Charles Darwin è notoriamente uno degli scienziati che maggiormente ha influenzato la storia della biologia e delle scienze naturali. Appartenente ad un’agiata famiglia borghese di Shrewsbury, di ampie vedute ed intellettualmente vivace, Darwin si interessa fin da giovane alle scienze naturali. Per volontà del padre, il medico Robert Waring Darwin, studia medicina a Edimburgo e successivamente si trasferisce a Cambridge per dedicarsi agli studi teologici. Gli anni universitari sono per lui ricchi di esperienze; scarsamente interessato alla medicina o alla teologia, si dedica alla botanica, alla zoologia e alla geologia, seguendo le lezioni dei più illustri scienziati dell’epoca (Henslow, Lyell, Sedgwick) di cui poi diventerà assiduo frequentatore e amico. Il 27 dicembre 1831, dopo aver convinto suo padre della bontà dell’impresa, Darwin decide di seguire le sue passioni e si imbarca nel brigantino Beagle in veste di naturalista - o meglio, di Philosopher, come ironicamente veniva appellato dall’equipaggio - per un viaggio di circumnavigazione del globo che rappresenta per lui l’avvenimento di gran lunga più importante della sua esistenza, “il primo vero addestramento e la prima vera istruzione”. Durante il viaggio Darwin osserva, colleziona, cataloga, riempie taccuini di pensieri, ipotesi, intuizioni, forgia la sua mente e costruisce l’impalcatura concettuale che poi culminerà nella formulazione della teoria della selezione naturale. Nel 1859, ormai scienziato maturo, apprezzato e consapevole delle sue ricerche, pubblica la sua opera più famosa dal titolo Origine delle specie. Attraverso una puntuale analisi di una mole sterminata di fatti e casi singoli, Darwin fonda e giustifica la teoria dell’evoluzione secondo la quale ogni specie, adattandosi all’ambiente e lottando per la propria sopravvivenza, attraverso un meccanismo di selezione naturale, si evolve ed è legata biologicamente al resto del mondo vivente secondo una catena di esseri dalle varietà immense e meravigliose che origina da una o poche forme di vita. La teoria darwiniana esposta nell’Origine delle specie porterà al tramonto della teoria fissista (concezione per la quale le specie biologiche erano quella sin dall’inizio e non cambiavano nel tempo, e che si accompagnava ad una visione essenzialmente statica dell’universo in quanto tale) che aveva avuto tra i suoi seguaci Linneo, Cuvier, Owen e mise in crisi la credenza che ciascuna specie fosse stata creata indipendentemente attraverso singole azioni divine.
La negazione della teoria fissista e delle creazioni indipendenti è particolarmente sentita da Darwin tanto che in più momenti della sua opera richiama l’attenzione del lettore su questa tematica. Nei dodici anni che intercorrono tra la pubblicazione dell’Origine delle specie e quella dell’Origine dell’uomo (1871) il dibattito inaugurato dall’opera darwiniana si diffonde ampiamente in tutto il Vecchio Continente, attraverso l’opera di eminenti divulgatori tra i quali Huxley, Haeckel, Canestrini. Darwin, ormai celebre naturalista, introverso e taciturno, si ritira definitivamente dalla vita pubblica e mondana di Londra e “il più affabile di tutti i geni” – come lo definisce affettuosamente Stephen Jay Gould – inaugura il periodo forse più intellettualmente tormentato, laborioso e faticoso della sua vita, al sicuro nella sua dimora di campagna, Down House, laboratorio, fucina di pensieri, ritrovo di amici e studiosi, rifugio sicuro. Ciò che aveva annunciato nella parte conclusiva dell’Origine delle specie – “si farà luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia” – Darwin lo traduce in fatti dando alle stampe nel 1871, in due volumi (che a partire dalla seconda edizione diventeranno un unico corposo tomo) l’opera dal titolo L’Origine dell’uomo e la selezione sessuale che, nello stesso anno di edizione, viene tradotta in tedesco, italiano, francese e russo. Particolarmente travagliata risulta quest’ultima traduzione, come ci ricordano i biografi di Darwin, Adrian Desmond e James Moore, a causa di un alterco tra il governo russo, nella persona del Ministro dell’Interno (che bandisce il libro accusandolo di “materialismo” e minacciando il ritiro di tutte le copie) e il traduttore Kovalevskij, costretto, con la moglie, a fuggire a Parigi per finire la traduzione dell’opera, perdendo fortunatamente solo alcuni fogli durante le rocambolesche vicende della fuga.
L’essere umano, “meraviglia e gloria dell’universo”, era rimasto escluso dalla cornice teorica che Darwin aveva elaborato nell’Origine delle specie. Nel 1863 Huxley pubblica Evidence as to Man’s Place in Nature, applicando i principi evolutivi darwiniani all’uomo. Nello stesso anno Lyell pubblica l’opera dal titolo On the Antiquity of Man dove discute di intervento divino ed evoluzione umana. Alfred Russel Wallace, “l’altro padre” della teoria della selezione naturale, intrattiene con Darwin una lunga corrispondenza sulle possibilità applicative della selezione naturale all’evoluzione umana (confluite poi nel testo di cui riportiamo parziale traduzione italiana qui). Il terreno era dunque ormai fertile e preparato per un’opera che potesse riassumere tutti i pensieri magmatici e disordinati che Darwin per decenni aveva appuntato nei suoi taccuini con gli spilli pungenti del suo pensiero. Nel 1871, negli ambienti accademici e nei salotti di conversazione di tutta Europa e ormai degli Stati Uniti (dove operava il botanico Asa Gray, professore all’Università di Harvard, corrispondente e amico di Darwin) il nome di Darwin era legato intimamente alle questioni relative all’evoluzione umana. Pubbliche letture venivano istituite sulla discendenza dell’uomo da esseri inferiori (si ricorda il pamphlet di Niccolò Tommaseo L’uomo e la scimmia che critica aspramente la teoria darwiniana). Chi però tra i critici o anche tra i sostenitori di Darwin aveva letto per intero L’Origine dell’uomo? Come ci ricorda Michele Lessona nell’introduzione alla prima edizione italiana (proprio del 1871) che lui stesso cura, “questa è un po’ la storia degli Italiani rispetto a Darwin, molti che ne dicono male, ed anche taluni che ne dicono bene, non lo hanno mai letto”. Probabilmente la riflessione di Lessona è valida ancora oggi e, come ci suggerisce, solamente leggendo attentamente l’opera, chi è propenso a lodare Darwin lo “loderebbe più nobilmente” e chi invece non condivide alcuni aspetti del suo pensiero “si darebbe al meditare in luogo dell’inveire”.
L’Origine dell’uomo rappresenta l’acme di quella rivoluzione concettuale che, come afferma il filosofo Antonello La Vergata, “è ancora lontana dall’essere compiuta”. Dopo 150 anni dalla sua pubblicazione, quali sono gli snodi fondamentali di quest’opera su cui ancora riflettere? La sua eredità è ancora fertile e produttiva? Si direbbe proprio di sì, anzi, c’è un’eredità nascosta e poco esplorata nelle pagine scritte da questo naturalista che vale la pena scoprire e indagare.
La prima parte del testo è sicuramente la più interessante, ricca di spunti di riflessione e quella che ha suscitato il maggior numero di critiche e considerazioni. L’autore presenta fin dall’inizio la sua teoria della discendenza comune tra uomo e animali. Attraverso varie prove desunte da eminenti naturalisti dell’epoca (non manca di citare vari studiosi italiani tra cui il più rappresentato è sicuramente Canestrini), Darwin mostra come i caratteri peculiari dell’essere umano sono stati acquisiti attraverso la selezione naturale, inserendo l’umanità a pieno titolo nel regno animale e applicando ad essa tutte le leggi che regolano il mondo vivente. Se da un lato le prove zoologiche ed embriologiche dimostrano la presenza, nella struttura fisica umana, di “tracce della sua discendenza da qualche forma inferiore”, verosimilmente in comune con le scimmie superiori, dall’altro il confronto dettagliato tra le facoltà mentali dell’uomo e degli animali inferiori indica, secondo il nostro autore, che la differenza tra l’uomo e gli animali superiori, per quanto grande sia, “è di grado e non di genere”. La seconda parte dell’opera è sicuramente quella meno letta; rappresenta infatti una lunga digressione sul ruolo della selezione sessuale nell’evoluzione dei caratteri secondari di tutto il regno animale, che è stata in parte ridimensionata dalla scienza contemporanea.
L’Origine dell’uomo costituisce una ricapitolazione di tutte le riflessioni che Darwin ha affidato ai suoi taccuini in più di quaranta anni di vita. Una delle considerazioni sicuramente più affascinanti presenti nell’opera, riguarda il concetto di “senso morale” e di “simpatia”, un termine che ricorre spesso nel testo e che sta particolarmente a cuore al nostro autore. Il senso morale - definito anche “coscienza” da Darwin stesso – è di gran lunga la caratteristica più importante che definisce la differenza tra l’uomo e gli animali inferiori, accanto al “dovere” che, in accordo con la teoria di Kant, rappresenta il sentimento più nobile dell’essere umano. Rispetto al “senso morale” Darwin però assegna alla “simpatia”, ovvero la capacità di entrare in relazione profonda con altri esseri viventi, una posizione privilegiata in quanto essa è definita come parte essenziale e come il fondamento dell’istinto sociale. Una intuizione che anticipa più di un secolo le scoperte delle neuroscienze e dei neuroni specchio! La “simpatia” ha permesso, a giudizio di Darwin, il progredire della civiltà: dapprima l’essere umano si è costituito in tribù, poi la sua capacità di relazione si è espansa “a tutti i membri della sua stessa nazione” fino ad estendersi “agli uomini di tutte le nazioni e razze”. Il tu iniziale degli albori dell’umanità si è ampliato e potenziato fino a diventare un noi che comprende non solo la totalità degli esseri umani ma tutto il mondo vivente. La più alta acquisizione morale è dunque “la simpatia oltre i confini umani, l’umanità verso gli animali inferiori”.
Il darwinismo segna sicuramente il declino di una particolare visione della storia naturale: quella che considera perfezione tutto ciò che è stabile, fisso e immutabile. Con la teoria evolutiva mutamento, plasticità e difetto diventano il motore propulsore dell’evoluzione. La vita diventa plasticità e trasformazione continua e ciò contribuisce in maniera importante ad una visione dinamica del cosmo stesso, che assume conseguentemente un carattere di “perfettibilità”.
Per quanto riguarda il genere umano, il suo essere cangiante, metamorfico, plastico e appunto perfettibile, soprattutto a livello intellettivo, sono le carte vincenti che gli hanno permesso il successo evolutivo. Un genere che “porta impressa nella sua struttura fisica l’impronta indelebile della sua infima origine” e che proprio per questo ha tutto il diritto di mostrare orgoglio e fierezza per essere riuscitoa raggiungere, per usare le parole di Darwin, “la sommità della scala dei viventi”. Colui che “con il suo intelletto quasi divino è penetrato nei movimenti e nella struttura del sistema solare”, colui che abbraccia il cosmo con un sentimento di relazione profonda, colui che indaga il suo posto nella natura e il senso del suo esistere, ha avuto origine da “un bruto senza parola, errante nelle foreste di Sumatra” come spiega Francesco Barrago in una lettura pubblica nell’aula della Regia Università di Cagliari il 4 marzo 1869. Un essere di tal fatta, che contiene in sé e partecipa ad una natura animale e allo stesso tempo quasi divina, non costituisce una meraviglia? Noi siamo materia, corpo, spirito e volontà ma soprattutto noi siamo relazione. In armonia con le tesi di Darwin, l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, ci ricorda che “tutto è relazione” e che l’essere umano è profondamente unito con l’umanità, con la natura e con il divino, secondo quel sentimento che, in termini forse un po’ ingenui, Darwin ha definito “simpatia”. La cura di noi stessi passa dunque attraverso la cura del creato. Quando sarà completata la “conversione ecologica globale” auspicata prima da Giovanni Paolo II e poi da Papa Francesco, sarà ultimata l’acquisizione di quel noi darwiniano che innalza l’umanità verso nuovi orizzonti di crescita. Quale glorioso posto occupa l’uomo, quale illustre lettura dell’evoluzione umana ci ha offerto Darwin spesso travisata e poco compresa! Il nostro naturalista assegna all’uomo un preciso posto nel cosmo, una propria identità, quella di un essere relazionale che appartiene per esistenza alla grande catena degli esseri animali ma che per essenza si è innalzato verso forme intellettive superiori che “gli danno speranza per un destino ancora più elevato in un lontano futuro”. Come afferma l’enciclica Laudato si’, l’essere umano “impara a riconoscere se stesso in relazione alle altre creature” e, come ricorda anche il filosofo Paul Ricoeur, esprime ed esplora se stesso e la propria sacralità solo attraverso la decifrazione della natura e del suo linguaggio. Per riprendere un concetto che trova le sue radici nell’opera di Teilhard de Chardin, l’uomo sembra “riassumere in sé tutta l’organica creazione, formando l’ultimo anello presente della gran catena animale, l’anello microscopico” (Barrago).
Quale grande e profonda eredità ci ha dunque lasciato questo pacato e introverso naturalista, sempre preoccupato di non urtare la sensibilità dei suoi simili, questo cercatore ed esploratore di Senso? L’eredità di rintracciare nelle leggi di natura e nelle prime origini l’unicità e la meraviglia degli esseri viventi, ed in particolare di ogni essere umano. A 150 anni dalla pubblicazione dell’Origine dell’uomo abbiamo ancora tanto su cui riflettere.