Indice: Prefazione, di C. von Schönborn; Evoluzione e disegno. Tentativo di una ricognizione della teoria dell’evoluzione, di P. Schuster: Discendenza e disegno intelligente, di R. Spaemann; Il problema della creazione e della evoluzione, di P. Erbrich; Fides, ratio Scientia: il dibattito sull’evoluzionismo, di C. von Schönborn; Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione. Differenza e punto di intersezione, di S. Wiedenhofer. Riferimenti bibliografici.
Continuando una tradizione annuale già attiva durante gli anni della sua docenza universitaria, il prof. Joseph Ratzinger ha voluto anche da Romano Pontefice riunire i suoi allievi, invitandoli a discutere insieme a lui a Castelgandolfo. Il tema dell’incontro tenuto nell’estate del 2006 ha ricevuto una notevole eco da parte dei mass media a motivo dell’attualità dell’argomento prescelto: il rapporto fra creazione ed evoluzione. La discussione era considerata particolarmente significativa perché nei mesi precedenti erano state rilanciate, spesso con poca precisione e qualche travisamento, dichiarazioni prima del card von Schönborn, e poi dello stesso Benedetto XVI, contro il darwinismo e a favore dell’intelligent design. I testi delle relazioni informali tenute il 1 e 2 settembre 2006 nell’incontro di Castelgandolfo, riviste per la pubblicazione, sono state offerte prima in lingua tedesca (Augsburg: Sankt Ulrich Verlag, 2007) e subito dopo in lingua italiana, nell’edizione che qui presentiamo. Merito del volume è anche quello di raccogliere la discussione fra i partecipanti, che occupa quasi la metà delle pagine in stampa, inserendo idealmente il lettore nel clima vivace del dibattito, rendendolo partecipe delle reazioni dei vari interlocutori alle riflessioni comuni, comprese quelle di Benedetto XVI.
Il motivo per il quale, all’interno della galassia di pubblicazioni sul medesimo tema prodotte nell’ultimo decennio, abbiamo scelto di segnalare quest’opera, non è dettato dalla cornice autorevole ed in certo modo insolita del volume e dei suoi protagonisti, né si tratta di una segnalazione di interventi del Magistero cattolico, e dunque degni di interesse in quanto tali, perché il contenuto di questo volume Magistero non è. Si tratta, invece, di uno dei rari esempi di discussione filosofica sull’evoluzione e sul suo significato. Non è una discussione fra biologi e teologi, né un dibattito fra pensiero ateo e pensiero teista, duetti ai quali siamo troppo abituati e che si svolgono, tranne rare eccezioni, secondo canoni retorici o al massimo dialettici, nei quali i luoghi comuni sembrano condizionare l’intera discussione. In questo caso si tratta di riflessioni di indole principalmente filosofica, condotte da autori che si interrogano sul significato della teoria dell’evoluzione per l’interpretazione della realtà e formulano precise domande sulle sue eventuali ripercussioni per la loro fede di credenti. Il minore spazio dedicato alla prospettiva specificamente biologica (limitata nel volume ad una sola relazione, quella di P, Schuster), non è qui una mancanza, perché ciò su cui si è finora poco riflettuto è, appunto, sulla valenza e sulla dimensione filosofica dell’evoluzione, spesso presentata esclusivamente come teoria o quadro biologico-scientifico, lasciandone implicita la sua importate carica di visione della realtà, o spesso mescolando quest’ultima con la presentazione dei dati empirici, rendendo più arduo, al lettore inesperto, il compito di separare l’una dagli altri.
Attraverso le pagine di questo volume il card. Christoph von Schönborn, che firma la prefazione e una delle relazioni, ha la possibilità di chiarire meglio il suo pensiero, che la reiterata riproposizione mediatica del suo originario commento del 2005 sul The New York Times, aveva fino a questo punto omologato su una posizione di rifiuto perentorio della teoria dell’evoluzione, rifiuto peraltro ingiustificato alla luce di quanto egli scrive nelle pagine che raccolgono la discussione dei giorni di Castelgandolfo. Le riserve di von Schönborn paiono collocarsi piuttosto nell’ambito filosofico e interpretativo. «Dove — egli si chiede — nella teoria di Darwin (e nei suoi sviluppi successivi) opera realmente la scienza e dove invece si tratta di elementi ideologici legati a una visione del mondo ed estranei alla scienza? Occorre scindere Darwin dal darwinismo, liberarlo dalle sue catene ideologiche. Ci sono buone ragioni per supporre che ciò sia possibile» (p. 81). Von Schönborn invoca la necessità del recupero della nozione di “forma”, e incoraggia lo sviluppo di una più profonda “filosofia della natura” e di una rinnovata teologia della creazione, (cfr. pp. 91-92) quest’ultima già giudicata assente a suo tempo da Ratzinger, in buona parte della dogmatica della seconda metà del Novecento. Per quasi tutti i partecipanti al Convegno di Castelgandolfo queste discipline rappresentano il luogo proprio del dibattito sull’evoluzione. Dell’evoluzionismo darwinista von Schönborn biasima, con toni piuttosto decisi, soprattutto il suo assurgere a visione esaustiva ed onnicomprensiva della realtà, quasi alla stregua di una “religione”. «Perché l’evoluzionismo —egli si chiede ancora in proposito — è divenuto ormai quasi una sorta di surrogato della religione? Perché tanto spesso viene difeso in modo così aggressivo ed emotivo?» (p. 93). Si tratta di domande, osserviamo, che abitualmente lo scienziato non si pone, perché in certo modo distanti dalla sua sensibilità, ma che al filosofo non sfuggono.
L’intervento di Robert Speamann opera un chiarimento fra le condizioni della origine e della evoluzione della vita, oggetto della teoria dell’evoluzione, e la spiegazione della coscienza del singolo, dell’essere umano. Quest’ultima pare irriducibile ad ogni paradigma evolutivo, aprendo la strada alla nozione teologica di relazione personale fra il Creatore e la creatura. Solo l’autocoscienza è capace di riflettere sul senso della storia e manifestare la sorpresa dell’esserci, che può tramutarsi in lode di ringraziamento al Creatore. Una irriducibilità che, nell’ambito della materia e della vita non cosciente, rimanda alla originalità dell’informazione.
Paul Erbrich sottolinea che ogni filogenesi è anche un’ortogenesi. Nella storia dei viventi pare innegabile la presenza di finalismi che non traggono spiegazione dall’interno della teoria dell’evoluzione in quanto tale, come ad esempio la sopravvivenza, la riproduzione, l’emancipazione dal proprio ambiente, la migrazione dai mari alla conquista della terra e dell’aria, apparentemente non dettata da mere questioni di cibo e di conservazione. Mentre nel mondo inorganico tutto tende all’equilibrio termodinamico, al degrado e alla morte, nel mondo organico i viventi tendono alla sopravvivenza, alla riproduzione, all’emancipazione. L’introduzione di un cambio del paradigma, o probabilmente di un gioco linguistico, come quando si ragiona in termini di complessità invece che di teleologia, non risolve il problema del perché vi sia questa tendenza. Domanda che, secondo l’autore, resta aperta anche perché nelle mutazioni genetiche l’azione del caso, da solo, non è “la causa” dell’evoluzione.
Nella sua prefazione al volume, von Schönborn introduce alcune riflessioni dell’allora card. Joseph Ratzinger sul tema dell’evoluzione, offrendone una sintesi significativa, che potrebbe essere così riassunta: credere nella creazione vuol dire credere che un mondo in divenire possiede un senso, proviene da un Logos e tende verso un fine, mentre i dettagli del percorso sono lasciati all’induzione delle scienze. Di certo interesse abbiamo trovato anche il recupero di alcune riflessioni di Ratzinger sull’antropogenesi, formulate nel 1968. «Il fango è divenuto uomo — affermava Ratzinger durante una trasmissione radiofonica della Süddeutsche Rundfunk — nel momento in cui un ente per la prima volta, anche se in forma alquanto oscura, è stato in grado di formare l’idea di Dio. Il primo Tu che — per quanto balbettando — venne rivolto da bocca d’uomo a Dio, designa il momento in cui lo spirito è comparso nel mondo» (pp. 11-12).
Dagli interventi di Benedetto XVI alla discussione, riportati nella seconda parte del volume, ci pare poter enucleare due idee portanti. La prima è l’insistenza, manifestata già in altri interventi come Pontefice, circa la leggibilità della natura, l’esistenza di una razionalità che permea la materia e che la trascende, e che in ultima analisi rimanda, con gli occhi della fede, alla presenza di un Logos creatore. La seconda riguarda la valutazione delle domande filosofiche che sorgono nella scienza: anche se il metodo scientifico non ha gli strumenti, da solo, per poter dar loro una risposta, esse sono legittime e ragionevoli. Il dibattito fra creazione ed evoluzionismo — quest’ultimo inteso come prospettiva filosofica che trasforma una teoria biologica in una visione del mondo — viene da Benedetto XVI sinteticamente ma efficacemente ricondotto entro due precise prospettive filosofiche, che non interpretano affatto un dibattito fra scienza e fede. C’è una razionalità originaria, un Logos da cui tutto ha origine e al quale tutto tende, giustificando così il credere in una ragione creatrice, oppure l’ultima parola è l’irrazionalità, l’assurdo, l’assenza di risposte al nostro umano interrogare? La scienza non ha una risposta a questa domanda, ma può aiutare forse a scegliere la prospettiva giusta entro cui collocarsi. È il dono della fede nel Logos incarnato, crocifisso e risorto, che ci consegna la risposta definitiva, rivelando al contempo, in tutta la sua pienezza, il senso e il valore di quanto la ragione scientifica chiedeva.