Antonio Stoppani alle radici dell’Antropocene tra natura e umanità

Ivan Colagè
Vice Direttore del Centro DISF. Coordinatore didattico della scuola SISRI. Professore Associato di Logica, Filosofia della Mente e della Scienza, Facoltà di Filosofia della Pontificia Università della Santa Croce

 

 

Perché avrebbe Iddio creato questo universo? Perché avrebbe riempito di tante meraviglie i tempi e gli spazi? [...] A che pro tutto questo, se tutto non fosse ordinato da Dio al fine supremo dell'uomo: a quella felicità ch'egli non prova che levandosi fino a Lui?”

 

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Un'incisione dalla prima edizione di Il Bel Paese: «Ghiacciaio detto Mer de glace a Chamouny»

 

Queste parole si trovano in una delle “conversazioni” de Il Bel Paese, opera divulgativa pubblicata la prima volta da Antonio Stoppani nel 1876. La citazione coglie in maniera interessante i due vettori del pensiero di Stoppani su cui vorrei concentrarmi in questo contributo. Non mi riferisco a “scienze e fede”, che pure trovano in Stoppani un’articolazione esplicita e interessante: sia nella sua biografia di geologo e sacerdote, sia nelle sue opere, che precorrono alcune delle coordinate principali dell’attuale campo di studi. Mi riferisco, invece, in maniera appena un po’ più circoscritta, a natura e umanità. La visione di Stoppani è piena di stupore e ammirazione per il “libro della natura”: la meravigliosa armonia, l’ordine e la bellezza che egli, da scienziato, vi scorgeva in un periodo storico – un secolo e mezzo fa – in cui la conoscenza della natura si andava espandendo e approfondando enormemente. Questo sguardo attento, tanto fine scientificamente quanto profondo e lungimirante nella fede, lo mise anche in grado di capire, già all’epoca, come l’umanità non fosse solamente il “destinatario principale” della creazione (come si intuisce dalla citazione iniziale), ma anche un fattore in grado di lasciare un segno reale, concreto e impossibile da trascurare nella natura stessa. Proprio questo rende Stoppani una figura chiave alla base della proposta e dell’elaborazione della recente e discussa nozione di “Antropocene”.

Porre Antonio Stoppani all’origine della nozione di Antropocene non è certo una mia proposta o interpretazione. Coloro che per primi la proposero nel 2000 – il Premio Nobel per la chimica Paul J. Crutzen e il biologo marino Eugene F. Stoermer – riconobbero esplicitamente in Stoppani una delle radici concettuali della nozione. Nel loro articolo intitolato The “Anthropocene” – pubblicato sulla Global Change NewsLetter nel 2000 – notavano che il geologo italiano era già arrivato a considerare le attività umane al pari di “una nuova forza tellurica, comparabile per potenza e universalità alle grandi forze della Terra”.

Ma: che cos’è l’Antropocene? La domanda richiede una risposta un po’ articolata.

Con il loro contributo, Crutzen e Stoermer proposero, di fatto, una nuova epoca geologica per il nostro pianeta, che, almeno secondo loro, sarebbe successiva all’Olocene e attualmente in corso. In sostanza, l’epoca dell’Antropocene sarebbe caratterizzata dal fatto che lo stato globale del pianeta Terra sia influenzato in maniera decisiva dalla presenza e dall’attività umane. Vale la pena di notare qui che anche lo stesso nome proposto trova un antecedente nell’opera di Stoppani, il quale già si riferiva, nel suo Corso di geologia del 1873, all’era “antropozoica” come a quella corrente, caratterizzata appunto della presenza umana sul pianeta.

Dalla prima proposta di Crutzen e Stoermer, il termine entrò rapidamente in uso, dapprima nella comunità geologica e poi sempre più diffusamente. Talmente si diffuse che nel 2009 la International Commission of Stratigraphy – e precisamente la Sottocommissione per la Stratigrafia del Quaternario – diede vita al Working Group on the Anthropocene. Scopo di questo gruppo di lavoro era quello di valutare se effettivamente l’Antropocene poteva essere ufficialmente considerato come una unità cronostratigrafica e geocronologica per il nostro pianeta e, conseguentemente, quello di stabilire il tempo di inizio di questa epoca geologica associandola a dettagli geologici ed ecologici oggettivi e misurabili.

Il dibattito è andato avanti per molto tempo all’interno del gruppo di lavoro e della comunità geologica internazionale. Nel frattempo, la letteratura specialistica si riferiva comunque sempre più spesso alla nozione di Antropocene, la quale ha anche visto proliferare scritti più divulgativi e di carattere interdisciplinare che ne trattavano (vorrei notare incidentalmente che la questione non ha lasciato indifferente neppure la teologia italiana, ad esempio con il libro Cambiare rotta di S. Morandini).

Anche il Centro di Ricerca DISF si è occupato della questione, soprattutto a motivo delle implicazioni interdisciplinari e antropologiche del tema (sulle quali torneremo a breve), ad esempio con l’Editoriale del giugno 2021, e dedicandovi un intero Workshop della Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare (SISRI) nel maggio del 2022. Tutto ciò avveniva prima che la Commissione Internazionale per la Stratigrafia si pronunciasse ufficialmente sulla proposta dell’epoca geologica “Antropocene”.

Il 20 marzo 2024 (pochi mesi fa), l’Unione Internazionale per le Scienze Geologiche (IUGS) ha diramato un comunicato col quale si diffonde il risultato della votazione dello Working Group on the Anthropocene. La votazione, ratificata successivamente della Commissione Internazionale per la Stratigrafia, rigetta la proposta di introdurre ufficialmente una nuova epoca geologica per la Terra denominata Antropocene e caratterizzata dell’impatto umano sullo stato globale del pianeta. Dunque, non siamo nell’Antropocene.

Questa decisione, che segue 15 anni di ricerca e dibattito del gruppo di lavoro dedicato (la cui complessità tecnica può essere apprezzata, ad esempio, in questo articolo sulla rivista “Anthropocene”), riflette ragioni tecniche geologiche riguardanti principalmente la difficoltà di individuare segnature chiare e univoche per l’inizio di quello che sarebbe stato l’Antropocene. Lo stesso comunicato, tuttavia, riconosce la rilevanza della nozione come un “descrittore delle interazioni tra umanità e ambiente” assai rilevante per discutere “l’impatto antropogenico sui sistemi climatici e ambientali della Terra”.

Insomma, la rilevanza della nozione di Antropocene sta proprio nel catturare alcuni aspetti del rapporto tra natura e umanità. Da questo punto di vista, l’intuizione di Stoppani resta valida e a suo modo confermata: l’essere umano gioca ormai – indipendentemente dall’essere riusciti a stabilire esattamente da quando – un ruolo decisivo per lo stato globale del nostro pianeta.

Non si può negare che le stesse ragioni, e gli stessi dati di fatto, che hanno indotto Crutzen e Stoermer a proporre l’Antropocene come epoca geologica sono alla base delle profonde preoccupazioni che la comunità scientifica palesa attualmente per la questione climatica ed ecologica. Questa intersezione di fatti e ragioni ha fatto sì che all’Antropocene fosse spesso data una accezione negativa, a tratti catastrofista. Vale a dire: 1) l’essere umano è un fattore decisivo per lo stato globale del nostro pianeta e 2) l’impatto dell’attività umana sul nostro pianeta è divenuto ormai essenzialmente negativo e problematico.

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Monumento a Antonio Stoppani, Lecco

Importanti ragioni di preoccupazione sono ormai ben documentate. Da quelle legate al cambiamento climatico, a quelle più generalmente ecologiche – che vanno dall’inquinamento su diverse scale alla perdita di biodiversità e alla distruzione degli habitat – fino ad arrivare alle questioni sociali, politiche ed economiche. Un testo agile per chiarirsi le coordinate del problema, e ancora abbastanza aggiornato, è quello di E. Padoa Schioppa, intitolato proprio Antropocene, del 2021. D’altra parte, il mondo scientifico ha da tempo esplicitato le sue attenzioni al tema. Già nel 1992, un folto numero di scienziati a livello globale (1.700, compresi 104 Premi Nobel) diramava un “Warning”, un avvertimento alla comunità internazionale, poi ribadito 25 anni dopo da oltre 15.000 scienziati provenienti da 184 paesi.

Tutto questo, tuttavia, assai probabilmente non era ancora, per la maggior parte, nei pensieri di Stoppani. Non poteva esserlo perché, sebbene alcuni dei processi alla base delle preoccupazioni attuali fossero già in essere, le conseguenze non erano ancora evidenti quanto lo sono ora. Al contrario, traspare del pensiero complessivo di Stoppani un ottimismo di fondo, sia per ciò che riguarda la natura, sia per ciò che riguarda l’essere umano – come si può costatare, ad esempio, dal suo discorso all’inaugurazione del Reale Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento di Firenze nel 1877 (Istituto che poi diverrà l’Università di Firenze).

Pertanto, nel pensiero di Stoppani, l’idea che l’essere umano fosse un fattore decisivo e caratterizzante per lo stato del pianeta Terra non si accompagnava alla convinzione che l’impatto umano dovesse essere inesorabilmente negativo. Ciò suggerisce anche che il concetto di Antropocene – vale a dire, la convinzione che la presenza umana sia “potente e universale” – non debba necessariamente avere tali implicazioni. Ciò che, invece, accompagna l’intuizione di Stoppani è la costatazione di quanto la natura, umanità compresa, sia un tutto armonioso e interconnesso:

 

“Non si può levare una goccia d'acqua dal mare, senza che tutto l'Oceano non si commova; non si può trarre un respiro, senza che tutta l'atmosfera non si agiti; non si può portar via un granello di polvere, senza che tutto il pianeta non si risenta: tanto l'ordine è perfetto, rigorosa la consegna, delicato l'equilibrio su cui si regge l'universo, non un atomo escluso.”

 

Questa prospettiva, inclusa da Stoppani in un discorso rivolto a giovani studentesse fiorentine nel 1878, risuona chiaramente con alcune istanze dell’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco e, più in generale, con l’enfasi posta sul tema ambientale ed ecologico (nelle sue implicazioni tanto naturali quanto sociali – appunto, strettamente collegate) dal Magistero della Chiesa recente. (È l’enfasi ad essere recente, mentre il tema del rapporto dell’essere umano con la natura è assai antico anche all’interno della tradizione ebraico-cristiana, soprattutto nei suoi legami con l’idea stessa di Creazione).

Potremmo quindi, sulla scia degli spunti che ricaviamo dell’opera di Antonio Stoppani a duecento anni dalla sua morte, affiancare alla costatazione che l’umanità sia in grado di avere un impatto decisivo sull’ambiente (che, ormai, da oltre cinquant’anni non può essere più considerato neppure solamente l’ambiente strettamene terrestre, dal momento che il progresso scientifico-tecnologico ci ha messo in grado di raggiungere, direttamente o indirettamente, anche quello extraterrestre), due altre prospettive: a) quella di una stretta connessione tra l’esistenza umana e quella della natura tutta; b) quella di un ottimismo di fondo legato al posto e al ruolo che la tradizione ebraico-cristiana affida alla nostra specie: il compito di prendersi cura della creazione in maniera reale, universale, attiva ed efficace.

Questo, oggi come oggi, grazie ai dati che la stessa scienza ci mette a disposizione, non può in alcun modo esimerci dalle preoccupazioni che circondano molti esiti della nostra attività. Dovrebbe però spronarci a mettere la nostra potenza – quella che la nozione di Antropocene sottolinea a partire proprio, come abbiamo visto, anche dal pensiero di Stoppani – a servizio integrale di questo nostro ruolo di cura del mondo. Il che poi risulterebbe, se la concezione di un universo strettamente e profondamente interconnesso in tutti i suoi risvolti venisse presa veramente sul serio, anche in una miglior cura dell’umanità verso se stessa.

Poter mettere appropriatamente a fuoco questo, vorrei notare in conclusione, dipende anche dal progresso scientifico, dalla crescita affascinante della nostra conoscenza della natura. E questo Stoppani lo aveva visto assai bene centocinquanta anni fa, quando sottolineava l’importanza della scienza e il “valore educativo dello studio della natura”. In sostanza dunque, la sfida attuale sembra essere quella di mettere questa nostra potenza profondamente a servizio della cura della natura, con la convinzione che nel far ciò renderemo un servizio anche alla nostra stessa umanità e, già immersi in questa natura, ci dirigeremo sempre più verso quella felicità richiamata da Stoppani anche nella citazione d’apertura.