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Sulla teologia del miracolo

Agostino di Ippona
413-427

De civitate Dei, XXII

Nel Libro XXII de La Città di Dio, riflettendo sul tema della Resurrezione della carne, comprovata dalla Risurrezione di Cristo, sant'Agostino adduce come  prova della sua argomentazione, la testimonianza che si realizza attraverso i tanti miracoli avvenuti e che, come egli ricorda, ancora avvengono. Proprio per questo, ne riporta la cronaca di alcuni avvenuti in diverse città fra cui anche Cartagine ed Ippona. Il brano dunque si presenta al lettore come un accurato excursus storico in cui ritrovare una "teologia del miracolo", intesa come strumento della ragione in dialogo con la fede.

8. 1. Perché, obiettano, quei miracoli che andate dicendo siano avvenuti, ora non avvengono più? Potrei rispondere che sono stati necessari prima che il mondo credesse, affinché il mondo credesse. Chi per credere va ancora in cerca di prodigi, è egli stesso un prodigio perché non crede, mentre il mondo crede. Però lo dicono affinché si creda che quei miracoli non sono avvenuti. Come si spiega dunque che con tanta fede si canta da ogni parte che Cristo è stato elevato al cielo con la carne? Come si spiega che in tempi addottrinati, i quali rifiutano tutto ciò che è inattendibile, il mondo ha creduto senza miracoli a fatti incredibili perché troppo meravigliosi? Diranno forse che sono stati credibili e perciò sono stati creduti? E allora perché essi non credono? È quindi molto semplice il nostro dilemma: o da un fatto incredibile, perché fuori dell'esperienza, hanno suscitato la fede altri fatti incredibili, che tuttavia avvenivano ed erano nell'esperienza; ovvero un fatto così credibile, da non aver bisogno di miracoli per essere evidenziato, confuta l'eccessiva mancanza di fede di costoro. Direi questo per ribattere i più sciocchi. Difatti non possiamo negare che sono avvenuti molti miracoli, i quali dimostrerebbero quell'unico grande salvifico miracolo, per cui Cristo è salito al cielo con la carne con cui era risorto. È stato tutto scritto nei medesimi libri assolutamente veri: i fatti che sono avvenuti e per quale verità da credere sono avvenuti. Essi furono palesi per suscitare la fede; essi molto più evidentemente sono palesi mediante la fede che hanno suscitato. Sono letti fra i popoli affinché siano creduti, ma non si leggerebbero fra i popoli se non fossero creduti. Difatti anche al presente avvengono miracoli nel suo nome, sia mediante i sacramenti, sia attraverso le preghiere e il culto dei santi, ma non sono divulgati con la medesima notorietà al punto da avere una fama come quella. Il canone della sacra Scrittura, che doveva essere autenticato, fa in modo che quelli siano annunziati dovunque e siano impressi nel ricordo di tutti i popoli. Questi altri invece, dovunque avvengano, sono conosciuti appena da tutta una città o in qualsiasi località di individui che vivono insieme. Spesso infatti anche in quel luogo li conoscono pochissimi, mentre i più li ignorano, soprattutto se la città è molto grande; e quando sono narrati ad altri, in altre parti, non li sostiene una grande autorità, in modo che siano creduti senza difficoltà e incertezza, sebbene siano comunicati da cristiani a cristiani.

  

8. 2.  Il miracolo che avvenne a Milano, mentre vi risiedevo, quando un cieco riacquistò la vista, poté giungere alla conoscenza di molti perché la città era grande, vi risiedeva allora l'Imperatore e il fatto avvenne alla presenza di una grande folla che era accorsa per vedere i corpi dei martiri Gervasio e Protasio, che erano rimasti nascosti e del tutto ignoti. Erano stati scoperti perché svelati in sogno al vescovo Ambrogio e in quel luogo il cieco, fugate le tenebre di prima, rivide la luce.

  
8.3.  Invece a Cartagine soltanto pochissimi conoscono la guarigione che si verificò in Innocenzo, già avvocato alla viceprefettura; fummo presenti e lo costatammo con i nostri occhi. Egli, siccome con tutta la sua famiglia era molto devoto, aveva accolto me e il mio confratello Alipio, non ancora chierici ma già servi di Dio, che provenivamo da oltre il mare e avevamo preso alloggio presso di lui. Era curato dai medici per le emorroidi, che aveva numerose e aggrovigliate nella parte posteriore e più bassa del busto. I medici lo avevano già operato ed eseguivano con unguenti le rimanenti operazioni della propria professione. Nell'intervento aveva sofferto prolungati e forti dolori. Ma fra le molte una di quelle varici era sfuggita ai medici che non la ravvisarono, sebbene avrebbero dovuto inciderla col ferro chirurgico. Quindi essendo tutte guarite quelle che i medici già incise curavano, era rimasta quella sola e le si applicava inutilmente la cura. Innocenzo, stimando ingiustificate quelle dilazioni e temendo di essere operato un'altra volta, perdette il controllo. Infatti lo aveva preavvertito il medico di casa che gli altri non avevano convocato quando fu inciso la prima volta, affinché vedesse almeno come operavano. Innocenzo adirato lo aveva cacciato di casa e a stento ve lo aveva riammesso. Disse: "Mi opererete un'altra volta? Dovrò andare incontro alle previsioni di colui che non avete voluto presente?". E quelli continuavano a beffare il medico inesperto e a calmare con buone parole e con promesse la paura dell'uomo. Passarono molti altri giorni e non serviva a nulla quel che si faceva. Comunque i medici persistevano nella loro promessa che avrebbero guarito la varice non con lo strumento chirurgico ma con gli impiastri. Invitarono anche un altro medico, ormai anziano, molto celebrato nella tecnica chirurgica, Ammonio, che era ancora in vita. Egli, esaminata la parte, promise con attenzione alla loro diligenza e competenza il medesimo buon esito come gli altri. Tranquillizzato dalla sua autorità, con fine umorismo si burlò, come se fosse già guarito, del suo medico di casa che aveva previsto un altro taglio. Che dire di più? Passarono tanti giorni inutilmente, sicché i medici, stanchi e sfiduciati, confessarono che poteva guarire soltanto con un intervento. Si spaventò, divenne pallido, sconvolto dallo spavento e appena si riprese e poté parlare, comandò ai medici di andarsene e di non farsi più vedere da lui. Spossato dalle lacrime e costretto da quella ineluttabilità non gli venne in mente altro che rivolgersi a un certo Alessandrino, che allora era considerato un chirurgo molto efficiente, affinché egli facesse quel che adirato non voleva fosse fatto dagli altri. Ma dopo che questi venne e da esperto osservò nelle cicatrici l'opera dei medici, adempiendo un dovere di persona perbene, convinse l'individuo che essi piuttosto, i quali si erano tanto impegnati per lui, come egli poteva costatare con ammirazione, godessero del risultato della sua guarigione. Aggiunse che davvero, se non veniva operato, non poteva guarire e che ripugnava molto al suo temperamento strappare, per quel poco che rimaneva, l'onore di un lavoro così eccellente ad uomini, dei quali notava con ammirazione nelle sue cicatrici l'opera professionalmente molto valida, l'impegno, l'accuratezza. I medici riebbero la sua fiducia e si venne all'accordo che alla presenza dello stesso Alessandrino essi aprissero con lo strumento chirurgico la varice che ormai, col consenso di tutti, si riteneva inguaribile in altro modo. L'intervento fu rimandato al giorno dopo. Ma quando i medici se ne andarono, dalla grande angoscia del padrone si manifestò in quella casa un dolore così forte che a stento da noi si reprimeva il pianto come per un decesso. Lo visitavano quotidianamente uomini di santa vita: Saturnino di beata memoria, allora vescovo di Uzalis, il prete Guloso e i diaconi della chiesa di Cartagine. Fra di essi vi era anche Aurelio, il solo rimasto in vita, oggi vescovo, da nominarsi con noi col dovuto rispetto. Ricordando le meraviglie delle opere di Dio ho spesso parlato con lui di questo fatto e ho riscontrato che egli ricordava assai bene ciò che sto richiamando alla memoria. Mentre essi, come erano soliti, la sera precedente erano in visita da lui, li pregò con lacrime struggenti che alla mattina seguente si degnassero di essere presenti al suo funerale anziché al suo dolore. L'aveva infatti assalito una paura così grande a causa delle precedenti sofferenze che non dubitava di dover morire fra le mani dei medici. I chierici lo consolarono e lo esortarono ad avere fiducia in Dio e ad accettare virilmente la sua volontà. Poi andammo a pregare e lì, mentre al solito piegavamo i ginocchi e ci prostravamo a terra, egli si gettò giù come se fosse stato prosternato dalla violenta spinta di qualcuno e cominciò a pregare. Chi potrebbe esprimere a parole con quali gesti, con quanta passione, con quale sentimento, con quale fiume di lacrime, con quali gemiti e singulti che scuotevano tutto il suo corpo e ne impedivano quasi il respiro? Non sapevo se gli altri stessero pregando o se la loro attenzione fosse rivolta a questi particolari. Io certamente non riuscivo a pregare; dissi soltanto dentro di me queste brevi parole: "O Signore, quali preghiere dei tuoi figli esaudisci, se non esaudisci queste?". Mi sembrava infatti che non potesse avvenire altro se non che egli spirasse pregando. Ci alzammo e, ricevuta la benedizione del vescovo, ci allontanammo, mentre Innocenzo pregava che la mattina seguente fossero presenti, ed essi lo esortavano che si facesse coraggio. Spuntò il giorno temuto, erano presenti i servi di Dio, come avevano promesso, entrarono i medici, furono preparati gli strumenti che la circostanza richiedeva, furono tirati fuori i tremendi ferri chirurgici nello sbalordimento e ansia di tutti. Mentre quelli che hanno maggiore influenza cercano di lenire la sua mancanza di coraggio con parole di conforto, il corpo viene disposto sul lettuccio a portata della mano del chirurgo, si sciolgono i nodi delle fasciature, viene scoperta la parte, il medico guarda e cerca, armato e intento, la varice da recidere. Esplora con gli occhi, palpa con le dita, si adopera poi in tutti i modi: trova una solidissima cicatrice. La grande gioia, la lode e il ringraziamento a Dio onnipotente e misericordioso che sgorgò dalla bocca di tutti con accenti di giubilo soffusi di lacrime non sono da affidare alle mie parole; vi si pensi e non se ne parli.
  
8. 4. Sempre a Cartagine Innocenza, donna molto pia, di nobile famiglia, aveva un tumore alla mammella, male, come dicono i medici, non curabile con medicine. Quindi o si suole recidere e asportare dal corpo la parte in cui si forma, ovvero, affinché l'individuo viva un po' più a lungo, anche se la morte seguirà quantunque più tardi, si deve smettere, secondo l'opinione di Ippocrate, come dicono, qualsiasi cura. Lei aveva ricevuto questo consiglio da un medico esperto in materia e grande amico di casa e s'era raccomandata soltanto a Dio con la preghiera. All'avvicinarsi della Pasqua fu avvertita in sogno che qualsiasi donna battezzata venisse per prima incontro a lei, mentre guardava verso il battistero dalla parte delle donne, le segnasse la parte col segno di Cristo. Lo fece e la guarigione seguì immediatamente. Il medico, il quale le aveva prescritto di non usare alcun trattamento se voleva vivere un po' più a lungo, avendola in seguito visitata e costatando completamente guarita la cliente, che precedentemente con una visita aveva accertato affetta da quel male, le chiese con impeto quale cura avesse usato. Desiderava, per quanto è dato di capire, conoscere il farmaco con cui veniva disdetta la prescrizione di Ippocrate. Quando seppe da lei quel che era avvenuto, si narra che con l'accento e l'atteggiamento dell'insolente, al punto che lei temette che dicesse qualche parola offensiva contro Cristo, abbia risposto con religiosa cortesia: "Pensavo che mi avresti detto qualcosa di grande". E poiché la donna rabbrividiva, aggiunse: "Che grande miracolo ha fatto il Cristo a sanare un tumore, lui che ha risuscitato un morto di quattro giorni?"[Gv 11, 39-44]. Avendo io udito questo e avendo appreso con risentimento che era rimasto celato un così grande miracolo, avvenuto in quella grande città e su di una persona tutt'altro che sconosciuta, decisi di ammonirla in merito e quasi di rimproverarla. Avendomi risposto che lei non ne aveva taciuto, chiesi alle nobildonne che eventualmente accoglieva a casa come molto amiche se ne sapevano qualcosa. Mi risposero che non sapevano proprio niente. Le dissi allora: " Ecco come parli; anche queste donne, che ti sono unite con tanta intimità, non ti hanno udito parlare". E poiché le proposi un breve questionario, feci in modo che narrasse tutto per ordine, come era avvenuto, alle altre che ascoltarono, ammirarono molto e diedero gloria a Dio.
  
8. 5. È avvenuto anche nella medesima città che un medico, malato di gotta, avendo dato il proprio nome per il battesimo, prima che fosse battezzato, gli fu ingiunto in sogno da fanciulli negri riccioluti, in cui ravvisò i demoni, di non farsi battezzare entro l'anno. Non avendo ubbidito loro, provò un dolore lancinante, quale mai aveva provato, perché gli calpestarono i piedi e a più forte ragione, sconfiggendoli, non differì di purificarsi nel lavacro di rigenerazione, come aveva promesso. Ma nel battesimo fu libero non solo dal dolore da cui, oltre il consueto, era tormenatato, ma anche dalla gotta e in seguito, sebbene poi vivesse a lungo, non ebbe più dolore ai piedi. Ma chi lo sapeva? Io tuttavia ne sono a conoscenza e pochissimi fratelli ai quali poté giungere la notizia.
  
8. 6. Un attore a riposo di Curubi, mentre veniva battezzato, è stato guarito non solo dalla paralisi, ma anche da un'informe ernia scrotale e, libero dall'uno e dall'altro fastidio, come se non avesse avuto alcun male, risalì dal fonte battesimale. Chi conosce il fatto se non Curubi e pochi altri che hanno potuto sentirne parlare? Noi, quando lo abbiamo saputo, dietro ordine del santo vescovo Aurelio l'abbiamo fatto venire a Cartagine, sebbene ne avessimo sentito parlare da alcuni, della cui attendibilità non potremmo dubitare.
  
8. 7. Esperio, ex tribuno della plebe e nostro concittadino, possiede nel territorio di Fussala una tenuta che ha nome Zubedi. Avendo costatato che la sua casa, con disagio degli animali e degli schiavi, subiva l'influsso malefico degli spiriti cattivi, pregò i nostri presbiteri, dato che io ero assente, che qualcuno di loro si recasse sul posto affinché il diavolo si arrendesse alle sue preghiere. Uno vi andò, vi offrì il sacrificio del corpo di Cristo pregando con tutta la devozione possibile che cessasse quella vessazione; per la bontà di Dio cessò all'istante. Esperio aveva avuto da un suo amico un po' di terra santa, recata da Gerusalemme, dove il Cristo sepolto era risorto al terzo giorno; la teneva esposta nella sua camera da letto per non subire anch'egli il fastidio. Ma appena la sua casa fu liberata da quella molestia, pensava che cosa fare di quella terra che per rispetto non voleva tenere più a lungo nella sua camera da letto. Per caso avvenne che io e un mio collega ora defunto, Massimino, vescovo di Siniti, ci trovassimo nei pressi. Esperio pregò che andassimo da lui e vi andammo. Dopo aver riferito tutto, ci chiese anche che fosse conservata sottoterra quel po' di terra e vi fosse costruito un luogo di preghiera, in cui i cristiani potessero radunarsi per celebrare il culto di Dio. Non ci rifiutammo e fu fatto. V'era in quel luogo un giovane di campagna paralitico. Venuto a conoscenza del fatto, chiese ai suoi genitori che lo conducessero senza indugio in quel luogo santo. Essendovi stato condotto, pregò e, subito guarito, si allontanò dal posto con i propri piedi.
   
8. 8. Si chiama Vittoriana una casa di campagna che dista da Ippona meno di trenta miglia. Vi è in essa una cappella dedicata ai martiri di Milano Protasio e Gervasio. Vi fu portato un giovanetto il quale, mentre verso la mezza estate lavava un cavallo nella corrente di un fiume, fu invaso da un demonio. Mentre, vicino alla morte o assai simile a un morto, giaceva sul pavimento, la padrona del locale, come di consueto, vi entrò per i canti e le preghiere della sera insieme alle domestiche e ad alcune religiose e cominciarono a cantare gli inni. Il demonio fu come colpito e scosso da quel canto e con un terribile brontolio, non osando o non riuscendo a smuovere l'altare, vi si era avvinghiato come se vi fosse legato o incatenato e, supplicando con grande lamento che gli si perdonasse, confessò dove, quando e come aveva invaso il giovanetto. Infine dichiarando che voleva uscire, nominava le singole parti di lui che nell'uscire minacciava di asportare e, pronunziando queste parole, si distaccò dal ragazzo. Ma un suo occhio, riversatosi sulla guancia, pendeva con una piccola vena come da una radice interna e l'intera sua cornea, che era leggermente nera, era divenuta bianca. A quella vista i presenti, dato che erano accorsi anche altri, attirati dalle sue grida, e si erano tutti inginocchiati nella preghiera per lui, sebbene fossero contenti che fosse tornato all'uso della ragione, rattristati tuttavia per il suo occhio, dicevano che bisognava cercare un medico. Allora il marito della sorella, che l'aveva condotto in quel posto, disse: "Dio, che ha allontanato il demonio, può anche, per le preghiere dei suoi santi, restituirgli la vista". E lì, come poté, dopo averlo rimesso al suo posto, legò con un fazzoletto l'occhio riversato fuori e penzolante e ritenne di doverlo slegare soltanto dopo sette giorni. Avendo così fatto, lo trovò sanissimo. In quel luogo furono guariti altri, di cui sarebbe lungo parlare.
  
8. 9. So che una ragazza d'Ippona, essendosi segnata con l'olio, in cui un sacerdote, mentre pregava per lei, aveva fatto cadere delle lacrime, fu immediatamente libera dal demonio. So anche che un vescovo ha pregato una sola volta per un giovinetto che non conosceva e questi fu immediatamente libero dal demonio.
  
8. 10. V'era l'anziano Fiorenzo della nostra Ippona, uomo devoto e povero che si sostentava col mestiere di rammendatore. Aveva perduto il ferraiuolo e non aveva denaro per ricomprarlo. Nella cappella dei Venti Martiri, la cui devozione è molto diffusa nel nostro popolo 37, pregò a voce alta per avere roba da indossare. L'udirono alcuni ragazzi che per caso si trovavano là a deriderlo, e mentre si allontanava, lo seguivano prendendolo in giro come se dai martiri avesse chiesto cinquanta spiccioli per comprarsi un vestito. Ma egli camminando in silenzio vide un grosso pesce fuori dell'acqua che guizzava sulla spiaggia e col benevolo aiuto di quei ragazzi lo catturò e, denunziando quel che era avvenuto, lo vendette per trecento spiccioli a un cuoco, di nome Cattoso, buon cristiano, per la cottura adatta a conservare. Contava di acquistare con quel denaro la lana affinché la moglie, secondo la propria abilità, eseguisse per lui qualche capo da indossare. Ma il cuoco, spaccando il pesce, trovò nello stomaco un anello d'oro e subito, mosso da compassione e intimorito da un senso religioso, lo restituì all'uomo dicendo: "Ecco come i Venti Martiri ti hanno fatto avere un vestito".
8. 11. Dal vescovo Preietto veniva portata alle Acque Tibilitane una reliquia del gloriosissimo martire Stefano in mezzo a una grande folla che accompagnava e veniva incontro. In quell'occasione una cieca pregò di essere guidata al vescovo, offrì i fiori che portava, li riprese, li avvicinò agli occhi e istantaneamente vide. Nello sbalordimento dei presenti procedeva a passo di danza, percorrendo la via senza più chiedere la guida.
  
8. 12. La reliquia è stata riposta nella cittadella di Siniti che è vicina alla colonia d'Ippona. Lucillo, vescovo della medesima località, la portava in processione in mezzo al popolo che precedeva e seguiva. Una fistola, che lo affliggeva da molto tempo e che attendeva l'intervento di un medico, suo grande amico, all'improvviso fu guarita nel trasporto di quel sacro peso; difatti in seguito non la riscontrò più nel suo corpo.
  
8. 13. Eucario è un sacerdote proveniente dalla Spagna e risiede a Calama. Da tempo era afflitto da calcolosi; fu guarito mediante la reliquia del martire Stefano che il vescovo Possidio trasportò dove abitava. Il medesimo sacerdote fu colpito da un male molto grave e giaceva come morto sicché gli stavano già legando i pollici. Egli risuscitò per l'intercessione del martire suddetto quando gli fu riportata a casa, dal luogo ove era la reliquia del santo, la tunica e posta sopra il suo corpo disteso.
  
8. 14. V'era un uomo, uno dei principali del suo ceto, di nome Marziale, già avanzato in età e fortemente renitente alla religione cristiana. Aveva una figlia credente e il genero che si era battezzato in quell'anno. Essendosi ammalato, poiché essi con molte accorate lacrime lo supplicavano di farsi cristiano, rifiutò decisamente e con grande sdegno li respinse. Il genero decise di andare alla cappella di santo Stefano e lì pregare fino al possibile per lui, affinché il Signore gli concedesse la buona coscienza di non tardare nel credere in Cristo. Lo fece con grande lamento e pianto e sinceramente con ardente sentimento di pietà, poi nell'allontanarsi prese dall'altare una parte dei fiori che era a portata ed essendo già buio, glieli pose vicino alla testa e si dormì. Ed ecco prima dell'alba Marziale grida affinché si corra dal vescovo, che allora per caso era con me ad Ippona. Avendo udito che era assente, chiese che venissero i sacerdoti. Vennero, disse di credere e con meraviglia e gioia di tutti fu battezzato. Finché visse ebbe sulle labbra questa invocazione: "Cristo, accogli il mio spirito". Eppure non sapeva che furono queste le ultime parole di santo Stefano mentre veniva lapidato dai Giudei [At 7, 59]. Anche per lui furono le ultime. Poco dopo infatti spirò.
  
8.15. Sempre a Calama per intercessione del martire Stefano furono guariti dalla gotta due cittadini e uno straniero: i cittadini completamente; lo straniero udì in visione che cosa doveva usare quando soffriva e appena fatto ciò, il dolore scomparve immediatamente.
  
8. 16. Auduro è il nome di una tenuta, in cui v'è una chiesa e in essa la reliquia del martire Stefano. Buoi, che trainavano un carro agricolo, uscendo di carreggiata, con le ruote schiacciarono un bambino che stava giocando nell'aia ed egli immediatamente spirò spasimando. La madre, trattolo fuori, lo pose davanti alla reliquia e non soltanto tornò in vita, ma apparve del tutto incolume.
  
8. 17. Poiché una religiosa in un possedimento vicino, che si denomina Caspaliana, era affetta da un male senza speranza, una sua tunica fu portata all'altare del Santo. Prima che fosse ricondotta, la religiosa morì. I suoi genitori però coprirono il cadavere con la tunica suddetta e lei riprese a respirare e fu guarita.
  
8. 18. Presso Ippona un tale della Siria, chiamato Basso, davanti alla reliquia del martire Stefano pregava per la figlia ammalata in pericolo di vita e aveva portato con sé un vestito di lei, quando all'improvviso dalla casa accorsero i servi per avvertirlo che era morta. Però mentre egli pregava furono fermati dagli amici di lui i quali proibirono di dirglielo affinché non piangesse alla vista di tutti. Essendo tornato a casa che risuonava già dei pianti dei familiari e avendo steso la veste, che aveva fra mano, sopra la figlia, ella fu resa alla vita.
  
8. 19. Ancora ad Ippona il figlio di un certo Ireneo, esattore delle imposte, morì di malattia. Mentre il corpo giaceva esanime e si preparava il funerale da persone che piangevano per lo strazio, uno degli amici, fra le parole di conforto degli altri, suggerì che il corpo fosse unto con l'olio del santo martire. Si fece così e il morto tornò in vita.
  
8. 20. Sempre ad Ippona l'ex tribuno della plebe Eleusino pose sopra l'altare dei martiri, che si ha in un suo possedimento nel sobborgo, il figliolino morto in seguito ad una malattia e dopo una preghiera, che ivi rivolse con molte lacrime, lo risollevò tornato in vita.
  
8. 21. Che fare? Sollecita l'impegnativo intento di questa opera a non ricordare a questo punto tutti i fatti che conosco. Senza dubbio molti dei nostri, quando leggeranno queste pagine, si addoloreranno che ne abbia omessi molti che assieme a me certamente conoscono. Li prego fin d'ora di perdonare e di riflettere che sarebbe una fatica molto prolungata fare ciò che al momento l'obbligo dell'opera intrapresa mi costringe a non fare. Se infatti volessi soltanto riferire, per non parlare degli altri, i miracoli delle guarigioni che per l'intercessione di questo martire, cioè del glorioso Stefano, sono avvenuti nella colonia di Calama e nella nostra, ci sarebbe da compilare moltissimi libri. Tuttavia non potranno essere messi insieme tutti, ma soltanto quelli sui quali sono state consegnate le redazioni per essere lette nelle adunanze. Abbiamo desiderato che questo avvenisse quando abbiamo notato che segni, eguali agli antichi, della potenza di Dio sono in gran numero anche ai nostri tempi e che non debbono andare perduti per la conoscenza di molti. Non sono ancora passati due anni da quando ad Ippona Regia è stata costruita questa cappella e sebbene, e questo è per noi assolutamente certo, non siano state molte le redazioni dei fatti avvenuti per prodigio, quelle che sono state consegnate erano giunte all'incirca a settanta, quando ho scritto queste pagine. A Calama poi, in cui si è avuta la prima cappella e avvengono più spesso, superano di molto il numero.
  
8. 22. Abbiamo saputo che anche a Uzali, colonia vicina a Utica, sono avvenuti molti miracoli per l'intercessione del martire Stefano e molto prima che nella nostra città fosse stata dal vescovo Evodio organizzata la devozione per lui. Però in essa l'uso di consegnare le redazioni non v'è o meglio non v'è mai stato, poiché probabilmente ora ha già avuto inizio. Quando poco tempo addietro sono stato là, esortai, per desiderio del vescovo stesso, la nobildonna Petronia, guarita miracolosamente da una grave, prolungata infermità, per la quale erano stati insufficienti tutti i ritrovati dei medici, a compilare la redazione da leggere al popolo.
Ed ella eseguì con solerte obbedienza. In essa inserì un episodio che non posso passare sotto silenzio, sebbene sia incalzato a volgermi in fretta a quegli argomenti che svolgono questa opera. Scrisse che da un giudeo era stata convinta ad introdurre un anello in un cordone di capelli intrecciati da avvincere sotto le vesti, al nudo. L'anello doveva avere sotto la gemma una pietra trovata nei reni di un bue. Fasciata da quell'aggeggio, quasi fosse un medicamento, s'incamminava verso la chiesa del santo martire. Ma partita da Cartagine, pernottò in un suo possedimento posto sulla sponda del fiume Bagrada. Alzatasi per continuare il viaggio, vide quell'anello caduto davanti ai suoi piedi e meravigliata tentò di sciogliere la cintura di capelli, in cui era stato inserito. Avendola trovata legata con nodi solidissimi, pensò che l'anello si fosse spezzato e scivolato via. Essendo stato trovato anch'esso intatto, suppose di aver ricevuto da un così grande miracolo in certo senso la garanzia della futura guarigione e, sciogliendo quella fasciatura, la gettò nel fiume assieme all'anello. Non credono a questo fatto coloro i quali non credono che anche il Signore Gesù è stato messo al mondo attraverso l'utero intatto della vergine Madre e che è entrato a porte chiuse nel luogo dov'erano i discepoli. Però su questo miracolo s'informino direttamente e, se accerteranno che è vero, credano anche a quelli. Petronia è una donna illustre, nata da nobili, sposata con un nobile, vive a Cartagine; una città importante, una personalità importante non permettono che il fatto rimanga celato a coloro che se ne informano. Evidentemente il martire, per la cui intercessione è stata guarita, credette nel Figlio di colei che rimase vergine, credette in colui che entrò a porte chiuse nel luogo dov'erano i discepoli; infine, e proprio per questo vengono da noi espressi questi concetti, credette in colui che salì al cielo con la carne con cui era risorto. Quindi per la sua intercessione avvengono così grandi miracoli perché per questa fede ha dato la propria vita. Avvengono dunque anche ai nostri tempi molti miracoli operati sempre da Dio per la mediazione di chi vuole e come vuole ed Egli ha operato anche quelli che conosciamo dalla Scrittura. Questi però non sono noti allo stesso modo e non sono pigiati come ghiaia della memoria da una frequente lettura affinché non sfuggano al pensiero. Infatti dove si ha l'attenzione, che attualmente ha cominciato a manifestarsi anche dalle nostre parti, di leggere al popolo le redazioni di coloro che ottengono guarigioni, i presenti ascoltano una sola volta e molti non sono presenti. Quindi anche quelli che furono presenti dopo alcuni giorni non ricordano quel che hanno udito e difficilmente si trova qualcuno di essi che riferisca ciò che ha udito a chi sa che non era presente.
  
8. 23. Un solo miracolo è avvenuto dalle nostre parti, non più grande di quelli che ho ricordato, ma così celebre e famoso al punto da farmi ritenere che non vi sia alcuno degli abitanti d'Ippona che o non l'abbia visto o non ne abbia sentito parlare, e non v'è alcuno che per un qualsiasi motivo l'abbia potuto dimenticare. Dieci fratelli, di cui sette maschi e tre femmine, di Cesarea di Cappadocia, non di bassa estrazione fra i loro concittadini, in seguito alla maledizione della madre, che fu lasciata sola dopo la recente morte del loro padre e sopportò con grande amarezza il torto da loro ricevuto, furono puniti per volere di Dio di una pena tale che erano orribilmente scossi dal tremore delle membra. Non sopportando in simile sgradevole aspetto gli sguardi dei propri concittadini, andavano girovagando per quasi tutto il mondo romano in qualsiasi direzione sembrasse opportuno all'uno e all'altro. Due di essi, un fratello e una sorella, Paolo e Palladia, vennero anche dalle nostre parti, perché conosciuti in molti altri luoghi in quanto la condizione infelice ne spargeva la voce 39. Vennero una quindicina di giorni prima della Pasqua, frequentavano la chiesa in cui era la reliquia del martire Stefano, pregando affinché alfine Dio fosse benigno con loro e restituisse la salute di una volta. E lì e dovunque andavano attraevano l'attenzione della cittadinanza. Alcuni che li avevano visti altrove e conoscevano la causa del loro tremore la indicavano ad altri, a chiunque potevano. Arrivò la Pasqua e il giorno stesso di domenica, alla mattina, quando già un popolo numeroso era presente, il giovane pregando afferrava l'inferriata dell'edicola, in cui era la reliquia del martire. All'improvviso si sdraiò a terra e rimase disteso proprio come chi dorme, non tremando però come era solito anche nel sonno. Nello stupore dei presenti, dei quali gli uni tremavano, gli altri compiangevano, poiché alcuni volevano rialzarlo, altri lo impedirono e dissero che preferibilmente si doveva attendere il normale svolgimento. Ed egli all'improvviso si alzò e non tremava più perché era guarito ed era in piedi incolume fissando quelli che lo fissavano: chi in quel momento si trattenne dal lodare Dio? La chiesa si riempì delle voci di coloro che gridavano manifestando la propria gioia. Di lì si venne di corsa da me, dove sedevo pronto a comparire in pubblico; si precipitarono l'uno dopo l'altro, quello dietro per riferire la medesima cosa di quello davanti. Mentre io gioisco e in me ringrazio Dio, anch'egli entra con molti altri, si prostra alle mie ginocchia, si rialza per un mio bacio. Avanzammo verso il popolo, la chiesa era piena e risuonava di voci di gioia, poiché nessuno taceva e dall'una e dall'altra parte gridavano: "Grazie a Dio, lodi a Dio". Salutai il popolo e di nuovo gridavano con voce più fervorosa le medesime acclamazioni. Ottenuto finalmente il silenzio, furono letti i testi liturgici della sacra Scrittura. Quando si giunse al momento della mia omelia, espressi pochi concetti relativi al giorno di festa e alla pienezza di quella gioia 40. Preferii che non ascoltassero ma intuissero nell'opera divina una determinata eloquenza di Dio. L'uomo pranzò con noi e ci narrò con precisione tutta la storia della disgrazia sua, dei fratelli e della madre. Il giorno seguente dopo la omelia promisi che all'indomani sarebbe stata letta la redazione del suddetto racconto a me consegnata 41. Poiché questo doveva avvenire al terzo giorno dalla domenica di Pasqua, feci stare in piedi i due fratelli, mentre si leggeva la loro redazione, sui gradini del coro, da cui in una posizione più alta io parlavo. Tutto il popolo dell'uno e dell'altro sesso osservava l'uno che rimaneva in piedi senza movimento anormale, l'altra che aveva convulsioni in tutto il corpo. E coloro che non conoscevano il fratello scorgevano nella sorella quel che per la bontà di Dio era avvenuto in lui. Vedevano di che rallegrarsi per lui, che cosa chiedere nella preghiera per lei. Letta frattanto la loro redazione, ordinai che i due si allontanassero dalla vista del popolo 42 e cominciavo a esporre un po' più diligentemente il caso, quando all'improvviso, mentre parlavo, dalla cappella del martire si odono altre voci di un altro rendimento di grazie. I miei uditori si voltarono da quella parte e cominciarono ad accorrere 43. La giovane infatti, appena scesa dai gradini, sui quali stava in piedi, si era diretta verso il santo martire per pregare. Appena toccò l'inferriata, dopo essere caduta in coma come il fratello, si levò in piedi guarita. Mentre chiedevamo che cosa era avvenuto, per cui si era levato quel festoso schiamazzo, i presenti entrarono con lei nella basilica per accompagnarla guarita dalla cappella del martire. Si levò allora dall'uno e dall'altro sesso un grido di ammirazione così potente da sembrare che la voce, unita al pianto senza interruzione, non potesse aver termine. Fu condotta in quel posto in cui poco prima era stata in piedi tremante. Esultavano che era simile al fratello, poiché erano rimasti afflitti che era rimasta dissimile, e facevano notare che non erano state innalzate preghiere per lei, eppure la volontà che le precorreva fu così presto esaudita. Esultavano nella lode di Dio senza parole, ma con un frastuono così grande che le nostre orecchie potevano appena sopportare. E che cosa v'era nel cuore di coloro che esultavano se non la fede di Cristo, per la quale era stato versato il sangue di Stefano?

  

9. Che cosa dimostrano i miracoli se non la fede con cui si annunzia che Cristo è risorto nella carne ed è salito al cielo con la carne? I martiri stessi furono martiri di questa fede, cioè testimoni di questa fede. Offrendo la testimonianza di questa fede sopportarono con coraggio un mondo assai nemico e crudele e lo vinsero non con la resistenza ma con la morte. Per questa fede sono morti coloro che dal Signore possono ottenere miracoli poiché sono stati uccisi per il suo nome. Per questa fede si rivelò la loro ammirevole sopportazione del male, affinché con i miracoli seguisse il grande dominio sul male. Se infatti la risurrezione della carne per l'eternità o non ha preceduto in Cristo o non avverrà come è preannunziata da Cristo o come è stata preannunziata dai Profeti, dai quali il Cristo è stato preannunziato, non si spiegherebbe perché abbiano tanto potere i morti che sono stati uccisi per quella fede con cui si annunzia la futura risurrezione. Infatti Dio da se stesso può compiere i miracoli nell'ammirabile modo con cui nell'eternità opera le realtà nel tempo, ovvero li compie mediante i suoi ministri; e quelli che compie mediante i suoi ministri può compierli mediante le anime dei martiri, come mediante uomini ancora in vita, ovvero mediante gli angeli, ai quali ordina fuori del tempo, fuori dello spazio, fuori del divenire, sicché i miracoli, che si dicono compiuti mediante i martiri, sono compiuti perché essi pregano e intercedono, non perché li operano. Però tanto gli uni in un modo come gli altri in un altro, che in nessun modo si possono comprendere dai mortali, dimostrano quella fede, in cui si annunzia la risurrezione della carne nell'eternità.
   

De civitate Dei, V, 1-8, tr. it. di D. Gentili, Nuova Biblioteca Agostiniana, Città Nuova, Roma 1997, pp. 1244-1261