. Essa, meglio delle vecchie norme etiche, spiegava i fenomeni e costruiva gli strumenti che aiutavano l'uomo a comprendere se stesso e orientare vita e azioni.

Le scienze apparvero lo strumento ideale per conoscere, riordinare e dominare razionalmente la realtà. Filosofia classica, princìpi morali e religiosi furono contestati e sottoposti al dubbio metodico dalla loro razionalità, ritenuta sovrana e inconfutabile. L'uomo, finalmente, si sentiva adulto, padrone di sé e della natura, capace di dominare tutto con la sua pura ragione. Si dovette attendere la maturazione delle scienze umane e sociali per poter scoprire i condizionamenti biologici, le pulsioni psicologiche, le incongruenze storiche, le persuasioni sociologiche occulte, le manipolazioni ideologiche e politiche e le pressioni economiche che condizionano la ragione e fuorviano la mente e il pensiero. Esse demolirono le presunte certezze della razionalità e le sicurezze della ragione scientifica, privando di basi e strumenti il pensiero scientista, che aveva delegittimato filosofia, etica e religione e screditato il discorso sui fini, sensi, significati e valori.

2. Vie e tentativi di soluzione. Questo crollo segnava una rottura non solo epistemologica, ma assai più profonda e radicale, aprendo un abisso fra scienza e vita e mondo dell'uomo. Per poter riprendere il discorso etico, tuttavia, il pensiero laico e cristiano dovette svolgere una serrata critica degli strumenti concettuali messi a disposizione dell'uomo dalle scienze (cfr. Rossi, 1990, pp. 1160-1161). Nell'epoca moderna il sapere, intrecciandosi sempre più al fare e al potere di selezionare, manomettere e manipolare cose, persone e gruppi si è rivelato capace d'imprigionare l'uomo. Per questo scienze e tecniche vennero considerate non solo come saperi o insiemi di conoscenze, ma anche come sistemi di attività umane e professionali (cfr. Gismondi, 1978, pp. 240-283; Gismondi, 1995, pp. 208-211). Ciò ha portato a riformulare più correttamente il problema della neutralità etica della scienza, come assoluta indipendenza da giudizi e interferenze esterne, soprattutto di valore etico. L'idea che la ricerca oggettiva, indagando la realtà senza giudicarla, sia il valore deontologico supremo risultò un derivato dell'umanesimo ad oltranza che rifiuta ogni limite, già fortemente criticato da Heidegger (cfr.Sull'umanismo, 1947). Dalla metà del XX secolo, si sottolineò il carattere applicativo della maggior parte delle ricerche scientifiche, commissionate e condizionate da poteri (militari, politici, economici e finanziari) tutt'altro che disinteressati.

Si giunse pure a considerare neutrale la scienza, come sistema di sapere, solo qualora non intervengano fattori o interessi estranei alla ricerca. Divenne invece pacifico che, come attività umana, essa dipende sempre da motivazioni personali, condizionamenti socioculturali, e contesti storici che non ne consentono la neutralità. Si pensò pure a verifiche al riguardo. Esse, però, sollevano problemi molto delicati, che fanno escludere i controlli politici e rendono vaghi, difficili e inattuabili quelli sociali. Per questo si pensa a un'autoregolazione basata sulla responsabilità (Agazzi, 1990, pp. 1178-1180). È la «proposta sistemica», che esamineremo fra breve. Un'etica del lavoro scientifico, quindi, benché indispensabile non è stata ancora elaborata. Per essa non mancano mezzi e condizioni quali: un articolato discorso storico e teoretico sulla scienza; la ripresa del dibattito etico-morale; la discussione interdisciplinare su problemi particolari quali bioetica, ecologia ecc. (cfr. Gismondi, 1997, pp. 5-8). Le si oppongono, tuttavia, i residui della modernità, come: estraneità di etica e scienze; disgregazione dei precedenti sistemi di valori; crisi delle evidenze etiche; grande pluralismo; diffusa convinzione che sensi, significati, fini e valori emergano solo dal consenso, ecc.

Ostacolo ancora maggiore sono alcuni dogmatismi più tenaci, propri dei razionalismi e positivismi moderni, come l'assoluta verità delle scienze, o quelli dell'irrazionalismo e pensiero debole postmoderno, che nega la verità e le capacità della ragione. Contro queste assolutizzazioni moderne e negazioni postmoderne, il pensiero cristiano difende l'esistenza della verità e la capacità della ragione di raggiungerla, sia pur a prezzo di errori e di limiti. Inoltre, a livello antropologico, insiste sulla necessità di un'antropologia fondata sulla verità e dignità dell'uomo come base dell'etica (cfr.Discorso alla Pontificia Accademia delle scienze, 28.10.1994, n. 4). Solo questa può armonizzare l'autenticità, dignità, libertà, senso e valore dell'uomo col significato e fine della conoscenza. Tale posizione è necessaria, soprattutto, nelle socioculture tecnoscientifiche, chiuse alla Trascendenza, che subordinano persone e soggetti alle esigenze materiali dei loro sistemi immanenti (cfr. Gismondi, 1993, pp. 19-20, 47ss.; Gismondi, 1995, pp. 105-107). Assolutizzando la ragione o, all'opposto, escludendone la capacità di conoscere la verità o negando la verità stessa, si distruggono le basi non solo dell'etica, ma dello stesso impegno tecnoscientifico. L'“umanesimo del limite”, riconoscendo la finitezza ontologica dell'uomo e la sua necessità di aprirsi alla Trascendenza, pone le basi di una “etica della responsabilità” basata sull'irrinunciabile dignità della persona.

Tale visione ridimensiona pure ogni pretesa d'autonomia assoluta che violi la concreta condizione creaturale. Dignità e responsabilità umana, essendo valori bene accetti alla cultura sia religiosa che laica, consentono di centrare l'etica sui valori anziché sui limiti, per orientare un impegno scientifico libero, responsabile e consapevole. Consentono pure di superare l'umanesimo ad oltranza che, teorizzando l'assoluta autonomia dell'uomo, vorrebbe risolvere i problemi umani solo con la scienza e la tecnica. Qui il pericolo maggiore è la riduzione o relativizzazione dell'uomo a realtà puramente fisica e materiale (cfr. Discorso alla Pontificia Accademia delle scienze, 27.10.1998, nn. 1-3).

 

II. Neutralità etica, etiche del limite, etiche positive

Sono queste le pretese che hanno finito per attirare crescente diffidenza verso la scienza e l'accusa di non prevedere o prevenire le conseguenze negative della sua attività: inquinamenti ambientali, distruzione delle risorse essenziali, danni alla salute, rischi per la sopravvivenza umana e incapacità d'integrare le diverse culture. Si tratta di critiche non del tutto infondate, per cui solo una valida etica del lavoro scientifico potrà consentire di superarle. Essa dovrà considerare ciascuno dei vari aspetti della scienza come “attività” e “impresa” sottoposta alle logiche del “fare per sapere” e del “sapere per fare”, che comportano condizioni, limiti, rischi, responsabilità, fallibilità e conseguenze proprie di ogni attività e impresa umana. L'aspetto di attività e d'impresa evidenzia il carattere etico-morale della scienza e consente di chiarire ulteriormente il discorso sulla sua neutralità e avalutatività. Le conoscenze sono realtà diverse dall'attività, le azioni, i comportamenti, le scelte e le decisioni. Conoscenze e affermazioni scientifiche, in quanto tali (ad esempio: l'acqua si trasforma in ghiaccio a 0°K e in vapore a 100°K), sono moralmente neutre. Attività, azioni e comportamenti degli operatori scientifici, invece, sono sempre valutabili e giudicabili moralmente. Infine, le scelte dei criteri in base ai quali decidere e agire, come pure le conseguenti decisioni, sono moralmente valutabili, esigendo giudizi ancor più complessi ed egualmente cauti.

Quanto al termine «limite», occorre distinguere fra senso epistemologico-euristico e senso etico-morale. Il primo indica i limiti cognitivi propri della scienza, derivanti dalle sue finalità, metodi, logiche e strutture. Il secondo, invece, indica i limiti morali dell'attività scientifica, sia in quanto attività dell’uomo in senso generico, sia per i suoi aspetti propri o specifici. Un'etica fondata sulla verità, dignità, valore della persona, della sua vita e della sua coscienza, deve definire i limiti etici delle azioni umane. A tal fine occorre un'interfaccia comunicativa e culturale, resa però ancor più difficile dall'enorme pluralismo attuale. Per questo si è pensato all'«etica dei diritti umani», forte del crescente consenso che questi riscuotono a livello mondiale. Essi rilanciano i valori etici motivati religiosamente fino al rifiuto della modernità, che provocò un crescente vuoto di regole e princìpi (anomía) (cfr. Gismondi, 1993, pp. 13-22). Furono i tragici eventi del XX secolo (guerre mondiali, dittature, olocausto, genocidi, campi di sterminio, torture, perdita di moralità nella vita pubblica ecc.) a riproporre l'esigenza di princìpi etici condivisi, per tutelare la stessa incolumità delle persone. L'etica dei diritti umani, tuttavia, va decisamente oltre, mettendo in rilievo un insieme di nozioni, centrate sulla dignità della persona umana, che si è imposto come sistema universale di valori riguardanti la vita, la libertà personale e religiosa, la coscienza, il pensiero e l'integrità fisica (cfr. Discorso al Corpo Diplomatico, 9.1.1989, nn. 2-4).

È in questo contesto che emerge l'importanza del lavoro scientifico e vengono rivalutate le fondamentali esigenze “interne” ed “esterne” della scienza, poiché si mostra che occorre un'analisi in cui, senza contraddizioni, si possano armonizzare la constatazione scientifica e la verità integrale di ciò che è obiettivamente l'uomo (cfr. Discorso alla Pontificia Accademia delle scienze, 28.10.1994, nn. 2-3). Le esigenze interne, di carattere epistemologico ed euristico, riguardano: i fini e significati del lavoro scientifico; i suoi limiti epistemologici, euristici ed etici; i problemi della verità, oggettività e neutralità scientifica; i rapporti fra scienza pura e applicata, specialismo ecc.; il dialogo inter- e trans-disciplinare fra i vari saperi: scienze, filosofia, etica, teologia. Le esigenze esterne, di carattere sociale e culturale, riguardano: i rapporti fra scienza e società; l'imprenditorialità multinazionale e mondiale dell'attività scientifica; la trasparenza delle finalità, priorità e gestioni delle risorse della ricerca; le esigenze dell'ecologia mondiale e delle generazioni future; il ruolo della scienza nel crescente divario fra paesi ricchi o privilegiati e zone povere o depresse; il controllo dei danni sovente irreversibili arrecabili all'ambiente e al pianeta; la gestione responsabile delle risorse non rinnovabili (cfr. Gismondi, 1997, pp. 31-33; Jacobelli, 1990, pp. 184-185). L'etica dei diritti umani pone queste esigenze come possibilità, anziché limiti, dando impulso a un rinnovato impegno scientifico.

Costituisce, quindi, un test significativo, per gli uomini di scienza, accettare o rifiutare tali esigenze. Alcuni le rifiutano. Altri ammettono solo le esigenze interne, altri ancora ne riconoscono l'importanza ma non amano vedersele imporre dalle “etiche del limite”. Quanto alle esigenze etiche, l'etica della verità e l'etica dei diritti umani concordano nell’esprimerle in forma propositiva e nel considerare il lavoro scientifico un impegno positivo a servizio dell'uomo. Ciò consente loro di sviluppare nella dimensione etica pure le esigenze interne ed esterne della scienza, sopra indicate. Lo stesso fondamento della verità e dignità della persona risponde a tutte le esigenze della scienza, poiché riguarda direttamente sia gli operatori che i beneficiari del lavoro scientifico. Esso fonda pure la verità e dignità, ontologica a antropologica, della scienza e il suo valore etico-morale. Ciò vale, ad esempio, per la correttezza epistemologica, la coerenza metodologica, il rigore logico, la creatività, l’onestà e l’apertura mentale ecc. Verità e dignità dell'uomo valorizzano la scienza pure nei suoi diversi aspetti di: a) sistema complesso di operazioni e conoscenze mentali, manuali e strumentali; b) logos teorico-strumentaledi conoscenza operativa; c) impresa produttiva di ricerche volte alla conoscenza e utilizzazione pratica; d) servizio al bene comune delle persone, considerate come soggetto e fine, e irriducibili a oggetto e mezzo.

 

III. Condizioni di un'etica del lavoro scientifico

Riconoscere la persona umana come massimo valore significa valorizzare anche tutto ciò che ad essa si riferisce, compresa la sua dimensione corporea. Assumono, quindi, grande valore sia le prescrizioni “positive” come: accettare solo gli interventi sul corpo umano che perfezionano e migliorano l'autentica umanità della persona, che “limitative” come: non identificare il tecnicamente fattibile col moralmente lecito, non accettare quanto viola la persona, la sua dignità e volontà (pratiche abortive, progetti di umanoidi ecc.). Le difficoltà al riguardo emergono, piuttosto, dall'insuperabile limite delle conoscenze scientifiche, la cui parzialità e provvisorietà non consente di elaborare esigenze globali o totali, sia in senso “estensivo” (tutta la realtà) che “intensivo” (tutti gli aspetti della realtà). Ciò è divenuto molto importante di fronte a ricerche sull'uomo (mappa genetica, genoma ecc.) che richiedono molti anni di studio prima che le conseguenze possano venire completamente individuate. Da un lato, esse consentono di comprendere l'uomo a un livello mai raggiunto prima. Dall'altro, interferiscono con gli aspetti della specificità umana, vocazione trascendentale e dimensione spirituale, che esigono rispetto assoluto. La persona deve rimanere principio, fine, soggetto e norma di ogni ricerca, ha il diritto di essere ciò che è e di essere l'unico responsabile del proprio patrimonio genetico (cfr. Discorso alla Pontificia Accademia delle scienze, 28.10.1994, nn. 3-4).

Per poter orientare in senso etico i comportamenti scientifici, quindi, occorrerà: a) un'etica descrittiva, che definisca il contesto morale entro cui si discute; b) una metaetica o etica formale, che chiarisca il significato di termini, concetti, sviluppare argomenti ecc.; c) un'etica normativa, che ricavi i princìpi da ogni teoria; d) un'etica applicata, che applichi le norme ai casi concreti. Il loro insieme, dovrà coordinare eticamente aspetti specifici del lavoro scientifico, quali: la massima informazione fattuale; la chiarificazione semantica dei termini; la ricerca di punti di vista comuni; l'esame di conseguenze inattese e di fatti contrastanti; il ricorso alla casistica, per verificare le conseguenze estreme di ogni posizione. Il rispetto delle norme della ricerca, quindi, s'inserisce nel contesto dell'etica fondamentale, che riguarda le intenzioni, i fini, le circostanze, la cooperazione, i mezzi, i metodi e le conseguenze. Viene risolto, così, il problema evidenziato dalla duplice esperienza di filosofo e uomo di scienza di K. Jaspers (1883-1969): la sola scienza sperimentale con i suoi metodi non può percepire, né tanto meno conoscere gli aspetti qualitativi della realtà, né il significato e il valore profondo della natura. Essi, infatti, riguardano la riflessione metafisica, ontologica, antropologica ed etica: lo scienziato percepisce questi aspetti e la loro dimensione etica in quanto uomo e soggetto conoscente, anche se il metodo scientifico, oggettivamente considerato, può esserne trasparente.

Il dibattito epistemologico del XX secolo ha consentito di mettere in luce le relazioni fra razionalità scientifica ed etica, implicite negli elementi epistemologici evidenziati da Popper (1902-1994). “Fallibilità” significa pure coscienza e riconoscimento dei propri errori; “congetturalità” significa pure percezione dei limiti e contingenza del proprio sapere; “confronto” è apprezzamento delle ragioni altrui; “approssimazione” è il riconoscimento dell'insufficienza e del limite di ogni approccio alla realtà. La loro pratica si fonda su valori e princìpi quali: la verità come ideale regolativo; la ricerca come tensione asintotica alla verità; l'onestà intellettuale come volontà di bene e riconoscimento dei propri errori e delle buone ragioni altrui. Inserite in questo contesto etico, le esigenze epistemologiche ed euristiche, senza perdere nulla del proprio valore specifico, acquisiscono pure un'importante dimensione e valenza etica, indicando che tutti gli atteggiamenti e azioni degli operatori scientifici possono assumere tale triplice valore. Per il lavoro scientifico, quindi, l'etica è positiva e dinamica, orientandolo al bene delle persone e valorizzando, sia per gli uomini di scienza che per i destinatari delle ricerche, lo statuto di: soggetti liberi e responsabili di scelte e decisioni; protagonisti attivi verso le esigenze totali e ultime; testimoni delle eccedenze della realtà e della trascendenza degli eventi.

 

IV. Teorie dei sistemi e proposta sistemica

Per Edgar Morin (n. 1921), un esempio di corretto rapporto fra scienza ed etica viene dal “paradigma ecologico”, che esprime il rispetto delle esigenze sia del sistema-organizzazione che dell'auto-relazione. In altri termini, esso armonizzerebbe le responsabilità dei soggetti, i fenomeni complessi e il sistema ambientale. In questo senso, l'ecologia, sarebbe la prima scienza a sollevare una presa di coscienza, a tematizzare la relazione fra umanità e natura e a considerare l'uomo implicato nella natura anziché suo padrone (cfr. E. Morin, La Méthode, Paris 1977, vol. II, p. 91). Considerando l'attività scientifica come interazione sistemica d'intelligenza, volontà, atteggiamenti, comportamenti e azioni, se ne evidenzia la dimensione necessariamente etica e quella verosimilmente sistemica. L'aspetto sistemico, infatti, espandendo quelli fenomenologici, storici e antropologici, mostra la scienza come un sistema sociale adattivo, di attività intenzionali, interrelate a un determinato ambiente socioculturale(sistema globale) (cfr. Ladrière, 1978). Per Ladrière «la pratica scientifica, in quanto elaborazione progressiva di un sistema autonomo di funzionamento o creativo, prende il suo valore, che potremmo chiamare la sua verità, dal proprio potenziale di collaborazione. Bisogna che i suoi propri risultati possano integrarsi in quelli degli altri sistemi dinamici, vuoi in maniera concomitante, per complementarità di funzionamento, vuoi in maniera sequenziale, per ripresa trasformatrice. La verità di un sistema consiste nella sua iscrizione in seno alla totalità» (Ladrière, 1974, pp. 305-306).

Questa fondamentale dimensione sistemica indica che il valore veritativo dei processi e dei risultati scientifici traspare solo se riferito al, e integrato nel, più ampio contesto della vita, cultura e conoscenza di un sistema socioculturale globale. Ciò significa che il valore del lavoro scientifico dipende in gran parte dall'interazione col contesto di significati, finalità e valori culturali, spirituali, religiosi ed etici, propri del generale sistema socioculturale in cui si svolge (cfr. Quattrocchi, 1975). Deve, quindi: garantire le conoscenze necessarie alla sua esistenza; trasformare le realtà materiali e ambientali secondo le esigenze del suo sviluppo; elaborare i sistemi di rappresentazione che contribuiscono a farne un soggetto socioculturale; illuminare i rapporti sociali. Queste funzioni, essenzialmente culturali, mostrano quanto sia limitativo ridurre la scienza ad una semplice etica della verità o della conoscenza. Tre delle quattro funzioni sopra indicate verrebbero infatti eliminate. Ne verrebbero esaltati esclusivamente i contenuti cognitivi, che sono indispensabili ma altrettanto insufficienti, perché solo congetturali, parziali, provvisori e falsificabili (cfr. Gismondi, 1997, pp. 64-65; cfr. Quattrocchi, 1984, pp. 7-8; Verhoog, 1980).

Nella seconda metà del secolo XX, la discussione riguardò pure l'attenzione e sensibilità degli operatori scientifici verso le conseguenze del loro lavoro sull'ambiente, la cultura e la società. Di qui le critiche alla scienza come conoscenza che non si conosce, controllo che non si controlla e critica incapace di autocritica. Autori appartenenti alla Scuola di Francoforte, come Adorno (1903-1969) e Habermas (n. 1929), definirono un «potente veleno» il suo sapere quantificabile, tecnicamente sfruttabile, privo di riflessione e di forza liberatrice. In realtà, questi difetti vanno addebitati alla cultura scientista, che fece della scienza l'unica forma della ragione. I dogmatismi della presunta oggettività, neutralità e verificabilità, ignorarono l'enorme base di pensiero non scientifico che fonda e sostiene la scienza, dai primi princìpi fondamentali, che reggono tutto il pensiero, agli assiomi su cui si reggono la sua razionalità, logica, ecc. Occorse il secolo XX per rendere evidente che la crescita di conoscenze scientifiche non risolve ma accresce enormemente i problemi, le incognite e le antinomie della vita e del sapere. L'emergere della complessità mostrò pure la necessità d'integrare o mutare i modelli riduttivi, semplificativi e disgiuntivi del pensiero scientifico moderno (cfr. Beigbeder, 1972).

Parzialità, provvisorietà, rivedibilità e variabilità non riguardano solo le visioni scientifiche del mondo, ma anche il linguaggio scientifico con cui sono espresse, che risulta poco adatto alle esigenze di un discorso etico rigoroso (cfr. Bizzotto, 1984, pp. 131-134; Whorf, 1970). Ciò si spiega con i seguenti fatti. Le operazioni di riduzione, disgiunzione, semplificazione e quantificazione, fondamentali per la ricerca, producono conoscenze frammentarie, disperse in un oceano d'incertezze e problemi. Il continuo susseguirsi di cesure, capovolgimenti, ristrutturazioni e rivoluzioni nelle conoscenze, riduce molto la continuità e la coerenza del discorso scientifico. La velocità con cui si succedono informazioni sempre più numerose e complesse non consente la riflessione critica necessaria per comprenderne significato e valore. La specializzazione come carattere costitutivo della scientificità ha provocato conseguenze socioculturali in gran parte negative, come progressivo isolamento culturale, eccessiva frammentazione e perdita di unità del discorso delle scienze (cfr. Agazzi, 1984, vol. II, p. 12). Questo “specialismo” sempre più spinto ne ostacola la comunicazione e, quindi, la sintesi, valutazione e confronto, sfavorendo di conseguenza ogni approfondimento etico (cfr. Gismondi, 1978, pp. 120-124).

 

V. Proposta sistemica e nuovo pensiero scientifico: limiti e possibilità

1. Proposta sistemica e nuovo pensiero scientifico. Analoghi limiti e difetti derivano dal “postulato di oggettività” che, nel moderno modello di scienza, ha escluso il soggetto della conoscenza, rendendo impossibili: un discorso sui significati e valori umani di ogni acquisizione; il collegamento fra attività scientifica e idea di responsabilità etica; la riflessione sulla dimensione umana della scienza. In breve, anch'esso ha impedito di esplicitare i più profondi valori euristici, antropologici ed etici del sapere scientifico. La sua preoccupazione di raccogliere ed elaborare “dati” ha fatto ignorare sia le potenzialità umanistiche che le esigenze etiche del lavoro scientifico. Di qui le illusorie definizioni della scienza come: conoscenza neutra e avalutativa; logica della verità; ricerca disinteressata; sapere finalizzato al puro conoscere; etica della conoscenza, ecc. Per questa via era scontata la sua elevazione a “etica della verità” e a valore supremo e assoluto. Per questa ragione assolutizzata, fu deludente e umiliante riconoscere che solo i tragici eventi del XX secolo, sopra ricordati, riuscirono a far riflettere sulle responsabilità e i coinvolgimenti degli uomini di scienza. Ciò dovrebbe convincere della necessità del dialogo fra operatori delle scienze naturali, umano-sociali e delle discipline umanistiche, per approfondire il senso socioculturale, filosofico, etico e teologico del lavoro scientifico e dei suoi fini, significati e valori.

Oggi, quest'approfondimento è facilitato dalla caduta di filosofie e ideologie che avevano egemonizzato il pensiero scientifico (meccanicismo, determinismo, materialismo, evoluzionismo, dialettica fra caso e necessità, ecc.). La constatazione che l'universo non è esente da ordine e disordine e che questi contribuiscono a produrre organizzazione o fenomeni complessi, ha riproposto il problema se caso, ordine e disordine derivino solo dalle insufficienze e limiti della nostra conoscenza o siano invece emergenze oggettive della realtà. Un mondo totalmente determinato, infatti, non potrebbe evolvere, mentre uno completamente casuale non potrebbe neppure nascere. Al riguardo è assai significativa l'ammissione di E. Morin che: «il prodigioso sviluppo della conoscenza scientifica è contemporaneamente un prodigioso sviluppo dell'ignoranza: risolve gli enigmi ma rivela i misteri; l'aumento della luce è al tempo stesso aumento dell'ombra. Il vero progresso si verifica allorché la conoscenza prende coscienza dell'ignoranza che essa arreca: si tratta quindi di un'ignoranza cosciente di se stessa e non della superba ignoranza dell'idealismo determinista, che crede che un'equazione suprema gli permetta d'illuminare l'universo o di dissiparne il mistero. Certamente l'introduzione del disordine, dell'alea e, nello stesso tempo, dell'osservatore/concettore apporta un limite alla nostra conoscenza. Ma questo limite distrugge unicamente il piano infinito del determinismo, mentre in cambio ci rivela il grandioso infinito dell'ignoto. La coscienza di questo limite è uno dei più grandi progressi concepibili nella nostra conoscenza, ormai in grado di lavorare col disordine, con l'alea e d'introdurre l'autoriflessione, cioè la ricerca della autoconoscenza» (Morin, 1984, pp. 110-111, corsivi dell’autore).

Molti ambienti scientifici, tuttavia, rimangono perplessi di fronte ai difficili problemi della complessità e delle tendenze olistiche (cfr. Horgan, 1995, p. 85). Nei processi sistemici, infatti, assumono forte rilievo concetti come: “scelta” e “decisione”, da sempre appartenenti al pensiero filosofico ed etico. Essi implicano fini, valori, norme, priorità e responsabilità. È ovvio che il loro apparire nel pensiero scientifico “oggettivistico” provochi sorpresa e sconcerto. I processi sistemici danno spazio al fenomeno, per esso inconcepibile e straordinario, del “soggetto cosciente”. Nel mondo, solo l'uomo è il soggetto che inventa simboli, immagini e linguaggi, elabora cultura e compie scelte e decisioni. Ciò, comporta libertà, responsabilità e autonomia e lo rende irriducibile a logiche o modelli puramente meccanici e animali. Tale emergenza ha spinto Morin a denunciare le insufficienze di una: “ragione scientifica” ridotta a conoscenza basata sul calcolo; di una “razionalità” abbassata a coerenza logica fra descrizione-spiegazione e realtà empirica; e infine di una “razionalizzazione” che costruisce visioni globali dell'universo su dati parziali e provvisori o congetturali. Occorre, quindi, superare il razionalismo che nega ogni soprarazionale e il naturalismo che esclude ogni soprannaturale dalle visioni del mondo. La scientificità moderna, specializzatasi nel disgiungere realtà inseparabili, non si è attrezzata per affrontare le relazioni complesse.

Per superare questi limiti, la scienza deve riconoscersi come struttura dipendente da condizionamenti storici, socioculturali, ideologici ecc., di cui deve liberarsi. Deve, soprattutto, aprirsi a logiche capaci di arricchirla di modalità nuove, più ricche, flessibili e probabilistiche, pluraliste, dialogiche, dialettiche, generative, aperte all'evanescente e all'impreciso. Esse sono più vicine ai ragionamenti umani, che non si esauriscono nelle logiche tradizionali, limitate a due valori (vero o falso). Il pensiero umano, nelle sue diverse forme, compresa la metafisica, la religione e la teologia, offre innumerevoli modelli aperti, multiformi, creativi, capaci di collegare il preciso all'impreciso, combinare concetti polisemici, approssimativi, analogici, elastici ecc., con quelli più precisi, monosemici, univoci, rigidi ecc.

2. Possibilità e limiti della proposta sistemica. Esistono, quindi, forme di pensiero più adeguate ad afferrare gli strati più profondi, complessi e sfuggenti della realtà e più adatte a misurarsi con le“eccedenze” del conoscere umano e col crescente senso dell'indicibile e inconcepibile. Col loro aiuto è possibile approfondire maggiormente: a) il soggetto che cerca, conosce, pensa; b) l'esperienza come fonte analogica anziché univoca di conoscenza; c) la conoscenza come “organizzazione” anziché “accumulo” di dati; d) la logica come strumento imperfetto e relativo; e) il dubbio e l'autocritica come componenti sistematiche del pensiero scientifico; f) l'ineliminabile incompletezza, congetturalità, parzialità e provvisorietà di ogni teoria; g) l'insuperabile parzialità, rivedibilità e incertezza di ogni conoscenza; h) la maggiore ignoranza globale che consegue a ogni acquisizione particolare. Il continuo emergere dei complessi problemi del conoscere e dell'agire non coinvolge, quindi, il solo lavoro scientifico che scopre di essere, contemporaneamente, un conoscere per agire e agire per conoscere. Necessita di epistemologia ed euristica, ma anche di un'etica completa che gli fornisca fini, significati, valori, princìpi, limiti e controlli, la cui assenza lo sprofonderebbe nella totale insignificanza e strumentalità (cfr. Académie Internationale de philosophie de sciences, 1984). Occorre, quindi, completarne le definizioni astratte di “pura conoscenza” neutra e astorica, con quelle concrete di “operatività storica”, relativa ad interventi sempre più ampi e profondi, su persone, vita, socio-culture, ambiente e cosmo. Ciò comporta fini, valori, norme, oggetti, mezzi, circostanze, condizioni e conseguenze, che costituiscono l'ambito specifico dell'etica.

Viene pure sottolineata la responsabilità morale del lavoro scientifico in se stesso e riferito al sistema, che rende utile e positiva la proposta sistemica, nonostante alcuni limiti. Il primo è che il suo carattere scientifico comporta aspetti parziali e provvisori, che esigono approfondita critica filosofica. Il secondo è che, privilegiando le interdipendenze sistemiche, può ridurre la libertà di persone e gruppi. Il terzo è che, senza un’adeguata fondazione metafisica e antropologica, l'etica sistemica rimane vincolata a contingenze immediate e alle esigenze scientifiche. Ciò potrebbe pregiudicarne valori fondamentali quali: libertà, responsabilità, intenzionalità, storicità, situazionalità, giustizia, socialità, culturalità, solidarietà, attuazione delle proprie capacità ecc. (cfr. Gehlen, 1983; Marsonet, 1990). Una valida etica del lavoro scientifico, quindi, esige delle solide basi metafisiche, antropologiche ed etiche, prima che sistemiche. Esse sono particolarmente necessarie nelle socioculture tecnoscientifiche avanzate, legate a visioni utilitariste ed edoniste e indifferenti od ostili a significati e valori trascendenti, essenziali all'etica (cfr. Gismondi, 1995, pp. 176-177). Solo rispettando queste esigenze la prospettiva sistemica può equilibrare il rapporto fra le norme universali e le necessità dei diversi contesti storici e socioculturali (cfr. Gismondi, 1997, pp. 127-128).

 

VI. Etica dei diritti umani

Questi limiti della proposta sistemica spingono ad approfondire il contributo che l'etica dei diritti umani può offrire a un'etica del lavoro scientifico. Pure tali diritti muovono dalla dignità e verità della persona (cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, 10.12.1948, Preambolo, n. 1), esprimendo le sue fondamentali esigenze e prerogative, di cui nessuno può disporre. Al riguardo provvede il basilare principio, che nessun diritto è garantito se non lo sono pure tutti gli altri (cfr. Dichiarazione di Vienna, 25.6.1993, nn. 9-11). Ciò ne fa un insieme (sistema) centrato sui valori della vita, salute, integrità fisica, libertà, rispetto della natura, ecc., che dà luogo a princìpi più specifici elaborati secondo gli sviluppi storici e culturali. I diritti riscuotono generale consenso, poiché il pensiero laico li considera una sua conquista e quello cristiano un frutto delle proprie radici (cfr. Discorso al Corpo Diplomatico, 9.1.1989, n. 7; cfr. Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 1995). Gli Stati, infine, li giudicano strumenti essenziali per la convivenza pacifica e la vita politico-sociale. Tale crescente importanza e generale riconoscimento s'estendono pure all'etica dei diritti umani. Essa è importante, soprattutto, per attività di risonanza mondiale, come l'economia, la finanza e, quindi, anche la scienza. Ciò le attira consensi, nell'attuale pluralismo in cui si temono le etiche del limite o centrate sui doveri e si diffida del rapporto fra fini e mezzi. Altri, per trovare criteri valutativi o di riferimento, cercano coerenze non aprioristiche fra princìpi e strumenti o si affidano più alle analisi dei dati che ai princìpi. L'etica dei diritti umani, senza indulgere a tali aspetti, propone contenuti e criteri capaci di ampia convergenza (cfr. Gismondi, 1997, pp. 129-131).

I diritti umani comportano, dunque, rischi e compiti. Tra i primi vanno ricordati: l'escludere o sminuire gli atteggiamenti del dono, gratuità, solidarietà, carità, ecc.; l'assestarsi sui livelli minimi; il divenire autolimitanti o egocentrici. I compiti sono molti: dare fondamento ultimo alla dignità e alla libertà inalienabile delle persone; stabilire il rapporto fra diritti e doveri; sviluppare le esigenze della solidarietà responsabile a servizio di tutto l'uomo e di tutti gli uomini; tutelare i beni e valori senza i quali la vita personale e socioculturale perderebbe ogni senso. Tutto ciò esige una visione delle relazioni umane che trascenda la semplice giustizia, valorizzando la misericordia e l'amore (cfr. Kasper, 1990, p. 70). Al riguardo, la costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes pone la tutela della dignità personale e della libertà dell'uomo non tanto nelle leggi e istituzioni umane, ma nella potenza del Vangelo e nella salvezza cristiana che annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù e onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione. Riguardo ai diritti umani, apprezza molto il dinamismo con cui si promuovono, ma sottolinea la necessità di proteggerli da ogni falsa autonomia e dalla pretesa di attuarli pienamente, separandoli dalla legge divina (cfr. n. 41). La fede cristiana deve fondarli, invece, sulla verità della persona, collegata alla piena verità di Cristo (cfr. Gv 14,6).

È ancora la rivelazione cristiana a poter ispirare un “antropologia relazionale”, che ponga in primo piano le relazioni e la comunione, superando la separatezza dell'individuo dal contesto sociale (cfr. Donati, 1997, pp. 5-20; Weinreb, 1992, pp. 278-305). Su queste basi, lo statuto normativo dei diritti umani conferisce positività e dinamismo alla propria etica, facendole anteporre i princìpi aperti alle norme chiuse, per soddisfare le nuove esigenze continuamente emergenti. In questo modo, come ha già sviluppato i diritti di solidarietà e libertà e quelli culturali e sociali, potrà pure soddisfare le nuove istanze personali, sociali e internazionali che emergeranno dalla storia (cfr. Modugno, 1995; Paul-Miller, 1984, pp. 119-136; Viola, 1989). Nei diritti umani, l'“universalità del particolare”, che spinge a tutelare le diverse situazioni, si fonda più sulle esigenze generali di ogni stato di vita che, sui problemi di una particolare persona (cfr. Zagrebelsky, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 1995, p. 20). La concezione della persona rimane, dunque, fondamentale, per esprimere la perenne tensione fra possibilità di pienezza o d'insignificanza. Essa deve rispettarne la complessità, che include la sostanza, relazione, autoreferenza, materialità, spiritualità, appartenenza, unicità, comunicazione, incomunicabilità, ecc. Il pensiero cristiano non ha mai accettato di ridurre la persona a un puro possesso di proprietà attuali, poiché ne valorizza tutte le dimensioni e ne sostiene la continuità dell'essere, da rispettare in ogni fase del suo manifestarsi (cfr. Berti, 1990; Melchiorre, 1996).

Solo ciò può tutelare la persona umana dalla precarietà e da ogni arbitrio e ne evidenzia l'unicità, l’irripetibilità e la partecipazione di comunanze. Esse si realizzano, senza contraddizione, nella tensione fra distinzione e separazione, fra comunicazione e comunione, fra vincolo alla propria identità e capacità di distacco o superamento; fra non identificazione col proprio status e manifestazione per suo mezzo (cfr. Viola, 1997, pp. 379-383; Ricoeur, 1995, pp. 41-70). Dignità e relazionalità delle persone, così intese, consentono un'etica dei diritti umani che, privilegiando i valori rispetto alle norme prefissate e ai doveri prestabiliti, può elaborare valide regole per orientare l'azione (cfr. Discorso al Corpo Diplomatico, cit., n. 7). Inoltre, il collegamento fra beni, valori e princìpi resta aperto a nuovi valori, priorità e modi di tutelare il bene, che evitano sia l'instabilità che la fissità (cfr. Finnis, 1996). L'elaborazione di nuovi diritti può svolgersi, dunque, valorizzando l'esperienza precedente, che consente di ritornare sui propri passi per correggere eventuali errori e cercare nuove ragioni, fini o significati più autentici (cfr. Viola, 1997, pp. 401-408). In questo procedere, emerge l'importanza della religione, per esprimere le aspirazioni più profonde delle persone, ispirare le visioni del mondo, orientare i reciproci rapporti e indicare il vero senso della vita personale, culturale e sociale. Per queste ragioni, la libertà religiosa è un pilastro dei diritti umani, rendendo inviolabile la coscienza e tutelando la manifestazione pubblica e privata della propria fede (cfr. Dignitatis humanae, 1-3). Infine, il diritto alla partecipazione garantisce a ogni soggetto di partecipare alle decisioni che lo riguardano e assumersi le responsabilità della propria vita (cfr. Dichiarazione di Vienna, 25.6.1993, nn. 6-8; cfr. Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 1995).

 

VII. Modi e forme della verità

Trattando di persona, scienza ed etica, abbiamo incontrato più volte il tema della verità e della sua centralità per l'etica del lavoro scientifico. Esso va affrontato ora in modo più sistematico. Il testo del Magistero della Chiesa che tratta più diffusamente i rapporti fra verità, etica e persona è Veritatis splendor (6.8.1993), che pone la verità della persona alla base dell'etica. La verità della persona è la sua natura spirituale, psichica e corporea consapevole della propria positività, finitezza e dipendenza da un “Altro” che la trascende. Tale natura le consente di conoscere e riflettere (razionalità), scegliere (libertà) e decidere (responsabilità) (cfr. nn. 5, 115). Questi elementi sono d'importanza decisiva sia per l'etica della verità che per quella del lavoro scientifico. Se soggetto dell'etica e di ogni attività può essere solo la persona umana, che non è mai totalmente autonoma o neutra, la scienza non può essere considerata né un soggetto etico autonomo, né neutro. È la verità della persona, quindi, che fonda il valore ontologico, antropologico ed etico dell'impegno scientifico e ne stabilisce princìpi e criteri. Occorre, quindi, approfondire il rapporto fra persona e verità. Veritatis splendor pone la verità della persona nel suo essere spirito creato, finito, incarnato, in comunione, consapevole, libero, responsabile, teso alla verità e all'amore (antropologia cristiana). Questa verità è la sua natura e ne fonda il fine, significato e valore. Ciò significa che l'uomo è per la verità e la verità per l'uomo, che soffre di ogni sua assenza e limitazione.

Poiché l'amore alla verità è la prima esigenza del proprio essere, l’uomo non può mai rinunciarvi, anche se la ricerca e il rapporto con essa non è gli mai facile né privo di rischi. Uomo e umanità crescono solo nell'amore per la verità, per cui la sua costante ricerca è il fattore più elevato di umanizzazione (cfr. Cozzoli, 1990, p. 1436). La ricerca della verità, tuttavia, nei suoi percorsi storici concreti, comporta errori, riduzioni, inganni, deviazioni, ripiegamenti, parzialità, falsità, mistificazioni, ecc. L'impegno scientifico non ha facilitato, ma reso ancora più arduo e complesso l'itinerario veritativo dell'uomo. Ha pure complicato il problema della verità, sia sollevando incessantemente nuovi problemi, che allargando illimitatamente gli ambiti d'indagine e, infine, compromettendo la ricerca coi fuorvianti percorsi dello scientismo e tecnicismo. Così si è anteposta la funzionalità ed efficienza alla verità, assolutizzata la verità parziale ed esasperata la logica del dominio. Di qui disagi, crisi e inquietudini che spingono a liberare il lavoro scientifico dalle sue ipoteche strumentali (cfr. Poppi, 1984; Cozzoli, 1990, pp. 1437-1438). Per riuscirvi occorre un pensiero aperto a tutti i livelli della verità e, in primo luogo, alla verità dell'essere o «verità ontologica», per la quale ogni essere è vero in quanto coincide con se stesso, ossia con l'idea che Dio ha di lui. In secondo luogo, occorre la verità della mente o «verità logica», per la quale l'intelligenza è adeguata alla verità ontologica. La concezione cristiana ha sempre riconosciuto e difeso entrambe.

Superando Aristotele, che aveva già notato come il falso non può risiedere nelle cose ma nella ragione (cfr. Metafisica, VI, 4), Tommaso d’Aquino (1221-1274) indicò nel giudizio il luogo della verità e, nell'essere, il suo fondamento (cfr. De Veritate, I, q. 2; Summa theologiae, I, q. 16, a. 1). Nel giudizio, quindi, la mente misura la verità, misurata dalla verità ontologica. A livello ontologico, la “non-verità” è il chiudersi o non lasciarsi apprendere nell'essere dell'esistente. In questo caso il soggetto ignora. A livello logico la “non-verità” è l'errore o adeguazione insufficiente alla verità. La menzogna, infine, è il rifiuto della verità. In questi casi il soggetto s'inganna o diviene ingannatore. Le critiche sollevate dalla sensibilità moderna hanno spinto il pensiero a colmare alcune fragilità teoretiche focalizzando i grandi poli del rapporto veritativo, ovvero l'intelligibilità dell'essere, l'intenzionalità della ragione e i vari sensi della verità: soggettiva, apofatica, pragmatica, empirica, storica. Con ciò ha liberato il concetto di adaequatio da alcune astrazioni e riduzioni, consentendogli di esprimere un incontro del pensiero con la realtà, più concreto, dinamico, intenso e creativo (cfr. Puntel, 1982, vol. III, p. 2316). Con la modernità, quindi, è emerso che le aree di ricerca della verità e i modi per attingerla sono numerosi. La metafisica cerca fini, sensi e valori ultimi. L'etica cerca quelli relativi all'agire. La scienza cerca le conoscenze sperimentali, volte al controllo delle cose, mediante gli aspetti attingibili con osservazioni, sperimentazioni, processi quantitativi e operativi. Questo spiega perché la verità delle scienze non riesca ad appagare l'autocoscienza trascendente dell'uomo.

La persona umana è strutturata per la verità che “le si adegua” e alla quale “ella si adegua”. Si tratta della verità metafisica (al di là di ogni fisica) e soprattutto religiosa, vale a dire, dei significati profondi, dei fini ultimi e dei valori decisivi. Più l'uomo matura, più scopre che la verità non è un oggetto da possedere ma un Soggetto dal quale lasciarsi possedere, non solo da cercare e accogliere, ma da cui lasciarsi cercare e accogliere. Inoltre, l'approccio alla verità espressa nei liberi eventi, nell'ineffabile e inverificabile, trascende l'ambito della pura osservazione-descrizione-esperimento, per aprirsi a quelli dell'invocazione e dell’attesa. Solo riconoscendo tutto ciò è possibile elaborare un'autentica etica della verità, dalla quale l'etica del lavoro scientifico non potrà totalmente prescindere. In essa, assumono pieno rilievo le esigenze di verità che presiedono a ogni attività umana, compresa quella scientifica, ossia la veracità, la sincerità e la veridicità. Esse riguardano le esigenze generali della verità (etica della verità), quelle specifiche dell'attività scientifica (scienza e verità) e quelle relative ai rapporti fra attività scientifica ed etica della verità (scienza ed etica della verità).

 

VIII. Etica della verità ed etica del lavoro scientifico

1. Etica della verità: veracità, sincerità e veridicità. La verità in quanto valore esige l'atteggiamento della veracità. Essa è la virtù morale e sociale che coinvolge la persona nella fedeltà alla verità, sia in se stessa che nei rapporti con gli altri, ed è essenziale, quindi, nel comunicare. Nel lavoro scientifico, essa esige di distinguere rigorosamente le conoscenze consolidate, da ipotesi, opinioni, congetture, estrapolazioni e speculazioni. Comporta pure la sincerità con se stessi e gli altri che, nel lavoro scientifico, esige di manifestare esattamente non solo il contenuto di ogni acquisizione e conoscenza scientifica, ma anche la sua natura e il grado di verità e di affidabilità che le compete. La veridicità, a sua volta, chiede che conoscenze e informazioni siano fedeli alla verità e comunicate con la prudenza e carità necessarie. Tutt'e tre esigono, quindi, di approfondire continuamente la natura della conoscenza e dell'attività tecnoscientifica, per riconoscerne e farne conoscere i limiti epistemologici, euristici ed etici e svilupparne le aperture umanistiche e culturali. Esse presiedono pure all'istruzione e all'informazione (cfr. Gismondi, 1997, pp. 191-192). Vi sono, poi, altri impegni collegati al lavoro scientifico: la comunicazione, o trasmissione dei dati nell'interazione tra attori sociali, mittenti e destinatari, l'informazione, cioè la corretta diffusione, pubblica e tempestiva, di fatti e avvenimenti e la formazione, ovvero la maturazione qualitativa delle persone.

Anche per esse sono fondamentali: la sincerità, o genuina espressione del pensiero; la veridicità, o aderenza alla realtà di eventi, persone e idee, secondo i loro contesti; l'onestà, o trasparenza del linguaggio, nel rispetto della professionalità e competenza. Comunicazione e informazione, quindi, a livello sia professionale che divulgativo, esigono: tempestività, veridicità, sincerità, onestà, integrità e competenza; manifestazione genuina della realtà; esposizione trasparente e completa; aderenza ai dati presentati nei loro contesti globali; espressione corretta dei giudizi. Esse devono pure rispettare alcuni limiti, derivanti dalla tutela del buon nome, dell'intimità individuale e familiare, del segreto naturale e professionale, della pubblica incolumità e utilità ecc. Vanno infine ricordate la propaganda e la pubblicità, volte a produrre un consenso che porta ad agire. Esse differiscono in quanto la prima vuol far partecipare a scelte e azioni ritenute utili e buone per la società, mentre la seconda persegue scopi e partecipazione più limitati. Anch'esse devono essere veraci, sincere, veridiche e oneste. Al riguardo, il documento Inter mirifica (4.12.1963) e la dichiarazione del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali Communio et progressio (23.5.1971) hanno sottolineato i diritti di singoli e gruppi. Anzitutto, il diritto di venire informati sui continui mutamenti, per poter scegliere e decidere responsabilmente. Inoltre, il diritto di accedere liberamente alla circolazione delle notizie e attingere a fonti diverse per formarsi opinioni criticamente motivate. Infine, ricevere informazioni vere e integre, per conoscere i fatti nel loro contesto, rispettando le esigenze della giustizia e carità (cfr. Communio et progressio, nn. 33-35, 37-40, 65, 82, 107).

2. Etica generale del lavoro scientifico: esigenze e compiti. L'etica del lavoro scientifico non considera solo le esigenze veritative della scienza come “sapere”, ma deve pure farsi carico degli insiemi di esigenze della scienza considerata come: “impresa”, o sistema organizzato di progetti, persone e risorse; “attività”, o insieme di scelte, decisioni, comportamenti e azioni umane; “lavoro”, o sintesi delle capacità umane e professionali. Qui possiamo indicare solo alcuni esempi. Nei confronti della verità: non nascondere né deformare; non trincerarsi nei dogmatismi; controllare la veracità, sincerità e veridicità di ogni dichiarazione ed espressione; valorizzarne la relazionalità inter- e trans-disciplinare. Nei confronti del proprio lavoro: operare con pazienza, accuratezza, costanza, disinteresse; non sovrapporre alla ricerca interessi esterni o particolari e logiche di potere o di profitto; riconoscere la mondialità dell'impresa scientifica; esplicitare e sviluppare le forti interazione fra scienza, società e cultura ecc. Nei confronti degli altri uomini di scienza: esprimere stima, amicizia, lealtà; apprezzarne i contributi e collaborare; accettarne le critiche e riconoscere i propri errori; consentire loro adeguate possibilità di lavoro. Nei confronti dei dati: indicarne i margini di fallibilità, evitarne interpretazioni forzate, cavillose ed estrapolazioni indebite; non alterarli sovrapponendovi opinioni arbitrarie, speculazioni ideologiche e aggiunte propagandistiche o pubblicitarie. Nei confronti delle conoscenze: riconoscerne e manifestarne la parzialità, provvisorietà, limitatezza e congetturalità e l'impossibilità di ricavarne fini, significati e valori generali. Nei confronti della cultura e società: integrare i valori parziali delle conoscenze scientifiche con i valori del sistema socio-culturale globale; riconoscere la non neutralità etica dell'attività scientifica; farsi carico delle responsabilità, conseguenze e applicazioni della ricerca; servire, col proprio lavoro, la verità e dignità della persona umana e il bene comune; collaborare al dialogo inter- e trans-disciplinare fra i vari saperi per elaborare un umanesimo scientifico e un'autentica cultura scientifica; aiutare a far superare le semi-verità ed errori delle ideologie scientiste. Nei confronti dell'informazione: esporre le conoscenze per informare e, soprattutto, formare; non deformarle a fini pubblicitari e di propaganda; non strumentalizzarle per scopi ideologici e interessi particolari; non manipolarle per disinformare; rispettare la necessaria segretezza e il giusto riserbo. Nei confronti della mondializzazione e globalizzazione: far partecipare minoranze e popoli poveri sia agli impegni che ai benefici della ricerca; contribuire a superare le vecchie e nuove povertà e discriminazioni; salvaguardare la pace e la tutela dell'ambiente; privilegiare le ricerche più utili a liberare i popoli più poveri dai loro mali endemici (carestie, malattie, disastri ambientali ecc.); tutelare le diversità; formarsi e formare al rispetto e tolleranza interculturale.

Va ribadito che il continuo emergere di esigenze rende qualsiasi elenco puramente indicativo e non esaustivo. Inoltre, vi sono alcuni compiti importanti, ma difficili da classificare, per il loro poliedrico aspetto, che sollevano molteplici responsabilità personali, culturali politiche e sociali. Indichiamo i più urgenti: superare la mentalità che vorrebbe risolvere i problemi umani, culturali e sociali, solo con la scienza e la tecnica, allorché essi sono in gran parte provocati dall'attività tecnoscientifica; trovare i modi per far partecipare alle scelte e decisioni dell'impresa scientifica persone e comunità che ne sostengono gli enormi costi e ne sopportano le conseguenze; rispettare il diritto dei cittadini ad essere correttamente e tempestivamente informati sulle scelte e decisioni su cui devono pronunciarsi; orientare il lavoro scientifico alla conoscenza teorica e pratica a servizio delle persone più che alla strumentalità e produttivismo; porre tutte queste esigenze in una prospettiva mondiale che tiene conto delle esigenze di tutti i popoli e gruppi umani e privilegia quelli più indigenti.

 

IX. Sintesi conclusiva: oltre una visione neutrale della scienza

Gli elementi finora esaminati: compiti, problemi, difficoltà, princìpi, criteri ecc. sono come i materiali da costruzione disponibili per l'edificio che è l'etica del lavoro scientifico. Per costruirlo occorre, tuttavia, anche un progetto architettonico. Le proposte esaminate: l’etica della verità, quella dei diritti umani e l’etica della concezione sistemica non sono ancora il progetto, ma suoi moduli importanti, che presentano sia possibilità che difficoltà. L'etica della verità della persona offre le basi della sua verità, dignità e delle irrinunciabili prerogative che ne conseguono. L'etica dei diritti umani, partendo da tale base e dai diritti umani che ne derivano, ne esplicita le conseguenze etico-morali in modo positivo e dinamico. La concezione sistemica, invece, parte dall'attività scientifica, considerata come sistema parziale, che deve integrarsi e interrelarsi col sistema globale, ossia la cultura e società in cui opera, cooperando con essa e con gli altri sottosistemi (etica, religione, filosofia, arti, attività e saperi) per attuare i fini, significati e valori comuni. Pur partendo da punti diversi, esse convergono nel valorizzare la dimensione etica, euristica, simbolica, trascendente e socioculturale del lavoro scientifico. Non sono, quindi, antagoniste, ma complementari. Le difficoltà riguardano i modi per collegarle e articolarle in una complessiva etica del lavoro scientifico, accettabile e applicabile nei più diversi contesti sociali e culturali del mondo. Un compito così attuale e significativo esige pure una scala delle priorità e il relativo ordine. Al riguardo, fini, significati e valori sono numerosi: libertà, responsabilità, autonomia, relazionalità, intenzionalità, coscienza, storicità, situazionalità, socialità, culturalità, solidarietà, giustizia, sussidiarietà, attuazione delle proprie capacità, ecc.

Occorre, quindi, un filo conduttore. Esso risiede in una visione dell'uomo il più possibile valida e condivisa. Il vecchio scientismo poneva l'origine dell'uomo nell'emergenza casuale da un'auto-organizzazione altrettanto casuale, che però vanificava la ragione umana e la razionalità scientifica. Occorre, quindi, una visione nuova e integrale dell'uomo, fondata sulla sua verità e dignità di persona come spirito finito, incarnato, in relazione, aperto alla Trascendenza. È ad essa che va collegata la verità e dignità della scienza, come attività squisitamente umana. Per questo motivo, documenti qualiGaudium et spes, Veritatis splendor e Fides et ratio propongono la scienza come esempio di ricerca della verità e fonte dei grandi interrogativi morali e religiosi. Ciò conferma che anche l'autentica grandezza del lavoro scientifico è legata alla fede cristiana sull'origine dell'uomo, a quel Logos divino, amore, intelligenza e ragione creatrice (cfr. Gv 1,1-2), che crea l'uomo perché operi a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-28). Una formulazione sintetica di quanto abbiamo qui esposto è forse quella riportata dal Catechismo della Chiesa Cattolica: «È illusorio rivendicare la neutralità morale della ricerca scientifica e delle sue applicazioni. D'altra parte, i criteri orientativi non possono essere dedotti né dalla semplice efficacia tecnica, né dall'utilità che può derivarne per gli uni a scapito degli altri, né, peggio ancora, dalle ideologie dominanti. La scienza e la tecnica richiedono, per il loro stesso significato intrinseco, l'incondizionato rispetto dei criteri fondamentali della moralità; devono essere al servizio della persona umana, dei suoi inalienabili diritti, del suo bene vero e integrale, in conformità al progetto e alla volontà di Dio» (n. 2294).

 

Documenti della Chiesa Cattolica correlati:
Redemptor hominis, 16-17; Giovanni Paolo II: Discorso alla XXXIV Assemblea generale dell'Onu, 2.10.1979, EV 6, 1722-1763; Lettera al Direttore della Specola Vaticana, OR 26.10.1988, p. 7; Discorso al Corpo Diplomatico, 9.1.1989, Insegnamenti XII,1 (1989), pp. 60-71; Discorsi alla Pontificia Accademia delle Scienze, 28.10.1994, Insegnamenti XVII,2 (1994), pp. 562-569 e 27.10.1998, Insegnamenti XXI,2 (1998), pp. 849-853; Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita, 24.2.1998, Insegnamenti XXI,1 (1998), pp. 418-422.

 

Bibliografia

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