San Tommaso in questo testo della Somma contro i Gentili riflette sulle mancanze e sul male dovuti a deficienze delle cause seconde, sebbene in Dio stesso non ci sia nessun difetto. Sostenendo l’opportunità della disuguaglianza a sostegno della molteplicità, dato che una cosa è migliore dell’altra in forza delle differenze con le quali le cose differiscono tra loro, sulla scia di sant’Agostino l’Angelico spiega l’esistenza del male come mancanza di bene, mancanza che Dio non può escludere poiché lascia all’uomo agire secondo le proprie capacità. La bellezza dell’universo nasce dall’insieme ordinato di cose buone e cattive, poiché il male deriva dalla deficienza di certi beni, e tuttavia da esso, per la provvidenza di chi governa, derivano altri beni.
Da ciò risulta che la provvidenza con la quale Dio governa l’universo non toglie che nelle cose si riscontrino la corruzione, il difetto e il male. Infatti:
1. Il governo divino con il quale Dio opera nell’universo non esclude l’operazione delle cause seconde, come sopra abbiamo visto. Ora, il difetto negli effetti può provenire da un difetto nella causa seconda, senza che ci sia nessun difetto nella causa prima: come negli effetti di un artigiano, perfettamente padrone dei proprio mestiere, può capitare un difetto per le deficienze del suo strumento; e come può zoppicare un uomo provvisto di una forte facoltà di movimento, non già per una deficienza della facoltà suddetta, ma per il difetto della gamba. Dunque nelle cose compiute e governate da Dio può capitare una mancanza e un male per una deficienza delle cause seconde, sebbene in Dio stesso non ci sia nessun difetto.
2. Nelle cose create la bontà non sarebbe perfetta, se in esse non ci fosse gradazione di bontà, per cui alcune sono migliori di altre: infatti in tal caso non ci sarebbero tutti i gradi possibili di bontà; e nessuna creatura sarebbe simile a Dio mediante la sua preminenza su altri esseri. Inoltre sparirebbe dalle cose la loro suprema bellezza, se si togliesse l’ordine che regna tra le cose distinte e disuguali. E peggio ancora si eliminerebbe in esse la molteplicità, col togliere ogni disuguaglianza di bontà, poiché una cosa è migliore dell’altra in forza delle differenze con le quali le cose differiscono tra loro. È così infatti che differiscono quelle animate da quelle inanimate, e quelle razionali da quelle prive di ragione. Cosicché se nelle cose ci fosse l’assoluta uguaglianza, non ci sarebbe che un unico bene creato: il che pregiudica in modo evidente la perfezione delle creature. Ebbene, un grado superiore di bontà implica un bene che non può mai perdere la sua bontà, mentre un grado inferiore implica la possibilità di perderla. Perciò entrambi i gradi sono richiesti alla perfezione dell’universo. Ora, chi governa ha il compito di custodire e non di diminuire la perfezione nelle cose governate dalla sua provvidenza. Quindi non si può attribuire alla provvidenza divina il compito di escludere la possibilità di ogni difetto di bontà. Ma questa possibilità implica il male, poiché quello che può mancare, talora manca di fatto. E il male non è altro che una mancanza di bene, come sopra abbiamo spiegato. Dunque non va attribuito alla provvidenza il compito di impedire del tutto il male nelle cose.
3. Il miglior sistema di governo è quello di provvedere alle cose che si governano secondo la loro portata, poiché in questo consiste appunto la giustizia del governare. Perciò come sarebbe contro il buon governo umano che il capo dello stato impedisse agli uomini di agire secondo i loro uffici - salvo una sospensione momentanea per una qualche necessità -, così sarebbe contro il buon governo di Dio, qualora questi non lasciasse che le creature agissero secondo la portata della loro natura. Ma dal fatto che le creature agiscono in questo modo, segue la corruzione e il male nelle cose, poiché per i contrasti e le ripugnanze reciproche le cose si corrompono a vicenda. Dunque non è compito della divina provvidenza escludere del tutto il male dalle cose che essa governa.
4. Una causa agente qualsiasi può fare del male solo in quanto tende a un bene, com’è evidente dalle cose già dette. Ora, impedire universalmente alle cose create di tendere a un bene qualsiasi non si addice alla provvidenza di colui che è causa di ogni bene: poiché in tal modo si eliminerebbero molti beni dall’universo. Se al fuoco, p. es., si togliesse la tendenza a produrre altro fuoco, dalla quale segue il male che è la distruzione delle cose combustibili, si eliminerebbe il bene che consiste nella produzione del fuoco, e nella sua conservazione secondo la specie. Perciò alla divina provvidenza non si addice l’esclusione totale del male dall’universo.
5. Ci sono nell’universo molti beni che non ci sarebbero, se non ci fosse il male: non ci sarebbe, p. es., la pazienza dei giusti, se non ci fosse la cattiveria dei persecutori; non ci sarebbe la giustizia vendicativa, se non ci fossero dei delitti; e nel mondo corporeo non ci sarebbe la generazione di un essere, se non ci fosse la corruzione di un altro. Quindi se il male fosse del tutto eliminato nell’universo dalla provvidenza divina, ne sarebbero necessariamente diminuiti molti beni. Ma ciò non deve avvenire, perché è più fecondo il bene nella bontà che il male nella malizia, come sopra abbiamo visto. Dunque la provvidenza divina non deve totalmente escludere il male dall’universo.
6. Il bene del tutto è superiore al bene di una parte. Perciò è compito del saggio governante tollerare la mancanza di bontà in una parte, per accrescere la bontà del tutto: il costruttore, p. es., nasconde le fondamenta sotto terra, affinché abbia stabilità tutta la casa. Ma se da certe parti dell’universo si togliesse il male, ne scapiterebbe molto la perfezione di esso, la cui bellezza nasce dall’insieme ordinato di cose buone e cattive, poiché il male deriva dalla deficienza di certi beni, e tuttavia da esso, per la provvidenza di chi governa, derivano altri beni: come le pause del silenzio rendono soave la melodia del canto. Dunque il male non doveva essere escluso nell’universo dalla divina provvidenza.
7. Le altre cose, e specialmente quelle esistenti sulla terra, sono ordinate al bene dell’uomo, come al loro fine. Ora, se nelle cose non ci fosse nessun male, molta parte del bene umano sarebbe diminuito, sia quanto alla conoscenza, sia quanto al desiderio o all’amore del bene. Infatti il bene si conosce maggiormente in confronto col male; e mentre siamo colpiti dal male desideriamo il bene con più ardore: sono specialmente gli infermi, p. es., a riconoscere che gran bene è la salute; e sono essi a desiderarla più ardentemente dei sani. Perciò la divina provvidenza non può escludere del tutto il male dall’universo.
Di qui le parole di Isaia: «(Dio) produce la pace e crea il male». E quelle di Amos: «Non c’è un male nella città che non sia compiuto da Dio».
Ciò serve a confutare l’errore di certuni i quali, riscontrando nel mondo il verificarsi del male, affermavano che Dio non esiste. Boezio infatti riferisce questa domanda di un Filosofo: «Se Dio esiste, di dove viene il male?». Invece bisognerebbe fare questo ragionamento: «Se c’è il male, Dio esiste». Infatti il male non ci sarebbe se non esistesse l’ordine del bene, la cui privazione costituisce il male. Ma tale ordine non esisterebbe, se non esistesse Dio.
Quanto abbiamo detto qui sopra toglie anche l’occasione di cadere nell’errore di coloro che negavano l’estensione della divina provvidenza fino ai corpi corruttibili, mossi dal fatto che in essi riscontravano il verificarsi di molti mali; costoro affermavano invece che alla divina provvidenza sono soggetti solo gli esseri incorruttibili, nei quali non c’è nessun difetto e nessun male.
Si toglie pure l’occasione all’errore dei Manichei, i quali ammettevano l’esistenza di due princìpi agenti, uno buono e l’altro cattivo, come se il male non potesse aver luogo sotto la provvidenza di Dio.
Inoltre viene così risolto anche il dubbio di chi si domanda se le azioni cattive derivino da Dio. Sopra infatti abbiamo dimostrato che chiunque agisce compie il proprio atto in quanto agisce per virtù divina, e per questo Dio è causa di ogni effetto e di ogni azione; inoltre abbiamo ora dimostrato che il male e il difetto capitano nelle cose soggette alla divina provvidenza dalla condizione delle cause seconde, che implica la possibilità di un mancamento. Ma è evidente che le azioni cattive in quanto tali non derivano da Dio, bensì dalle cause prossime deficienti; invece per quello che esse hanno di efficienza e di entità bisogna che derivino da Dio: lo zoppicare, p. es., per quanto implica di movimento, dipende dalla potenza motrice, ma per quanto implica di difetto dipende dalla imperfezione della gamba.
Contra Gentiles, Libro III, cap. LXXI, tr. it. di Tito S. Centi, Utet, Torino 1978, pp. 257-263.