- Nel corso dei secoli gli artisti hanno espresso il loro stupore e la loro meraviglia attraverso la ricchezza della loro immaginazione e del loro genio, ed hanno spesso presentato il cosmo in relazione al Creatore.
- L’arte sacra ha spesso raffigurato Dio come Creatore dell’universo, topografo-geometra, governatore provvidente del cosmo.
- Molte cattedrali dell'epoca medievale contenevano e riassumevano la scienza del loro tempo, proponendosi come vere e proprie sintesi di fede e geometria.
- Nella contemporaneità, artisti come Joan Mirò e Pablo Picasso hanno saputo “dare forma” all’ambivalenza del rapporto dell’uomo – e dunque dell’arte – con il cosmo.
- L’architetto Antoni Gaudì, nel suo stile visionario e originale, ha tradotto l’idea secondo cui Dio è il Logos eterno che entra nella storia e le dà forma.
- A partire dall’avvento della scienza moderna, e con particolare riferimento alle scoperte in campo astronomico e fisico, l’arte si è avvalsa degli studi scientifici per rappresentare il cosmo.
Nel corso dei secoli gli artisti hanno espresso stupore e meraviglia attraverso la ricchezza della loro immaginazione e del loro genio, e hanno sempre presentato il cosmo in relazione al Creatore. Tutto questo almeno fino agli albori della modernità. Ecco, allora, Dio che appare dall’alto del mondo o che domina il cosmo, così come si può vedere nei mosaici di Sant’Apollinare e di San Vitale a Ravenna. Molto diffuse sono anche le raffigurazioni di Dio in veste di topografo-geometra, nell’atto di valutare l’universo e di misurarlo con il compasso, così come è possibile ammirare nei frontespizi di molte “Bibbie moralizzate” del XIII secolo.
Altrettanto numerose sono le volte in cui Dio viene rappresentato come posto di fronte all’universo, secondo quanto esemplarmente ritroviamo nei mosaici della Basilica di San Marco a Venezia o in quelli del Duomo di Monreale, in cui Dio è il Pantokrator-Gubernator che tiene il mondo creato tra il pollice e l’indice o lo sostiene con la palma della mano aperta, simbolo della creatio continua. Infine, non è raro incontrare opere nelle quali Dio posa la mano su un globo di grandi dimensioni, quale creatore provvidente della sua creazione, simboleggiata dal globo che indica il suo potere universale e cosmico.
Oltre alle arti figurative, grande importanza riveste anche l’architettura sacra. Nelle grandi basiliche dell'antichità e nelle cattedrali del Medioevo, infatti, se ad esempio l’arco, il timpano, l’abside e la cupola sono simboli cosmici e luoghi dell’apparizione del divino, il globo è simbolo dell’universo intero, nella sua totalità, nella sua perfezione e compiutezza. Lentamente, però, il globo non è più raffigurato come un mappamondo cosiddetto a T, nel rispetto della tradizionale suddivisione della terra in tre diversi continenti, ma diviene una sfera in cui è possibile leggere i particolari di un paesaggio vero e proprio, reale, vivo, come avviene ad esempio nel catino absidale di San Vitale a Ravenna, della metà del VI sec., dove Cristo, Colui per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose sono state fatte (cfr. Col 1,16; 1Cor 8,6), è affiancato da due angeli, siede su un globo azzurro che confina, in basso, con il verde di una vegetazione lussureggiante ed è immerso nel fondo oro della dimensione divina, mentre porge la corona al martire Vitale.
L’atto creativo è spesso reso attraverso una serie di rimandi simbolici. In alcuni casi viene chiamata in causa una teofania trinitaria, in altri l’azione del Logos divino e della Sapienza creatrice e in altri ancora, grazie a interi cicli di mosaici e di affreschi, viene presentata l’azione di Dio nei suoi effetti, ovvero nella moltitudine delle forme creaturali che rivelano l’armonia universale.
Nell'epoca contemporanea, tra gli innumerevoli artisti che potrebbero essere portati ad esempio, tre in particolare sono stati in grado, ciascuno a suo modo, di “dare forma” all’ambivalenza del rapporto dell’uomo (e dell’arte) con il cosmo. Sono gli spagnoli Joan Mirò, Pablo Picasso e Antoni Gaudì.
Il primo, provando a reagire agli orrori del secondo conflitto mondiale, con tutto il male che l’uomo fu in grado di sprigionare, ha voluto trovare nell’arte un’ultima, estrema ancora di salvezza, e l’ha fatto mettendo a nudo, attraverso il gioco delle linee e dei colori, il “dramma del Creatore”. Mirò – ma si potrebbe dire lo stesso di Gauguin e di altri ancora – è convinto che l’arte debba realizzare quell’esigenza interiore che l’uomo prova nel momento in cui vuole evadere dalla realtà presente, segnata dal male e dalla morte, per rifugiarsi in un mondo abitabile, riconciliato, pacificato, e così scoprire l’essenza religiosa e il senso magico delle cose. L’artista spagnolo cerca dunque quell’atmosfera e quella luce in grado di fargli dipingere la terra che abita e soprattutto il cielo che la sovrasta. Realizza, perciò, la serie delle Costellazioni che vedono la luce in un periodo in cui la denuncia contro la brutalità dell’azione dell’uomo contro i suoi simili e contro il resto della creazione si fa più aspra. Mirò non intende però evadere in direzione dell’universo vasto e lontano, ma vuole affermare che per quanto grande, il male non può far degenerare completamente il mondo.
Diametralmente opposto è l’atteggiamento artistico di Picasso, il quale fissa sulla tela una sorta di “sfaldamento del cosmo” (Nikolaj Berdjaev) e avvia un processo in cui la bellezza viene “defigurata”. Siamo lontani da ciò che aveva fatto Raffaello, il quale “racconta un mondo che ha ancora un senso, uno scopo, degli obiettivi ed è un mondo aperto in cui bisogna far confluire le forze della natura e quelle soprannaturali” (Carlo Bo). Il cosmo di Picasso muta in un caos sempre più ingovernabile. L’artista opera una violenta e incisiva azione che scompone e smembra analiticamente il mondo e gli oggetti che lo compongono fino a polverizzare ogni cosa. Quel cosmo ripiombato nel caos di cui l’arte di Picasso sembra essere testimone ed espressione, in Mirò riacquista i colori e il gioco della vita. Ecco, dunque, che questi due artisti rappresentano per molti versi due poli in tensione – il punto di arrivo – che hanno caratterizzato l’intera storia dell’arte
Antoni Gaudí, “architetto geniale e cristiano coerente” (Joseph Ratzinger), nella sua architettura visionaria e originale ha tradotto un assunto del pensiero tomista, secondo cui Dio è il Logos eterno che entra nella storia e le dà forma reale. L’architetto catalano, grazie alle sue opere, religiose non solo per il contenuto ma anche per lo stile, ha inteso consegnare la sua città, Barcellona e, in fondo, il mondo intero, a Dio. L’ha fatto grazie all’innalzamento della Sagrada Familia, ma anche con la costruzione del Parco Güell. Nei suoi progetti ha voluto non solo riprodurre le forme della creazione nella loro varietà, ma ha dato vita, contemporaneamente, al paradiso terrestre di Genesi, secondo il progetto originario di Dio, e alla creazione nuova secondo la visione di Apocalisse, definitivamente liberata dal peccato e dalla corruzione, trasfigurata dalla presenza di Dio. Gaudì non cerca tanto un paradiso sceso sulla terra, dal momento che il mondo è ancora troppo compromesso con il male, quanto piuttosto una terra che diviene paradiso e che raggiunge le profondità del cielo; una terra nella quale si intraveda fin da adesso la trasformazione finale della materia e delle sue forme, la condizione definitiva dell’universo. L’universo raccontato dall’arte di Gaudì è vivo, conosce la vita e la morte, la nascita di nuove stelle e la fine di altre. Anche le forme che egli realizza sembrano farsi e disfarsi ininterrottamente e senza posa, e fanno parte di un grande organismo vivente animato dall’azione della grazia divina.
Non sono rari i casi in cui, specialmente a partire dall’avvento della scienza moderna e in particolare dalle scoperte in campo astronomico e fisico, anche grazie alle osservazioni del cielo con strumenti sempre più sofisticati, l’arte si sia avvalsa degli studi scientifici per rappresentare il cosmo. Oggi, infine, le foto sempre più nitide che il grande telescopio spaziale Hubble, potenziamento dell’occhio umano, ci ha restituito – gli abissi dello spazio, le galassie e le nebulose – o quelle scattate da astronauti in orbita attorno alla Terra, non fanno altro se non dire, con un linguaggio diverso, ciò che l’uomo ha provato a dire da sempre, e alimentano il nostro senso di stupore verso l’universo.
Laboratorio interdisciplinare: Scienza e arte sono tra i prodotti più raffinati dell’evoluzione culturale umana: intuizione e creatività appartengono ad entrambe. Quali facoltà comuni hanno l’artista e lo scienziato? Quali aspirazioni? Possiamo affermare che arte e scienza sono fonti di reciproca ispirazione? Si pensi ad esempio ai soggetti naturali di opere artistiche e all’equilibrio tra forma estetica e funzione nelle opere d’ingegno. Si esamini ad esempio il caso di Leonardo da Vinci, in cui scienza e arte rappresentano un unico strumento di ricerca della verità e della bellezza.
Discutiamone insieme: «Il modo originario di articolazione dell’opera d’arte dentro il contesto della tradizione trovava la sua espressione nel culto». Il docente stimoli una riflessione su questa osservazione di W. Benjamin (L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, 1936). Chieda poi agli studenti di rispondere alla domanda: che valori veicola oggi l’arte?
Approfondisci e rifletti: Segnala alcune forme in natura che ti attraggono per la loro simmetria e bellezza e chiediti quale è, secondo te, la causa della loro bellezza: regolarità e rapporti geometrici, possibilità di essere rappresentate mediante formule matematiche, armonia cromatica, capacità di evocare qualcosa che supera o trascende la natura, o altre ragioni.
Approfondisci e rifletti: Scegli un’opera d’arte, che non sia stata già studiata a scuola, e tenta di identificarvi le tracce di una concezione dell’universo (materiale, metaforica, religiosa, ecc.). Confrontati poi con i tuoi compagni e sostieni la tua interpretazione in una discussione in classe.
- Nel corso dei secoli gli artisti hanno espresso il loro stupore e la loro meraviglia attraverso la ricchezza della loro immaginazione e del loro genio, ed hanno spesso presentato il cosmo in relazione al Creatore.
- L’arte sacra ha spesso raffigurato Dio come Creatore dell’universo, topografo-geometra, governatore provvidente del cosmo.
- Molte cattedrali dell'epoca medievale contenevano e riassumevano la scienza del loro tempo, proponendosi come vere e proprie sintesi di fede e geometria.
- Nella contemporaneità, artisti come Joan Mirò e Pablo Picasso hanno saputo “dare forma” all’ambivalenza del rapporto dell’uomo – e dunque dell’arte – con il cosmo.
- L’architetto Antoni Gaudì, nel suo stile visionario e originale, ha tradotto l’idea secondo cui Dio è il Logos eterno che entra nella storia e le dà forma.
- A partire dall’avvento della scienza moderna, e con particolare riferimento alle scoperte in campo astronomico e fisico, l’arte si è avvalsa degli studi scientifici per rappresentare il cosmo.
Opere in rapporto con il Percorso:
S. Chandrasekhar, Verità e bellezza. Le ragioni dell’estetica nella scienza (1987)
E. Anati, Le origini dell’arte e della concettualità (1988)
J.D. Barrow, L’universo come opera d’arte (1997)
J.J.Navarro Arisa, Gaudì: l’architetto di Dio (2002)
R. Bod, Le scienze dimenticate. Come le discipline umanistiche hanno cambiato il mondo (2019)
Omelia per la Messa con Dedicazione della Chiesa della Sagrada Familia (2010), di Benedetto XVI