Proponiamo qui ai nostri lettori la parte finale dello scritto “Dissezione della testa di un Canis carcharias” di Niccolò Stenone. L’autore è ormai quasi unanimemente considerato il fondatore della geologia, la scienza della terra. L’opera che lo ha consacrato a questo ruolo storico è il “De solido intra solido naturaliter contento (Sui solidi naturalmente contenuti in altri solidi), del 1669. Tuttavia, nell’opera da cui traiamo l’estratto che segue, Stenone aveva già posto le basi per le idee che lo porteranno al “De solido”, e quindi a fondare la geologia moderna. Infatti, in calce al suo resoconto della dissezione della testa della squalo bianco (il Canis carcharias che gli fu affidato, su ordine di Ferdinando de’ Medici, per i suoi studi di anatomia), Stenone propone una “digressione” su quelli che, anche grazie a lui, saranno riconosciuti come fossili di organismi biologici rimasti per migliaia e milioni di anni negli strati geologici del pianeta. Il legame delle sue idee sui fossili con l’anatomia dello squalo sta nelle cosiddette glossopetre. Queste sono, oggi è chiarissimo, denti di squalo fossilizzati. Ma ai tempi di Stenone (e nel secolo precedente) c’era un gran dibattito sulle glossopetre – anche per via delle loro presunte proprietà curative – ed erano per lo più ritenuti oggetti di pietra la cui origine biologica spesso non era riconosciuta. Stenone intuì proprio questo punto e mostrò l’estrema somiglianza di dettaglio tra le glossopetre e i denti da squalo da lui analizzati, suggerendo al contempo i meccanismi grazie ai quali i denti di squalo potevano trovarsi incastonati nelle rocce sulla terraferma. Questa intuizione lo portò – insieme ad altre osservazioni e studi – ad avviare la scienza geologica e anche, più in generale, una visione storica, dinamica ed evolutiva della natura.
Le glossopetre
Non è ancora stata risolta la disputa sulle glossopetre più grandi, se cioè siano denti di pescecane o pietre provenienti dalla terra. Alcuni hanno preteso che i corpi che vengono estratti dalla terra, simili a parti di animali, siano i resti di animali che vivevano un tempo in quei luoghi; altri, senza chiamare in causa gli animali, credono che siano stati prodotti nel luogo stesso. Io non ho ancora di questo argomento una conoscenza tale da potere esprimere qui il mio parere, e sebbene il mio peregrinare mi abbia condotto per diversi luoghi di tal genere, tuttavia non oserei garantire che quello che potrò osservare nella parte restante del mio viaggio sarà simile a ciò che finora ho osservato; soprattutto perché non ho ancora visto quello che il mio famosissimo maestro Bartholin ha osservato nel suo viaggio a Malta.
Pertanto come avviene in tribunale, in cui uno ha il ruolo del reo e un altro quello di accusatore, ed entrambi si rimettono alla sentenza del giudice, così io da ciò che ho osservato finora potrei produrre le prove per le quali quei corpi vengono attribuiti ad animali, ma forse in un altro momento potrò esporre le ragioni di un parere contrario, sempre attendendo il giusto parere da chi ne sa di più.
Digressione sui corpi simili a parti di animali che sono estratti dalla terra
Inizio quindi la presente digressione sull'origine dei corpi simili a parti di animali, che vengono estratti dalla terra, e sui terreni medesimi, a condizione che le cose che sto per dire su questo argomento incerto si ritengano anch'esse incerte. Ma perché il lettore, aspettandosi molte nuove rivelazioni, non si lamenti poi di essere rimasto deluso nella sua attesa, voglio che sia preavvisato che alcune di queste osservazioni sono già state proposte da altri; molte di esse sono dovute a osservazioni dei miei maestri, ve ne saranno pochissime delle quali io stesso non sia stato testimone oculare.
Le cose che su queste terre e su questi corpi si sanno per esperienza
1. Il terreno, da cui vengono estratti corpi simili a parti di animali marini, in alcuni punti è più duro, come il tufo e le pietre di altra specie; in altri punti e più molle, come l'argilla e la sabbia.
2. Il medesimo terreno, più molle o più duro, è quasi dovunque compatto e resistente a una pressione non troppo violenta.
3. In diversi luoghi ho visto che il medesimo terreno è composto di strati sovrapposti l'uno sull'altro e inclinati rispetto all'orizzonte.
4. Nel terreno argilloso ho osservato che questi strati, diversi fra di loro di colore, in vari punti erano divisi in due parti e tutte le fessure, ripiene di una materia di un solo colore, erano quasi perpendicolari agli strati stessi.
5. In quei terreni che mi è capitato di osservare finora, erano nascosti nello stesso terreno, ora più duro, ora più molle, corpi di vario genere.
6. Nell'argilla ho notato che il numero di quei corpi era più abbondante alla superficie del terreno, piuttosto scarso dentro al terreno stesso.
7. Nella stessa argilla ho osservato che tali corpi sono tanto più teneri quanto più profondamente si scende nel terreno; anzi alcuni di essi al più lieve contatto si dissolvono in polvere: quasi tutti quelli che erano in superficie si riducevano facilmente in polvere bianca.
8. Ho osservato che nella roccia tali corpi si trovano con maggior frequenza e sono, in tutta la roccia, della medesima consistenza; vi sono infissi come se fossero stati saldati con calce o gesso.
9. I corpi simili a parti diverse di animali marini, estratti da un terreno più duro o più molle, sono molto simili non solo fra loro, ma anche alle corrispondenti parti di animali; non vi è alcuna differenza nelle striature, nella connessione delle lamelle, nei giri e nelle sinuosità delle parti cave, nelle commessure e nei cardini dei testacei bivalvi.
10. Tali corpi o sono più solidi, come sassi, o meno solidi, e questi facilmente si riducono in polvere.
11. In alcuni luoghi si trovano numerosi gusci di testacei di varia forma, induriti in un solo blocco; talvolta si estraggono anche pettini e conchiglie spezzate; inoltre sono state viste in alcuni luoghi numerose glossopetre attaccate al blocco come ad una matrice, le quali non erano né della stessa grandezza né tutte intere.
Dai dati riferiti le seguenti ipotesi mostrano di avere un'apparenza di verità.
Ipotesi I
Il terreno dal quale si estraggono i corpi simili a parti di animali non sembra che oggi produca quei corpi.
[…]
Ipotesi II
Lo stesso terreno non sembra fosse compatto quando i corpi sopraddetti vi si sono prodotti.
Quei corpi che crescendo si espandono lentamente possono sollevare corpi solidi posti sopra ad essi, perfino allargare le fenditure delle rocce, come fanno le radici degli alberi nella terra dura, nei muri e nelle rupi; nondimeno questi corpi, mentre si formano attorno uno spazio adeguato, possono assai spesso essere impediti nella crescita dalla resistenza di un ostacolo un po' più duro; la qual cosa accade alle stesse radici delle piante, che in un terreno più duro, contorte e compresse in mille modi, si allontanano dalla forma che sono solite conservare in un terreno più molle. Ma quei corpi dei quali qui trattiamo sono tutti uguali fra loro, o che siano stati estratti da un terreno molle, o scavati da una roccia, o tolti da animali; pertanto, poiché non sembra che tali corpi si producano oggi nei luoghi in cui vengono trovati, poiché quelli che crescono in terreni compatti appaiono straordinariamente difformi, poiché invero questi corpi sono dovunque simili tra loro, non credo che il terreno fosse compatto quando i corpi di cui s'è detto vi si sono prodotti.
Ipotesi III
Non vi è niente che ci vieta di credere che lo stesso terreno sia stato un tempo coperto dalle acque. Ciò potrebbe essere accaduto in due modi, secondo che riteniamo che il terreno sia stato sempre allo stesso modo o che una volta abbia cambiato sistemazione. In quanto al primo caso, apprendiamo dalle Sacre Scritture che, sia all'inizio della creazione sia al tempo del diluvio, tutto fu sommerso dalle acque; la qual cosa elegantemente Tertulliano esprime così: «L'intera terra, un tempo completamente sommersa dalle acque, è mutata: ancora vagano sui monti conchiglie, desiderose di dimostrare a Platone che anche le cose pesanti galleggiarono» [Tertulliano, De Pallio, cap. 2]. E non ci mettono alle strette gli argomenti portati dai sostenitori del parere contrario, quando dicono che corpi di tal genere si sarebbero dovuti trovare dovunque, se la presenza di quei corpi è dovuta al fatto che le acque ricoprivano ogni luogo; o che, per lo meno nelle zone in cui vengono trovati, non dovrebbero trovarsi solo nei luoghi elevati. Ad entrambe le obiezioni infatti si risponde facilmente: dal momento che non tutte le acque trasportano tutte le cose, se vediamo che le pianure ai piedi dei monti sono riempite di materiale portato via, quasi scarto delle montagne, dalla violenza delle piogge, che c'è da meravigliarsi se nei luoghi elevati appaiono messi a nudo quei corpi che nelle zone pianeggianti rimangono nascosti sepolti da terreno di recente formazione? E se qualcuno credesse che, nei luoghi dove si estraggono quei corpi, parti del terreno abbiano mutato un tempo la loro disposizione, non è certo tenuto ad ammettere qualcosa contrario alla ragione o all'esperienza.
Invero se osserviamo le fenditure degli strati riempite di materia di un solo colore in quei luoghi dove gli stessi strati sono di un colore diverso, sembra del tutto verosimile che quello stesso terreno, scosso da un violento movimento, ricadendo si sia spezzato e così abbia acquistato una nuova disposizione. Quanto grandi mutamenti nel terreno spesso producano i terremoti sarebbe facile dimostrare con vari esempi, se non bastasse l'autorità del solo Tacito: «Nel medesimo anno dodici famose citta dell'Asia furono distrutte da un terremoto di notte, per cui più improvviso e più grave fu il danno. In tale circostanza non serviva neppure la solita via di scampo, cioè di precipitarsi all'aperto, perché le persone erano inghiottite dalle terre che sprofondavano. Essi ricordano che enormi montagne si abbassarono, che si videro quelle che erano state pianure sollevate in alto e che tra le rovine risplendevano gli incendi» [Tacito, Annales, II]. Pertanto, poiché l'aspetto del terreno stesso e gli esempi di altri luoghi convincono che quel terreno sia stato un tempo disposto in altro modo, poiché il terreno sembra sia stato un tempo meno compatto, che cosa ci impedisce di pensare che tale cedevolezza dipenda dalle acque e di credere che, prima che la terra mutasse disposizione, essa fosse ricoperta dalle acque, sia che quelle acque fossero esposte all'aria Iibera o coperte dalla crosta terrestre?
Ipotesi IV
Sembra che niente ci impedisca di credere che la terra stessa un tempo sia stata mescolata all'acqua. Nella precedente ipotesi ho supposto che un tempo la terra abbia potuto essere ricoperta dalle acque, ora mi spingerò oltre per provare che la terra abbia potuto essere mescolata alle acque.
Che l'argilla e la sabbia si mescolano all'acqua violentemente agitata, lo hanno dimostrato, più di quanto valga la pena di esprimerlo a parole, l'impetuosa discesa dei torrenti attraverso terreni di quel tipo e l'agitazione delle acque da parte dei venti. E non è difficile provare che nelle acque stagnanti, perfino in quelle più limpide, spesso si celano sabbia, argilla, tufo e solidi di ogni genere. In due modi i solidi si celano nell'acqua, vi si celano o la loro polvere o i loro elementi.
La polvere di un solido o si mescola all'acqua semplicemente, come mostrano i sali di ogni genere e i vetrioli, o si congiunge all'acqua per l'intervento di un terzo elemento: così si sciolgono nelle acque i minerali per mezzo degli acidi e le sostanze oleose grazie ai sali di lisciva, quando il sale dà all'olio e l'acido all'acqua una pesantezza per cui nell'acqua l'olio possa precipitate e il sale minerale disciogliersi.
Anche gli elementi di un solido possono celarsi nell'acqua in due modi: infatti gli stessi elementi del solido vi si trovano o tutti o in parte, oppure vi sono corpi di un tipo particolare che si trasformano in solido, assumendo poi una figura diversa. Per questa ragione molti credono che le acque minerali contengano in sé elementi di minerali, e da questo principio ha tratto origine quella radicale soluzione dei metalli, per la quale si sforzano ansiosamente di estrarre mercurio e zolfo da ogni metallo. Questi sono anche i modi in cui i solidi possono apparire sotto la specie di acqua, e non è necessaria molta fatica per trovare i luoghi dove questi solidi si mescolarono alle acque che occupano le nostre terre.
II grembo della terra nasconde solidi e fluidi di ogni genere, e i succhi che scorrono per i nascosti meati della terra o le esalazioni che vagano nei medesimi luoghi non avrebbero potuto lasciarli intatti, se un tempo sono venuti a contatto con quei solidi a sciogliere i quali sono stati destinati dalla natura. Invero i succhi, che penetrano continuamente dalle vene del terreno nelle acque esposte all'aria o nascoste dalla crosta terrestre, spargono nella sostanza dell'acqua i solidi disciolti nella terra. Ma anche i corpi di ogni genere, immessi nell'aria dall'acqua, dalla terra, dalle piante e dagli animali, potrebbero mescolarsi alle acque mirabilmente combinati insieme sotto forma di pioggia o in un altro modo che sfugge ai nostri sensi. E che dire del fatto che gli animali acquatici di vario tipo, finché vivono, depongono nell'acqua gli effluvi del loro corpo, e dopo la morte si decompongono quasi totalmente nelle acque?
Pertanto poiché solidi di ogni genere potrebbero mescolarsi all'acqua e poiché sono noti i luoghi dove gli stessi solidi hanno potuto mescolarsi all'acqua, perché ci meravigliamo se le polveri o gli elementi dell'argilla, della sabbia, del tufo e di altre pietre si sono nascosti mescolati all'acqua? E non vi è motivo di credere, a mio parere, che i succhi che sciolgono quei duri corpi debbano essere stati acidi al punto di non essere stati in grado di conservare resti animali. Ho visto Borch, il maestro mio grande amico, sciogliere nell'acqua per mezzo di acqua insipida un durissimo sassolino: perché non dovremmo attribuire alla natura ciò che non possiamo negare all'artificio?
Ipotesi V
Non mi sembra che vi possa essere qualcosa in contrario a ritenere il terreno un sedimento dell'acqua depositatosi a poco a poco. Abbiamo appena visto che niente ci vieta di credere che quel terreno sia stato mescolato all'acqua; però appare evidente che esso in vari luoghi è composto di strati di colori diversi sovrapposti l'uno all'altro; anzi perfino in quei luoghi in cui il terreno è tutto dello stesso colore si può riconoscere una certa diversità fra gli strati. Proprio gli strati dunque ci spingono a credere che quel terreno sia un sedimento dell'acqua; ma la diversità degli strati, se non persuade del tutto, per lo meno ci persuade che quel terreno si sia ammassato a poco a poco. Ma affinché queste affermazioni riescano più chiaramente comprensibili, mostrerò in quali modi tale sedimento ha potuto ammassarsi. Se crediamo che l'acqua, di cui trattiamo, abbia potuto ricevere acque torbide dal mare o dai torrenti, è certo che i corpi che rendevano torbida l'acqua dovettero andare a fondo, cessando il movimento violento.
E non c’è bisogno di cercare accuratamente esempi a prova di ciò, poiché gli alvei e le foci dei fiumi ne sono una prova certa. Una sola cosa si deve qui notare: i corpi che rendevano torbida l'acqua non erano tutti dello stesso peso, perché accade che, tornando l'acqua lentamente allo stato di quiete, prima si depositano i corpi più pesanti, poi quelli meno pesanti, mentre i più leggeri galleggiano più a lungo vicino al fondo prima di adagiarsi su di esso. Da qui appare chiaramente come nel medesimo sedimento vi siano spesso strati diversi. Se poi crediamo che l'acqua limpida abbia contenuto corpi solidi provenienti dall'aria, dalla terra e dagli animali, in questo caso non è difficile trovare i vari modi in cui hanno potuto essere separati dalle acque limpide i corpi solidi in esse contenuti. […]
Non sembra vi sia nulla in contrario a ritenere che siano parti di animali i corpi simili a parti di animali che si estraggono dal terreno. Poiché il terreno dal quale si estraggono i corpi simili a parti di animali oggi non produce corpi di tal genere, poiché è verosimile che il medesimo terreno, un tempo molle, sia stato anche mescolato alle acque, perché non sarebbe lecito supporre che tali corpi siano da ritenersi resti di animali che vivevano un tempo in quelle acque? In verità, se vogliamo esaminare la loro posizione nel terreno, non sembra che abbiano potuto ammassarsi in quel modo a meno che non si ritenga che si siano ammassati lentamente insieme al sedimento dell'acqua. Né si oppone a questa tesi il fatto che nel terreno più duro si trovino in numero così grande. Infatti chi avrà esaminato attentamente come cresce nuova roccia nelle grotte della terra da cui un tempo furono estratte delle rocce, non vi troverà alcuna difficoltà.
Infatti, sia che una pellicola sassosa crescendo come una mucillagine sulla superficie dell'acqua, appena è divenuta più pesante, vada a fonda, sia che corpuscoli sassosi derivati egualmente dall'intera massa dell'acqua si depositino a poco a poco, questa sedimento cresce solo lentamente; quindi gli animali che già aderiscono al fondo o sono morti, resti di cadaveri, o vivi, ma incapaci di movimento, sono ricoperti da un nuovo sedimento; ma i rimanenti animali, vivi, partorendo sopra il detto sedimento riempiono le acque con una numerosa prole prima che vi si deponga un nuovo sedimento.
Si aggiunge che: 1) L'acqua stagnante in queste grotte conserva sempre in sé gli animali generati un tempo e nello scorrere è in contatto con essi. 2) I testacei e gli animali di questo tipo non infieriscono contra le proprie creature, per la qual cosa sono gli altri animali acquatici che si consumano a vicenda. 3) I gusci dei testacei raramente si consumano, mentre gli altri animali acquatici si decompongono quasi tutti nell'acqua.
Tutti questi argomenti mi sembra non siano di poco peso per confermare la mia ipotesi, soprattutto perché, in base alla forma e alla sostanza di questi corpi, non si può addurre facilmente niente in contrario.
Per quanto riguarda la forma dei corpi di cui si tratta, e quanta esattamente corrisponda a parti di animali, sembra che la somiglianza della struttura porti di conseguenza una somiglianza di origine: e non è facile a credersi, da qualunque altro principio tu ritenga che quei corpi abbiano avuto origine, che si sarebbe potuto osservare una così grande somiglianza. Ed ecco un evidentissimo argomento a prova di questo. Chi non sa che la figura esaedrica del cristallo, i cubi di marcasite, i cristalli dei sali nelle operazioni chimiche e gli infiniti altri corpi che crescono in un fluido hanno forme molto più regolari di quanto lo siano quelle dei pettini, dei bivalvi, dei turbini e di altri animali simili? Nondimeno in questi corpi semplici vediamo ora troncata la punta dell'angolo solido, ora aderire ad essi senza ordine numerosi corpi, ora piani che differiscono fra di loro per grandezza e posizione, ed altri modi diversi per cui si allontanano dalla forma usuale. Quanto maggiori e più degni di nota sarebbero i difetti nei corpi che hanno una forma molto più regolare, come sono quelli che imitano le parti di animali!
E se in alcuni luoghi vengono dissotterrate numerosissime conchiglie di testacei marini indurite in un'unica massa, in questa non c’è niente di diverso da quanto avviene nel mare, poiché da lì si estraggono ingenti masse di conchiglie di diversa grandezza, che aderiscono l'una all'altra attaccate in modo meraviglioso.
Se si trovano alcune conchiglie spezzate in mezzo, lo stesso bordo del frammento testimonia che un tempo un'altra parte aveva aderito ad essa, e questa talvolta si trovava anche nelle vicinanze della prima. E se talvolta si vedono numerose glossopetre di diversa grandezza e non tutte intere, insieme come se aderissero alla stessa matrice, la stessa cosa si può vedere nella mandibola dell'animale vivo, in cui non tutti i denti sono della stessa grandezza e i denti posti negli ordini più interni non sono induriti in tutte le loro parti. Pertanto, poiché nei corpi più complessi si trovano più raramente quei difetti che sono assai frequenti nei corpi più semplici; poiché in codesti corpi complessi non si osserva alcun difetto che non si veda del tutto identico nelle parti di animali; poiché questi corpi, da qualunque luogo siano stati estratti, sono molto simili tra loro e alle parti di animali, è senz'altro evidente che la forma di quei corpi non ci impedisce di ritenerli veramente parti di animali.
[…]
Chiusa la digressione, per ritornare all'argomento principale, applicherò alle glossopetre maggiori alcune delle cose dette finora. La loro forma convince che siano denti di pescecane, poiché le parti piane, i bordi e la base dei denti sono molto simili a quelli del pescecane. Se crediamo ai racconti che nuove isole sono emerse in mezzo al mare, chi può conoscere l'origine di Malta? [Cfr. Platone, Timeo, XXIV] Forse un tempo posta sotto il mare, quella terra fu un nascondiglio di pescicani, i cui denti, un tempo insepolti nel fondo fangoso, mutata la posizione del fondo marino per un improvviso incendio di vapori sotterranei, ora si trovano in mezzo all'isola. E neppure il grande numero di glossopetre, che provengono da quell'isola, genera difficoltà. In uno stesso pesce si contano duecento denti ed anche di più, sotto i quali altri nuovi crescono di giorno in giorno.
Pertanto poiché si possono ritenere parti di animali quei corpi simili a parti di animali che si estraggono dal terreno, essendo la forma delle glossopetre simile ai denti di pescecane, come un uovo ad un altro uovo, e non convincendo del contrario né il numero di esse né la posizione del terreno, mi sembra che non si allontanino molto dal vero quelli che affermano che le glossopetre più grandi sono denti di pescecane.
Questa digressione stava già per esser data alle stampe, quando il canonico milanese Manfredo Settala, noto a tutti per la singolare conoscenza delle cose naturali e per lo zelo instancabile nell'arricchire il suo Museo, passando per questa regione mi disse di custodire fra le sue rarità molte cose che potrebbero apertamente giovare alle mie ipotesi. La notizia mi ha fatto piacere, perché so bene quanta peso venga aggiunto a queste mie ipotesi dal consenso di un tale uomo.
Niccolò Stenone, Opere scientifiche, a cura di L. Casella e E. Coturri, Cassa di risparmi e depositi di Prato, Prato 1986, pp. 144-154