Apparse originariamente nella rivista tedesca Schildgenossen, le Lettere dal Lago di Como rappresentano ormai un testo classico, breve (poco più di 100 pagine) ma incisivo, che contiene le riflessioni dell’A. sul rapporto fra l’uomo e il progresso tecnico. L’occasione delle Lettere è suscitata dall’osservazione della progressiva invasione della tecnica nei paesaggi e nella vita sociale attorno al Lago di Como, ove Guardini trascorreva alcuni periodi di riposo, e che egli vede come un processo incipiente, sulla scia inesorabile di quanto già avvenuto nelle regioni dell’Europa centro-settentrionale. Il modo in cui l’A. riflette sul rapporto fra uomo e natura non è convenzionale né semplicista: ciò che lo interessa di più è cogliere i motivi dello scarto fra “cultura” (nel senso più fortemente antropologico del termine) e tecnica, rilevando che le modalità con cui l’uomo esercitava in passato il suo controllo sulla natura non sfuggivano mai al dominio “culturale” dell’uomo, ovvero alla primazia del suo umanesimo, un dominio che sapeva conservarsi armonico ed equilibrato. Il progresso tecnico dell’epoca moderna pare aver rotto questo equilibrio, giungendo per la prima volta a presentarci “forme di progresso non umane”. Le riflessioni di Guardini partono dalla vita vissuta — la lettura di questo saggio è attraente anche per questo — ma sanno ascendere alla generalità e all’aspetto teoretico dei problemi. Il lettore dovrà avere la pazienza di giungere fino alla nona ed ultima lettera, intitolata “Il nostro compito”, che contiene la chiave di lettura di tutto il saggio. Ciò che nelle precedenti lettere poteva sembrare un semplice sfogo nostalgico, diviene nelle riflessioni finali una visione ricca di ottimismo e di speranza, conducendo il lettore verso la precisa proposta di una “nuova umanizzazione della tecnica”. Il progresso tecnico, in sé, non è certamente un male, conclude finalmente Guardini, ma lo diviene quando a non crescere in armonia con il progresso è la dimensione autenticamente umana, e perciò spirituale, dell’uomo e della società in cui egli vive. Non è la tecnica che va frenata, ma l’umanità a dover essere accresciuta, consentendo all’essere umano di essere sempre signore e non schiavo di ciò che realizza e produce. Questo compito di “umanizzare la tecnica” si riallaccia per l’A. con il mandato originario della Genesi, in quanto il comandamento di dominare e assoggettare la terra ha, nelle sue risonanze esegetiche e spirituali più profonde, la valenza di umanizzare la terra, di renderla adatta allo sviluppo della vita umana e alla piena espressione delle sue dimensioni spirituali e trascendenti.
Lettere dal lago di Como. La tecnica e l’uomo
Scheda del libro nella sezione Abbiamo studiato per voi