L’espressione “storia naturale” mette insieme due nozioni tanto importanti quanto profonde e ricche nello sviluppo del pensiero occidentale: quella di storia e quella di natura. Varrà dunque la pena iniziare proprio con alcune riflessioni su questi due concetti chiave.
Marc Bloch definiva la storia come “la scienza degli uomini nel tempo”; in effetti, la storia come disciplina si costituisce come un discorso sugli eventi passati in quanto prodotti dall’uomo. “Storia”, dunque, significa sia l’insieme di ciò che è accaduto all’essere umano, sia lo studio (la ricostruzione, l’interpretazione, la comprensione) di questi accadimenti.
Più in profondità, vale la pena ricordare che una concezione genuinamente storica della realtà e dell’umanità ha le sue radici nella tradizione ebraico-cristiana. È con essa che si affaccia l’idea di Creazione, e quindi di un inizio, di una origine. Di più. Perché la tradizione ebraico-cristiana ci parla anche di un eschaton, di una fine – o meglio, di un fine, di un compimento. È da qui che scaturisce la cosiddetta concezione lineare del tempo che segna una novità rispetto a cosmologie più antiche, essenzialmente cicliche; concezione che si distingue pure da quella greca, anch’essa ciclica. Senza una tale concezione del tempo, non è possibile concepire una vera e propria storia. Ancora di più. Perché il Dio della tradizione ebraico-cristiana è il Dio della storia, come testimoniato, ad esempio, dalle tante genealogie presenti nell’Antico e nel Nuovo Testamento. È una vera e propria storia in cui alcuni eventi chiave nel tempo sono narrati nei loro legami e nelle loro implicazioni reciproche; una storia di scelte, di Dio e degli esseri umani; una storia di alleanze che culminano con l’ingresso di Dio stesso nella storia, con l’Incarnazione.
Il termine “storia” proviene dal greco antico ιστορία (historia), che significa primariamente “indagine”, “ricerca”, e quindi, in modo derivato, quella “conoscenza acquisita mediante indagine”. Certo, la conoscenza storica è il frutto di una così concepita historia, ma nell’accezione greca si perde molto della prospettiva lineare e della dimensione di “progresso” della storia centrale nella tradizione ebraico-cristiana.
Il termine “natura” deriva dal greco φύσις (physis) che indica “ciò che sta per nascere”; aveva quindi un’accezione dinamica affine alle idee del prodursi, del divenire, del crescere e svilupparsi secondo la virtualità propria. Aristotele ne tratta sia nella Fisica che nella Metafisica. L’accezione di “principio o fonte di movimento” permane, e viene connessa con l’essenza: “la natura, nel suo senso originario e fondamentale, è la sostanza delle cose che posseggono il principio del movimento in sé medesimo e per propria essenza” (Metafisica, V, 4, 1015a). Sarà questa accezione connessa all’essenza che prevarrà progressivamente nella ricezione del termine in latino – natura – dove verrà ad indicare principalmente le qualità essenziali, le disposizioni innate.
Ed è in questa accezione che il termine giunge, attraverso i secoli, fino alle soglie della modernità, fino alla nascita della scienza moderna. Non è privo di significato, almeno intuitivo, che lo stesso Galilei dovette metodologicamente prendere le distanze dalla conoscenza della natura intesa come un “cogliere le essenze”: “Il tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti” (Terza lettera a M. Welser, 1611). Se l’essenzialismo della “scienza aristotelica” viene “messo in pausa” per esigenze metodologiche dai fondatori della fisica moderna, esso però permane come importante sfondo culturale, anche negli ambienti intellettuali.
Nelle scienze della vita rimane salda una concezione fissista delle specie anche in pieno ‘700. Carl von Linné, meglio noto come Linneo – colui che ha messo a punto il sistema di classificazione biologica per genere e specie tutt’ora in uso, quello che ci “classifica” come Homo sapiens, per intenderci – asseriva chiaramente nel suo Systema Naturae del 1735 che “osserviamo tante specie quante in principio ne furono create dell’Ente infinito”. Nel 1735 pare non aver ancora preso piede la concezione di una vita in continua trasformazione, in continua evoluzione. Eppure, sempre nel ‘700 – ma un po’ più tardi – Georges-Louis Leclerc conte di Buffon scrive una colossale opera in 36 volumi (pubblicata tra il 1749 e il 1789) che intitola Histoire naturelle (storia naturale, appunto). In quest’opera la diversità delle forme viventi viene spesso vista come l’esito di un processo storico, di una catena di cause e effetti che stabilisce una continuità tra le forme viventi nel tempo. Certo Buffon non è un evoluzionista, ma contribuisce decisamente ad attribuire al termine “historia” applicato alla “natura” non soltanto il senso generale (forse generico) di “conoscenza acquisita tramite indagine”, ma anche il senso specifico di un decorso temporale concatenato. Suggerisce anche l’idea che specie diverse abbiano un’origine comune. E lo fa in Francia, la patria di Jean-Baptiste de Lamarck che poco dopo, con la sua Filosofia zoologica, del 1809, dà inizio “ufficiale” alla biologia evoluzionistica proponendo la prima teoria compiuta della trasformazione nel tempo delle specie biologiche. Di lì a 50 anni, verrà data alle stampe L’origine delle specie di Charles R. Darwin che consacrerà gli studi della vita ad una cornice evolutiva. Con questi sviluppi e tutti quelli che seguiranno, fino ad oggi, la biologia viene primariamente concepita come una scienza storica; come la storia delle trasformazioni delle forme di vita e dei meccanismi naturali che vi sottendono. Nel 1973, Theodosius Dobzhansky – tanto certamente un fine biologo quanto esplicitamente un credente – pubblicava un articolo dal titolo Nothing in biology makes sense except in the light of evolution (Niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione). In questo articolo viene brillantemente sottolineato come tanto l’immensa diversità quanto la fondamentale unità della vita sul nostro pianeta hanno senso solo se concepite come risultato di un processo storico-naturale di adattamento ad ambienti cangianti di forme di vita cangianti. La biologia ha certamente avuto un ruolo propulsivo nell’affermazione di una concezione storica della natura, che almeno in parte e per alcuni versi recupera quella sfumatura dinamica della physis greco-antica.
In realtà però, c’è un altro settore delle scienze naturali (o più propriamente, della “filosofia naturale” dato il periodo di riferimento) che ha presto maturato una concezione storico-dinamica: la geologia. Darwin riconobbe esplicitamente l’ispirazione ricevuta dalle teorie geologiche di Charles Lyell, che nei due volumi del suo Principles of Geology (1830-32) mostra come monti, valli, fondali e fiumi siano in continua, lenta ma inesorabile, trasformazione. A dirla tutta, poi, il primo che in contesto di studi naturalistici propose con chiarezza una concezione storica in geologia lo incontriamo quasi due secoli prima, poco dopo Galilei. Parliamo di Niccolò Stenone, che con il suo De solido intra solido naturaliter contento (Sui solidi naturalmente contenuti in altri solidi), pubblicato nel 1669, propone l’idea di geologia come scienza storica di cambiamenti nel tempo che possono essere ricostruiti grazie alle “tracce” lasciate da questi eventi. In fondo, il paleontologo odierno non fa cosa molto diversa, e non è privo di significato che Stenone maturò le sue idee geologiche anche grazie allo studio di fossili di denti di squalo (le cosiddette glossipetrae). Quindi non solo la vita, ma anche le Terra ha una storia.
Se poi gettiamo rapidamente lo sguardo agli sviluppi del XX secolo in cosmologia scientifica non possiamo non rilevare che questi hanno decisamente mostrato che l’intero universo ha una storia, ha una evoluzione: non è sempre stato come lo “vediamo” oggi. Inoltre, anche grazie agli sviluppi in fisica delle particelle e in chimica fisica, sappiamo che gli elementi che oggi costituiscono l’universo (e le loro organizzazioni complesse, fino ad arrivare alla vita e all’intelligenza) sono emerse in un processo “storico”, in cui i “prodotti” di una fase hanno reso possibili “sviluppi” successivi. L’intera attuale visione del mondo, assai profondamente influenzata dagli avanzamenti scientifici, è una visione evolutiva, storica.
Torniamo però un momento al ‘700, e a Buffon. Nella sua Histoire naturelle, egli include anche l’essere umano, dedicandogli un intero volume. Così, Buffon è spesso considerato il fondatore della moderna antropologia fisica o scientifica, intesa appunto come “storia naturale dell’uomo”. È noto che L’origine delle specie di Darwin dedica una sola riga all’essere umano, quasi in chiusura, asserendo che prima o poi verrà gettata luce anche sull’origine dell’uomo e la sua storia. Però, immediatamente dopo l’uscita de L’origine (le cui prime 1.250 copie andarono esaurite in un solo giorno!) le grandi discussioni erano introno all’uomo – vale a dire, intorno alle implicazioni dell’applicazione della teoria di Darwin alla nostra specie. Infatti, Alfred R. Wallace pubblicò una raccolta di saggi sui suoi Contributi alla teoria della selezione naturale nel 1870, il cui ultimo capitolo tratta dei Limiti della selezione naturale applicata all’uomo (The limits of natural selection as applied to man). Darwin a quel momento sul tema aveva pubblicato … una sola riga (dato che L’origine dell’uomo – The Descent of Man – uscirà l’anno seguente). Oggi la paleoantropologia è disciplina non soltanto affermata, ma anche in magmatico sviluppo. Sappiamo molto sulla “storia naturale” dell’essere umano, di H. sapiens. Quella visione evolutiva del mondo comprende anche noi stessi. Certo, la paleoantropologia, l’antropologia fisica, e tutte le discipline che concorrono a questa impresa conoscitiva scientifica, non “esauriscono” l’essere umano – anche se tal volta, hanno la pretesa di farlo. Ne catturano però degli aspetti centrali, ineludibili.
Insomma, la “storia naturale” oggi include tutta la natura: l’universo, la Terra, la vita, l’essere umano. Tutte questi ambiti delle scienze naturali sono sempre più concepiti in una prospettiva genuinamente storica. Questa integrazione tra l’idea di storia e l’idea di natura, suggerisce una importantissima convergenza concettuale, guadagnata nel corso di ben oltre 25 secoli. Certo, la storia naturale è naturale sia nel senso di prendere la natura a suo oggetto, sia nel senso di concentrarsi su cause naturali, di ricercare spiegazioni naturali. Ma questo di per sé non è un problema neppure per chi crede che il mondo abbia un Creatore. Non sembra esserlo per il biologo Dobzhansky – e molti altri uomini di scienza. Non lo è neppure, di per sé, per il Magistero della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes (n. 36) afferma chiaramente: “Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore.” È piuttosto una ulteriore spinta a guadagnare, percepire e meditare una concezione profonda dell’unità della natura (della creazione), e della sua “creatività”.
E cosa ne è di quella dimensione antropologica profonda della storia radicata nella tradizione ebraico-cristiana, la storia fatta di scelte, libere? Questa dimensione sembra essere mortificata da alcune implicazione dell’inclusione dell’essere umano nella storia naturale. Molte spiegazioni Neo-darwiniane dell’evoluzione dell’uomo (e persino delle società umane) sembrano ridurre questa dimensione alle necessità biologiche, sembrano leggerne i risultati soltanto in termini di adattamento, sopravvivenza e successo riproduttivo. Sviluppi recenti, però, sia in biologia evoluzionistica sia in antropologia scientifica, riconoscono sempre più il ruolo (non sempre facilmente riducibile) delle dinamiche culturali o proto-culturali nell’evoluzione della nostra specie sia prima, sia soprattutto dopo la sua comparsa su questo pianeta circa 250.000 anni fa. La ricerca scientifica recente sembra sempre più compatibile con l’idea che il soggetto umano – con le sue motivazioni, le sue aspirazioni e i suoi “gusti”, con le sue scelte libere – abbia giocato un ruolo attivo nella stessa storia naturale della sua specie. Questa a me sembra, oggi, una prospettiva interessante, un’ulteriore potenziale convergenza concettuale tra l’idea di storia e quella di natura. Una convergenza che potrebbe forse aiutarci a gustare meglio altri aspetti profondi della natura, della creazione.