Il Concilio Vaticano I compie 150 anni. Di fronte al ben più noto e influente Vaticano II, ricordare oggi qualcosa del Concilio convocato dal beato Pio IX sembrerebbe un tema da addetti ai lavori, forse obsoleto. Se qualcuno ne ha sentito parlare così è stato, probabilmente, per la dottrina sull’infallibilità del Magistero del Romano Pontefice, giudicata controversa dai commentatori, ma poi confluita testualmente nella Lumen gentium del Concilio Vaticano II (cf. n. 25). Eppure, il contesto storico-culturale che aveva suggerito la convocazione del Vaticano I testimoniava grande vivacità e accesi dibattiti. A metà dell’Ottocento l’Europa era attraversata dal razionalismo e dall’agnosticismo, movimenti di pensiero che interagendo con le scienze della natura si coloravano di materialismo e di panteismo. Charles Darwin aveva già pubblicato l’Origine delle specie (1859) e da più di vent’anni circolava il Manifesto del Partito Comunista (1848), firmato da Marx ed Engels. In campo scientifico, Mendel aveva scoperto le leggi dell’ereditarietà (1865) e Mendeleev pubblicato la tavola periodica degli elementi (1869). La fisica atomica andava lentamente costituendosi, emancipata dalla chimica; la termodinamica aveva già fatto i suoi primi passi e solo tre anni più tardi Maxwell avrebbe formulato le equazioni dell’elettromagnetismo. A Londra dal 1863 ci si muoveva ormai in metropolitana e all’esposizione universale di Parigi del 1867 era stato presentato per la prima volta l’ascensore.
Come mai Pio IX volle convocare un Concilio e su cosa avrebbe dovuto riflettere per poi trasmetterlo alla cristianità? Il condizionale è d’obbligo perché, vale la pena ricordarlo, il Concilio poté solo iniziare… Dei 51 schemi preparati per la discussione in aula se ne potettero elaborare e votare soltanto 2! Il primo di essi, la costituzione Dei Filius, riuscì a vedere approvati solo i primi 4 capitoli dei 9 previsti. Il secondo documento, la Pastor Aeternus, fu votata in gran fretta, lasciando incompleta una più organica Costituzione sulla Chiesa in cui quel documento avrebbe dovuto inserirsi. Ma cosa era accaduto? Apertosi ufficialmente l’8 dicembre 1869, il Vaticano I poté riunire solo 4 volte i circa 700 vescovi convenuti, perché il 18 luglio 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana, cosa che suggerì a non pochi membri dell’episcopato europeo di tornare nelle proprie diocesi. I lavori continuarono in qualche modo, ma il 20 settembre l’entrata a Roma delle truppe piemontesi pose il papato di fronte ad una situazione del tutto inedita, costringendo il Concilio a chiudere rapidamente i battenti. Pio IX riuscì un mese più tardi, il 20 ottobre, a preparare una bolla, Postquam Dei munere, con la quale rimandava i lavori del Concilio sine die, a tempo indeterminato.
Un altro 8 dicembre, quello del 1962, Giovanni XXIII avrebbe dato inizio ad un nuovo Concilio, ma, sarebbe ragionevole pensarlo, ormai gli schemi e i documenti dei lavori sospesi un secolo prima, quelli del Vaticano I, avevano già fatto il loro tempo. Temi obsoleti e ormai sorpassati quelli preparati dai Vescovi insieme a Pio IX? Proviamo a rileggere i titoli dei capitoli della costituzione Dei Filius. I quattro approvati sono dedicati alla creazione, alla rivelazione, alla fede e al rapporto fra fede e ragione. Quelli che non si giunse a discutere erano dedicati, fra gli altri, alle origini del genere umano, al peccato originale, al valore universale della redenzione e della mediazione di Gesù Cristo. Dagli Atti del Concilio relativi alle diverse sessioni possiamo ricostruire che vari Padri conciliari avevano chiesto di trattare temi in relazione al rapporto fra gli insegnamenti della Chiesa e le scienze. Sappiamo ad esempio che il 3 gennaio 1870 mons. Agostino Vérot, vescovo di Savannah-Atlanta e già professore di astronomia, chiese ai Vescovi presenti di introdurre nei documenti del Concilio un’esplicita menzione del caso Galileo, allo scopo di sanarne la memoria. Nel suo lungo intervento il prelato si disse anche favorevole a discutere nel Concilio le problematiche teologico-catechetiche legate alle recenti prospettive scientifiche circa l’evoluzione dell’uomo. Se vi fosse stato tempo per discutere questi temi, il n. 36 della Gaudium et spes (luogo del Vaticano II che contiene un riferimento a Galileo) avrebbe avuto un precedente conciliare un secolo prima, e le incertezze con cui all’inizio del Novecento la Curia Romana dovette affrontare le opere di cattolici che sposavano la teoria dell’evoluzione biologica sarebbero forse state previamente risolte. Vi fu, fra i Padri del Vaticano I anche chi chiese una condanna formale per l’opera di Charles Darwin, ma fortunatamente vi fu tempo perché l’assise conciliare rispondesse negativamente a questa richiesta, prima che i bersaglieri di Porta Pia costringessero a lasciare in sospeso per un secolo anche questo punto…
Se questi episodi mostrano la vivacità con cui il Vaticano I seguiva i risultati delle scienze, le sobrie righe dei primi 4 capitoli della Dei Filius mostrano ancora oggi la pertinenza e la precisione filosofico-teologica con cui il Concilio affrontò importanti questioni del rapporto fra fede e ragione. Avendo presenti le tesi del materialismo e del razionalismo, si ribadisce la dottrina filosofica circa la conoscenza naturale di Dio a partire dalle cose create, confermando le principali note della creazione di fronte alle idee panteiste e immanentiste del tempo. Si risponde al fideismo ricordando che la Rivelazione divina possiede dei motivi di credibilità i quali, pur non determinando la fede, nondimeno la mostrano a tutti come ragionevole. Fra questi, i miracoli, le profezie e la propagazione del cristianesimo, congiuntamente alla trascendenza della sua dottrina morale, offrono all’intelligenza segni adeguati per accogliere la Parola di Dio affidata alla Chiesa. A coloro che sostenevano l’incompatibilità fra le verità di fede e la conoscenza razionale affidata alla ragione naturale il Concilio risponde affermando che esistono due ordini diversi di conoscenza, distinti per principio e per oggetto, che non entrano in conflitto fra loro. Ma esiste anche un’intelligenza più ampia, quella che lega tutte le cose create al loro Creatore, capace di inglobare quanto l’intelligenza umana, con i suoi mezzi, può conoscere della realtà empirica.
La critica storica è ormai unanime nell’affermare che il Concilio Vaticano I non intendesse opporsi alla modernità, ma cercasse piuttosto un dialogo e un chiarimento con essa. Lo dimostra la preoccupazione dei Padri per elaborare una nozione positiva di ragione, come si evince dalla lettura dei vari capitoli della Dei Filius. Lo mostra anche il tenore della discussione in aula, alquanto rispettosa del progresso conoscitivo delle scienze e contraria ad uno scontro diretto con le istanze della modernità. Siamo di fronte ad un coraggioso cambio di prospettiva, se consideriamo ad esempio quanto le taglienti (seppur storicamente necessarie) affermazioni del Syllabus errorum (1864) preparato dalla Curia romana potevano lasciar intendere solo qualche anno prima. Se del Vaticano I è stata veicolata un’ermeneutica anti-moderna questa la si dovrà ascrivere soprattutto alle correnti più polemiste della successiva neoscolastica, non di rado impegnata a proporre uno specifico razionalismo in opposizione a quello ereditato dalla filosofia dei Lumi, sottolineando il carattere oggettivo-impersonale della fede e legandola quasi esclusivamente al concetto di autorità.
Sintetizzavano così qualche anno fa, due importanti teologi fondamentali, il contributo della Dei Filius. Affermava lo statunitense Avery Dulles: «Nei limiti consentiti dalla sua prospettiva culturale, il Vaticano I produsse un documento di rimarchevole ricchezza, concisione, equilibrio e coerenza, che rivendicava i diritti della ragione e dell’autorità contro gli eccessi dell’autoritarismo e del razionalismo» (Il fondamento delle cose sperate, Queriniana, Brescia 1997, 125). Qualche anno prima, con parole analoghe, si era espresso il tedesco Heinrich Fries: «Il Concilio Vaticano I si vide costretto a combattere su due fronti: rispetto ad un’autonomia radicale della ragione umana, che rifiuta per principio qualsiasi possibilità di fede, e rispetto ad un rifiuto della ragione in nome di una fede basata esclusivamente sul sentimento e sull’esperienza interiore. Contro la prima posizione il concilio affermò il diritto della fede ed i limiti della ragione; contro la seconda assunse esplicitamente le difese della ragione nel campo della fede, contro gli spregiatori della ragione in nome della fede» (Teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1987, 419). L’anniversario di 150 anni trascorsi può servire anche a questo, a non perdere per la strada pezzi di storia che possono ancora aiutarci a capire il presente.
Chi desiderasse leggere alcuni brani della Dei Filius, può trovarli sul Portale disf.org ed esaminare il testo completo.