- L'articolo 1 della Costituzione Italiana recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
- I padri e le madri costituenti vollero scrivere la parola ‘lavoro’ come il primo sostantivo dell’Italia post-fascista; osserviamo che non tutto il lavoro è degno ma solo quello degli uomini e delle donne libere.
- La disoccupazione, le nuove forme di servitù, il primato del profitto sulla dignità del lavoro possono mettere a rischio il fondamento della nostra democrazia.
- La Costituzione Italiana all’articolo 34 recita: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
- Ma se un sistema sociale premia chi è già capace, non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che non sono tali per demerito ma a causa delle condizioni sociali e ambientali ereditate..
- Il bene comune non è la somma dei beni individuali ma coincide con quel bene che è di tutti e di ciascuno, e che può essere conseguito solamente lavorando e agendo insieme.
- La società civile si compone di realtà quali «la famiglia, i gruppi, le associazioni, le realtà territoriali locali, in breve, quelle espressioni aggregative [...] alle quali le persone danno spontaneamente vita».
La reintroduzione dell’Educazione Civica come disciplina trasversale per ogni ordine e grado di insegnamento va sicuramente salutata in modo positivo e impone una riflessione che vorrei iniziare partendo da una parola: meritocrazia. Anche se non è la prima parola associata all’Educazione Civica, ‘meritocrazia’ è un termine importante su cui riflettere, perché rappresenta una delle dimensioni della scuola, oggi (è recente la discussa modifica dell’intestazione del Ministero competente in Ministero dell’Istruzione e del Merito) e ha a che fare con l’etica: l’Educazione Civica è anche un modo per introdurre l’etica nelle scuole. È emblematico che in Cina, dopo che negli anni di Mao e della rivoluzione culturale era stata eliminata dalla formazione dei giovani ogni traccia di confucianesimo e di riferimento religioso, considerati antimoderni, ci si sia resi conto che una cultura di solo consumo, solo schiacciata sull’economico, senza etica (che non parte necessariamente da un riferimento religioso, ma comunque dalla riflessione sull’essere), è una cultura ammalata.
La nostra Costituzione all’articolo 34 recita: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Una formulazione quanto meno parziale, perché chi dovrebbe essere messo nelle condizioni di raggiungere “i gradi più alti” non sono solo, né tanto, i capaci, ma i meno capaci, perché l’essere più o meno capace non è faccenda di merito ma di condizioni sociali e ambientali in parte ereditate. Se quindi un sistema sociale premia chi è già capace, non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che non sono tali per demerito ma per la vita. Quando, infatti, leghiamo la stima sociale, le remunerazioni e il potere ai talenti e quindi ai meriti, non facciamo altro che ampliare e amplificare enormemente le diseguaglianze. Il vero bluff è interpretare i talenti come merito, mentre in realtà sono al 98% ‘dono’; c’è sicuramente un 2% di impegno personale, ma contano molto le condizioni di partenza (famiglia, contesto, maestri, professori, incontri significativi). Persone già diseguali alla nascita per talenti naturali e condizioni familiari e sociali, da adulti lo diventano molto di più.
Ci sono chiaramente buone intenzioni nella formulazione dell’articolo 34 avvenuta in un’epoca di soprusi, sopraffazioni che si voleva abbandonare, dove i vari uffici sociali erano raggiunti attraverso varie forme di privilegio. In quel contesto quell’articolo era già innovativo, perché era importante arrivare al fatto che chi era privo di “mezzi” (ricchezza) avesse “diritto…”, si voleva arrivare alla scuola pubblica per tutti che in quel momento non c’era. Il problema, però, oggi, a ottant’anni dalla formulazione del testo e dalla fine del fascismo, è che queste parole si sono logorate; nel frattempo infatti è emersa l’ideologia della “meritocrazia” e le parole “capaci e meritevoli” si sono complicate diventando la giustificazione etica delle disuguaglianze.
L’etica è una cosa seria e riguarda il nostro modo di essere. Un mondo che dimentica l’etica non ha nessuna possibilità di educazione civica.
In un momento alto e fondante della nostra storia politica e civile noi italiani abbiamo voluto porre il lavoro come pietra angolare della Repubblica. Sono molti i significati, come sono molte le vicende storiche e le mediazioni tra le varie componenti e anime dell’assemblea costituente, nascosti dietro quel meraviglioso primo articolo.
In ogni patto, dalla fondazione di una famiglia a quella della Repubblica, le prime parole che si pronunciano sono le più dense di contenuti simbolici e ideali, sono quelle nelle quali è inscritta la mappa dell’intero discorso che a partire da lì si snoderà. Come prime parole del nostro nuovo patto sociale se ne sarebbero potute scegliere altre, da molti considerate più alte o adatte ad aprire una costituzione, come libertà, giustizia, uguaglianza o persino fraternità, parole tutte che erano state al centro della tradizione politica moderna, socialista, cattolica e liberale. Invece, in quell’incipit fu posta la parola ‘lavoro’. Una parola umile, ma forte, associata da sempre alla fatica al sudore e perfino allo sfruttamento, considerata nell’antichità come attività confacente allo schiavo, perché troppo infima e mercenaria.
I padri e le madri costituenti vollero scrivere la parola ‘lavoro’ come il primo sostantivo dell’Italia post-fascista. Nella semantica nascosta di quella parola c’era anche la vicenda storica dell’Italia contemporanea, dove la democrazia stava avanzando proprio grazie al grande movimento di lavoratori, uomini e – troppo poche – donne che furono veramente e pienamente cittadini quando, abbandonando lo status di servi in una campagna ancora sostanzialmente feudale, divennero lavoratori nelle fabbriche, nelle officine, nelle scuole, negli uffici e nelle cooperative. Dobbiamo infatti ricordare che non tutto il lavoro fonda la Repubblica, non tutto il lavoro è degno ma solo quello degli uomini e delle donne libere, non quello degli schiavi e dei servi, di ieri e di oggi.
E in quelle parole dell’articolo 1 c’era anche l’esperienza dei tanti che, per amore della democrazia e dei suoi valori, avevano perso il lavoro, perché perseguitati ed emarginati dal fascismo. Il potente strumento che ogni potere antidemocratico ha per togliere la dignità e la libertà è cancellare il lavoro. Furono tanti, troppi, gli italiani ed europei che dovettero chiudere fabbriche, tipografie, negozi, uffici, lasciare cattedre per non piegarsi alle richieste antidemocratiche e illiberali del regime. Molte di quelle vittime sarebbero state presenti nell’assemblea costituente e in quell’originale e felice articolo 1 avrebbero cercato di raccontare anche queste storie di amore civile. Nel fare questo, hanno creato la più bella equazione della nostra storia repubblicana, quella tra democrazia e lavoro, per dirci che la Repubblica è democratica perché fondata sul lavoro. Il lavoro, quando vissuto nella libertà, è una delle espressioni più alte di amore nella sfera sociale di cui gli esseri umani possono essere capaci; per questa ragione al lavoro non occorrono aggettivi che lo rendano degno e buono; lo è da subito.
Non è facile rileggere, oggi, con la necessaria serietà quell’articolo e al contempo restare troppo passivi in una Italia e in una Europa che, da una parte lasciano milioni di persone fuori dalla città del lavoro e dall’altra fanno troppo poco di fronte a nuove forme di schiavitù e servitù di lavoro sbagliato. Quell’articolo 1, quindi, ci dovrebbe far capire che la lotta alla disoccupazione deve avere lo stesso posto che occupa il lavoro nella nostra costituzione: il primo. Non si può barattare il lavoro con i profitti, né tantomeno con le rendite perché quando il lavoro è negato è in profonda crisi prima di tutto la democrazia.
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Piccolo glossario per l’insegnamento dell’Educazione civica a cura della redazione di DISF Educational |
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Laboratorio interdisciplinare: La Costituzione italiana stabilisce alcuni principi fondamentali e allo stesso tempo indica in quali direzioni si debba sviluppare la vita del Paese. I docenti di diverse discipline organizzino un evento in cui leggere e commentare diversi articoli della Costituzione italiana, mettendo in luce quali tra essi possono essere considerati pienamente applicati e quali invece hanno ancora bisogno di trovare una completa attuazione.
Discutiamone insieme: La classe venga invitata a individuare le espressioni più rilevanti della società civile e gli ambiti che le sono propri. Ne metta poi in evidenza il valore e rifletta sul rapporto tra queste realtà e il ruolo dello Stato.
Approfondisci e rifletti: La ricchezza della Costituzione italiana proviene da un lavoro di sintesi tra diverse prospettive e ispirazioni. Lo studente compia una ricerca sulle culture politiche di provenienza dei padri costituenti.
- L'articolo 1 della Costituzione Italiana recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
- I padri e le madri costituenti vollero scrivere la parola ‘lavoro’ come il primo sostantivo dell’Italia post-fascista; osserviamo che non tutto il lavoro è degno ma solo quello degli uomini e delle donne libere.
- La disoccupazione, le nuove forme di servitù, il primato del profitto sulla dignità del lavoro possono mettere a rischio il fondamento della nostra democrazia.
- La Costituzione Italiana all’articolo 34 recita: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
- Ma se un sistema sociale premia chi è già capace, non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che non sono tali per demerito ma a causa delle condizioni sociali e ambientali ereditate..
- Il bene comune non è la somma dei beni individuali ma coincide con quel bene che è di tutti e di ciascuno, e che può essere conseguito solamente lavorando e agendo insieme.
- La società civile si compone di realtà quali «la famiglia, i gruppi, le associazioni, le realtà territoriali locali, in breve, quelle espressioni aggregative [...] alle quali le persone danno spontaneamente vita».
Gualberto Gismondi, Progress, Scientific and Human
Manifesto per una educazione civica alla scienza, di Nico Pitrelli e Maria Chiara Tallacchini (2023)
Aldo Moro, L'alba della Repubblica (intervento all'Assemblea costituente, 1947)
Ambrogio Lorenzetti, L'Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo (1338-1339)
Lavoro, pietra angolare (2012), di L. Bruni