La fisica dei quanti tra scienza e teologia

John Polkinghorne
 


John Polkinghorne

Un aspetto della fisica moderna che ha colpito alcuni teologi è lo sviluppo della teoria dei campi. La storia scientifica comincia con Faraday e Maxwell nel diciannovesimo secolo e prosegue fino ai giorni nostri. Tutte le interpretazioni moderne della struttura della materia sono teorie quantistiche dei campi. Un campo è un sistema esteso che assume dei valori in tutti i punti dello spazio e tutti gli istanti del tempo. Questo carattere onnipresente ha acceso l'immaginazione di alcuni teologi. Nella storia delle idee, l'uso di Faraday di idee tratte dalla teoria dei campi, è stato considerato deviante dalle nozioni meccaniche e atee degli "atomi e del vuoto". Ma i teologi sembrano andare oltre. Wolfhart Pannenberg ha scritto che: «le teorie del campo, da Faraday ad Einstein, reclamano la priorità dell'intero sulle parti. Ciò è teologicamente significativo, perché Dio deve essere concepito come il terreno unificante dell'intero universo, se Dio deve essere concepito come il creatore e il salvatore del mondo. II concetto di campo potrebbe essere usato in teologia per rendere intellegibile l'effettiva presenza di Dio in ogni singolo fenomeno.»[1]

 

Queste parole si trovano in una sezione del saggio intitolato “Il campo e lo spirito". Sembra di essere pericolosamente vicini all'equazione di Newton dello spazio assoluto con il "sensorium" di Dio. Pannenberg crede che Newton non fosse panteista, ma piuttosto che egli "considerava lo spazio come il mezzo della presenza creativa di Dio nel luogo finito delle sue creature, nel momento in cui le ha create". [2]

Un altro teologo innamorato del concetto di campo è Tom Torrance. Egli ritiene che Einstein ci abbia dato una visione dell'universo inteso come "un sistema unitario aperto", e che, dai suoi tentativi di costruire una teoria dei campi unificata sia emerso "il concetto del campo continuo dello spazio-tempo che interagisce con la materia/energia che costituisce l'universo, integrando tutto in sé, in accordo con il suo unitario, eppure variabile, ordine oggettivo razionale delle relazioni non causali”. [3]

 

Il fisico non si trova immediatamente a suo agio in questo discorso. Metaforicamente, un "campo spirituale" non è un'immagine peggiore o migliore della presenza divina, di quella di un "gas spirituale" (o materia fine degli stoici). Sono modi di esprimere lo spazio esterno, insieme alla presenza in detto spazio di energia (le strutture fisiche). Dal punto di vista fisico, un campo non serve di per sé a rivelare la natura. È semplicemente un sistema dinamico con un numero infinito di livelli di libertà, cioè un numero infinito di modi in cui può cambiare, ma questi cambiamenti avvengono in modo perfettamente ordinato. I campi classici sono entità determinate; le equazioni che li soddisfano sono equazioni parzialmente differenziali, piuttosto che equazioni differenziali comuni, ma questa non è una distinzione determinante. Inoltre, i campi sono entità locali, vale a dire che si è perfettamente liberi di apportare cambiamenti "qui", senza alcuna limitazione da parte di ciò che è "là", o senza che vi sia un effetto istantaneo "là". In questo senso sono insiemi di parti.

 

Se i teologi vogliono un'immagine che derivi dalla fisica moderna e che affermi veramente "la priorità dell'intero sulle parti", dovrebbero guardare alla teoria quantistica, piuttosto che alla teoria classica dei campi. Un esempio di comportamento collettivo è offerto dalla statistica quantistica, cioè dal comportamento di insiemi dello stesso tipo di particelle. Poiché la meccanica quantistica non ci consente di rappresentare il movimento delle singole particelle, le entità quantiche che sono identiche, sono anche in X e uno in Y, questo è tutto ciò che posso dire che è accaduto. Non posso affermare, come potrei fare nel caso di un sistema classico seguendo i dettagli del suo movimento, che l'elettrone che è partito da A, e quello che è finito in X. Questa condizione, che sembra piuttosto innocua della indistinguibilità, ha delle conseguenze sorprendenti [4]. Porta sia alla statistica di Fermi - in cui la presenza di una particella in uno stato esclude ogni altra particella da quello stato (il principia dell'esclusione di Pauli, che costituisce la base della struttura atomica) - o alla statistica di Bose, in cui le particelle mostrano la tendenza opposta e sono inclini a radunarsi nello stesso stato (la condensazione di Bose, la base del laser). Robert Russell ha discusso della potenza analogica di queste idee. Secondo lui, il ruolo della statistica di Fermi nella fisica atomica è quello di mostrare come "la possibilità dia ordine alla struttura", e il ruolo della condensazione di Bose è di aggiungere "un fattore unificante della struttura che forma il nostro mondo"[5].

 

L'aspetto unitario più sorprendente del mondo quantistico è offerto da quello che viene comunemente chiamato l’effetto Einstein - Podlosky – Rosen o EPR [6]. Una volta che le due entità quantiche hanno interagito l’una con l’altra, l’una conserva la possibilità di influenzare l’altra, benché si sia in seguito allontanata da essa in larga misura. La misurazione effettuata su una delle particelle causa un collasso della funzione d’onda congiunta, che ha una conseguenza immediata sull’altra particella. Si tratta, in questo caso, di un autentico effetto causale che provoca un effettivo cambiamento nello stato della particella lontana, che potrebbe essere, come diciamo convenzionalmente, "dietro la luna". L'effetto EPR none la rivelazione priva di problemi di un aspetto, fino ad allora inosservato, del movimento di quella particella, come potrebbe risultare da una misurazione di tipo classico senza che questa misurazione provochi alcun problema, ma è piuttosto la controintuitiva "passione a distanza" (per usare l'espressione singolare di Abner Shimony) [7], che la particella lontana subisce, come risultato del mio intervento speri mentale sull'altra particella nel laboratorio. Ciò è quanto asserisce la teoria quantistica. Era chiaramente una questione di grande importanza controllare se la natura veramente concordava con essa e mostrava davvero questo strano "essere insieme nella separazione", o non località. II modo di verificare la questione è stato mostrato da John Bell [8]. La tecnica consiste nel fare una serie di coppie di misurazioni su due particelle (in pratica, fotoni), i cui stati sono stati legati insieme per interagire in modo appropriato [9], e studiare poi le correlazioni che esistono tra i risultati ottenuti con un fotone, e quelli ottenuti con l'altro fotone. Bell ha dimostrato che, se la teoria sottostante fosse stata puramente locale, senza strani effetti a distanza, allora vi sarebbe stato un legame (l'ineguaglianza di Bell), su come si sarebbero dovuti rivelare correlati i risultati. In alcune circostanze, la teoria quantistica (per virtù della sua non località), prevedeva una violazione di questo legame. Ricerche attente, particolarmente quelle di Alain Aspect e dei suoi collaboratori, hanno dimostrato che l'ineguaglianza di Bell veniva di fatto violata proprio nel modo previsto dalla teoria quantistica. Qualunque cosa sia il mondo microscopico, non può essere un insieme di parti locali, separate. Il paradosso della fisica subatomica è che non può essere trattata atomisticamente. Tale peculiarità della teoria quantistica è intrinseca e non è un'invenzione di un modo incompleto e goffo di elaborare la teoria, come aveva sperato Einstein. David Mermin commenta: "L'interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica non è strana, è il mondo stesso che è strano"[10]. La ragnatela inevitabile della complessa interconnettività presente nel mondo dei quanti, produce un’immagine che Russell ha chiamato “la natura come trama sottile”.[11]

 

Parlare di interazione istantanea porta il lettore attento a chiedersi come tutto ciò si accordi con la relatività. Non insiste quest’ultima sul fatto che gli effetti fisici si propagano solo alla velocità della luce o a velocità inferiore? L’esperimento di Aspect è stato, infatti, abilmente progettato per escludere la possibilità di tali influenze luminali, o subluminali, che sono la fonte dell’effetto misurato. Comunque, non abbiamo un contrasto diretto con la relatività speciale. La ragione è che essa non ammette la propagazione superluminale dei segnali che trasportano informazioni utilizzabili, e risulta che questo non accade con l'esperimento EPR. L'esperimento di Aspect misura gli stati di polarizzazione di due fotoni in una lunga serie di osservazioni sulla successione di coppie di fotoni prodotte dalle apparecchiature. Ogni serie di misurazioni successive del fotone "in movimento verso destra", o del fotone "in movimento verso sinistra", produce, rispettivamente, una serie casuale di risultati della polarizzazione di quel fotone, come previsto dalla teoria quantistica. L’“essere insieme nella separazione" è evidente solo quando compariamo le due serie di risultati e scopriamo che i risultati verso destra, e quelli verso sinistra, sono correlati molto più di quanto consenta il concetto di località in senso stretto. Questa stessa correlazione non può essere usata per trasmettere un messaggio da destra a sinistra, poiché appare solo a sinistra, quando sappiamo già quello che è accaduto a destra, cioè abbiamo già ricevuto il messaggio da destra a sinistra! Con un linguaggio più pittoresco e metaforico, un ascoltatore a destra sente un chiacchierio rumoroso, un ascoltatore a sinistra sente un chiacchierio rumoroso e solo qualcuno, contrariamente a quanto richiesto dalla relatività, in comunicazione istantanea sia con la destra che con la sinistra, potrebbe percepire le armonie stabilite tra questi suoni apparentemente casuali. (Devo questa immagine a Robert Russell). Pertanto non vi è una netta contraddizione dell'esperimento EPR con la relatività. Comunque, ci si sente a disagio. La tregua sembra un po' precaria. Quanto più oggettiva è la visione che si ha nel mondo quantistico, tanto più la situazione sembra ricca di possibili difficoltà. [12] Ecco perché la teoria di Bohm, in cui l'onda non direttamente osservabile, che codifica informazioni su tutto l'ambiente, è il mezzo della non località, sembra particolarmente vulnerabile. È il momento di affrontare direttamente la questione di quanto reale sia il mondo quantistico. Considerando la sua stranezza controintutiva, non sarebbe meglio assumere una posizione positivista o strumentalista e considerare la teoria quantistica non più che uno stratagemma espositivo con cui siamo in grado di predire gli schemi statistici dei fenomeni macroscopici, senza comprometterci con il credo ontologico dell'esistenza di queste curiose entità microscopiche? L'istinto più profondo del fisico di attenersi ad una interpretazione critico-realistica della sua materia, lo porta a rifiutare questa asserzione [13].

 

La questione fondamentale e quella dello stato della funzione d'onda o, più in generale, lo stato dello stato quantico che essa rappresenta. Il principio della sovrapposizione, con l'impossibilita di rappresentazione che implica, significa che non possiamo, nella teoria quantistica convenzionale, interpretare lo stato quantico in senso oggettivo nell'accettazione comune del termine. Sarebbe possibile solo se adottassimo la strategia di Bohm di separare la funzione d'onda dalla particella, rendendo così quest'ultima rappresentabile e la funzione d'onda inosservabile. Ma ugualmente la funzione d'onda viene trattata dai fisici quantistici con una certa serietà che le conferisce uno stato che va oltre quello di semplice strumento di calcolo. Roger Penrose ha scritto: «Malgrado il fatto che normalmente abbiamo solo delle probabilità di ottenere un risultato da un esperimento, sembra esserci un qualcosa di oggettivo in uno stato quanto-meccanico. Si afferma spesso che lo stato vettoriale, la funzione d'onda, è semplicemente una descrizione conveniente della "nostra conoscenza" che riguarda un sistema fisico, o, forse, che lo stato vettoriale non descrive veramente un singolo sistema, ma offre semplicemente informazioni su un "ensemble" di un gran numero di sistemi preparati in modo simile. Queste idee mi colpiscono in quanto sono timorose, senza ragione, di quello che la meccanica ha da dirci sulla realtà del mondo fisico.»[14]

 

Io sostituirei la parola "oggettivo" con il termine più ampio di "reale". In un'altra occasione ho affermato che: La funzione d'onda e il veicolo della nostra comprensione del mondo dei quanti. Giudicata con i parametri grossolani della fisica classica, può sembrare un'entità piuttosto fantomatica. Ma è certamente l'oggetto del discorso quanto-meccanico e, per quanto peculiare possa essere il suo collasso, la sua essenza sottile può essere la forma che la realtà deve assumere a livello atomico o ad un livello inferiore.» [15]

 

Il mondo quantistico rivela una sua natura della realtà. Heisenberg [16], incoraggiava a pensare che la funzione d'onda fosse il portatore della potenzialità, la sovrapposizione di una varietà di risultati, in contrasto con il fatto che rappresentasse la fissazione di una realtà definita. La difficoltà nel sentirci a nostro agio con questa nozione deriva dall'ignorare come questa potenzialità generale diventi una realtà particolare, all'atto dell'osservazione: in altre parole, il modo in cui il mondo dei quanti si sincronizza" con il mondo quotidiano, senza dover abbracciare il crudo ed insoddisfacente dualismo dell'interpretazione di Copenhagen originale. Torniamo ancora una volta all'enigma centrale della fisica quantistica, il problema della misurazione. Finché non vi sarà un accordo su come trattare questa questione, avremo dei problemi sulle questioni particolari di ontologia quantistica. Le opzioni varieranno dall'interpretazione dei molti universi, secondo cui la funzione d'onda è tutto (cosicché Hawking e Hartle possono anche, in modo molto simbolico e speculativo, proporre "la funzione d'onda dell'universo" come "risposta" a tutto [17], all'affermazione di Bohm che la funzione d'onda è solo una parte nascosta della realtà oggettiva un "ordine implicato") [18]. Come spesso accade, mi ritrovo a pensare che probabilmente la verità sarà trovata in qualche parte, tra i due estremi. Ciò corrisponderebbe a una soluzione del problema della misurazione in linea con le possibilità (iv) e (v) [L'emergenza verso l'alto, l'emergenza verso il basso, ndr] di cui si è discusso precedentemente. In assenza di una proposta precisa è difficile dire molto di più. Un tale approccio cercherebbe di legare il microscopico al macroscopico, in un'interpretazione integrata della realtà fisica. Il modo in cui fare questo limiterebbe il modo e il grado in cui si potrebbe dire che la teoria quantistica lega l'osservatore e ciò che viene osservato. Certamente ci sarebbe un rapporto più interattivo di quello dell'osservatore distaccato della fisica classica, ma non è affatto chiaro che si avrebbe il tipo di situazione descritta dalle idee più bizzarre di una supposta "realtà creata dall'osservatore". L'espressione più modesta di una "realtà influenzata dall'osservatore", sarebbe un'interpretazione più appropriata. Infatti, la stessa idiosincrasia del mondo dei quanti ci ricorda la sua fattualità testarda, anche se sottile, che è contro di noi. Se accettiamo come uno dei criteri della realtà quello della sua natura, nel senso di "quella in cui ci imbattiamo", - ciò che resiste ai nostri tentativi di modellarla secondo le nostre attese, - allora il mondo quantistico afferma la sua redta proprio opponendosi alle stesse che derivano dal senso comune. Un altro motivo importante per considerare seriamente le entità quantiche, è che il mondo quantistico è intellegibile, anche se non riusciamo ancora a comprenderlo perfettamente. Quando la nozione di un'entità come l'elettrone serve a dare senso a una grande quantità di esperienze, che altrimenti, senza una tale nozione, si smarrirebbe, allora abbiamo delle ragioni molto valide per credere nell'esistenza di quell'entità. Ho affermato in un'altra occasione: «è la nostra capacità di capire il mondo fisico che ci convince della sua realtà, anche quando, nel mondo sfuggente della teoria quantistica, quella realtà non è rappresentabile. Per questo, la fisica ha molto in comune con la teologia, poiché quest'ultima continua la ricerca di una spiegazione dell'Irrappresentabile[19].»

 

Si pensa talvolta che in un'era scientifica le dottrine della teologia cristiana tradizionale necessitino di un rimaneggiamento e di una semplificazione per essere in linea con "ciò che una persona istruita dovrebbe accettare". Sarebbe meglio che le idee controintuitive della Trinità e dell'incarnazione fossero sostituite da nozioni meno esigenti e più in accordo con le attese del quotidiano: l'idea generale di una mente che è dietro le cose, e di Gesù come figura ispiratrice o come "nuovo emergente", che conduce la marcia verso l'alto della storia dell'evoluzione. Gli stessi scienziati difficilmente accordano un'influenza così grande a categorie abbastanza banali del pensiero quotidiano. Essi hanno imparato che il mondo è strano ben oltre le nostre aspettative, ma anche razionalmente soddisfacente nella sua idiosincrasia. Le dottrine di un Dio trinitario che si rende manifesto in termini umani, hanno degli elementi di sorpresa e di profondità intellettuale che sono caratteristici della migliore teoria scientifica. I nostri studi del mondo fisico hanno allargato le nostre menti e le nozioni del concepibile. Sarebbe davvero sorprendente se l'incontro con Dio non facesse altrettanto. Non vorrei dire una cosa ridicola affermando che, dopo la teoria quantistica, tutto è legittimo. Le intuizioni nuove di questa teoria sono state accolte solo dopo ostinata battaglia, motivata razionalmente dal bisogno di rispondere alla realtà. Credo che la teologia sia impegnata in un tentativo ugualmente esigente di far giustizia al nostro incontro con l'Essere altro della natura divina (capitolo I). Dico semplicemente che le nostre esperienze del mondo quantistico ci preparano per interpretazioni della realtà che non accetteranno l'eccessiva tirannia del senso comune, ma cercheranno, invece, per quanta difficile sia il campito, di rispettare la natura di ciò che indaghiamo.

Note

[1] Peters, T. (ed) (1989) Cosmos as Creation, Abingdon Press, p164;

[2] Peters, T. (ed) (1989) Cosmos as Creation, Abingdon Press, p168;

[3] Peacocke, A.R. (1981) The Sciences and Theology in the Twntieth Century, Oriel (Press) pp. 90 e 92;

[4] Vedi per esempio Polkinghorne, The Quantum World, Longman, 1984, pp.38-40;

[5] Russell, R.J., Stoger, W.R. and Coyne, G. V. (ed.) (1988) Physics, Philosophy and Theology, Vatican Observatory, p. 364;

[6] Vedi, per esempio Bell, J.S. (1987) Speakable and Unspeakable in Quantum Mechanics, Cambridge University Press, Herbert, N. (1985) Quantum Reality, Rider. cap. 11; Polkinghorne, J.C., (1984) The Quantum World, Longman cap. 7; e un resoconto particolarmente attraente di N.D. Mermin in Cushing, J. T., and McMullin E. (Ed.) (1989) Philosophical consequences of Quantum Theory, University of Notre Dame Press, p. 77;

[7] Citato in Cushing, J. T., and McMullin E. (Ed.) (1989) Philosophical consequences of Quantum Theory, University of Notre Dame Press, p. 77;

[8] Vedi nota 7. Per riformulare con condizioni meno restrittive, vedi Cushing, J. T., and McMullin E. (Ed.) (1989) Philosophical consequences of Quantum Theory, University of Notre Dame Press, pp. 60-79;

[9] Tecnicamente sono in uno stato di "singlet";

[10] In Cushing, J. T., and McMullin E. (Ed.) (1989) Philosophical consequences of Quantum Theory, University of Notre Dame Press p. 58;

[11] Russell, R.J., Stoger, W.R. and Coyne, G. V. (ed.) (1988), Physics, Philosophy and Theology, Vatican Observatory, p. 357;

[12] Cushing, J. T., and McMullin E. (Ed.) (1989) Philosophical consequences of Quantum Theory, University of Notre Dame Press;

[13] Per una difesa del realismo critico nella fisica delle particelle elementari, vedi Polkinghorne (1989b) Rochester Roundabout, Longman, cap. 21.

[14] Penrose, R. (1989) The Emperor's New Mind, Oxford University Press, p. 268.

[15] Polkinghorne, J.C. - (1984) The Quantum World, p. 81;

[16] Heisenberg W. (1959) Physics and Philosophy, Allen and Unwin;

[17] Hawking S. (1988) A brief History of Time, Bantam Press, cap. 8.

[18] Bohm, D. (1980), Wholeness and the Implicate Order, Routledge and Kegan Paul;

[19] Polkinghorne, J.C. (1986) One World, Longman, p. 47.


da J. Polkinghorne, Ragione e realtà, tr. it. di Nadia Martellacci, Italica, Pescara 1995, pp. 215-222