La questione dei rapporti tra scienza e fede cristiana sta acquistando un'importanza cruciale per la nostra società. Per non pochi intellettuali che oggi prendono posizione su questo argomento, sembrerebbe essere in gioco la scelta tra due visioni del mondo incompatibili e destinate ad un’inevitabile conflittualità. Eppure, occorre riflettere sulle possibili conseguenze di una non corretta comprensione e comunicazione delle posizioni della scienza su questo tema. A lungo andare, infatti, atteggiamenti ingiustificati di chiusura dogmatica di alcuni scienziati potrebbero provocare simmetriche reazioni di rigetto nei confronti della scienza da parte di quegli strati della popolazione che vedono nella fede religiosa una componente fondamentale della loro identità culturale. Nelle considerazioni qui offerte, ho preferito prescindere da episodi risalenti agli albori della scienza sperimentale (vedi il caso Galileo) in quanto, pur avendo grande interesse storico, non sono rilevanti per una visione oggettiva del problema che qui ci occupa.
Per capire se ci sia o meno un conflitto, occorre prima di tutto considerare scienza e fede come due diverse forme di conoscenza. Sarebbe troppo lungo, ed anche poco utile, soffermarsi sui vari modi in cui è stato visto nel tempo il loro rapporto. Un contributo storicamente rilevante per l'idea che ci sia un conflitto tra di esse, e che può essere valido ancora oggi per riassumere il punto di vista di molti, è sicuramente quello di Auguste Comte. Secondo il pensatore francese, la conoscenza umana attraverserebbe tre fasi successive, quella teologica o fittizia, quella metafisica od astratta ed, infine, quella scientifica o positiva. La fede religiosa apparterrebbe ad un periodo in cui si tendeva ad introdurre inesistenti cause soprannaturali e, come tale, sarebbe incompatibile con la piena fase scientifica nella quale stiamo ormai vivendo. Per giudicare la validità di questa conclusione, cominciamo prima con il capire come procedono e di cosa si occupano le scienze di oggi.
Si è rivelato molto difficile definire in un modo univoco in che cosa consista il metodo scientifico. Per alcuni consisterebbe nell'avanzare ipotesi confutabili, per altri nell'ottenere successo empirico, per altri ancora nel ricercare le leggi del mondo fisico. La scienza sperimentale, come tale, si applica non solo alle scienze naturali, come fisica, chimica o biologia, ma in linea di principio anche alla psicologia, alle scienze sociali, e ad ogni disciplina che si proponga di costruire enunciati verificabili sperimentalmente partendo da rappresentazioni o modelli, in genere di tipo matematico, utilizzati per descrivere un qualche ambito di fenomeni.
La caratteristica di questo schema è che ogni disciplina si identifica ed opera in una sua particolare approssimazione alla realtà, della quale, per definizione, non si possono prendere in considerazione tutti i possibili aspetti. Tale processo di semplificazione, implicito nel metodo scientifico, viene in genere controllato mediante approssimazioni successive ed è stato fondamentale per il progresso della conoscenza nei vari settori. In un certo senso, è come se filtrassimo solo certe componenti del reale cogliendone alcuni aspetti. In questo modo, riduciamo la ricchezza totale di informazioni da analizzare ma possiamo raffinare grandemente le tecniche di indagine di quegli aspetti che siamo interessati a descrivere. Proprio per questo, però, mantenendo tale modo di procedere, nessuna scienza può pretendere di descrivere tutta la realtà nella sua vastità e complessità.
Fatta questa premessa, il rapporto tra scienza e fede può essere posto su basi corrette partendo dalla constatazione che ci sono delle domande cui la scienza non dà alcuna risposta ma che, senza dubbio, restano domande fondamentali per ogni uomo. Di tali domande, Werner Heisenberg, uno dei padri della fisica quantistica, fa due esempi, "esiste un'anima immortale?" ed "esiste un Dio vivente?", sottintendendo che il Dio cui egli si riferisce è il Dio cristiano e non un impersonale reggitore del mondo. Secondo alcuni, invece, è proprio a partire da tali quesiti che si potrebbe dedurre la presunta contraddizione con la scienza.
Ovviamente, la questione non riguarderebbe la mera esistenza di Dio e dell'anima, come pure entità metafisiche, per la quale è evidente che non potrebbe porsi alcun tipo di conflitto. Il punto è un altro. A partire dal rapporto che si può venire a stabilire tra queste due entità, appunto Dio e l'anima, la fede cristiana arriva a concepire la possibilità di effetti osservabili inauditi in quegli ambiti fenomenici (fisico, chimico, biologico, psichico,…) che sono propri delle scienze. Allora la vera ragione del conflitto risiederebbe nel fatto che, in base alla scienza, non si possono più razionalmente accettare, ad esempio, quei fatti miracolosi di cui parla la Chiesa e che esulano dalle più comuni esperienze umane. Ci sarebbe dunque una contraddizione interna che imporrebbe razionalmente di scegliere tra due visioni del mondo alternative. Evidentemente, il semplice fatto che grandi scienziati come Faraday, Maxwell, Kelvin, Hertz, Helmholtz o Planck siano stati profondamente religiosi non viene di per sé considerato come una buona risposta a questa vecchia questione. Ciò è paradossale poiché proprio la fede di tali scienziati indica come, restando ad un livello di pura compatibilità logica, non manchino certo gli argomenti per poter giustificare tali ipotetici fenomeni.
Per questo motivo, rifiutare i miracoli su una base puramente sperimentale ha poco senso. Una risposta empirica richiederebbe infiniti esperimenti che, naturalmente, non sono possibili. Quindi la probabilità che ci possano essere effetti osservabili del tutto inaspettati rimarrebbe comunque non nulla. In questo senso, l'approccio sperimentale a tali questioni appare poco efficiente giacché, per la specificità del problema, una sua risposta definitiva potrebbe richiedere un tempo infinitamente lungo. Nel frattempo, le possibili conseguenze di misconoscere il potenziale effetto cercato sono talmente gravi da indurre una persona ragionevole a ricercare un altro tipo di risposta alle domande poste dalla fede.
A tale proposito, va detto che, proprio a causa di quel processo di filtraggio della realtà ricordato in precedenza, le scienze, pur essendo logicamente consistenti e verificate entro un dato ambito di fenomeni, potrebbero essere incomplete, cioè incapaci di spiegare tutti i possibili fatti sperimentali. Come esempio concreto di questa situazione, si potrebbe citare un esempio elementare tratto dalla fisica: la teoria ridotta del campo elettromagnetico considerata da Wigner.
Per capire questo esempio, ricordiamo che, in generale, i fenomeni elettromagnetici sono descritti dalle equazioni di Maxwell. Esse formano un sistema di otto equazioni differenziali alle derivate parziali. Sei di esse hanno un significato dinamico e legano le componenti del campo elettrico a quelle del campo magnetico. Le rimanenti due equazioni sono invece dei vincoli separati sulle componenti del campo elettrico e su quelle del campo magnetico. Ora, come ricorda Wigner, applicando alle sei equazioni dinamiche degli opportuni "filtri" che ne riducono il contenuto di informazione (gli operatori differenziali di rotazione), le equazioni di Maxwell di partenza vengono ridotte a tre equazioni separate delle onde per le tre componenti del campo elettrico e tre equazioni delle onde per le tre componenti del campo magnetico (con gli stessi vincoli di partenza). Questa formulazione dell'elettrodinamica è logicamente consistente ma non permette di spiegare tutti i fenomeni. Infatti, adesso campo elettrico e campo magnetico sono predetti evolvere separatamente. Potremmo allora partire da una situazione in cui solo il campo elettrico sia non nullo e, secondo la teoria ridotta, non potremmo mai avere un campo magnetico. Invece, secondo la teoria completa, sappiamo che la presenza di un campo elettrico variabile induce un opportuno campo magnetico. Per questo motivo, se vogliamo correttamente descrivere la forza magnetica che agisce su una carica elettrica in movimento, siamo costretti a fornire delle condizioni supplementari esterne allo schema ridotto che stiamo considerando. Si noti come la forza magnetica, che dipende dal rapporto tra la velocità della particella carica e la velocità della luce, è relativamente debole rispetto alla forza elettrica per particelle cariche che si muovono lentamente. In tale limite saremmo portati a concludere che la teoria ridotta con il solo campo elettrico funziona bene e solo disponendo di particelle veloci le deviazioni diventerebbero osservabili.
Si potrebbero portare ancora innumerevoli esempi di teorie che erano state generalmente accettate e che sono poi state sostituite da nuove teorie che, pur portando solo piccole correzioni in un certo dominio sperimentale, implicavano effetti qualitativamente nuovi di enorme importanza. Per questo motivo, una piena applicazione del metodo scientifico ci dovrebbe impedire di attribuire un qualunque carattere assoluto e definitivo alle nostre conoscenze. Proprio da questo tipo di considerazioni segue che non si possono razionalmente escludere i fenomeni del tutto inaspettati (come quelli che la teologia chiama miracoli) in quegli ambiti fenomenici che sono propri delle scienze. Anzi, tali ipotetici fenomeni non solo sono logicamente possibili ma, se si verificassero, le condizioni della loro riproducibilità non sarebbero certo quelle fissate dai protocolli scientifici di oggi, un po' come con gli eventi rari della fisica quantistica che non sono descrivibili nello schema della fisica classica.
Non si può fare a meno di ricordare come, invece, la contraddizione tra scienza e fede diventerebbe insanabile qualora non fossero chiare le limitazioni imposte dall'inevitabile semplificazione della realtà adottata nel metodo scientifico e dall'orizzonte temporale finito che restringe il numero ed il tipo di possibili test sperimentali. In una visione, infatti, dove la scienza venisse assunta quale dispensatrice di verità assolute, il miracolo rappresenterebbe una deviazione inaccettabile da regole inviolabili (il vecchio punto di vista riassumibile nella frase di Ernest Renan "i miracoli non esistono per il semplice motivo che non possono esistere"). Naturalmente, la neutralità di fondo della scienza sulla possibilità teorica dei miracoli non va confusa con il doveroso rigore nell'accertare o smentire ogni singolo evento che potesse apparire inspiegabile, almeno allo stato attuale della conoscenza.
Essendo chiaro che la presunta contraddizione tra scienza e fede cristiana non ha una base razionale, cosa si potrebbe invece dire su quel possibile “completamento” della scienza con la fede di cui parla la Chiesa? A tale scopo, ritornando ai due fondamentali quesiti considerati in precedenza, si potrebbe riportare un’interessante osservazione di Heisenberg sul significato del termine esiste quando ci si domanda se esiste un Dio vivente o se esiste un'anima immortale. In altri contesti, ha tale termine un suo significato assoluto? Per esempio, in matematica si può dire che esiste la radice quadrata del numero –1? Se ci si limitasse solo al campo dei numeri reali, bisognerebbe rispondere di no. Però, si è anche capito che importantissime relazioni matematiche si possono utilmente rappresentare introducendo il concetto di radice quadrata di –1, così estendendo il campo dei numeri reali a quello dei numeri complessi. In questa prospettiva più ampia la risposta alla domanda diventerebbe, senza dubbio, sì.
Ovviamente, il parallelo regge fino ad un certo punto. Infatti, i numeri complessi sono un campo nel quale possiamo decidere di giocare o meno. La religione invece riguarda noi stessi, la vita, la morte… e ci spinge inevitabilmente a riflettere sulle possibili conseguenze, a livello individuale e collettivo, di ignorare le questioni più fondamentali sul significato della nostra esistenza. Per affrontare tali questioni, e fare in un modo o nell'altro una scelta, dobbiamo necessariamente allargare il dominio della razionalità oltre il mero limite dello sperimentabile e del calcolabile che definisce l'attuale ambito della conoscenza scientifica.
Si noti come un tale allargamento, peraltro, è già richiesto ogni qualvolta si vogliano affrontare quei temi, come i rapporti tra la scienza e le altre attività umane o i suoi limiti e le sue finalità, che richiedono una prospettiva di tipo etico. Che di questi aspetti non si possa parlare in termini oggettivi, dal punto di vista scientifico, non significa certo che essi siano immaginari. Per questo motivo, parlare di conflitto tra fede e scienza in merito a tali questioni è improprio. L'attività scientifica, venendo svolta all'interno della società, va in qualche modo regolamentata (si pensi a ricerche su nuove forme di energia potenzialmente devastanti, su virus o batteri nocivi, sulla possibilità di creare in laboratorio forme di vita non esistenti in natura, ecc… ). Quindi, il conflitto non è tra fede e scienza ma, semmai, tra forme di regolamentazione ispirate dai contenuti della fede cristiana e forme di regolamentazione ispirate ad altre correnti filosofiche, ivi compreso il caso limite di una totale assenza di regole.
Riconosciutane la non conflittualità con la scienza, la fede cristiana può per questo rappresentarne una forma di completamento come prospettiva metafisica che dà una spiegazione della razionalità del cosmo e del senso ultimo delle cose. Sul valore di tale prospettiva si possono, naturalmente, nutrire opinioni molto differenti. Così, mentre da alcuni scienziati essa è vista come un residuo del passato, per altri mantiene la sua validità.
Tra questi c'è chi, come Heisenberg, pensa che "se all'uomo occidentale chiediamo cosa sia bene e cosa sia male, che cosa ha senso perseguire e che cosa respingere, le sue risposte rifletteranno le norme etiche del cristianesimo, anche quando non frequenti più da lungo tempo le immagini e le allegorie del cristianesimo. Se la forza che regge questa costruzione spirituale dovesse venir meno, l'umanità sperimenterebbe spaventevoli prove, più spaventevoli ancora dei campi di concentramento e della bomba atomica".
E c'è addirittura anche chi, come Louis Pasteur, si spinge sino ad intravedere una convergenza asintotica tra scienza e fede per cui "poca scienza allontana da Dio, molta scienza riconduce a Lui". In Pasteur sembra esserci l'idea che, se si arrivasse un giorno a conoscere l'intera realtà in tutta la sua vastità e complessità, questa ipotetica forma ultima di conoscenza avrebbe dei caratteri simili alle forme di percezione intuitiva come la poesia, l'arte, la religione. Quindi, accettare il trascendente, senza per questo entrare in contraddizione con la dimensione quotidiana della vita, rappresenterebbe una maniera di esistere e di conoscere che, diversamente da quanto comunemente si pensa, anticipa il futuro, un po' come con le verità matematiche di cui non è ancora stata trovata la dimostrazione.