La storia della luce, fino dai tempi più remoti, documenta il perenne fascino che questa entità imponderabile porta con sé, almeno per il fatto che pur non essendo essa stessa vista permette ai nostri occhi di vedere il mondo che ci circonda. E ciò che è ancora più sorprendente è il fatto che tale fascino è stato in grado di resistere ai diversi, anche radicali cambiamenti di concezione della natura, della scienza e delle diverse teorie fisiche della luce.
Da taluni fu concepita addirittura come qualcosa di non materiale o addirittura spirituale, per quella sua capacità di attraversare se stessa senza scontrarsi, come accade a due raggi luminosi che si incrociano senza disturbarsi, a differenza di quanto fanno i corpi materiali solidi che non si possono che urtare senza attraversarsi. Da altri fu pensata come costituita di particelle così minuscole da risultare inafferrabili. Sarà proprio questo modello meccanico corpuscolare della luce il primo ad essere preso in considerazione nel quadro della scienza moderna, ad opera di Isaac Newton (1642-1727); una teoria che verrà falsificata a causa della sua previsione erronea della velocità della luce nei mezzi rifrattivi. Al suo posto avrà, invece, successo la teoria alternativa di Christiaan Huygens (1629-1695), basata su un modello ondulatorio della luce, capace della corretta previsione delle velocità di propagazione.
Da questo momento in avanti sarà proprio la velocità della luce nello spazio vuoto, denotata oggi con la lettera c quale costante fisica per eccellenza, con quell’incredibile valore di circa 300.000 km/sec dimostratosi poi invalicabile, a dominare la scena, aprendo un nuovo capitolo della storia della fisica. Un capitolo che vedrà, un po’ alla volta, emergere il ruolo delle costanti universali fondamentali: la velocità della luce c, la carica elementare e della quale tutte le cariche elettriche risulteranno essere multipli interi (almeno fino a quando non si farà l’ipotesi della carica frazionaria dei quark del modello standard), le cariche delle altre interazioni fondamentali (forte e debole), la costante ridotta di Planck h e poi soprattutto le loro combinazioni adimensionali (come, ad esempio, la costante di struttura fine α = e2/ℏc e le analoghe relative alle altre interazioni) con il loro carattere assoluto di indipendenza dalla scelta del sistema di unità di misura, come indicatori dei rapporti tra le intensità delle interazioni fondamentali. L’importanza di queste due costanti indipendenti c e h è risultata tale che esse vengono prese molto spesso come unità di misura “naturali” delle velocità e del quanto d’azione nella fisica delle particelle (ℏ = c = 1).
La luce è il primo fenomeno a rivelare questo carattere di “assolutezza” di uno dei suoi parametri, la velocità. Le equazioni dell’elettromagnetismo di Maxwell (1831-1879) già nascondevano, in qualche modo questo segreto, per il fatto che in esse la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche compariva senza chiamare in causa un particolare sistema di riferimento rispetto al quale misurarla. Sarà proprio la teoria della Relatività speciale di Einstein (1879-1955), dopo i risultati del famoso esperimento di Michelson-Morley del 1887, a svelarlo assumendolo come un principio fondamentale della nuova meccanica relativistica, il principio di costanza della velocità della luce: “la luce viaggia nel vuoto alla stessa velocità c rispetto a qualunque osservatore”. Abbinando questo nuovo principio, del tutto rivoluzionario e contro-intuitivo alla scala delle velocità della nostra esperienza quotidiana, al principio di relatività galileiana esteso dalla meccanica a tutte le leggi della fisica, è nata la Relatività ristretta o speciale di Einstein, pubblicata nel 1905. Dopo un primo momento di sconvolgimento – in cui sembrava che tutto, lo spazio, il tempo, la massa, fossero relativi all’osservatore e che tutto, in fisica, fosse diventato “soggettivo”, una volta scoperta la struttura quadrimensionale dello spazio-tempo (divenuto noto poi come spazio di Minkowski) e concepita la formulazione covariante della Relatività – è nata la “caccia agli invarianti”, e la fisica è divenuta una ricerca degli assoluti e di un modo, indipendente dall’osservatore, di scrivere tutte le sue leggi fondamentali. Una buona fisica deve presentarsi con una forma assoluta, cioè deve presentare le sue leggi con la stessa forma ad ogni osservatore. La sorpresa più inimmaginabile la Relatività speciale la fece comparire però quando, non limitandosi ai suoi aspetti cinematici (trasformazioni di Lorentz, contrazione delle lunghezze, dilatazione del tempo, composizione delle velocità) sviluppò le sue conseguenze dinamiche, con l’apparire di quella che è diventata, potremmo dire senza dubbio, la formula più famosa e perfino popolare del mondo, quella dell’equivalenza tra massa ed energia: E = mc2. Anche in questo caso è la velocità della luce c a giocare il ruolo chiave che raccorda la massa al suo equivalente energetico e viceversa. Un risultato strepitoso e spaventoso al tempo stesso, dato il valore enorme del quadrato della velocità della luce rispetto alle nostre ordinare unità di misura. Una formula divenuta basilare prima nella fisica nucleare e ora in tutta la fisica delle particelle elementari che viaggiano a velocità prossima o uguale a quella della luce. Questa formula ha rivelato anche qualcosa di inaspettato sulla natura della luce stessa, che possedendo un’energia in quanto radiazione elettromagnetica, risultava dover possedere anche una massa equivalente pari a E/c2. La qual cosa doveva significare che la luce non qualcosa di immateriale, come la pensavano alcuni tra gli antichi, ma un’entità che, come la materia comune possiede proprietà inerziali e gravitazionali essendo dotata di una massa; certo non di una massa “a riposo”, perché la luce è sempre in moto con velocità c rispetto a chiunque la osservi e mai in quiete, ma di una massa equivalente alla sua energia cinetica. La sua inerzia poteva essere rivelata non accelerandola tangenzialmente, dal momento che il valore della sua velocità scalare non può cambiare, dovendo rimanere sempre uguale a c, ma accelerandola facendola incurvare, con l’attrazione gravitazionale di grandissime masse stellari. A questo punto dovrà essere la Relatività generale (pubblicata nel 1916) ad entrare in scena prevedendo la deflessione dei raggi luminosi provenienti da stelle lontane nel loro passaggio in prossimità del sole o di grandi ammassi stellari.
La Relatività ci dirà poi altre cose ancora sulla natura della luce quando si combinerà con la meccanica quantistica. Si tratta di una “fusione” per ora fatta “a mano” dal momento che non abbiamo ancora una teoria che unifichi concettualmente le due prospettive, quella della Relatività e quella della meccanica quantistica, ma che è stata comunque in grado di dirci moltissime cose sul mondo. In primo luogo questa combinazione darà vita ad una teoria quantistica della “luce” (dove con questo termine ormai si intende sono solo la piccola fetta dello spettro visibile, ma l’intera banda elettromagnetica), l’elettrodinamica quantistica e poi ad una teoria quantistica di tutti i campi. Da questo incontro abbiamo imparato, ad esempio a distinguere bene la “materia” dalla “radiazione”, distinguendo le particelle che non possono occupare uno stesso stato quantico (fermioni: quark, leptoni e loro combinazioni) che hanno le caratteristiche di impenetrabilità tipiche di quella che comunemente chiamiamo materia ordinaria, da quelle che possono farlo senza problemi (bosoni: fotoni, W±, Z0, gluoni, gravitoni) responsabili delle interazioni fondamentali tra le particelle della precedente categoria. E così abbiamo capito che la luce stessa è fatta di onde-particelle i cui pacchetti, i fotoni, che trasportano un’energia E proporzionale alla frequenza ν dell’onda elettromagnetica associata (E = hν), ed è quindi anch’essa una forma di materia che potremmo chiamare penetrabile.
La Relatività generale ha dato vita anche ad una cosmologia relativistica con la sorpresa della comparsa di una singolarità all’origine dell’universo (divenuta popolarmente nota come big-bang) che possiamo osservare e la scoperta ad opera di Edwin Hubble (1889-1953) della sua espansione evidenziata dallo spostamento Doppler relativistico delle righe dello spettro della luce proveniente dalle stelle più lontane. La scoperta della radiazione cosmica di fondo o radiazione fossile ad opera di Arno e Penzias nel 1965 – anche questa una forma di luce invisibile e debolissima, – ce ne ha dato la conferma sperimentale. Lo studio della luce proveniente dai confini estremi dell’universo, nel contesto della cosmologia relativistica ci porta ancora informazioni affascinanti su quelli che oggi chiamiamo i primi istanti della vita a noi conosciuta dell’universo, là dove cosmologia e teoria delle particelle elementari coesistono in un’unica affascinante teoria che vede insieme lavorare la Relatività generale, la teoria quantistica dei campi, il modello standard della teoria delle particelle, e talvolta non senza ulteriori congetture che per il momento hanno un sapore quasi fantascientifico se non metafisico.
La Relatività ha consentito ancora di prevedere e poi riscontrare sperimentalmente, sebbene in modo indiretto, l’esistenza di oggetti cosmici noti come “buchi neri” (black holes), così densi di materia da non consentire neppure alla luce di emergere dal loro interno se non per effetto tunnel, con una sorta di “evaporazione quantistica” che permette di attraversare anche le barriere di potenziale più insormontabili.
La luce e le teorie della Relatività sono in qualche modo inseparabili e dobbiamo dire che queste ultime non sarebbero mai state nemmeno pensabili senza una riflessione sulle le straordinarie proprietà fisiche della luce, ad incominciare da quella che abbiamo citato all’inizio della indipendenza dal sistema di riferimento dell’osservatore della sua velocità di propagazione nel vuoto. Con le teorie della Relatività l’uomo ha finora scritto una delle pagine più importanti della sua comprensione del cosmo. Una comprensione che continua a stupirci, a motivo della sintonia esistente fra le nostre rappresentazioni del reale fisico e le leggi che la realtà stessa sembra custodire al suo interno. Scoprirle è parte dell’avventura della scienza, un’avventura che, pur attraverso le sue incertezze e i suoi errori, procede correggendo se stessa, e dunque mostrandosi come cammino di conoscenza autentica, come impresa di verità.