Il pensiero di Jacques Maritain (1882–1973), uno dei maggiori pensatori cattolici del XX secolo, è fino dai suoi primi studi scientifici alla Sorbona quasi assillato dal problema della verità, rispetto al quale il dominante scientismo neopositivista di fine Ottocento e primi Novecento gli sembra presto insoddisfacente, perché non in grado di rispondere alle questioni fondamentali del senso dell’esistenza e quindi di fornire un autentico “sapere”. Dopo una breve fase giovanile caratterizzata da agnosticismo e scetticismo, la frequentazione prima delle lezioni di Henri Bergson al Collège de France e poi l’incontro con la filosofia di San Tommaso gli fanno acquisire maggiore fiducia nella ragione umana, ma soprattutto lo inducono ad affrontare in maniera più sistematica i problemi filosofici fondamentali connessi tanto all’epistemologia o gnoseologia quanto all’ontologia. Il prodotto di questa riflessione è una delle sue opere più sistematiche e corpose intitolata Distinguer pour unir ou Les degrés du savoir (Distinguere per unire o I gradi del sapere), la cui traduzione italiana di Enzo Maccagnolo viene ora ripresentata dalla casa editrice Morcelliana con anteposta una utile e interessante premessa di Vittorio Possenti.
Il saggio di Maritain inizia con una chiarificazione del ruolo della metafisica, della quale si vuole proclamare la grandezza rispetto alle possibilità della ragione di conoscere alcune verità meta-empiriche o puramente intelligibili, ma nel contempo si vuole evidenziarne “la miseria”, costituita dai limiti della conoscenza metafisica dal momento che l’essere in quanto tale non si risolve tutto nel pensiero. Nel percorrere tutti i vari contesti del sapere, dalle scienze sperimentali alla metafisica, il filosofo francese si interroga sul rapporto tra filosofia e scienza in modo certamente originale rispetto all’epistemologia tanto positivista quanto post-positivista, con un orientamento fortemente realistico, ma di un realismo decisamente diverso sia quello metafisico tradizionale sia da quello materialista o naturalista. A questa forma di nuovo realismo, decisamente tanto antesignano quanto superiore agli odierni “nuovi realismi”, ne I gradi del sapere viene dedicato uno specifico capitolo con un titolo importante, perché destinato a dare il nome ad una nuova impostazione filosofica: il “realismo critico”. Ciò che qui si vuole sottolineare rifacendosi al realismo della tradizione tomista è che la critica della conoscenza moderna, che parte da Cartesio e arriva a Kant, a Hegel e perfino a Husserl, con il suo “fenomenismo” e la sua sfiducia nelle possibilità conoscitive dell’uomo segue una strada sbagliata e senza uscita che nullifica il senso dell’essere; pertanto “la critica della conoscenza o epistemologia non esiste come disciplina distinta dalla metafisica” e “la pretesa dei moderni con la loro impensabile nozione di puro fenomeno […] svuota dell’essere il concetto stesso di essere, il più generale dei nostri concetti” (Distinguere per unire, pag. 107). E in questo quadro, la filosofia tomista non è un realismo ingenuo che identifica immediatamente senso comune e realtà, bensì un “realismo critico” che recupera e purifica il senso comune. Distinguendo tra “cosa” e “oggetto”, dove la cosa è la realtà fuori dalla mente e l’oggetto è la realtà colta dal soggetto conoscente, non si può non riconoscere che l’essere esiste fuori dalla mente; e tuttavia è conoscibile solo nella mente, per cui è corretto concludere che “la cosa è data con l’oggetto” (pag. 121) e quindi non ne risulta separata quando è da noi conosciuta. In tal modo, distinguendosi sia dall’idealismo sia dal fenomenismo, il realismo critico salva contemporaneamente l’oggettività della conoscenza e l’attività del soggetto conoscente, distinguendo e correlando al tempo stesso essere e pensiero.
La metafisica maritainiana si presenta così come quella comprensione della realtà che pone in contatto la scienza con la sapienza, vale a dire il mondo dell’infraitelligibile con il mondo del sovrantielligibile: essa infatti è il primo grado della sapienza e al tempo stesso conoscenza scientifica del mondo intelligibile. Qui si evidenzia anche uno strutturarsi del sapere, un articolarsi della conoscenza che deriva da uno “slancio dello spirito”, una “meravigliosa legge di insoddisfazione entro la stessa sicurezza delle certezze acquisite, in virtù della quale, partendo dall’esperienza del senso, lo spirito dilata, innalza, trasforma la sua vita di grado in grado” (pag. 8). Ne I gradi del sapere pubblicati nel 1932 (come per altro in tre lezioni immediatamente successive raccolte in Scienza e saggezza, Borla Edizioni) Jacques Maritain analizza tale strutturarsi del sapere “di grado in grado”, per fornire una sintesi della conoscenza che non si riduca ad una sola modalità di sapere, ma segua l’evoluzione ascendente dello spirito nella distinzione dei saperi tra razionali e sovrarazionali e nel contempo colga la loro unificazione, da cui appunto il titolo Distinguere per unire. E al grado più elevato di conoscenza si pone l’esperienza mistica di Dio, la conoscenza sapienziale. Si può perciò facilmente osservare come questo testo sia di fatto unico nel panorama del pensiero contemporaneo, dal momento che è impossibile trovare nel Novecento un’opera filosofica che effettui una così ampia ricognizione critica sul sapere, capace di spaziare dalle scienze naturali alla contemplazione interiore, dalla fisica moderna alla filosofia della natura, dalla biologia all’ontologia, dall’epistemologia alla teologia, proiettandosi addirittura in quel sapere incomunicabile che soltanto l’estasi mistica può cogliere. Da qui gli ultimi capitoli dedicati alle “ricerche secondo la quarta dimensione”, nei quali si prende in esame la sapienza agostiniana e la pratica contemplativa di San Giovanni della Croce. Degno di menzione e del tutto originale è in particolare l’interpretazione del rapporto tra Tommaso d’Aquino e Agostino d’Ippona, che scaturirebbe dal fatto che Alberto Magno avrebbe consigliato all’Aquinate “di seguire Agostino in teologia e Aristotele in filosofia”. Da quel momento Tommaso avrebbe tratto dall’aristotelismo la scienza e dall’agostinismo la sapienza, di modo che “per trattare del divino e dell’umano” egli avrebbe chiesto ad Aristotele “la sua attrezzatura scientifica” e ricevuto da Agostino la sapienza , al punto che “la sua fedeltà alla sapienza agostiniana” risulta “ancor più perfetta della sua maestria nella tecnica aristotelica: corregge Aristotele e onora Agostino come un figlio onora il padre”. (pag. 355).
Con Tommaso, Maritain ritiene che la conoscenza razionale o naturale di Dio sia possibile perché il creatore ha lasciato segni sufficienti nella natura per consentire alla ragione umana di riconoscere la sua presenza, sebbene il percorso logico-dimostrativo risulti aperto a pochi e difficile da praticare. I gradi del sapere servono appunto per approfondire il modo con cui l’essere umano si eleva ad una qualche conoscenza di Dio e della natura divina; cosa questa che avviene attraverso l’intelligenza analogica, che però si serve di mezzi sicuramente inadeguati e ci rende pertanto consapevoli della sproporzione nei confronti del suo immenso Oggetto. Siamo infatti al cospetto di una comprensione incapace di circoscrivere compiutamente il suo oggetto (“incircoscrittiva”) e soltanto una “conoscenza ananoetica” (ossia analogica) può attingere al mondo del sovraintelligibile. Se per esempio raffiguriamo l’essere come un cerchio, secondo Maritain sussistono per la conoscenza tre modi diversi, ma complementari, di rapportarsi con la realtà: 1) quello dianoetico proprio della filosofia e della matematica, che penetra il cerchio a partire dalla sua circonferenza; 2) quello perinoetico tipico delle scienze naturali, che rimane intorno alla circonferenza; 3) quello ananoetico proprio della saggezza, che parte dal centro del cerchio e procede verso la sua circonferenza. Non a caso Tommaso d’Aquino ha dunque affermato che alla fine della ricerca razionale dell’Ente perfettissimo noi conosciamo Dio come se si trattasse di uno sconosciuto. Da ciò l’esigenza per Maritain di prendere in considerazione anche la via dei mistici, per cui si può delineare in lui questa progressione verso la conoscenza di Dio: con la sola ragione si raggiunge la saggezza filosofica; con la ragione illuminata dalla fede si consegue la saggezza teologica; con insieme la ragione, la fede e i dono dello Spirito si perviene alla saggezza mistica.
La lunga premessa di Vittorio Possenti alla presente riedizione di Distinguere per unire. I gradi del sapere ha infine il merito di mettere bene in luce come il pensiero di Jacques Maritain si collochi in un dibattito epistemologico e ontologico che parte per lo meno da Descartes e può essere esteso fino a Rorty, nonché come l’elaborazione di una noetica realista che include l’intuizione intellettuale dell’esistente chiuda un percorso filosofico condizionato dal dualismo gnoseologico tra pensiero ed essere, un’ideosofia (ossia una filosofia che ha per oggetto l’idea e non l’essere) che non poteva dar luogo ad un’ontosofia, ad una ricerca intorno all’essere reale. La filosofia moderna e contemporanea è del resto responsabile tanto delle chiusure della ragione verso la metafisica come scienza dell’ente in quanto ente quanto della crisi generale del senso e della verità del nostro tempo, che Maritain in Umanesimo integrale (Borla Edizioni) pone alla radici della crisi religiosa e culturale della civiltà contemporanea.
In Italia il saggio Distinguere per unire. I gradi del sapere ha avuto alterne fortune. Tra coloro che l’hanno apprezzato vanno giustamente ricordati il filosofo Nicola Abbagnano e il teologo Italo Mancini. Il primo pose il luce il valore aperto del tomismo realista del filosofo cattolico francese, sottolineando come il realismo critico non si opponesse alla scienza; il secondo invece considerò quest’opera come quella meglio riuscita di Maritain, perché vi si trova sviluppata “un’immensa logica dell’umano, della civiltà, attraverso la filosofia prima”.