Indice: Foreword: George V. Coyne; Introduction: Robert John Russell; I. Critical appraisal of the series as a whole. Challenge and Progress in “Theology and Science”: An Overview of the VO/CTNS Series (Robert John Russell); Scientific Issues: Ground Covered and Horizons Unfolding (George Ellis); II. Philosophical analysis of specific issues in the series. Toward a Theory of Divine Action That Has Traction (Philip Clayton); Emergence, Downward Causation, and Divine Action (Nancey Murphy); The Divine Action Project, 1988-2003 (Wesley J. Wildman); III. Theological analysis of specific issues in the series. Special Divine Action and the Quilt of Laws (Niels Henrik Gregersen); Some Reflections on “Scientific Perspectives on Divine Action” (Arthur Peacocke); Conceiving Divine Action in a Dynamic Universe (William R. Stoeger); Special Divine Action and the Laws of Nature (Thomas F. Tracy); Divine Action in an Emergent Cosmos (Keith Ward); Does God Need Room to Act? (Kirk Wegter-McNelly); Reflections on the VO/CTNS Series on Divine Action from the Perspectives of Theology and Science (Mark Worthing); IV. Resources for Further Research. Contributors; Name Index; Subject Index.
Se volessimo individuare un momento particolarmente significativo circa il dialogo contemporaneo tra scienza e fede, questo sarebbe certamente il convegno che si tenne presso la Specola Vaticana, dal 21 al 26 settembre del 1987, in occasione dei 300 anni della pubblicazione dei Principia di Newton. Infatti, Giovanni Paolo II volle che tale ricorrenza divenisse il trampolino di lancio per una lunga ed articolata riflessione sui rapporti tra i vari ambiti delle scienze fisiche e gli altrettanto vari ambiti della prospettiva religiosa. Il primo passo di tale percorso – del quale il libro che presentiamo rappresenta un ideale, anche se provvisorio, punto di arrivo – fu la pubblicazione del volume degli atti, intitolato: Physics, Philosophy and Theology: A Common Quest for Understanding (1988), la prefazione del quale fu scritta dall’allora direttore dell’Osservatorio Vaticano, Gorge V. Coyne, che era anche, in un certo senso, il punto di riferimento umano e spirituale dell’impresa che stava per iniziare. Visto il grande successo del convegno, e seguendo la sollecitazione del Papa, George Coyne si fece promotore di una nuova serie di cinque convegni su scienza e teologia, che si tennero con cadenza regolare dal 1992 fino al 2000. L’organizzazione dell’intero ciclo fu affidata a tre studiosi di chiara fama internazionale, da tempo impegnati nelle riflessione interdisciplinare: Nancey Murphy (professore di filosofia cristiana al Fuller Theological Seminary di Pasadena, California), Robert J. Russell (direttore del CTNS, Center for Theology ad Natural Sciences, di Berkeley, California) e William R. Stoeger (astronomo e cosmologo del Vatican Observatory). L’intero ciclo è stato finanziato congiuntamente dall’Osservatorio Vaticano e dal CTNS.
La serie di convegni scaturita da quel lontano 1987 è considerata uno dei maggiori eventi a livello internazionale di questi ultimi vent’anni per quanto riguarda il campo dei rapporti tra scienza e teologia, sia per la partecipazione, sia per la quantità di pubblicazioni prodotte e le tematiche affrontate. Infatti, vi hanno preso parte quasi cinquanta studiosi, molti dei quali con competenze interdisciplinari in fisica, astronomia, cosmologia, matematica, biologia evolutiva e molecolare, neuroscienze e scienze cognitive, filosofia della scienza, storia della scienza, storia delle religioni, patristica, teologia sistematica, antropologia teologica, ecc. Dai loro contributi ne sono scaturiti cinque volumi, ognuno dei quali raccoglie gli Atti di un convegno, per un totale di novantuno articoli. Vediamoli in serie: 1) Quantum Cosmology and the Laws of Nature (1993); 2) Chaos and Complexity (1995); 3) Evolutionary and Molecular Biology (1998); 4) Neuroscience and the Person (1999); 5) Quantum Mechanics (2001). L’intento del progetto — nelle parole di Russell, tratte dall’introduzione al presente volume — è stato quello di «comprendere teologia, filosofia e scienze naturali in un processo di dialogo costruttivo e di reciproche e feconde interazioni», sviluppando ulteriormente le aree della fisica e della biologia già toccate nella conferenza dell’87, e affrontando nuovi ambiti di ricerca, come quelli delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Non solo, ma l’intento dei coordinatori, così come l’obiettivo condiviso dai partecipanti al ciclo, è stato anche quello di creare una nuova metodologia di ricerca su scienza e teologia, mirata soprattutto ad eliminare le incertezze terminologiche, a chiarire il ruolo della filosofia all’interno del dialogo scienza-fede, e a promuovere lo scambio reciproco di idee fra scienziati e teologi. L’idea chiave era quella di indicare un unico guiding theme, un’unica nozione complessa che mettesse in evidenza le diverse prospettive teologiche, delineasse le implicazioni con le scienze, e attraesse l’interesse degli scienziati per ulteriori riflessioni circa il proprio ambito di ricerca. Nel giugno del 1990 il comitato organizzatore (Murphy, Russell e Stoeger) individuò questo tema centrale nel concetto di “Divine Action” – azione divina, in quanto denso di implicazioni sia teologiche che scientifiche, ed ecco perché ogni volume edito porta il sottotitolo: “Scientific Perspectives on Divine Action”.
Il presente volume rappresenta il bilancio critico del progetto complessivo, ed il suo titolo sottolinea proprio l’intento di porsi come “pietra d’angolo” rispetto al passato e rispetto agli sviluppi futuri del progetto sulla Divine Action. Per fare ciò, il volume è costruito secondo una doppia logica. La prima parte presenta un lungo e dettagliato saggio introduttivo di Robert J. Russell, che ha lo scopo di fornire una valutazione complessiva della serie di cinque volumi. Russell pone l’accento sulla metodologia di lavoro, sottolineando come la scelta di un tema centrale di derivazione teologica abbia favorito lo scambio di opinioni tra scienziati e teologici attorno ad una tematica che funzionava sia come presupposto comune allo spettro delle varie visioni filosofico-teologiche, sia, al contempo, come stimolo per gli scienziati ad analizzare più a fondo le proprie concezioni della natura, favorendo il dialogo interdisciplinare. Molto interessante anche la modalità con cui i convegni venivano preparati, anch’essa attenta a favorire la discussione critica e l’aperto confronto fra i partecipanti. Infatti, ad ogni convegno non venivano letti dei papers già conclusi — i quali erano stati letti prima del convegno da tutti i partecipanti – ma ogni sessione specifica era dedicata a discutere ogni articolo, il quale per essere poi pubblicato doveva riflettere le modifiche apportate durante la sessione di discussione. Con questa strategia condivisa il comitato organizzatore ha progettato la serie di conferenze che hanno scandito la decade degli anni novanta. Ogni conferenza comprendeva un ciclo di due anni di lavoro, il primo dei quali dedicato alla lettura e alla discussione dei papers, mentre il secondo alla revisione degli articoli e alla selezione finale di quelli da pubblicare. In questo modo, il ciclo conclusivo di un convegno veniva a sovrapporsi con quello preparatorio del successivo, col risultato di creare una stretta continuità fra le tematiche specifiche.
L’introduzione chiarisce anche il senso del concetto di “Divine Action”, e ne fornisce una sintetica descrizione. Per azione divina si intende l’agire di Dio nella natura, o meglio, il presunto agire, perché il problema risiede proprio nel capire se, come e quanto Dio influenzi l’andamento naturale dei fenomeni. Russell elenca sei approcci che normalmente vengono usati per tentare di formalizzare l’azione divina. Il primo è detto “top-down” e pensa che l’azione di Dio si situi ad un livello epistemico più alto rispetto ai suoi effetti fenomenici. Così, riguardo ad esempio il problema mente-corpo, dove la fenomenologia degli stati mentali non può ridursi a quella del cervello, Dio può essere pensato come agente al livello della mente, la quale, a sua volta, modifica gli stati fisici – neuronali – del cervello. Il secondo tipo è chiamato “whole-part”, e si rifà ad un modello di causalità in cui ciò che accade all’estremo confine di un sistema influenza poi gli eventi all’interno, così come il riscaldamento della superficie di una pentola causa i moti convettivi nell’acqua al suo interno. Naturalmente, nel nostro esempio la pentola sarebbe l’intero universo, e l’azione di Dio si collocherebbe quindi oltre il suo confine — ammesso, nota Russell, che l’universo abbia un confine — determinando indirettamente ogni stato locale all’interno del sistema-universo. Il terzo tipo di approccio (“lateral”) è, in sostanza, una variante di quest’ultimo, perché vede l’azione divina come l’inizio di una lunga catena causale, dove Dio non agisce direttamente, ma prepara le condizioni iniziali. Il quarto approccio è quello che riscuote il consenso sia di Robert Russell che di Nancey Murphy, e possiamo definirlo come l’approccio maggiormente condiviso, seppur con molte varianti, dalla maggior parte dei partecipanti al progetto. Si tratta, in un certo senso, dell’opposto del modello “top-down”, poiché vede l’azione divina come operante al più basso livello della materia, ovvero al livello quantistico. Oltre alla convinzione che se Dio agisce ciò deve avvenire “dall’interno”, piuttosto che “dall’esterno” della natura, l’approccio “bottom-up” sembra anche garantire quell’elemento di indeterminazione che, secondo gli autori, appare necessario ad una teoria dell’azione divina che voglia lasciare spazio alla libertà umana. Gli ultimi due approcci si differenziano dai precedenti per il fatto di rifarsi esplicitamente ad una specifica metafisica: il primo alla cosiddetta “filosofia del processo” di A.N. Whitehead, in cui Dio si manifesta come una sorta di “forza traente” e creativa che orienta i processi naturali, mentre il secondo approccio, definito “Contemporary Catholic Theology”, usa il ben noto modello causale della metafisica aristotelico-tomista che suddivide l’azione divina in primaria – creazione e sostenimento della realtà – e secondaria, cioè l’andamento naturale dei fenomeni, regolato dalle leggi di natura.
La restante parte del volume è costituita da una serie di saggi esemplificativi rispetto alle tematiche più importanti affrontate nei cinque convegni (e nei rispettivi volumi di atti), agli sviluppi apportati, ai nuovi campi di ricerca sondati ed ai problemi ancora aperti, il tutto alla luce dell’azione divina come chiave di lettura trasversale tra problematiche scientifiche, filosofiche e teologiche. Questa seconda parte è a sua volta suddivisa in due sotto sezioni, la prima delle quali analizza alcuni problemi di ordine filosofico, mentre la seconda di ordine teologico. Nancey Murphy, ad esempio, esamina in dettaglio una serie di argomenti emersi dalle sessioni di discussione, inclusi gli aspetti linguistici, metodologici, epistemologici e metafisici. Successivamente, ella si volge all’azione divina, spiegando perchè l’approccio “dall’alto” non sia soddisfacente, riferendosi in particolare alla posizione di Athur Peacocke, che secondo lei fallisce nel tentativo di integrare i due approcci, “dall’alto” e “dal basso”, in una visione coerente. Sempre in questa sezione, Wesley Wildman fornisce una sintetica panoramica sul “Divine Action Project”, un progetto satellite a quello principale, volto ad approfondire le implicazioni del concetto di azione divina. Wildman, quindi, traccia una breve storia del progetto, esamina la terminologia usata, e classifica i vari approcci emersi, con particolare attenzione alle proposte che si basano sulla teoria del caos e la meccanica quantistica. La sezione teologica presenta, fra gli altri, un saggio di Athur Peacocke, nel quale lo studioso britannico esemplifica i fondamenti dell’approccio “whole-part”, prendendo come esempio i sistemi complessi. In questa visione, che potremmo definire “pan-en-teismo”, Dio è “in tutto”, il macro-sistema che interagisce indirettamente con tutti i sotto sistemi fisici che costituiscono l’universo, senza però violarne la causalità fisica. Altro interessante contributo è quello di William R. Stoeger, che richiama l’attenzione sull’importanza di un’adeguata valutazione della metafisica cattolica rispetto al problema dell’azione divina. In particolare, Stoeger pensa che il progetto abbia sottovalutato il tema della creatio ex nihilo, il quale solo fornisce la base fondamentale per una corretta comprensione sia dell’azione di Dio nella natura, che del suo intervento nella storia, chiarendo le implicazioni scientifiche di tali concetti e precisando la nozione di “Divine Action”.
È probabile che alcuni autori possano non condividere le prospettive teologiche emerse lungo i contributi del volume e all’interno di quelli che lo hanno preceduto, forse anche a motivo del fatto che alcuni approcci tradizionali nella teologia cattolica sembrano restare in ombra, essendo la maggioranza degli esperti coinvolti provenienti dalle Chiese della Riforma. Tuttavia, si tratta di un lavoro di notevole portata, che la riflessione teologica non può di fatto ignorare e che andrà tenuto presente negli sviluppi che la teologia, anche quella cattolica, vorrà affrontare quando intenda rapportarsi con i risultati delle scienze naturali. Così le parole di Robert John Russell sintetizzano lo spirito del progetto nel suo insieme, come raccolto, appunto, dal suo volume conclusivo Scientific Perspectives on Divine Action. Twenty Years of Challenge and Progress: «Con l’uscita di questo volume, la serie di pubblicazioni sull’azione divina, e la sua valutazione dal punto di vista qualitativo, giunge ad una conclusione – o, almeno, ad un punto di arrivo prima che l’avventura riprenda. Possiamo serenamente affermare che, grazie al duro lavoro ed alla serietà di tutti coloro che vi sono stati coinvolti […] questa serie di pubblicazioni rappresenta un primo passo fondamentale nel dialogo tra scienziati, filosofi e teologi. Dal mio punto di vista, la serie ha chiarificato e, in molti casi, risolto problemi che prima dominavano la scena, spesso ingombrando la discussione inter-disciplinare. Essa, inoltre, ha messo in campo diverse risorse per cercare nuove e feconde soluzioni, ed ha lasciato uno strumento importante alle nuove generazioni di studiosi, specialmente rivolto a chi si avvicina per la prima volta al dialogo tra scienza e teologia. Infine, la serie ha messo in luce nuove problematiche che ora possono essere affrontate in modo più efficace e concreto – e io credo che tutto ciò sia il segno di un vero progresso intellettuale».