Maritain, Jacques (1882 - 1973)

Anno di redazione
2002

I. La vita e l'opera - II. L'intuizione dell'essere e la logica formale - III. Lo statuto della filosofia cristiana - IV. Distinguere per unire: I gradi del sapere - V. La filosofia della natura - VI. I gradi della conoscenza pratica - VII. La filosofia della storia e del diritto.

I. La vita e l’opera

La problematica dei rapporti tra scienza e fede è stata vissuta di persona da Jacques Maritain nella sua lunga vita che gli ha permesso «di provare successivamente lo stato d’animo del libero pensatore idealista, del convertito inesperto, del cristiano che, via via che si consolida la sua fede, prende coscienza delle purificazioni che essa deve subire» (Il filosofo nella società, p. 15). Questa presa di coscienza, dopo la conversione al cattolicesimo e l’incontro con la filosofia di s. Tommaso, diventa ricerca scientifica, preoccupazione epistemologica nel definire i diversi campi del sapere e le diverse metodologie di ricerca. Maritain nasce a Parigi il 18 novembre 1882 da una famiglia protestante; il nonno materno è Jules Favre, deputato repubblicano, tenace oppositore di Luigi Napoleone. Frequenta il liceo Henri IV, dove stringe amicizia con E. Psichari, nipote di Ernest Renan (1823-1892), e manifesta una vivace vocazione intellettuale. Si iscrive alla Università della Sorbona, laureandosi prima in filosofia e dopo in scienze naturali. Durante gli studi per questa seconda laurea incontra Raissa Oumançoff, nata a Rostov sul Don nel 1883 da una famiglia di ebrei ortodossi, che sposa con rito civile nel 1904. Alla Sorbona i due giovani seguono i corsi di embriologia generale di F. Le Dantec, che si professava ateo e materialista e che prometteva loro, come scrive Raissa Maritain «un brillante avvenire se avessimo voluto lavorare nel senso che egli ci consigliava. Dovevamo cercare la sintesi della materia vivente e dimostrare, realizzandola, che la vita non è altro che una combinazione chimica particolare» (I grandi amici, Milano 19912, p. 65). Assetati di Assoluto, l’incontro con Charles Péguy (1873-1914), che li accompagna a sentire le lezioni su Plotino di Henri Bergson (1859-1941) al Collège de France, li salva dalla disperazione di fronte al relativismo e al positivismo degli ambienti accademici. L’incontro con il cristianesimo radicale di Léon Bloy (1846-1917) li porta alla conversione al cattolicesimo, ed entrambi ricevono il battesimo nel 1906. Grazie ad una borsa di studio, Jacques Maritain trascorre due anni (1906-1908) ad Heidelberg per perfezionarsi nello studio delle scienze biologiche alla scuola di H. Driesch, dove incontra Agostino Gemelli (1878-1959). Accontentandosi delle certezze della fede, in quel periodo i due giovani pensano di abbandonare gli studi di filosofia, anche perché si accorgono della impossibilità di conciliare le posizioni di Bergson con le loro convinzioni. Rientrati in Francia, padre H. Clérissac li invita a leggere la Summa Teologica di Tommaso d'Aquino, che rappresenta per loro una rivelazione intellettuale e li mette ulteriormente in crisi di fronte al bergsonismo.

Maritain inizia la sua attività didattica come insegnante di filosofia prima al Collège Stanislas, poi all’Institut Catholique, dove tiene anche una serie di conferenze su Bergson, che costituiscono la base per il libro La filosofia bergsoniana (1914), nel quale confronta le tesi del suo primo maestro con quelle di s. Tommaso, sottolineandone l'incompatibilità. Prepara per i suoi studenti una Introduzione alla filosofia (1921), nella quale abbozza il suo discorso epistemologico, ed una Piccola Logica (1923) per fornire loro un sicuro strumento di lavoro. I coniugi Maritain fondano nel 1922 i Cercles Thomistes, che terranno quindici convegni annuali, e si diffonderanno in Svizzera, in Belgio, ed anche in Inghilterra; fanno della loro casa di Meudon, alla periferia di Parigi, un centro di incontri e di dibattiti culturali, che vedono la presenza di filosofi e di teologi, di poeti e di romanzieri, di pittori e di musicisti. La multiforme attività culturale non distrae Maritain dalla ricerca filosofica, tanto che in Riflessioni sull’intelligenza (1924) rielabora una serie di articoli confrontando il suo pensiero con la filosofia contemporanea ed in particolare con Blondel (1861-1949) e con Einstein (1879-1955). Interviene anche sul problema della natura epistemologica di una filosofia cristiana, partecipando alla riunioni tenute sull’argomento tra il 1931 e il 1933 alla Société française de philosophie, alla Union pour la verité, e alla Société Thomiste, sviluppando poi le sue argomentazioni nel volume Sulla filosofia cristiana (1933). Ma l’opera più sistematica, nella quale analizza i diversi livelli di conoscenza della mente umana e che resta l’opera sua più importante, è Distinguere per unire: i gradi del sapere (1932).

Maritain in questi anni tiene diverse conferenze in Europa ed in America; da una serie di conferenze a Santander in Spagna e a Poznam in Polonia, riprese a Buenos Aires in Argentina, nasce l’opera più famosa Umanesimo integrale (1936), che per motivi politici suscita clamorose polemiche, rischiando anche di essere posta all’Indice. E. Gilson (1884-1978) lo chiama, nel 1933, a tenere corsi all'Institute of Mediaeval Studies da lui fondato a Toronto; Maritain ne approfitta per passare negli Stati Uniti, dove incontra M. Adler e R. Hutchins. Nel 1935 tiene una conferenza sul linguaggio della scienza al Warburg Institute di Londra e pubblica due volumi: Scienza e saggezza, e La filosofia della natura. Incaricato di una missione culturale, nel 1940 lascia la Francia per l’America, si ferma a New York, dove con altri esuli francesi e belgi fonda l’Ecole libre des Hautes Etudes, affiancando all’attività didattica dei docenti universitari europei emigrati la collana Civilisation, nella quale pubblica I diritti dell’uomo e la legge naturale (1942), auspicando una nuova dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Partecipa attivamente alla resistenza con radiomessaggi, scrive “in omaggio al popolo francese” Cristianesimo e democrazia (1943). Nel medesimo anno, la rivista The Thomist gli dedica un fascicolo monografico per il suo sessantesimo compleanno. De Gaulle, dopo la liberazione della Francia, lo nomina Ambasciatore presso la Santa Sede. Maritain rimane a Roma fino al 1947; durante questo periodo ha rapporti di amicizia con mons. G.B. Montini, Sostituto alla Segreteria di Stato, segue la vita culturale della città e fonda il Centre Culturel Saint Louis de France, dove invita a tenere relazioni Marrou, Journet, Lacombe, Couturier ed altri esponenti della cultura francese. Nel 1947 pubblica il Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente e nel medesimo anno rappresenta la Francia alla seconda conferenza generale e come presidente tiene il discorso inaugurale sul tema La via della pace.

Si trasferisce in America, accetta la cattedra di filosofia morale alla Princeton University di New York e tiene corsi alla Notre Dame University e alla Chicago University; con Raissa ricostruisce una rete di relazioni culturali, come al tempo degli incontri di Meudon; pubblica alcune opere fondamentali, come L’uomo e lo Stato (1951), L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia (1953), La filosofia morale (1960). I coniugi Maritain trascorrono le vacanze in Francia, riprendendo le riunioni di studio a Kolbsheim e preparano un manifesto programmatico, Saggezza, nel quale vengono recuperate le motivazioni culturali e spirituali dei “Circoli tomistici”. Nell’estate del 1949 il filosofo tiene un corso estivo pubblicato nel 1951 con il titolo Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale. Raissa muore a Parigi il 4 novembre 1960 e Jacques si ritira presso la comunità dei Piccoli fratelli di Gesù a Tolosa, dedicandosi alla preghiera e alla meditazione. I suoi ultimi scritti sono soprattutto di filosofia della religione, ma tiene anche alcuni seminari riguardanti l’evoluzione delle specie, l’istinto animale, la sessualità umana e sviluppa un’analisi critica della filosofia cosmico-mistica di Teilhard de Chardin. Al termine del Concilio Vaticano II (1965), Paolo VI gli consegna il Messaggio agli uomini di scienza e di cultura. Dal suo ritiro di Tolosa segue le vicende della vita politica e culturale; nel 1966 è ancora all’Unesco per un discorso su Le condizioni spirituali del progresso e della pace, e nel medesimo anno scrive Il contadino della Garonna, un libro contro le deviazioni neomodernistiche della teologia postconciliare, che suscita nuove polemiche. Maritain muore a Tolosa il 28 aprile 1973, poco dopo aver rivisto le bozze del suo ultimo volume Approches sans entraves: scritti di filosofia cristiana, nel quale il discepolo Heinz Schmith ha raccolto una serie di articoli e di testi inediti. La corrispondenza tra il teologo Charles Journet e il filosofo Maritain, in corso di pubblicazione in sei volumi, è fondamentale per comprendere la lunga riflessione maritainiana sui rapporti tra scienza e fede.

  

II. L’intuizione dell’essere e la logica formale

Maritain non intende ripetere s. Tommaso, ma approfondirne la riflessione in dialogo con la filosofia contemporanea. Talvolta entra in conflitto con l’Aquinate, là dove lo sviluppo delle scienze naturali ha modificato le basi sulle quali deve fondarsi la filosofia della natura; Maritain non si sente un neo-tomista, preferirebbe essere un paleo-tomista, per essere fedele al suo Maestro. Il tomismo non è la filosofia di un uomo solo, non è una filosofia medioevale, ma è la filosofia di tutti gli uomini che seguono le regole della ragione naturale, a qualunque cultura appartengano. Definisce la sua filosofia, con grande scandalo di E. Gilson, un “realismo critico” ed una “filosofia esistenziale”, perché riconosce l’apporto del soggetto nella percezione del reale, conosciuto non solo nella sua essenza intelligibile ma nella sua stessa realtà esistenziale. Maritain recupera da Bergson l’intuizione dell’essere, ma la riferisce al concetto, senza attendere dal giudizio questo riferimento all’essere, e si oppone a Blondel di cui rifiuta la riduzione del concetto ad una conoscenza nozionistica incapace di penetrare la realtà. È attraverso il concetto che l’intelligenza umana conosce la realtà, ma il modo di essere della realtà nel concetto, e nell'elaborazione dei giudizi e dei ragionamenti, è diverso dal modo di essere nella cosa. Partendo dalle constatazioni del senso comune, per verificarne criticamente la validità, rileva: «la verità è ciò che è, o meglio, giacché la verità della conoscenza deve evidentemente trovarsi nello spirito conoscente, deve essere una certa perfezione di questo spirito, la verità è la conformità dello spirito a ciò che è» (Riflessioni sull’intelligenza, p. 29). La verità ha un riferimento a qualche cosa di extramentale, che esiste di per se stesso, indipendentemente dallo spirito. Bisogna dunque superare l’identificazione idealistica e fenomenologica tra l’essere e il pensiero, pur riconoscendo il contributo critico della mente nel processo cognitivo. «Ciò che qui importa innanzitutto è distinguere tra la cosa e la sua esistenza, tra la cosa stessa e il modo di esistere della cosa. Nel momento in cui intravedo che per una stessa cosa si danno diversi modi di esistere, diverse maniere di essere posta fuori dal nulla, un modo per cui la cosa esiste in se stessa, e un modo per cui essa esiste in un’anima, allora comincio a entrare nel problema della conoscenza. L’anima non coincide materialmente con tutte le cose; quando vede una pietra o un albero, non diventa pietra o albero secondo l’esistenza che queste cose hanno in se stesse, ma le attrae, invece, nell’esistenza propria. Così la pietra esiste in un dato modo in se stessa pietra: allora essa puramente e semplicemente è; e quella stessa pietra esiste in un altro modo nella mia anima, e allora essa è vista. Dirò che l’anima conoscendo diventa in una certa maniera tutte le cose, una maniera che mi resterà da precisare, e che posso già chiamare immateriale, se rifletto che l’esistenza propria della pietra è un’esistenza materiale, e che nell’anima quella pietra è staccata dall’esistenza sua propria. L’oggetto è nel soggetto secondo il modo di esistere del soggetto» (ibidem, p. 34). La mente umana può conoscere l’essenza della cosa, l’intelligenza può farsi intelletto cogliendo l’intelligibile, e Maritain precisa: «l’universale oggetto della intelligenza è più, quanto al conoscere, e meno, quanto all’esistere dell’individuale oggetto del senso. Di qui la dignità propria dell’uno e dell’altro. Diciamo che l’universale esiste nel reale quanto alla essenza o natura chiamata universale, ma non esiste che nello spirito quanto alla universalità stessa» (ibidem, p. 35).

Analizzando la natura della conoscenza Maritain afferma che si tratta di un’attività immanente nella quale è l’essere conosciuto che specifica il processo cognitivo, a differenza dell’arte che consiste invece nel dare una forma all’oggetto. Questo processo non comporta una passività dell’intelligenza perché «il conoscere non consiste né nel ricevere un’impronta, né nel produrre un’immagine, ma è qualcosa di ben più intimo e ben più profondo. Conoscere è divenire; è divenire il “non-io”. Vuol dunque dire perdere il proprio essere e venire assorbiti nella cosa? Tale sarebbe forse, al limite, l’intuizione bergsoniana. Ma tale certamente non è l’intellezione tomista, perché io resto ciò che sono e la cosa resta ciò che è, mentre io la conosco» (ibidem, p. 254). «Che cosa è dunque, in definitiva, il concetto? — si domanda Maritain, e risponde — È la cosa stessa, la natura intelligibile ricevuta dai sensi, grazie all’astrazione, e portata dallo spirito, dentro di sé, al supremo grado di immaterialità; ma in quanto pura tendenza spirituale, in quanto puro mezzo o puro segno, grazie al quale quella stessa natura è colta immediatamente come oggetto, in se stesso, indipendente da questo o quel modo di esistere e dal nostro stesso atto di conoscere» (ibidem, p. 258). Il concetto ci fa conoscere puntualmente la cosa, ma per elaborare e sviluppare questa conoscenza, è necessaria una metodologia di analisi che ci faccia passare dal sapere intuitivo al sapere discorsivo, che Maritain individua nella logica formale di Aristotele, che ritiene universale, valida per tutti i tempi e tutte le culture; anche se in buona parte della filosofia contemporanea è stata sostituita da una logica simbolica, che di fatto è una logica strumentale, utile per fare progredire le scienze ma inadeguata al discorso filosofico. L’oggetto della logica non è l’essere reale per se stesso, ma l’essere in quanto conosciuto dallo spirito: «Le cose nella mente hanno un particolare modo di essere. Per potere essere elaborate le cose possiedono nella nostra mente un modo di essere, che non hanno e non possono avere nella realtà; esse vi esistono in quanto sono conosciute, riferite le une alle altre, riunite, legate insieme secondo le necessità della conoscenza, esse conducono nella nostra mente una vita a parte, che ha sue leggi proprie. Su questa vita e su queste leggi proprie, sull’ordine che deve regnare nelle cose in quanto conosciute, per condurre e dirigere la mente verso il vero, su tutto ciò verte la logica; e poiché si tratta di qualche cosa che non esiste e non può esistere se non nella mente, diremo che la logica ha per oggetto formale l'“essere di ragione”, che dirige la mente verso il vero» (Introduzione alla filosofia, p. 118). La logica con i suoi giudizi e con i suoi ragionamenti è il metodo proprio della filosofia, la quale non deve lasciarsi alterare da motivazioni che non siano quelle dell'evidenza e del discorso razionale, anche quando, in relazione all’oggetto della sua ricerca, deve tenere conto dei risultati di altre scienze, come delle scienze naturali per la filosofia della natura o delle scienze teologiche per la filosofia morale. È solo la dimostrazione razionale, condotta secondo le regole della logica, che può portare alla verità filosofica. Per superare gli equivoci della logica simbolica Maritain distingue tra il pensiero ed il linguaggio, tra il verbo interiore ed i segni vocali e grafici con cui si manifesta, ed afferma che queste distinzioni sono molto importanti, perché «Leibniz e alcuni logici, che a lui si richiamano, tendono a trascurare l’operazione a vantaggio dell’opera, e l’opera immateriale della mente a vantaggio del segno materiale di questa» (Logica minore, p. 29).

Il sillogismo è lo strumento fondamentale della logica, e Maritain ne precisa la natura per superare le critiche che sono state mosse a questo procedimento. «Il sillogismo consiste essenzialmente nell’identificare due termini con un termine medio e nell’inferire da ciò l’identità dei due termini tra di loro, e non nel discendere da un termine più universale ad un termine meno universale contenuto sotto di esso. Indubbiamente tutti i trattati di logica insegnano che nel sillogismo la ragione deduce da una verità più universale una verità meno universale contenuta nella prima, e questo è vero, almeno quanto alle relazioni logiche, o se si considerano le funzioni logiche del predicato e del soggetto nella proposizione. Ma non è il passaggio dall’universale al particolare, bensì l’identificazione dei due estremi con un terzo termine ciò che fa la forza essenziale e tutto il valore del sillogismo; e se abbiamo detto che il principio del sillogismo sta nell’universale, questo è perché tale terzo termine deve necessariamente essere universale, affinché un’inferenza abbia luogo mediante una identificazione del genere» (Logica minore, p. 206) Il valore del sillogismo si fonda sullo stesso principio di identità, che è la radice stessa della metafisica: «Tutta la forza del sillogismo e dell’arte di dedurre dipende da questo principio supremo, evidente per se stesso: due cose identiche ad una terza sono identiche tra di loro; e due cose, di cui, l’una é identica e l’altra non identica ad una terza, sono tra loro diverse. Questo principio, che si potrebbe chiamare principio della triplice identità nella forma positiva e principio del terzo separante nella forma negativa, non è che una espressione particolare del principio di identità. Ogni cosa è ciò che è, ogni essere ha una natura determinata che lo costituisce in proprio» (Logica minore, p. 182).

Bisogna inoltre distinguere tra la Piccola logica, che concerne la “forma” del ragionamento, secondo le esigenze delle proprietà logiche dei concetti e delle proposizioni in modo che le nostre inferenze siano rette, e la Grande logica, che considera la “materia” del ragionamento, che deve insegnarci, a quali condizioni e come in rapporto a questa materia, si possa pervenire ad una conclusione non solo valida quanto alla correttezza, ma valida in se stessa. Infine tocca alla critica, che è una parte della metafisica, verificare la validità dei ragionamenti in rapporto alla realtà delle cose, perché la logica riguarda solo le operazioni sugli enti di ragione. Maritain rileva come ci sia sempre una connessione tra metafisica e logica: «Nessun sistema di logica può essere costruito senza presupporre un insieme di posizioni di ordine metafisico e critico: e così che le logiche che pretendono od hanno preteso di soppiantare la Logica dell’Organon di Aristotele (per esempio la Logica induttiva di F. Bacone, la logica empirista di Stuart Mill, le logiche psicologiste del XIX secolo, la logica neoleibniziana dei Logisti, la logica della Scuola di Vienna) presuppongono in realtà tutta una metafisica e tutta una critica della conoscenza, più o meno impregnata di nominalismo» (Grande logique, Oeuvres Complètes, vol. II, p. 682).

  

III. Lo statuto della filosofia cristiana

In Maritain la ricerca filosofica, portata avanti con la rigorosità intellettuale della logica, non contrasta ma convive con la sua esperienza di fede, e lo obbliga a cercare le connessioni tra il “sapere” e il “credere”, evitando da una parte il razionalismo di L. Brunschwicg e E. Bréhier, che esclude ogni influenza della fede nel discorso razionale, e dall’altra la tendenza al fideismo presente in M. Blondel, che ritiene necessario e determinante l’apporto della fede nella ricerca filosofica. Partendo dalla storia della filosofia e dalla sua personale riflessione sulla natura della ricerca filosofica, Maritain constata che esiste una filosofia cristiana non solo nel soggetto che la elabora, ma anche in se stessa, nella sua struttura epistemologica. Posta la distinzione tra la filosofia e il filosofare afferma: «precisiamo subito quale è il principio per una soluzione: è la distinzione classica tra l’ordine di specificazione e l’ordine di esercizio. Dico che bisogna distinguere la natura della filosofia, o ciò che essa è in se stessa, e lo stato in cui essa si trova di fatto, storicamente, nel soggetto umano, e che si riferisce alle sue condizioni di esistenza e di esercizio nel concreto» (Sulla filosofia cristiana p. 34). La “filosofia in se stessa” non è cristiana o non cristiana, dipende solo dal suo oggetto e dal suo metodo, che di per se stessi sono al livello della pura razionalità, ma il “filosofare nel soggetto” può essere cristiano in relazione agli apporti oggettivi e ai rafforzamenti soggettivi che la ragione riceve dalla fede. Gli apporti oggettivi sono di due generi: alcuni riguardano nozioni, di per sé appartenenti al campo della filosofia, ma non ancora conosciute dai filosofi, come ad esempio la nozione di creazione e di remunerazione; alcuni riguardano nozioni di ordine soprannaturale, ma che interessano di fatto il discorso filosofico come ad esempio la nozione di peccato e di redenzione. Gli aiuti soggettivi si inseriscono, senza ledere ma rafforzando la libertà del filosofo — che deve filosofare correttamente, secondo le regole della logica — sia nella genesi che nello sviluppo del discorso filosofico, perché la filosofia è un habitus che si perfeziona con l’intelligenza, che può ricevere dalla fede e dalla grazia un soccorso per le sue debolezze, conseguenti alla condizione umana ferita dal peccato. Sulla base di questi princìpi Maritain considera la storia della filosofia rilevando che ad un regime cristiano organico, proprio del Medioevo, è seguito un regime cristiano dissociato ad incominciare dall’occamismo della Scolastica inglese. Si è passati così da un rapporto dialogico tra la ragione e la fede alla loro contrapposizione, ma il pensiero occidentale non si è mai liberato del cristianesimo e la filosofia moderna, a partire da Cartesio, «diventando intrinsecamente meno cristiana si è gonfiata di residui cristiani, materializzando, come si può constatare in Comte e in Marx, verità e nozioni di origine cristiana, portando ad una rottura disastrosa della proporzione normalmente richiesta tra l’oggetto e l’ispirazione» (ibidem, p. 56).

La filosofia cristiana, sul piano della filosofia pratica, ha un ruolo particolare, perché in questo caso l’oggetto stesso della conoscenza riguarda le condizioni esistenziali della vita umana, per cui la ricerca scientifica, se non tiene conto dei dati forniti dalla fede, lavora su un oggetto ipotetico, su di un oggetto irreale. «Qui la questione diventa assolutamente speciale, perché ci troviamo appunto di fronte ad un oggetto che presenta esso stesso la distinzione tra natura e stato, ad un oggetto naturale quanto all’essenza, ma il cui stato non è puramente naturale e dipende invece dall’ordine soprannaturale» (ibidem, p. 63). Poiché l’uomo reale è stato creato in grazia di Dio, dal quale stato soprannaturale è decaduto, poiché i fini della vita terrena sono un fine “infravalente” rispetto al fine ultimo della vita eterna, una filosofia morale che non tenesse conto dei dati forniti dalla fede sarebbe una filosofia morale inadeguata al suo oggetto. La morale filosofica può costituirsi in scienza solo subalternandosi alla teologia. Maritain cosi analizza il processo di subalternazione: «Una scienza è subalternata ad un altra non solo in quanto infraposta, come per esempio la filosofia della natura è infraposta alla metafisica e la metafisica alla teologia; essa non può esistere come scienza pratica senza i lumi che riceve dalla scienza subalternante; essa non possiede la costituzione di scienza che ricevendo dalla scienza subalternante i princìpi di cui ha bisogno, come l’ottica geometrica riceve i suoi principi dalla geometria» (ibidem, p. 87). Maritain propone una filosofia morale adeguatamente presa, cioè subalternata alla teologia, ma che resta metodologicamente filosofia, perché procede con la ragione pur tenendo conto dei dati forniti dalla fede per esplorare adeguatamente il suo oggetto di ricerca che riguarda la vita in questo mondo orientata alla vita eterna, ma non la vita eterna in se stessa, altrimenti diventerebbe teologia. In polemica con Santiago Ramirez, che lo accusa di confondere teologia e morale, precisa: «La filosofia morale adeguatamente presa è subordinata alla teologia solo in ragione dei princìpi. Non è una scienza materialmente filosofica e formalmente teologica, bensì una scienza formalmente filosofica subalternata alla teologia» (ibidem, p. 111). I dati della teologia entrano nel discorso filosofico in quanto conosciuti, non in quanto creduti, ed anche un filosofo non credente li può utilizzare, per cui la filosofia morale adeguatamente presa resta una sapienza “profana”. Maritain ammette l’esistenza di una morale naturale, ma all’interno di questa filosofia morale adeguatamente presa.

  

IV. Distinguere per unire: I gradi del sapere

Premesso che tutti i saperi sono “scientifici” se dimostrano la validità dei criteri metodologici che usano nell’esaminare il loro oggetto specifico, e se usano correttamente ed in modo adeguato all’oggetto le regole del loro investigare, Maritain all’interno di quest’unico universo del sapere distingue le «scienze» e le «saggezze», in quanto nel linguaggio moderno le prime riguardano il mondo del particolare, ed in un certo senso il “come” dell’esistere, mentre le seconde riguardano il mondo dell’universale, ed in un certo senso il “perché” dell’esistere e del vivere. La metafisica fa da cerniera tra queste due conoscenze della realtà, perché è la più alta tra le scienze e la più infima delle saggezze. La metafisica, come conoscenza scientifica del mondo dell’intelligibile, è il primo grado della sapienza, è la conoscenza perfetta a livello umano; ma i suoi occhi sono ciechi davanti alla materia per troppa oscurità, e lo sono anche davanti all’Assoluto per troppo splendore. Utilizzando l’immagine del cerchio per rappresentare e figurare l’essere, Maritain analizza i tre approcci con cui l’uomo conosce la realtà: la «conoscenza dianoetica», propria della filosofia e della matematica, penetra l’essere a partire dalla circonferenza, e con il ragionamento raggiunge il mondo “intelligibile” all'intelligenza umana; la «conoscenza perinoetica», propria delle scienze naturali, circonda l’essere di segni e di simboli lungo la circonferenza, e mediante l’esperienza e il calcolo descrive il mondo “infraintelligibile” della materia; la «conoscenza ananoetica», andando dal centro verso la circonferenza, attraverso la rivelazione divina permette all’uomo di avvicinarsi al mondo “sovraintelligibile” dell’Assoluto. Lo snodo tra scienza e saggezza si trova a livello della conoscenza dianoetica, dove con la filosofia si ha un sapere di tipo percettivo mediante una intellezione intuitiva, che nel segno coglie direttamente la cosa significata, cioè l’ente reale, e con la matematica si ha un sapere di tipo costruttivo che elabora enti di ragione. La filosofia è una saggezza, la matematica è solo una scienza.

La prima saggezza è dunque la saggezza metafisica, la più povera delle saggezze, anche se è la più indispensabile, perché riguarda l’essere in quanto essere nella radicalità del suo esistere. Osserva Maritain: «In un senso non vi è nulla di più povero dell’essere in quanto essere; giacché per scorgerlo bisogna lasciare cadere tutto il mantello del sensibile e del particolare. Ma in un altro senso è la nozione più consistente e più solida giacché non v’è nulla che non le appartenga. Rimane che l’essere in quanto essere è una manna poco saporita per gli spiriti che badano troppo alle cose dell’esperienza» (I gradi del sapere, p. 256). La metafisica partendo dalle cose visibili, di cui cerca la ragione ultima, giunge a conoscere l'esistenza di Dio, causa prima della natura. Conosce Dio, come dal di fuori, sulla base della analogia del concetto, e non Lo raggiunge nella realtà del suo essere, non perché Dio sia inintelligibile in se stesso, ma perché è sproporzionato alla nostra intelligenza di uomini. L’uomo sa che c’è Dio, non può sapere chi sia Dio. «I nostri occhi di uccelli notturni non possono discernere nulla in questa luce troppo pura, se non interponendo le cose oscure di quaggiù. Penetrare in questo transintelligibile è il desiderio più profondo della nostra intelligenza; essa istintivamente sa fin dalla nascita che soltanto là troverà il suo riposo. L’intelligenza si trascina a carponi verso il divino» (ibidem). A questo desiderio dell’intelligenza viene incontro la saggezza teologica che è di ordine soprannaturale: «Essa ha per oggetto non più Dio come causa prima e creatore del mondo, ma Dio in se stesso, nella sua essenza, nel suo mistero sopraintelligibile all'uomo; cioè non Dio in ciò che ha di analogicamente comune con gli altri esseri, ma in ciò che ha di esclusivamente proprio, in ciò che appartiene a Lui solo» (ibidem, p. 294) Il modo di conoscere della teologia non è più la sola ragione, che usa l’analogia, ma una ragione illuminata dalla fede che si serve di una “sovranalogia” per potere penetrare nel mistero rivelato. Maritain rifiuta ogni forma di fideismo ed afferma che anche la teologia è una scienza, che usa l’intelligenza e le regole della logica come strumenti vitalmente illuminati dalla fede.

La conoscenza della saggezza teologica è ancora una conoscenza intellettuale di modo discorsivo, che non può soddisfare il desiderio dello spirito di conoscere Dio nella sua intimità più profonda, che solo l’amore può raggiungere. A questo punto, con Bergson, andando oltre s. Tommaso che non aveva analizzato a fondo questa via, Maritain individua una forma di conoscenza sperimentale di Dio come saggezza mistica. Si tratta della saggezza dei santi, di una saggezza infusa, che non è più di modo teoretico ma di modo pratico, una vera e propria esperienza soprannaturale ad opera della fede e dei doni dello Spirito Santo, che prelude alla visione beatifica della vita eterna, nella quale l’intelletto dell’uomo sarà reso proporzionale alla visione di Dio, oltre l’oscurità della fede, ed in Dio troverà la sua pace.

Saggezza metafisica, saggezza teologica, saggezza mistica; queste tre saggezze formano una gerarchia organica, per cui quella inferiore si apre a quella superiore senza essere disturbata nel suo ordine e nella sua autonomia: «In virtù di un dinamismo, consustanziale allo spirito, la saggezza inferiore tende da sé a quella superiore. Non che essa sia impotente di raggiungere da sé il suo oggetto proprio, il che sarebbe assurdo; ma perché il suo oggetto stesso, più essa lo conosce, più sveglia in essa il desiderio di una conoscenza più alta, e più, nel senso detto, scava in essa un vuoto, che essa stessa è essenzialmente incapace di colmare. Ciò non è perché essa conosce male, e nella misura che conosce male il suo oggetto, ma perché essa lo conosce bene, e nella misura che lo conosce. Così più essa beve e più ha sete» (Scienza e saggezza, p. 51). L’ordine delle saggezze non è solo un ordine oggettivo del sapere, ma è dinamismo interno allo spirito umano; e Maritain aggiunge: «Quest’ordine, che è l’ordine stesso dello spirito, è per l’essere umano l’ordine per eccellenza; tutti gli altri ordini più visibili, sociali, politici, economici, per importanti che siano al loro livello, sono secondari, vengono dopo di questo e del resto ne dipendono» (ibidem, p. 67).

  

V. La filosofia della natura

L’apporto più originale di Maritain al discorso epistemologico consiste nella rivalutazione della filosofia della natura, proposta come raccordo tra le scienze naturali e fisico-matematiche e la metafisica. A questa rivalutazione giunge fin dagli anni di Heidelberg, dove alla scuola di H. Driesch (1867-1941) apprende a correlare le ricerche biologiche con la filosofia di Aristotele, sostenuto in questa prospettiva naturalistica da quanto aveva appreso da Bergson. Ma è negli anni trenta che tiene alcune lezioni sull’argomento facendo anche la storia del problema a partire da Aristotele, il quale, distinguendo la «metafisica», come scienza dell’essere in quanto essere, e la «fisica», come scienza dell’essere mobile, ha posto le basi di questo sapere di natura filosofica, ma legato alla conoscenze scientifiche, da cui dipende ma da cui non deriva. Infatti il suo oggetto non è il mondo sensibile in se stesso, nella multiformità delle sue manifestazioni, diversamente osservabili e misurabili, ma è intelligibilità razionale dell’essere mobile. La filosofia della natura, che Aristotele chiama fisica, in lui come in tutti gli altri filosofi, è condizionata dalle conoscenze del proprio tempo, ma ha un suo preciso statuto epistemologico, che deriva dal primo grado di astrazione: «Le tre specie di astrazioni, fisica, matematica, metafisica (che sono dei gradi di visualizzazione tipologica) rispondono a tipi di operazione intellettiva essenzialmente diversi» (La filosofia della natura, p. 26). Questo statuto epistemologico è venuto meno con la rivoluzione galileo-cartesiana, che ha scambiato la conoscenza fisico-matematica della natura per filosofia della natura, dando origine ad un sapere formalmente matematico e materialmente fisico. In seguito, si è preso coscienza che questo tipo di sapere è un sapere di ordine fenomenologico e non ontologico, ma le scienze, con il positivismo, hanno rivendicato solo per loro tutta la conoscenza del mondo sensibile. L’assorbire tutte le scienze della natura nella filosofia è stato un errore della filosofia medioevale, ma l’errore contrario si è manifestato nella filosofia moderna: bisogna ora rifondare la filosofia della natura, distinguendo i diversi livelli di competenza tra le scienze sperimentali e la filosofia della natura, tra la matematica e la metafisica.

Maritain distingue le scienze della constatazione, che procedono con un’«analisi empiriologica», e le scienze della spiegazione, che procedono con un’«analisi ontologica». Il primo tipo di analisi cerca di osservare, misurare, calcolare il fatto fisico preso in considerazione, a prescindere dalla sua intelligibilità razionale. Il secondo cerca di dare una spiegazione intelligibile di quel medesimo fatto scrutandone l’essere intelligibile attraverso e al di là della percezione sensibile. «Perciò si può dire che nella spiegazione ontologica l’essere per quanto si resti nel primo grado di visualizzazione astrattiva, rimane considerato in ordine al dato sensibile ed osservabile, ma tuttavia lo spirito vi si dirige per cercare le ragioni intelligibili che trascendono già il senso» (ibidem, p. 68). Le scienze della natura e la filosofia della natura non sono due saperi paralleli e indipendenti, bensì si completano a vicenda; sono due modi di conoscenza che si muovono allo stesso livello, ma, «anche se accade che facciano uso degli stessi termini, il verbo mentale significato con lo stesso termine, è formato nei due casi in modo tipicamente diverso» (ibidem, p. 29). Maritain precisa: «non c’è altra scienza, altra conoscenza dei fenomeni della natura che la scienza empiriologica, la quale procede per segni e si accontenta umilmente di spiegare attraverso l’osservabile senza cercare di scoprire l’essenza. Essa poggia sull’essenza, ma ciecamente, senza scoprirla» (ibidem, p. 78). La filosofia della natura, invece, raggiunge l’essenza intelligibile del fatto fisico, ma ha bisogno di completarsi con la conoscenza empiriologica, «che è tuttavia specificatamente distinta da essa; segno evidente che la filosofia della natura e le scienze sperimentali appartengono ad una stessa sfera generica di sapere e che la filosofia della natura è fondamentalmente distinta dalla metafisica. La metafisica non ha bisogno di completarsi con le scienze dei fenomeni, essa le domina e ne è libera» (ibidem, p. 81).

Maritain approfondisce ulteriormente la sua riflessione e rileva: «l’empiriologia ha bisogno di riallacciarsi ad una scienza deduttiva, perché è nella deduzione che noi abbiamo il tipo più perfetto della spiegazione scientifica» (ibidem, p. 85). Se la scienza subalternante è la matematica avremo un’«analisi empiriometrica», che rileva gli aspetti quantitativi del fatto esaminato; se la scienza subalternante è la filosofia avremo un’«analisi empirioschematica», che incomincia a cogliere gli aspetti intelligibili della cosa proprio grazie alla filosofia della natura subalternante, ma sempre al livello di analisi fenomenologica. Maritain esemplifica con la biologia: c’è una biologia fisico-matematica, che misura e calcola gli aspetti fisico-chimici della vita, segue una biologia propriamente sperimentale , che studia la vita con «mezzi di pensiero, di nozioni, di definizioni di tipo empiriologico, risolvendo i suoi concetti nell’osservabile» (ibidem, p. 95); ed infine c’è una biologia filosofica, che cerca il fine della vita, investigando la natura intelligibile della vita organica. Non si può costituire scientificamente una bioetica se non si tiene conto di questi diversi approcci, integrandoli con le conoscenze metafisiche

L’antropologia, che studia l’uomo, un corpo animato, uno spirito incarnato, cioè un’essenza mista interamente spirituale e interamente materiale, è la parte più importante della filosofia della natura (cfr. Quattro saggi sullo spirito umano) e a questo riguardo Maritain rileva la necessità di distinguere la psicologia filosofica dalla psicologia sperimentale e raccomanda di non risolvere la ricerca sulla natura dell’uomo, essere libero e intelligente, nell’insieme delle scienze umane, che sono punti di vista fenomenologici sul comportamento umano. Non è compito degli psicologi e dei sociologi stabilire i fini dell’educazione e il fine della vita sociale. La pedagogia e la politica sono scienze di ordine filosofico che, raccordandosi con le scienze psicologiche e sociologiche, debbono individuare i fini della promozione educativa e dell’azione politica, sulla base della ontologia della persona umana.

  

VI. I gradi della conoscenza pratica

Sulla base dell'articolazione tra intelletto teoretico, “conoscere per conoscere”, e intelletto pratico, “conoscere per agire”, Maritain distingue due tipi di saperi: il sapere teoretico, che va delle cose alle idee, attraverso un processo di semplificazione dell'oggetto conosciuto, e il sapere pratico, che invece ridiscende dalle idee alle cose attraverso un processo di complicazione, perché deve unificare tutte le conoscenze in vista dei fini da porre all'azione da intraprendere. Così descrive questi due percorsi della mente: «La filosofia speculativa considera l'uomo e l'esistenza umana dal punto di vista delle essenze intelligibili. Al contrario la filosofia pratica considera l'uomo e l'esistenza umana dal punto di vista del movimento concreto e storico che li conduce al loro fine, dal punto di vista degli atti umani da porsi in essere, hic et nunc, conformemente alle loro regole. Sia l'uno che l'altro differiscono caratteristicamente fin dall'origine: il sapere teoretico s'innalza verso l’intemporale attraverso i tre momenti di rappresentazione astrattiva; il sapere pratico, ridiscendendo verso il tempo secondo un flusso continuo di pensiero che, dopo un momento in cui lo speculativo si mescola ancora al pratico e che è la filosofia pratica stessa, non si arresta che ad un ultimo momento tutto pratico, che è il giudizio prudenziale» (Scienza e saggezza, pp. 149-150). Nell’ordine pratico Maritain distingue dunque un sapere speculativamente pratico, che guida l’azione da lontano, ed è il piano della filosofia morale, e un sapere praticamente pratico, che guida l’azione da vicino, è il piano della politica, della medicina, della pedagogia, precisando che si tratta sempre di un sapere e non ancora di un fare. In questo processo di concretizzazione si possono individuare tre gradi di conoscenza a partire dalle “scienze morali”, che studiano le norme generali del comportamento, passando attraverso le “scienze giuridiche” che, nella loro articolazione in leggi con commi e paragrafi, rappresentano una sorta di quantificazione della norma, per giungere alle “scienze pratiche”, dove ciascuno è solo con la sua coscienza a determinare l'azione concreta da compiere. Dopo questo livello cognitivo delle scienze pratiche si passa direttamente all’azione, che non è più un saper fare ma un fare (cfr. Viotto, 1985).

L’analisi dell’attività cognitiva non sarebbe completa se non si considerasse, accanto alla teoresi e alla prassi, anche un altro modo di conoscere, la poiesi, cioè il “conoscere per fare”, che non riguarda più l'azione nella sua intenzionalità soggettiva, guidata dalla virtù della prudenza come recta ratio agibilium, ma l'opera stessa da compiere nella sua oggettività secondo la virtù dell’arte come recta ratio factibilium, che raggiunge la sua perfezione nella bellezza. Poiché la bellezza è lo splendore dell'essere, l'artista nel creare l'opera d'arte raggiunge la verità per un’altra via, che non è più quella concettuale dell'intelletto teoretico o dell'intelletto pratico, ma quella dell'intuizione creativa che coinvolge l'immaginazione fantastica e la sensibilità. Per Maritain la poesia, che, nelle profondità dell'inconscio spirituale, con la musica è a fondamento di ogni forma di arte, è una forma di “conoscenza oscura” che pone l'uomo a contatto con la realtà sopransensibile e sopraintelligibile, avvicinandolo alla mistica, anche se si serve di segni materiali per esprimersi. Maritain così precisa il suo pensiero: «Mentre la metafisica si situa sulla linea del sapere e della contemplazione della verità, la poesia si situa sulla linea del fare e del diletto della bellezza: si tratta di una differenza essenziale. La prima coglie lo spirituale in un'idea e con l'intellezione più astratta, l'altra lo intravvede nella carne e con quella punta del senso che viene acuminata dalla intelligenza; la prima gode il proprio bene solo quando si ritira nelle regioni eterne, l'altra lo trova a tutti i crocevia del singolare e del contingente; la metafisica muove alla caccia delle essenze e della definizioni, la poesia di ogni forma che riluca di passaggio, di ogni riflesso di un ordine invisibile; la metafisica isola il mistero per conoscerlo; la poesia, grazie agli equilibri che essa stessa costruisce, lo maneggia e lo utilizza come una forza sconosciuta» (Frontiere della poesia, pp. 17-18). La poesia, come la mistica, è una conoscenza oscura ma pur sempre un'autentica conoscenza, che comporta un certo senso logico, che ha un contenuto intelligibile da esprimere, anche se usa mezzi diversi della logica concettuale.

A questo riguardo è interessante rilevare come Maritain, nel recuperare il mondo dell’inconscio, che è alla radice di ogni esperienza poetica e di ogni esperienza mistica, vada oltre Sigmund Freud (1856-1939), delle cui ricerche riconosce l’importanza ai fini della terapia, ma di cui rifiuta le ambigue implicazioni filosofiche. Infatti, recuperando alcune tesi di Platone e di Plotino, Maritain afferma che accanto ad un inconscio subconoscio di natura carnale, agisce nelle profondità della vita dell’uomo un inconscio sovraconscio di natura spirituale: «Il punto che io sostengo è che tutto dipende dal riconoscimento dell’esistenza di un inconscio spirituale, o piuttosto di un preconscio di cui erano ben consapevoli Platone e i saggi antichi, e la trascuratezza del quale in favore dell’inconscio freudiano è solo un segno della insensibilità dei nostri tempi. Vi sono due specie di inconscio, due grandi regni dell'attività psicologica lontana dallo stato di consapevolezza: il preconscio dello spirito nelle sue fonti vive e l'inconscio della materia, istinti, tendenze, complessi, immagini e desideri repressi, ricordi traumatici, che costituiscono un insieme dinamico, chiuso e autonomo. Vorrei designare la prima specie di inconscio col nome di spirituale, o, per amore di Platone, inconscio o preconscio musicale; e il secondo con il nome di inconscio automatico, o inconscio sordo — sordo all'intelletto ed esistente in un mondo suo proprio, distinto dall'intelletto; potremmo anche dire, in senso del tutto generale, lasciando da parte ogni teoria particolare, inconscio freudiano. Queste due specie di vita inconscia sono in stretto rapporto e in continua comunicazione l'una con l'altra; nell'esistenza concreta esse di solito si mescolano e si frammischiano in modo più o meno grande; e io credo che mai — eccetto in qualche raro esempio di suprema purificazione spirituale — l'inconscio spirituale operi senza che l'altro sia presente, anche se in misura minima. Ma sono essenzialmente distinti e di natura completamente diversa» (L’intuizione creativa nella poesia e nell’arte, p. 100).

La saggezza e la prudenza, la poesia e la mistica sono forme diverse di conoscenza, che dal sensibile ci portano all’intelligibile fino a sfiorare l’Assoluto transintelligibile a cui non si può avere accesso, se non per rivelazione, e del quale solo nella visione beatifica si avrà piena conoscenza.

  

VII. La filosofia della storia e del diritto

La storia come tale non è una scienza, in quanto la spiegazione offerta dallo storico, attraverso l’analisi delle circostanze in cui accadono gli eventi singoli, è una spiegazione del particolare per mezzo del particolare, e Maritain, che concorda con H. Marrou (cfr. La conoscenza storica, Milano 1954), rileva: «La verità storica è differente dalla verità scientifica, di cui non possiede lo stesso tipo di oggettività, perché la verità della storia è una verità di fatto, non una verità razionale» (Per una filosofia della storia, p. 16). Anche l’arte non è una scienza, ma è possibile una filosofia dell’arte; così se la storia non è una scienza, è possibile una filosofia della storia, la quale ha il medesimo “oggetto materiale” della storia, ma un diverso “oggetto formale”, in quanto non studia l’evento storico nella sua realtà effettuale, ma «il significato intelligibile della successione o dello sviluppo degli eventi nel tempo» (ibidem, p. 12), tenendo comunque presente che «la storia non può essere razionalmente spiegata, né ricostruita secondo leggi necessitanti» (ibidem, p. 33). Le leggi del divenire naturale sono necessarie, ma il corso degli avvenimenti dipende dal libero arbitrio degli uomini e dalla influenza delle mozioni di Dio; per cui: «Un’autentica filosofia della storia non mira a smontare i meccanismi e gli ingranaggi della storia umana per vedere come funziona e per dominarla intellettualmente. La storia per essa non è un problema da risolvere, ma un mistero da contemplare: un mistero che, in un certo senso, è sovraintelligibile (in quanto dipende dai disegni di Dio), e, in un altro senso, infraintelligibile (in quanto implica la materia e la contingenza)» (ibidem, p. 32). Per Maritain, poiché il fine della storia non è immanente alla storia, come pensa l’idealismo hegeliano, perché il fine ultimo è il Regno di Dio, che è nella storia anche se non è della storia, una vera filosofia della storia deve subalternarsi alla teologia come la filosofia morale adeguatamente presa. In questa prospettiva Maritain ricerca la leggi che regolano il divenire della cultura e della società a partire dalla legge del doppio progresso contrastante, per cui il bene e il male crescono insieme e si condizionano vicendevolmente, e nessun periodo della storia può essere assolutamente condannato o assolutamente assolto.

Maritain, mediante l’analisi dello sviluppo della coscienza umana, servendosi anche della etnologia, recupera la nozione di «diritto naturale», che nella sua fondazione oggettiva trascende il divenire storico e si fonda sulla legge eterna, ma nella progressiva conoscenza da parte dell’uomo dipende dal divenire storico. Si tratta di una legge non scritta, che presuppone l’esistenza di una natura umana uguale per tutti e capace di agire in vista di fini liberamente assunti: «Il diritto naturale concerne i diritti e i doveri che derivano dal primo principio: “fare il bene ed evitare il male”, in maniera necessaria e per il solo fatto che l’uomo è uomo in assenza di ogni altra considerazione. È per questo che i precetti della legge non scritta sono da sé o nella natura delle cose (io non dico nella conoscenza che l’uomo ne ha) universali e invariabili» (I diritti dell’uomo e la legge naturale, p. 63). Non è dunque la ragione a fondare questa legge, come intendevano i giusnaturalisti, da Grozio a Kant, che meglio si potrebbero chiamare giusrazionalisti, ma l’esistenza di Dio, Legislatore e Remuneratore, che la coscienza umana — ammettendo che il bene non è bene perché è comandato dalla coscienza, ma è comandato dalla coscienza perché è bene in se stesso — implicitamente riconosce. L’atteggiamento pratico della coscienza morale davanti al bene e al male comporta una sorta di conoscenza istintuale, che Maritain descrive: «questo genere di conoscenza non è una chiara conoscenza per concetti e giudizi concettuali; è una conoscenza oscura, asistematica, vitale che procede per esperienza tendenziale o connaturalità, dove l’intelletto per giungere al giudizio consulta e ascolta l’intima melodia prodotta dalle vibrazioni delle sue tendenze interiori» (L’uomo e lo Stato, p. 116). Sulla base di questa conoscenza per connaturalità l’uomo può sapere che «ogni cosa esistente nella natura, una pianta, un cane, un cavallo, ha la sua legge naturale, vale a dire la sua normalità di funzionamento, un modo proprio nel quale, in ragione della sua struttura e dei suoi fini specifici deve raggiungere la pienezza tipica del suo essere, sia nella crescita che nel funzionamento» (ibidem, p. 100). Il diritto naturale non nasce dunque contrattualisticamente da una relazione intersoggettiva tra gli uomini, avente soltanto un valore formale, come ritiene H. Kelsen (1881-1973), ma deriva dal riconoscimento di una legge oggettiva, trascendente la coscienza. Nell’ordine gnoseologico prima viene la coscienza poi Dio, altrimenti non sarebbe necessario dimostrare l’esistenza di Dio, ma nell’ordine ontologico prima viene Dio e poi la coscienza umana; e Maritain conclude, superando ogni forma di soggettivismo e di volontarismo: «La nozione di legge è strettamente legata a quella di ragione ordinatrice; perché la volontà come tale non è fonte di ordine» (Nove lezioni sulla legge naturale, p. 60).

Il diritto naturale, proprio dell'uomo in quanto uomo, ha una sua prima concretizzazione pratica nel “diritto delle genti”, lo Jus gentium dei romani e la Common law degli anglosassoni. Anche i popoli, come comunità naturali, hanno diritto all'esistenza, alla conservazione delle loro tradizioni culturali, perché sono come delle persone morali, la cui dignità e sicurezza vanno riconosciute dagli organismi internazionali. Il diritto delle genti viene concordato tra i popoli mediante le dichiarazioni dei diritti dell'uomo, che le assemblee internazionali via via vanno formulando, ad un livello più di princìpi pratici che di princìpi teoretici, essendo difficile raggiungere una comune definizione teoretica dei diritti tra uomini di cultura diverse. Maritain analizza questo livello giuridico: «Il diritto delle genti è difficile da definire, in quanto intermedio tra la legge naturale e la legge positiva. Diciamo che, nel suo significato più profondo e più autentico, quello a cui guardava s. Tommaso, il diritto delle genti, o per meglio dire la legge comune della civiltà, differisce dalla legge naturale, perché è conosciuto non per inclinazione, ma attraverso l'esercizio concettuale della ragione, o per via di conoscenza razionale; in questo senso esso è nella stessa condizione della legge positiva e costituisce formalmente un ordine giuridico (anche se non necessariamente dipendente da un codice scritto). Ma per quanto riguarda il suo contenuto lo jus gentium include le cose che appartengono anche alla legge naturale» (L’uomo e lo Stato, p. 115) e che non sono ancora state definite nel diritto positivo.

Lo Stato, come espressione della volontà popolare, concretizza ulteriormente la legge naturale nel diritto positivo, che regola i rapporti tra i cittadini di una medesima società civile. Infatti lo Stato è legittimamente tenuto a definire i suoi ordinamenti, perché: «è la stessa legge naturale che vuole che tutto ciò essa lascia indeterminato venga ulteriormente determinato, come un diritto o un dovere esistente per certi uomini a motivo delle regolazioni umane e contingenti proprie del gruppo sociale di cui fanno parte» (ibidem, p. 117). Ma non bisogna confondere quest'ultimo livello di concretizzazione giuridica, proprio della legalità, con la moralità, nel qual caso lo Stato diventerebbe un assoluto etico (come voleva Hegel). Le motivazioni morali, che fondano il rispetto della legge civile, riguardano la coscienza di ciascun uomo e la coscienza dell'uomo trascende sempre la legge dello Stato, per cui una legge che sia contro la retta coscienza, anche se è legittima è ingiusta, e lo Stato democratico deve garantire l'obiezione di coscienza.

Maritain per la teoresi, sulla base del principio del distinguere per unire, ha individuato i diversi gradi del sapere dalle scienze naturali dell’infraintelligibile, attraverso le scienze umane proprie dell’intelligibile (matematica e filosofia) fino alle scienze divine del mondo sovraintelligibile (teologia e mistica); per la prassi ha indicato i diversi piani dell’azione dalla teologia morale, attraverso la filosofia morale e il diritto, fino alle scienze pratiche (pedagogia, politica, medicina, ecc.) che operano nella concretezza dell’azione da compiere. La teoresi sale dal sensibile all’intelligibile, la prassi discende dall’intelligibile al sensibile. La riflessione epistemologica maritainiana ha pure preso in considerazione la poiesi individuando nell’arte la mediazione tra l’intelligibile e il sensibile. Per conoscere la verità, nella scienza prevale l’oggettività sulla soggettività; per la responsabilità della intenzione, nella virtù prevale la soggettività sull’oggettività; nell’arte si coglie il punto di equilibrio tra soggettività e oggettività nella bellezza estetica.

  

Bibliografia

Opere di J. Maritain. Oeuvres Complètes, 16 voll., Editions Universitaires Fribourg - Editions Saint Paul, Paris 1986-2000; The Collected Works of Jacques Maritain, University of Notre Dame Press, Notre Dame (IN). La bibliografia completa dei singoli volumi e delle traduzioni italiane in P. Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 124-158; E. Gilson - J. Maritain, Correspondance 1923-1971, Vrin, Paris 1991; J. Maritain - Ch. Journet: Correspondance, 1920-1973, 6 voll., Editions Universitaires Fribourg - Editions Saint-Paul, Paris, vol. I (1920-1929) 1996; vol. II (1930-1939) 1997; vol. III (1940-1949) 1998; vol. IV (1950-1958) 2000. Edizioni italiane delle opere di Maritain citate nel testo: Per una filosofia della storia, Morcelliana, Brescia 1967; Il filosofo nella società, Morcelliana, Brescia 1972; Distinguere per unire: I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 1974; La filosofia della natura, Morcelliana, Brescia 1974; Sulla filosofia cristiana, Vita e Pensiero, Milano 1978; Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione d'incarnazione Morcelliana, Brescia 1978; Frontiere della poesia, Morcelliana, Brescia 1981; L'intuizione creativa nell'arte e nella poesia, Morcelliana, Brescia 1983; Nove lezioni sulla legge naturale, Jaca Book, Milano 1985; Scienza e saggezza, Borla, Roma 1985; Riflessioni sull'intelligenza, Massimo, Milano 1987; Elementi di filosofia: I. Introduzione alla filosofia, Massimo, Milano 1988; II. Logica minore, Massimo, Milano 1990; I diritti dell'uomo e la legge naturale, Vita e Pensiero, Milano 1991; L'uomo e lo Stato, Vita e Pensiero, Milano 1992.

Principali opere su J. Maritain: Bibliografia completa in D. Gallagher, J.L. Allard, P. Viotto, B. Hubert, Bibliographie sur Jacques et Raissa Maritain, in “Notes et documents” n. 49/50, mai-décembre 1997; G.B. Phelan, Jacques Maritain, Sheed and Ward, New York 1937; G. Dal Mazaro, J. Maritain: la filosofia contro le filosofie, Istituto Bibliografico, Roma 1945; E.M. Labourdette, Connaissance pratique et savoir moral en Jacques Maritain, “Revue thomiste” 56 (1948), pp. 142-179; A.C. Fecher, The philosophy of Jacques Maritain, Newman Press, Westminster (MD) 1953; N. Padellaro, J. Maritain, La Scuola, Brescia 1953; J. Croteau, Les fondaments thomistes du personnalisme de Maritain, Editions de l'Université d'Ottawa, Ottawa 1955; A.H. Winsnes, Jacques Maritain, saggio di filosofia cristiana, SEI, Torino 1960; J.J. Sikora, The Scientific Knowledge of Physical Nature, Desclée, Paris 1966; G. Barbiellini Amidei, Dopo Maritain, Borla, Torino 1967; G. Garofalo, J. Maritain, Resta, Bari 1969; G. Zappone, L'ultimo Maritain, La Nuova Cultura Editrice, Napoli 1969; A. Leonarduzzi, La psicoanalisi nel giudizio di Maritain, “Pedagogia e vita” 37 (1975-76), pp. 167-174; J. Daujat, Maritain un maitre pour notre temps, Téqui, Paris 1978; R. Papini (a cura di), J. Maritain, e la società contemporanea, Massimo, Milano 1978; V. Possenti (a cura di), Jacques Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano 1983; S. Agostinis (a cura di), Filosofia e scienze della natura in Maritain, Massimo, Milano 1983; P. Nepi (a cura di), J. Maritain e la liberazione dell'intelligenza, Morcelliana, Brescia 1983; V. Possenti, Una filosofia per la transizione: metafisica, persona e politica in J. Maritain, Massimo, Milano 1984; R. Carmignani, P. Rizzuto (a cura di), J. Maritain protagonista del XX secolo, Massimo, Milano 1984; S. Agostinis, Gli scritti di Maritain sulla filosofia della biologia, Istituto Marchigiano Maritain, Ancona 1984; G. Fidelibus, Realismo critico e critica della conoscenza nella filosofia di J. Maritain, “Sapienza” 37 (1984), pp. 3-28; J.L. Allard (a cura di), J. Maritain: philosophe dans la cité, a philosopher in the World, Editions de l'Université d'Ottawa, Ottawa 1985; M. Buscemi, P. Rizzuto (a cura di), J. Maritain e il pensiero contemporaneo, Massimo, Milano 1985; A. Pavan, La formazione del pensiero di J. Maritain, Gregoriana, Padova 1985; P. Viotto, Per una filosofia dell’educazione secondo Maritain, Vita e Pensiero, Milano 1985; F. Moreno, Actualidad de J. Maritain, Marraci, Santiago del Cile 1987; J.R. Barca e D. Barcala, El pensamiento de J. Maritain, Concel, Madrid 1988; J. McDermott, Maritain: Natural Science, Philosophy and Theology, in “Teologia e scienze nel mondo contemporaneo”, Massimo, Milano 1989, pp. 227-244; C. Di Mari, La paideia di J. Maritain, Herbita, Siracusa 1990; R. Albarea, Arte e formazione estetica in J. Maritain, Morelli, Verona 1990; G. Rizzi, L'uomo in Maritain, Logos, Roma 1990; M. Lorenzini, L'uomo in quanto persona, ESD, Bologna 1990; M. Zito, Gli anni di Meudon, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1990; P. Viotto, Scienze umane, etica e impegno educativo, “Per la filosofia” 7 (1990), n. 19, pp. 56-63; O. Lacombe, Jacques Maritain: la générosité de l'intelligence, Téqui, Paris 1991; B. Hubert, Y. Floucat (a cura di), J. Maritain et ses contemporaines, Desclée, Paris 1991; P. Viotto, La scienza pratica nel realismo esistenziale di Maritain, “Per la filosofia” 8 (1991), n. 23, pp. 110-119; G. Prouvost, La phylosophie dans la foi selon Jacques Maritain, Téqui, Paris 1991; R. Maritain, I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 19912; C. Romano, J. Maritain, protagonista del nostro tempo, Editoriale Agire, Salerno 1991; P. Nickl, J.Maritain. Eine Einfuhrung in Leben und Werk, F. Schoningh, Paderborn 1992; B. Razzotti, Maritain: scienza e sapienza, Edizioni Vivere in, Roma 1992; L. Grassi, Jacques Maritain, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1993; Ph. Chenaux, Paul VI et Maritain, les rapports du Montinianisme et du Maritanisme, Studium, Roma 1994; M. Bressolette (a cura di), J. Maritain face à la modernité, Presses Univeritaires du Mirail, Toulouse 1995; J.L. Barré, Jacques et Raissa Maritain: biographies croisées, Stock, Paris 1995; G. Galeazzi, J. Maritain un filosofo per il nostro tempo, Istituto Europeo di Cultura Germanica, Ancona 1995; Y. Floucat, J. Maritain ou la fidélité à l’Eternel, Fac, Paris 1996; L. Malusa, A Campodonico (a cura di), J. Maritain, riflessioni su una fortuna, F. Angeli, Milano 1996; V. Possenti (a cura di), J. Maritain e la filosofia dell’essere, Il Cardo Editore, Venezia 1996; C.A. Scarponi, La filosofia de la cultura en J. Maritain, Ediciones Universidad Catolica Argentina, Buenos Aires 1996; B. Hubert (a cura di), J. Maritain en Europe, la réception de sa pensée, Beauchesne, Paris 1996; L.F. Almeida Sampaio, L'intuintion dans la philosophie de J. Maritain, Ediciones Loyola, San Paolo del Brasile 1997; B. Hubert, J. Maritain et la science, “Revue Thomiste” 98 (1998), pp. 433-468 e 562-590; P. Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000; J.-L. Barré, Jacques e Raissa Maritain, i mendicanti del Cielo, Paoline, Milano 2000.

Fascicoli monografici di riviste dedicati a J. Maritain: The Thomist, 6 (1943), n. 5; Revue thomiste 56 (1948), nn. 1-2; Política y Espíritu (1949), nn. 39-40; Recherches et Débats (1957) n. 19; Humanitas 27 (1972), nn. 8-9; Vita e Pensiero 56 (1973), n. 1; Nova et Vetera 48 (1973), n. 3; Cahiers Jacques Maritain 4-5 (1982); Giornale di metafisica n.s. 4 (1982), n. 3; Pedagogia e Vita 44 (1982/3), n. 1; Angelicum 64 (1987), n. 1; Divus Thomas 97 (1994), n. 7; Per la filosofia 15 (1998), n. 44.