Heisenberg, Werner Karl (1901 - 1976)

Anno di redazione
2002

I. Gli anni della formazione - II. Il contenuto intuitivo delle leggi della fisica - III. Implicazioni filosofiche del principio di indeterminazione - IV. Gli anni della maturità - V. Verità scientifica e verità religiosa.

 

I. Gli anni della formazione

«Molto più della teoria della relatività, sia speciale che generale, che completò l'edificio della meccanica classica, la teoria quantistica è unica nella storia della scienza e nella storia intellettuale dell'uomo: con i suoi concetti ha prodotto una frattura completa col passato e ha modellato una nuova visione della struttura della materia e di molte delle forze fondamentali della natura». Così si esprime Jagdish Mehra nella prefazione a un'opera monumentale e preziosissima sulla storia della meccanica quantistica (cfr. Mehra e Rechenberg, vol. I, 1982). Di questa storia, che Mehra definisce epica, Heisenberg è stato uno dei protagonisti. Egli però non è stato solo uno dei giovani di prodigio, come Wolfgang Pauli, Paul Adrien Maurice Dirac, Ernst Pascual Jordan che, insieme con i più maturi Max Born, Niels Bohr, Erwin Schrödinger, Louis-Victor de Broglie, diedero una nuova formulazione alle leggi che regolano i fenomeni fisici. Heisenberg ha giocato anche un ruolo essenziale nell’interpretazione del formalismo con la scoperta del principio di indeterminazione che gli ha ispirato una riflessione originale sui fondamenti della scienza e sui rapporti tra scienza e società. Come spesso avviene, i risultati raggiunti da Heisenberg sono maturati attraverso condizioni ambientali, esperienze giovanili e incontri con alcuni maestri che ne hanno plasmato la già forte personalità durante la fase di formazione.

Werner Karl Heisenberg nacque da August e Annie Wecklein il 5 dicembre 1901 a Würzburg. Come il fratello Erwin, nato l’anno prima, fu battezzato nella locale parrocchia della chiesa evangelica luterana. Il padre, insegnante di lettere classiche al Maximilian Gymnasium di Monaco, aveva sposato la figlia del direttore della scuola, Nikolaus Wecklein, e si era trasferito come libero docente di filologia greca e medievale all’Università di Würzburg. Ritornò a Monaco nel 1910 per ricoprire la prima cattedra universitaria di studi bizantini istituita in Germania. Il giovane Werner ebbe così la possibilità di studiare nello stesso liceo in cui aveva insegnato il padre e di cui il nonno materno era tuttora direttore. La grande capacità di apprendimento e l’autonomia di studio in tutti i settori gli conferivano un’ambiziosa sicurezza di sé. Pur apprezzando gli studi umanistici e, come tutti i romantici tedeschi, le opere di Goethe, ben presto manifestò un grande interesse per la matematica, che il padre a malincuore assecondava. Utilizzando la biblioteca scolastica, infatti, il padre gli portava a casa dei libri più per stimolarlo alle lettere classiche che non alla matematica, come quella volta che scelse per lui la tesi di dottorato sulle radici complesse dell’unità, di Leopold Kronecker, scritta in latino (De unitatibus complexis). L’interesse per la matematica era accompagnato dall’amore per la musica: la capacità di suonare il pianoforte in modo eccellente gli permetterà di esibirsi con successo anche in pubblico.

Gli anni di liceo coincisero con un periodo assai tribolato della Germania e in particolare per la zona di Monaco, dove dopo la guerra un movimento rivoluzionario e scissionista aveva provocato disordini che richiesero l'intervento delle truppe governative. Sono di questi anni, durante il servizio militare, le letture de La critica della ragion pura di Kant e del Timeo di Platone (in greco), che tanta parte avranno per Heisenberg nella ricerca di un'armonia tra valori spirituali e conquiste scientifiche. Pure a questo periodo risale il suo impegno in un movimento giovanile collegato allo scoutismo che gli sviluppò l’amore per la natura e il senso di responsabilità nei confronti dei più giovani.

Conseguito il diploma ginnasiale, Heisenberg non si iscrisse subito all'Università a causa di una malattia che lo costrinse a letto per lungo tempo. Ne approfittò per la lettura di un testo del matematico Hermann Weyl, Spazio, tempo e materia (Raum, Zeit, Materie, 1918), in cui viene esposta la teoria della relatività in una forma che traduce la dinamica relativistica in proprietà geometriche dello spazio-tempo. Il libro lo affascinò al punto da convincerlo a proseguire negli studi di matematica. Tuttavia, dopo l’esito negativo di un incontro propiziatogli dal padre con Ferdinand von Lindemann, il matematico che era riuscito a spiegare la quadratura del cerchio con la scoperta della trascendenza del numero π, ripiegò sullo studio della fisica e nel 1920 si iscrisse all'Università di Monaco, dove studiò sotto la guida di Arnold Sommerfeld.

Successore di Boltzmann (1844-1906), Sommerfeld, oltre a dare un contributo fondamentale alla classificazione e all’interpretazione dei dati di fisica atomica che si andavano accumulando in quegli anni, fu un maestro per un’intera generazione di fisici per la vastità di interessi, l’abilità tecnica nella risoluzione dei problemi e l’entusiasmo che sapeva comunicare ai giovani. Le qualità di Sommerfeld trovarono rispondenza in Heisenberg che ne divenne l’allievo prediletto al punto che nel giugno del 1922 Sommerfeld lo scelse per accompagnarlo a Göttingen, dove Niels Bohr (1885-1962), in odore del premio Nobel che riceverà qualche mese dopo, doveva tenere un ciclo di conferenze sulla struttura atomica. Colpito da un’obiezione sollevatagli da Heisenberg durante la prima conferenza, Bohr lo invitò a fare una passeggiata sulla vicina collina di Hainberg per conoscerlo meglio. L’incontro, prolungatosi per circa tre ore, ebbe una profonda influenza sulla formazione di Heisenberg e fu il preludio di una collaborazione che si sviluppò durante i mesi passati poi a Copenhagen, su invito di Bohr, tra la fine del 1924 e l'aprile del 1925 e che l’anno dopo, di nuovo trascorso a Copenhagen, diede i frutti migliori con la scoperta del principio di indeterminazione. La frequentazione di Bohr, che per Heisenberg era più un filosofo che un fisico, si protrasse negli anni ed ebbe su di lui un’influenza notevole, esaltandone il gusto della riflessione sulla scienza e i suoi risultati.

Nell'autunno del 1922 Heisenberg si trasferì a Göttingen come assistente di Max Born (1882-1970) in sostituzione dell’amico Pauli che, anche lui allievo di Sommerfeld, dopo un anno a Göttingen si era trasferito ad Amburgo. L'Università di Göttingen, fondata nel 1734 come espressione e stimolo della rinascita culturale tedesca e dopo essere stata uno dei centri più attivi dell'illuminismo, vide svilupparsi una straordinaria attività in matematica; iniziata con Karl Friedrich Gauss nel 1795, continuò per tutto il XIX secolo fino a David Hilbert che, giuntovi nel 1895, favorì anche lo sviluppo della fisica con la chiamata di James Franck e di Born. Franck, già noto per aver dimostrato insieme con Gustav Ludwig Hertz l'esistenza dei livelli energetici negli atomi, aveva la responsabilità delle ricerche sperimentali; Born dirigeva le ricerche teoriche. A contatto con Born e la scuola di Hilbert, Heisenberg imparò a padroneggiare il formalismo matematico nella descrizione di un fenomeno fisico, un aspetto che completa la sua formazione scientifica.

II. Il contenuto intuitivo delle leggi della fisica

Nel giugno del 1925, dopo avere già pubblicato una decina di lavori su vari temi riguardanti la fisica atomica, Heisenberg fu colto da un violentissimo attacco di febbre allergica e costretto a una vacanza di due settimane a Helgoland, un'isola rocciosa nel mare del Nord, praticamente senza vegetazione. La vacanza fu tutt'altro che tale: lavorando anche di notte, Heisenberg fondò la nuova teoria dell'atomo in quella forma che, perfezionata subito dopo con Born e Jordan, è nota con il nome di «meccanica delle matrici».

Il principio della nuova teoria è quello di fare intervenire nelle relazioni matematiche solo ciò che si può realmente osservare. Nel modello planetario, che Bohr e Sommerfeld avevano sviluppato per gli elettroni nell’atomo, intervengono le singole orbite elettroniche, con i loro raggi e periodi di rotazione. Mentre è possibile visualizzare la traiettoria di un elettrone mediante le goccioline prodotte dal suo passaggio attraverso una camera a nebbia, l’orbita di un elettrone nell’atomo non è osservabile. Ciò che si osserva invece è la radiazione emessa dall’atomo, con le sue frequenze e l’intensità delle righe spettrali imputabili alle transizioni dell’elettrone da un’orbita all’altra. Dunque il dato osservabile collega piuttosto due stati dell’elettrone nell’atomo e viene bene rappresentato da strutture matematiche astratte, le matrici, tabelle di numeri disposti su righe e colonne in modo che ogni elemento della matrice, il numero posto all’incrocio di una riga con una colonna, metta in relazione i due stati corrispondenti e permetta di riprodurre i valori osservati delle frequenze e delle intensità delle righe spettrali. Il risultato di questa analisi è che anche le quantità meccaniche che entrano nelle equazioni del moto, come la posizione e l'impulso dell'elettrone, vanno reinterpretate e rappresentate da matrici.

In generale il prodotto di due matrici, contrariamente al prodotto di due numeri, dipende dall’ordine con cui vengono scritte. Ciò ha conseguenze il cui significato profondo Heisenberg comprende solo due anni più tardi, quando ormai il formalismo della meccanica quantistica era stato sviluppato in modo coerente e applicato con successo alla risoluzione di vari problemi di fisica atomica, anche se non veniva accettata da tutti l’interpretazione probabilistica proposta da Born.

Di nuovo Heisenberg riconduce all’analisi di quanto si osserva. Nell’esaminare le tecniche possibili per misurare la posizione e l’impulso di una particella, scopre che la scelta del dispositivo utilizzato nella misurazione ne seleziona il comportamento corpuscolare o, in alternativa, quello ondulatorio, e quindi determina anche il tipo di informazione che si ottiene dall’esperimento: la precisione nella misura di posizione è limitata dalla lunghezza d’onda della radiazione con cui si illumina la particella e ciò rende il suo impulso affetto da un’inevitabile indeterminazione. Maggiore è la precisione della misura di posizione, maggiore risulta l’indeterminazione dell’impulso e viceversa. Misurazioni successive di posizione e impulso non arricchiscono l’informazione sul moto della particella; piuttosto, la successiva determinazione dell’impulso distrugge la conoscenza della posizione che si era accertata prima. Dai risultati della misurazione è quindi impossibile inferire l’atto di moto istantaneo della particella e fare predizioni sul suo moto e sulla sua traiettoria. Ci si deve limitare a calcolare la probabilità che una misurazione di posizione o di impulso dia un certo valore, rimanendo impredicibile e non osservabile la traiettoria che la particella percorre tra due misurazioni successive.

Il formalismo della meccanica quantistica contiene queste limitazioni di principio e mostra, in accordo con l’analisi di Heisenberg, che vale un principio di indeterminazione per variabili coniugate, rappresentate da matrici che non commutano, come la posizione e l’impulso. Lo stesso formalismo, in accordo con la proposta di Born, permette di prevedere i possibili esiti di una misurazione assegnandone la probabilità.

Heisenberg non esita a intitolare il suo lavoro come contenuto «intuitivo» (anschaulich) della cinematica e della meccanica nella teoria quantistica (Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik, 1927, Gesammelte Werke [= GW] A-I, pp. 478-504). «Crediamo di comprendere in modo intuitivo una teoria fisica quando riusciamo a pensare in modo qualitativo alle conseguenze sperimentali di tale teoria in tutti i casi semplici e quando allo stesso tempo abbiamo riconosciuto che l'applicazione della teoria non contiene mai contraddizioni interne» (ibidem, p. 478).

La fisica classica aveva delimitato il concetto di natura a quell'insieme di esperienze umane suscettibili di una descrizione matematica. In questo ambito i processi naturali risultano accadimenti nello spazio e nel tempo che, secondo l’analisi di Kant, sono i modi con cui il soggetto coglie sensibilmente l’altro da sé. La descrizione dei fenomeni che la fisica classica fornisce attraverso le sue leggi è rappresentazione sensibile di una realtà determinata spazialmente e temporalmente secondo un modello meccanicistico. Attraverso le forme a priori di spazio e tempo la conoscenza diventa intuizione (Anschaulichkeit), in quanto conoscenza immediata che avviene nello spazio e nel tempo. In questo senso il quadro della natura che così emerge dalla fisica classica diventa intuitivo.

Con l’avvento della meccanica quantistica questo aspetto intuitivo sembra perduto a causa del nuovo modo di rappresentare con enti matematici lo stato di un sistema fisico, la sua evoluzione temporale e le quantità osservabili. La formulazione matematica di una legge naturale per Heisenberg non significa automatica comprensione del fenomeno che essa vuole descrivere. Comprendere la natura implica riconoscere un certo ordine che regola un gruppo di fenomeni e li riconduce a un comune principio. La formulazione matematica stabilisce precise conclusioni sulla base delle ipotesi adottate, ma se si usano concetti vecchi, non adeguati alla nuova situazione, le conclusioni non rappresentano i fenomeni (cfr. The Concept of “Understanding” in Theoretical Physics, 1969, in GW, C-III, pp. 335-338).

Per Einstein è la teoria che decide che cosa si può osservare. Per Heisenberg invece la teoria deve adeguarsi a ciò che è possibile osservare. Spesso i concetti a disposizione non sono sufficienti e ne occorrono di nuovi che faticano a sostituirsi a quelli familiari. La difficoltà di accettazione della teoria della relatività risiede nella necessità di abbandonare il concetto di simultaneità; nella fisica quantistica la difficoltà sta nel dover abbandonare il concetto di realtà fondamentale che la fisica classica assegna alla particella: ciò che è reale è l’evento osservato, non ciò che è al di là e che l’ha prodotto nell’incontro con l’osservatore. Non è quindi la capacità di previsione di un risultato che indica la comprensione di una classe di fenomeni, ma solo la presenza dei concetti giusti necessari alla loro descrizione. Solo allora la formalizzazione dei concetti in una struttura matematica porta alla piena comprensione. E questo diventa possibile nella meccanica quantistica associando opportuni operatori alle quantità osservabili in modo da poter calcolare il valore che ci si aspetta più probabile come risultato di una misurazione.

Ogni misurazione è storia a sé: Heisenberg ha mostrato che esistono coppie di osservabili tra di loro incompatibili nel senso che la determinazione dell’una impone un’indeterminazione dell’altra. Se si riconosce con Heisenberg che, nel momento in cui si vuole misurare una nuova quantità fisica, sulla scala dei fenomeni atomici l'intervento dell'osservatore è così sconvolgente da distruggere informazioni acquisite in precedenza, allora occorre definire meglio il concetto di fenomeno fisico, perché non si può più prescindere da come si giunge alla conoscenza di un processo: le leggi che vengono formulate matematicamente non descrivono le proprietà delle particelle in sé e il loro comportamento spazio-temporale, ma solo la conoscenza che ne possiamo avere. Il singolo processo particolare non è più predicibile e, non essendo determinato in modo puramente causale, risulta aleatorio: a partire dalla conoscenza del sistema in esame, le leggi della fisica permettono solo di fare predizioni statistiche su possibili esiti di misurazioni future. L’interpretazione probabilistica della meccanica quantistica che ne deriva, e che è nota come interpretazione di Copenhagen perché elaborata appunto in quella città durante le conversazioni di Heisenberg con Bohr, permette di recuperare una conoscenza intuitiva tenendo conto che un’analisi approfondita mostra una realtà diversa da quella ipotizzata dalla fisica classica.

Questa realtà ha una rete di connessioni che si manifestano con aspetti complementari, quali il comportamento corpuscolare oppure ondulatorio, che di volta in volta possono essere esplorati mediante misurazioni separate, ma non simultaneamente tutti insieme. Negli esperimenti sugli eventi atomici si ha a che fare con cose e fatti, con fenomeni che sono esattamente altrettanto reali quanto i fenomeni della vita quotidiana. Ciò che si osserva non è però la natura in se stessa, ma la natura esposta ai metodi di indagine. Il lavoro scientifico consiste nel porre domande sulla natura, nel linguaggio che si possiede e nel cercare di ottenere una risposta dall’esperimento con i mezzi a disposizione. Il fisico può dirsi soddisfatto quando possiede lo schema matematico che rappresenta il gruppo di fenomeni mediante correlazioni tra simboli e che gli permette di prevedere i risultati degli esperimenti. Ma le azioni e le osservazioni degli esperimenti vengono descritte col linguaggio ordinario e i risultati raggiunti devono essere presentati a quelli che fisici non sono e ai quali occorre rivolgersi col linguaggio corrente, comprensibile da tutti. I concetti della fisica classica formano appunto il linguaggio con cui si descrive la preparazione degli esperimenti e se ne esprimono i risultati. Questi concetti non sono sostituibili e risultano limitati nella loro applicazione dalle relazioni di indeterminazione. È qui che possono nascere le contraddizioni se si pretende di visualizzare i fenomeni nello spazio e nel tempo secondo i canoni della fisica classica. Una descrizione dei fenomeni nello spazio e nel tempo non è più possibile, non si può descrivere ciò che avviene tra due osservazioni successive: qualsiasi tentativo di formulare una tale descrizione porterebbe a contraddizioni, il che sta a significare che il termine “avviene” deve essere limitato a ciò che si osserva davvero, cioè a uno dei possibili aspetti complementari con cui si presenta la natura (cfr. Fisica e filosofia, 1998).

III. Implicazioni filosofiche del principio di indeterminazione

Sotto il profilo epistemologico il contenuto di idee che va sotto il nome di principio di indeterminazione si trova al cuore della nuova visione della natura portata dalla meccanica quantistica e introduce una nuova prospettiva nella storia della scienza.  Il vocabolo «determinare» ha la duplice accezione di «causare» e «accertare». Come fa notare Max Jammer (The Philosophy of Quantum Mechanics, 1974, p. 61), oltre al vocabolo genau (esatto, preciso), nel suo lavoro sul principio di indeterminazione Heisenberg usa trenta volte i termini Genauigkeit e Ungenauigkeit (precisione/imprecisione), mentre Unbestimmtheit (indeterminazione) appare solo due volte e Unsicherheit (incertezza) solo tre. Quasi sempre nei testi di lingua inglese il principio di indeterminazione viene chiamato uncertainty principle. Questa denominazione riflette l’assenza di conoscenza da parte del soggetto che osserva. Ciò è anche conforme alla posizione di Heisenberg nei suoi scritti successivi. Invece il vocabolo «indeterminazione», che pure verrà molto usato da Heisenberg in seguito e che è preferibile nell’interpretazione di Copenhagen, è piuttosto collegato a una posizione neutra rispetto alla conoscenza soggettiva e all’assenza oggettiva di valori precisi delle quantità osservabili. Prendendo ad esempio le affermazioni che un atomo si trovi nella metà di destra o di sinistra di una scatola, Heisenberg rileva che si tratta di affermazioni complementari la cui verità non viene decisa se non procedendo a una successiva osservazione. «Ma il termine “non decisa” non equivale in alcun modo al termine “non conosciuta”. “Non conosciuta” significherebbe che l’atomo è realmente a destra o a sinistra, solo che noi non sappiamo dov’è. Ma “non decisa” indica una situazione differente, esprimibile soltanto con un’affermazione complementare» (Fisica e filosofia, 1998, p. 215).

Lo statuto della fisica, stabilito prima della meccanica quantistica ed esteso per analogia a tutte le scienze, coinvolge tre aspetti che emergono dalle tre leggi della meccanica formulate da Newton. Grazie alla terza legge sull’azione e la reazione uguale e contraria, è naturale pretendere che il comportamento di un sistema sia riconducibile alla conoscenza delle mutue interazioni tra i suoi costituenti elementari, indipendentemente dal contesto ambientale in cui si verifica il fenomeno: questo implica un atteggiamento riduzionistico, utile in quanto semplifica il problema. La seconda legge, attribuendo alla forza la causa del mutamento dell’impulso di una particella, ricalca il concetto di causa efficiens della dottrina aristotelica e tomista, introducendo un principio di causalità. Il rapporto causale dei fenomeni fisici impone il determinismo alla loro evoluzione temporale: la situazione iniziale determina univocamente il futuro. Ciò assicura una completa predicibilità degli eventi. Essendo inoltre le leggi fisiche inalterate se si inverte lo scorrere del tempo nelle equazioni del moto, tutto è fissato, passato e futuro, tutto è presente nella mente di un’Intelligenza superiore capace di gestire tutte le informazioni necessarie, come pretendeva Laplace. E questa predicibilità è oggettiva, nel senso che le leggi della fisica classica mettono in relazione tra loro quantità che corrispondono a proprietà reali del sistema fisico, non dipendenti dall’osservatore che, per la prima legge, la legge d’inerzia, è un osservatore inerziale. Realtà oggettiva, determinismo e riduzionismo sono dunque i tre pilastri dello statuto delle scienze prima della meccanica quantistica.

«Mediante la meccanica quantistica viene stabilita definitivamente la non validità del principio di causalità» (Fisica e filosofia, p. 503). Così Heisenberg conclude l'analisi che gli ha permesso di scoprire le relazioni di indeterminazione. In realtà ogni aspetto dello statuto delle scienze viene ribaltato perché ad ognuno vengono a mancare le premesse che lo sostengono. L’atto di moto di una particella è inconoscibile con estrema precisione. Quindi «nella formulazione netta del principio di causalità: “se conosciamo in modo preciso il presente, possiamo prevedere il futuro”, non è falsa la conclusione, bensì la premessa. In linea di principio noi non possiamo conoscere il presente in tutti i dettagli» (ibidem, p. 503).

Ma viene meno anche la divisione concettuale tra osservatore e osservato, tipica di tutta l’analisi scientifica da Galileo in poi e corrispondente alla distinzione cartesiana di una res cogitans e di una res extensa. Il fenomeno, cioè quanto ci appare, non è semplicemente la manifestazione ai nostri sensi di una realtà oggettiva, assoluta, indipendente dall’osservatore. È piuttosto l’incontro tra osservato e osservatore, è il risultato di una decisione autonoma dello sperimentatore che con il suo apparato di misura ha scelto di evidenziare uno degli aspetti complementari coi quali si può presentare l’osservato. Nella discussione di una realtà oggettiva che esiste indipendentemente da chi ne fa esperienza viene a mancare la premessa di un fenomeno indipendente dal soggetto che ne ha conoscenza.

La complementarità degli aspetti coi quali si presenta la natura è più che mai evidente nel dualistico comportamento particellare e ondulatorio. Secondo il senso comune la particella è qualcosa di localizzato, qui ora, mentre l’onda è distribuita in modo continuo su tutto lo spazio e ogni sua parte è connessa, in un intreccio non locale, a tutto il resto dell’onda durante la sua propagazione. Ciò comporta la presenza di effetti “non locali”, effetti cioè che non si possono descrivere prendendo in considerazione solo la porzione di spazio in esame, ma che possono essere influenzati da quanto avviene lontano. Viene dunque a mancare la premessa di fenomeni interpretabili localmente, che è alla base dell’approccio riduzionista allo studio della natura.

In uno schema deterministico, dove tutto è predestinato e il tempo è solo un parametro senza richiamo al senso comune del divenire, c’è una stretta connessione tra realtà e necessità. L’equivalenza tra realtà e necessità razionale, come proposta per esempio dalla fenomenologia dello spirito di Hegel, implica che tutto ciò che è non reale è impossibile e viceversa. Si può parlare di possibile solo a causa di una conoscenza limitata delle cause e di incapacità di controllo di tutti gli aspetti del fenomeno. L’identificazione della razionalità con la razionalità scientifica porta all’ideale di un sapere oggettivo, metodicamente strutturato e controllato, che è la base dello scientismo moderno. Se cade il determinismo, invece, la previsione si sostituisce alla predizione e c’è spazio per un reinserimento del divenire nella realtà del mondo fisico, un mondo fatto di possibilità, tutte realmente possibili: solo quando una di queste possibilità alternative si attua, le altre vengono escluse e diventano allora impossibili. Riconoscendo una probabilità oggettiva degli eventi legata a queste possibilità si ripristina la potenzialità del futuro, mortificata dalla concezione statica di un tutto predeterminato.

Per Bohr una realtà dagli aspetti complementari richiama la coincidenza degli opposti di sapore orientale. Per Heisenberg la situazione che si è verificata con lo studio delle particelle della fisica atomica e nucleare ricorda i concetti aristotelici di materia e forma. Si può dire che la materia di Aristotele, che è pura potentia, sia paragonabile al concetto di energia, che passa all’attualità per mezzo della forma quando viene creata la particella nelle reazioni nucleari.

La nuova visione della realtà non ha trovato immediato consenso tra i fisici. In particolare fu rifiutata da quel figlio dell’Ottocento positivista qual era Einstein, il quale per tutta la vita, in un acceso dibattito con Bohr, ha tentato, in più riprese e senza successo, di trovare argomenti che aggirassero quelli che riteneva paradossi e che ostacolavano il realismo della spiegazione scientifica.

L’aleatorietà del singolo evento per Louis de Broglie (1892-1987) e David Bohm (1917-1992) è causata dal fatto che la descrizione quantistica è incompleta, nel senso che ci sono altre variabili coinvolte nell’evento che restano “nascoste” all’indagine e nel formalismo attuali, ma che permettono, quando conosciute, di ripristinare un rapporto causale degli eventi. John Bell indicò nel 1964 la strada per una verifica sperimentale dell’esistenza di variabili nascoste, ma i successivi esperimenti, soprattutto del gruppo francese di Alain Aspect, hanno mostrato la piena validità della meccanica quantistica.

Dopo un lungo dibattito, nella fisica contemporanea prevale un atteggiamento operativo e strumentale, già sostenuto da Percy Williams Bridgman, che insiste su ciò che si può osservare, facendo intervenire nella teoria le definizioni operative dei concetti fondamentali ed eliminando tutti gli elementi non osservabili. Il determinismo non è difendibile alla stessa stregua in cui, dopo Einstein, sono state abbandonate l’ipotesi dell’etere cosmico e l’idea di un riferimento assoluto, in quanto sfuggono ad ogni tentativo di rivelazione empirica. Oggi il determinismo classico è altrettanto non verificabile quanto lo spazio assoluto e il tempo assoluto. L’immagine che al di là dell’esperienza ci sia una realtà oggettiva fa parte di un atteggiamento metafisico, ma non ha alcuna giustificazione empirica. «Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere», direbbe Wittgenstein. Anche se non condiviso nelle conclusioni ultime, lo spirito del Circolo di Vienna e del neopositivismo logico non era sconosciuto a Heisenberg, che ebbe una lunga corrispondenza con Moritz Schlick (1882-1936).

«Noi consideriamo la meccanica quantistica una teoria completa per la quale le ipotesi fisiche e matematiche fondamentali non sono più suscettibili di modifica». Così concludono Born e Heisenberg il loro intervento congiunto alla V Conferenza Solvay del 1927 a Bruxelles, dove viene sancita l’interpretazione di Copenhagen. Il primo filosofo a insorgere contro l’idea di una teoria completa, definitiva (endgültig) e pur così paradossale alla luce del senso comune nutrito dalla fisica classica, fu  Karl Raimund Popper (1902-1994). Nella sua trattazione sulla logica della scoperta scientifica (Logik der Forschung) del 1934 egli interpreta le relazioni di indeterminazione come relazioni riguardanti la dispersione statistica dei valori delle osservabili e propone un esperimento immaginario, capace di ottenere un grado di precisione maggiore di quello previsto dalle relazioni di Heisenberg. L’esperimento è per molti versi simile a quello famoso che Einstein, Podolski e Rosen proposero l’anno dopo e che pure si rivelò insufficiente a falsificare la teoria. In edizioni successive lo stesso Popper ripudia l’esperimento come “non decisivo”. Tuttavia, una teoria che sia il traguardo finale in fisica, “la fine della strada”, per Popper è inaccettabile perché in contrasto con l’idea di falsificabilità che deve potersi applicare a ogni teoria fruttuosa nell’accrescere la conoscenza.

L’analisi del linguaggio e gli studi ermeneutici favoriscono il dibattito sul metodo scientifico aperto con Popper. Il fatto stesso che una teoria abbia bisogno di un’interpretazione mette in discussione la stessa verità scientifica. Per chi ha una radicale sfiducia nella possibilità di raggiungere la verità, come Paul Feyerabend (1924-1994), l’interpretazione complementare può essere utile per sostenere il relativismo della scienza, paragonabile a un'ideologia che esercita sull'uomo contemporaneo un'influenza analoga a quella della religione sulle società di un tempo, e concludere che non v’è metodo scientifico obiettivo e razionale.

Invece, da realista metafisico convinto, dopo avere sviluppato la teoria dell’universo aperto con i tre Mondi in interazione reciproca, di fronte al successo della fisica quantistica, Popper riconosce la fondamentale validità dell’indeterminismo, ma non lo ritiene sufficiente a far posto alla libertà umana. «Ciò che vogliamo comprendere non è, infatti, soltanto il modo in cui possiamo agire in maniera imprevedibile e casuale, ma il modo in cui possiamo agire volontariamente e razionalmente» (cfr. L’universo aperto, 1984, p. 127). Per questo tutta la scienza è essenzialmente incompleta e il riduzionismo è destinato al fallimento perché taglia i ponti tra il Mondo 1 degli oggetti materiali della fisica e i Mondi 2 e 3, rispettivamente il mondo psicologico, dei sentimenti e delle esperienze soggettive, e il mondo dei prodotti della mente umana e della conoscenza linguisticamente formulata. Secondo Popper occorre ripensare l’idea di probabilità dandone un’interpretazione propensionale. Pur conservando la definizione frequentista della probabilità come rapporto tra esiti favorevoli e casi totali possibili, Popper interpreta le possibilità non come mere astrazioni, ma piuttosto come tendenze fisiche a realizzare un determinato stato di cose assumendo che la forza relativa di una tendenza si esprima nella frequenza relativa con cui si riesce a realizzare la possibilità in questione.

Libertà e creatività sono temi centrali nella filosofia di ogni epoca, ma trovano nuovo alimento proprio nelle idee della fisica quantistica che emergono in un periodo storico che anche in altri campi del sapere e della cultura segna il passaggio da una visione oggettiva a una visione soggettiva della realtà. Ciò si verifica attraverso una crisi che investe tutti i campi dell'espressione umana, che si fa più astratta, dalle scienze all'arte, dalla letteratura alla filosofia, con analogie e corrispondenze significative.

Il neocriticismo tedesco sulle orme di Kant rinuncia alla metafisica per una riflessione sulla scienza e riduce la filosofia a teoria della conoscenza e definizione dei limiti di validità del sapere scientifico. Il pragmatismo americano, diffusosi in Europa, esalta il ruolo dell'esperienza nel processo conoscitivo e antepone alla verità di un’idea la sua utilità nel mettere ordine alle esperienze, senza pretesa di una corrispondenza certa e esatta tra idee e realtà esterna. Viene rivalutata la coscienza, una coscienza intenzionale che nella fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938) sa cogliere nei fatti l'essenza, cioè il modo tipico dell'apparire dei fenomeni. Questa tensione alle pure essenze rende la fenomenologia una scienza delle essenze e non di dati di fatto, una scienza di esperienze capace di descrivere i modi tipici con cui i fenomeni si presentano alla coscienza, indipendentemente dalla reale esistenza dell'altro di cui si ha coscienza. E se si vuole costituire un'ontologia, cioè una dottrina dell'essere, ci si accorge con Martin Heidegger (1889-1976) che la domanda sul senso dell'essere è possibile solo in una situazione determinata: viene fatta a un esistente per capire il senso del suo essere. Il modo d'essere dell'“esserci” (Dasein), cioè dell'uomo, è l'esistenza, costituita di possibilità. Il tema della possibilità, che può in ogni istante non essere, è caratteristico dell'esistenzialismo di Heidegger e ancor più di Jean-Paul Sartre.

Se il comportamento naturale non è riconducibile in linea di principio a uno stretto determinismo e la scienza stessa riconosce la validità di riflessioni riguardanti il fenomeno, distinto da un noumeno inafferrabile dai sensi, sembrerebbe dunque aprirsi uno spiraglio, anche sulla base di una realtà esclusivamente razionale, per recuperare il libero arbitrio nelle vicende umane. Ma ciò non è giustificato sul piano logico. «Siccome il principio d'indeterminazione significa una cosa sola: che l'uomo e la scienza non sono in grado di fotografare la natura fin nelle sue ultime particolarità, è ridicolo allora voler trovare in ciò un fondamento di libertà. Una definizione di libertà non può esser basata su un fenomeno d'impotenza». Così si esprimeva il filologo Giacomo Devoto alla fine di una conferenza tenuta da Heisenberg a Ginevra nel 1958 (cfr. Discussione sulla fisica moderna, 1999), aggiungendo che «la matematica è un modo di descrivere i fenomeni fisici, come le regole della grammatica sono un modo di descrivere una lingua; ma le regole di grammatica non sono la lingua». Tuttavia, la sospensione di giudizio sulla natura deterministica o meno della realtà fisica offre spazio alle speculazioni sulla realtà mentale.

IV. Gli anni della maturità

Nominato, a soli 26 anni, professore di Fisica Teorica all'Università di Lipsia, Heisenberg riceve nel dicembre 1933 il premio Nobel per la Fisica, assegnatogli per l’anno precedente, durante una cerimonia che lo accomuna a Dirac e Schrödinger, premiati per quell’anno. Nel 1935, al momento del suo pensionamento, Sommerfeld lo indica come unico possibile successore presso l’Università di Monaco. In questi anni Heisenberg presenta una teoria quantistica del ferromagnetismo e con Pauli pone le basi di una teoria relativistica di campo; stimolato dalle nuove scoperte del neutrone e del positone, sviluppa il formalismo dello spin isotopico per una teoria del nucleo atomico e suggerisce una teoria del positone.

Questi successi furono però ben presto amareggiati dalle mutate condizioni politiche in seguito all’avvento del regime nazista. Numerosi artisti e intellettuali preferirono abbandonare la Germania, tra questi anche molti fisici, come Einstein, Schrödinger, Born, Frank, perché la fisica, e in particolare la fisica teorica con la teoria della relatività e la meccanica quantistica, veniva considerata un prodotto degenerato di ispirazione ebrea. Altri, come i premi Nobel per la Fisica Lenard e Stark, si fecero invece portavoce del regime. Heisenberg, che continuava a insegnare e divulgare in pubbliche conferenze le nuove idee della fisica, fu duramente attaccato da Stark che ne propose l’eliminazione come una specie di “ebreo bianco”. Cercò di difendersi rivendicando l’autenticità del suo ruolo nel settore della conoscenza in sintonia con la cultura tedesca da Kant in poi e sostenendo che le conquiste della scienza sono patrimonio dell’umanità intera, indipendentemente da chi le ha prodotte. Riuscì a non subire sanzioni solo grazie all’intervento di amici, tra cui lo stesso Sommerfeld, e soprattutto di sua madre che riuscì a contattare il capo dei servizi segreti nazisti, ma si vide negato il privilegio di subentrare al maestro in quella sede di Monaco che era considerata la culla del regime.

Tuttavia Heisenberg si sentiva tenuto a guardare al futuro e a impegnarsi nel suo lavoro rimanendo in Germania. Come ricorda lui stesso, al momento di tornare in Europa dopo un viaggio negli Stati Uniti per una serie di conferenze, nel luglio 1939, Enrico Fermi (1901-1954) lo invita a rimanere per non finire nel baratro di una guerra ormai imminente. Ma Heisenberg risponde che non vuole sentirsi un traditore nei confronti dei suoi più giovani collaboratori e invoca senso di appartenenza al proprio ambiente e coerenza di comportamento per agire dall’interno del sistema e migliorarlo, anziché fuggirne: «per me ho già deciso, anni fa, che sarei rimasto in Germania: forse ho sbagliato, ma non cambierò idea adesso» (Fisica e oltre, 1999, p. 183). E tale decisione era legata forse anche al fatto che nell'aprile 1937 Heisenberg aveva sposato Elisabeth Schumacher, figlia di Hermann Schumacher, professore di economia all'Università di Berlino. La nuova famiglia si era ingrandita subito con la nascita di due gemelli, cui seguiranno in rapida successione altri cinque figli.

In seguito alla scoperta della fissione nucleare da parte di Hahn e Strassmann nel 1938 e allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel settembre 1939 l'Istituto di Fisica di Berlino divenne sede del progetto Uranio dedicato allo studio delle applicazioni militari della energia nucleare. Nel 1941, nominato direttore dell’Istituto e responsabile del progetto, Heisenberg si deve trasferire a Berlino. Di fronte a tale responsabilità sente il bisogno di un colloquio con Bohr, ma l’incontro a Copenhagen col vecchio maestro, in procinto di emigrare negli Stati Uniti, è fonte di equivoci e incomprensioni che segnano la fine di un’amicizia.

Il ruolo avuto da Heisenberg nel progetto Uranio è controverso. Resta il fatto che il progetto diede scarsi risultati. Certamente Heisenberg e i suoi collaboratori erano convinti che l’uso militare richiedesse uno sforzo organizzativo e tecnologico eccessivo per la Germania e che fosse più realistico pensare a un impianto nucleare come fonte di energia. In tal senso furono indirizzate le ricerche e non c’è traccia alcuna di un loro calcolo della massa critica di uranio necessaria per una bomba atomica. Questo dato preliminare fu invece immediatamente acquisito da Fermi e dal gruppo americano dell’analogo progetto Manhattan, che nel dicembre 1942 realizzò la prima reazione a catena di fissione nucleare controllata. È altrettanto evidente che Heisenberg aveva anche altri interessi, più speculativi. È di questo periodo una serie di lavori sulla cosiddetta matrice S, che, introdotta da lui per la descrizione dei processi d'urto, risultò di grande importanza per lo studio delle interazioni tra le particelle subatomiche. Negli stessi anni Heisenberg scrive anche un trattato filosofico sull’ordinamento della realtà, rimasto senza titolo e non inteso per la pubblicazione, anche se contenente idee espresse in varie conferenze.

Prigioniero in Inghilterra insieme con altri scienziati tedeschi alla fine del conflitto mondiale, Heisenberg tornò in Germania nel 1946 a riorganizzare l'Istituto di Fisica di Göttingen, reintitolandolo a Max Planck, col supporto dell'omonima fondazione (Max-Planck Institut) istituita per favorire la ricerca scientifica nel quadro della ricostruzione tedesca postbellica. Qui si dedicò a ricerche di fisica del plasma e dei processi termonucleari. Divenuto presidente del Consiglio Tedesco per le Ricerche (DFR) dal 1949 al 1959, fu tra i fondatori del Centro Europeo di Ricerche Nucleari (CERN) di Ginevra. Il conseguente grande sviluppo della fisica delle particelle elementari lo vide ancora una volta protagonista nel proporre una teoria unificata delle interazioni fondamentali. Anche se la sua formulazione è oggi ormai superata, questa si basava sul concetto di simmetria, così fecondo nelle teorie attuali, che per Heisenberg è la versione moderna delle idee platoniche sulla costituzione della materia espresse nel Timeo e, nella sua semplicità, dà armonia alle leggi che riflettono la rete di connessioni tra i fenomeni.

Nel 1958 si trasferì all'Istituto Max Planck di Monaco. Insignito della Gran Croce di Germania per i Servizi Federali, Cavaliere dell'Ordine al Merito d'Inghilterra (per la Pace), membro dell'Accademia Pontificia delle Scienze e dell'Accademia dei Lincei, Werner Heisenberg morì a Monaco il primo febbraio 1976.

V. Verità scientifica e verità religiosa

«Chi destina la propria vita al compito di studiare singole connessioni della natura si troverà sempre posto dinanzi al problema di come quelle singole connessioni vengano ordinate armonicamente in quel tutto che ci viene offerto dalla vita o dal mondo». Così inizia il testo manoscritto sull’ordinamento della realtà (Ordnung der Wirklichkeit, in GW, C-I, pp. 217-306) che Heisenberg redasse tra il 1939 e il 1942 e che ispira tutti gli scritti e gli interventi successivi in materia di riflessione epistemologica, in particolare la sua autobiografia scientifica, intitolata appunto alla parte e al tutto (Der Teil und das Ganze, in GW C-III, pp. 3-333, tr. it. Fisica e oltre, 1999). L’esistenza di una sorta di doppia verità, una scientifica e l’altra dettata da una religione o da una dottrina politica, era per lui inaccettabile. Radicato nella tradizione filosofica europea e guidato dalla riflessione sui risultati della sua ricerca, era convinto che dietro la varietà dei fenomeni esiste un principio unificante in grado di dare senso all’esistenza conciliando l’interpretazione religiosa del mondo con l’inoppugnabilità della verità scientifica.

Il nocciolo del problema è la struttura della realtà, che nella storia umana ha subito mutamenti ogni volta che una nuova e fondamentale conoscenza è entrata nella coscienza dell’uomo. Per Heisenberg l’indagine della natura mostra che esistono diverse connessioni che rappresentano ambiti diversi di realtà. Rifacendosi a un brano in appendice della Farbenlehre (Teoria dei colori) di Goethe, rileva che tutte le azioni che osserviamo nell’esperienza si possono disporre in una serie gerarchicamente ordinata che parte dallo stadio che si può definire “oggettivo” dei fenomeni casuali e meccanici per concludersi al livello “soggettivo” degli aspetti religiosi e geniali, un ordinamento che non va inteso però come una suddivisione delle “cose”, bensì dei comportamenti. Nell’ambito della realtà descritta dalla scienza, l’ordinamento avviene riconoscendo che i dati sperimentali sono collegati tra di loro secondo una connessione di leggi e possono essere ricondotti a un comune principio. Questa riduzione dei molti all’unità significava comprensione già per il pensiero greco. Salendo al livello soggettivo, diventa sempre più importante riconoscere il coinvolgimento individuale nella descrizione completa delle connessioni in quanto «la realtà della quale possiamo parlare non è mai la realtà in sé (an sich), ma è una realtà dovuta alla nostra presa di coscienza o persino, in molti casi, da noi configurata» (Der Teil und das Ganze, p. 236). E questo è l’insegnamento che viene anche dalla fisica quantistica.

Per rappresentare i vari ambiti di realtà è essenziale il linguaggio. Heisenberg distingue un linguaggio “statico” da uno “dinamico”. Quando la descrizione pretende una conoscenza precisa che risponde ai criteri di “corretto” (richtig) e “sbagliato” (falsch), come quando si traccia una mappa geografica per descrivere un territorio, si opera nell’ambito di un pensiero “statico”, che spiega. Ma si può anche avere una conoscenza “dinamica” del territorio, che dà significato e interpreta la realtà, come quando vi si vive. In questo caso conta la fecondità delle idee e non la loro precisione: le affermazioni sono “vere” (wahr) e il contrario di un’affermazione vera non è necessariamente un’affermazione falsa o sbagliata, può essere anche questa vera, come nella dialettica hegeliana. L’idea che modelli logici diversi vadano applicati ai differenti livelli di realtà era maturata in Heisenberg anche dalle conversazioni con l’allievo e amico Carl Friedrich von Weizsäcker (n. 1912), il quale aveva introdotto il concetto di «grado di verità» in relazione alla logica complementare della meccanica quantistica e alla sua interpretazione probabilistica.

Per ogni ambito della realtà c’è un linguaggio adeguato. La matematica risulta il modello di conoscenza più sicuro e rappresenta l’ordinamento per eccellenza, ma per la sua forma così pura e liberata da ogni contenuto non può essere utilizzata come punto di partenza per un ordinamento della realtà. La poesia in un certo senso è a cavallo tra linguaggio “statico” e “dinamico”, in quanto è conoscenza della realtà con un pensiero che si avvale della vivacità delle parole e nello stesso tempo si sviluppa con concetti che sono concatenati in uno schema matematico. C’è infine un parlare per metafore, in cui gli stati di cose vengono creati solo in connessione con il processo cognitivo. Qui subentrano le “forze creative” dell’anima con il loro potere di trasformare la realtà in un’esperienza soggettiva che dà senso alla vita. È qui che si innesta il discorso della fede.

Il Dio che emerge dalla scienza è un Dio ordinatore e «sul momento non sappiamo se sia identico a quello cui possiamo rivolgerci nel bisogno, su cui possiamo orientare la nostra vita», dice Heisenberg nel 1973, in occasione del ricevimento del premio intitolato al filosofo-teologo Romano Guardini, parlando di verità scientifica e verità religiosa (Naturwissenschaftliche und religiöse Wahrheit, 1973, in GW, C-III, pp. 422-439). Delle due vie alla verità, quella della scienza gli sembra una semplificazione eccessiva, concentrata su un aspetto parziale della realtà, con l’apparente contrapposizione tra oggettivo e soggettivo. Inoltre, la combinazione di scienza e tecnica gli risulta ambivalente in quanto il beneficio di un progresso materiale può essere minacciato dall’uso improprio delle conquiste scientifiche: la bontà di un risultato dipende dai fini e la decisione sui fini deve essere presa con lo sguardo rivolto all’uomo nella sua interezza. Solo la via della fede, parlando un linguaggio poetico per immagini e parabole, rende possibile la grande connessione che si avverte al di là dei fenomeni, con una struttura che richiama il mondo delle idee platoniche orientando l’agire dell’uomo. Ed è richiamandosi alla nostalgia dell’anima per questo mondo che lo scienziato riconosce la bellezza della scienza come riflesso della bellezza della natura: la bellezza, come sintonia delle parti tra loro e con il tutto, diventa splendore di verità (pulchritudo splendor veritatis), affiancandosi alla semplicità come sigillo di verità (simplex sigillum veri) (cfr. Die Bedeutung des Schönen in der exacten Naturwissenschaft, 1971, in GW, C-III, pp. 369-384). C’è qui corrispondenza con l’estetica kantiana, ma anche con l’estetica teologica di Hans Urs von Balthasar (1905-1988) nel ricollocare il bello, il buono, il vero come forme che rinviano al mistero di Dio. Di qui il compito dell’artista che, accomunato allo scienziato nella tendenza a una maggiore astrazione, deve essere portatore di contenuti spirituali nuovi e non solo di nuove forme (Die Tendenz zur Abstraktion in moderner Kunst und Wissenschaft, 1970, in GW, C-III, pp. 359-368).

Ma il compito di un impegno etico è di tutti, perché «la questione dell’esistenza di Dio non è più da tempo una questione scientifica, ma la questione di ciò che dobbiamo fare» (Der Teil und das Ganze, p. 303). Le «forze creative» sono per Heisenberg un dono e chi le riceve diventa un loro strumento. Anche se «solo pochi uomini restano al centro delle forze che fanno progredire lo spirito umano verso qualcosa di superiore» e «per questi pochi il destino umano è determinato soltanto dal compito loro assegnato» (ibidem, pp. 300-301), questo compito è di tutti e consiste nel trasmettere alla generazione successiva il bello, il buono, il vero, aiutandola a essere virtuosa e ad avere fiducia per superare le difficoltà che si incontrano nel dare un senso alla propria esistenza.

Bibliografia

Opere di Werner Heisenberg: Werner HeisenbergGesammelte Werke – Collected Papers, a cura di  W. Blum, H.-P. Dürr, H. Rechenberg, Springer-Verlag, Berlin - Heidelberg - New York - Tokyo & Piper Verlag, München - Zürich 1984; I princìpi fisici della teoria dei quanti, Boringhieri, Torino 1963; Mutamenti nelle basi della scienza, Boringhieri, Torino 1978; Oltre le frontiere della scienza, Editori Riuniti, Roma 1984; Natura e fisica moderna, Garzanti, Milano 1985; Fisica e Filosofia. La rivoluzione nella scienza moderna, Il Saggiatore, Milano 1998; Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965, Bollati-Boringhieri, Torino 1999; W. HEISENGERG, E. SCHRÖDINGER, M. BORN, P. AUGER, Discussione sulla fisica moderna, Bollati-Boringhieri, Torino 1999; L. DE BROGLIE, E. SCHRÖDINGER, W. HEISENBERG, Onde e particelle in armonia. Alle sorgenti della meccanica quantistica, a cura di S. Boffi, Jaca Book, Milano 1991.

Principali opere su Heisenberg: H. REICHENBACH, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica, Einaudi, Torino 1959; F. BOPP (a cura di), Werner Heisenberg und die Physik unserer Zeit, Vieweg & Sohn, Braunschweig 1961; E. CASSIRER, Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna, La Nuova Italia, Firenze 1970; M. JAMMER, The Philosophy of Quantum Mechanics, John Wiley & Sons, New York 1974; J. MEHRA e H. RECHENBERG, The Historical Development of Quantum Theory, 5 voll., Springer Verlag, New York - Berlin 1982-1987; K.R. POPPER, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza, vol. II: L’universo aperto. Un argomento per l’indeterminismo, vol. III: La teoria dei quanti e lo scisma nella fisica, Il Saggiatore, Milano 1984; Th. POWERS, Heisenberg’s War: The Secret History of the German Bomb, Alfred Knopf, New York 1993; D.C. CASSIDY, Un’estrema solitudine: la vita e l’opera di Werner Heisenberg, Bollati-Boringhieri, Torino 1996.