Di origine ebrea, in seguito battezzato cristiano e frequentatore dell'ambiente metodista-battista inglese, Michael Polanyi studia medicina e nel 1913 partecipa alla Prima Guerra Mondiale come scienziato dell'esercito austro-ungarico. Dopo la tesi in chimica, si specializza in chimica-fisica con un dottorato sulla scoperta delle basi chimiche della vita. Seguendo i suoi interessi e a causa delle vicende politiche, si trasferisce a Berlino e lì sposa Magda, ebrea cattolica. Nel 1929 diviene membro a vita dell' Istituto Kaiser Wilhelm, ma, nel 1933, preoccupato per la situazione politica della Germania e dell'antisemitismo nascente, si trasferisce in Gran Bretagna, all'università di Manchester, dove insegna chimica-fisica e continua le sue ricerche di laboratorio pubblicando, nella sua carriera scientifica, più di duecento articoli specialistici.
Nel corso degli anni '30 i suoi interessi si ampliano ed egli si concentra sulle relazioni tra la comunità scientifica e la cultura politica, spinto dalle vicende politiche che sconvolgevano l'Europa, pubblicando diversi saggi sull'organizzazione della scienza nella società e sulle relazioni tra economia, scienza e politica filosofica, fra i quali Science, Faith and Society (1946) e Logic of Liberty (1951).
Nel 1948 passa ad insegnare, sempre all'università di Manchester, scienze sociali e si sposta regolarmente negli Stati Uniti per seminari e periodi d'insegnamento, nelle università più prestigiose, dove viene riconosciuto, prima e maggiormente che in Inghilterra, come epistemologo; dalla metà del secolo inizia ad elaborare le sue vedute filosofiche in opposizione a quelle neopositivistiche allora dominanti. Nel 1951-1952 è invitato a tenere le Gifford Lectures all'Università di Aberdeen, da cui, dopo otto anni di lavoro, trae il suo libro più sistematico e rappresentativo: Personal Knowledge. Towards a post-critical Philosophy (1958). Intanto, dal 1955 è nominato Senior Research Fellow al Merton College di Oxford e poi membro della Royal Society. Segue nel 1959 The Study of man e nel 1962 tiene le Polanyi's Terry lectures all'Università di Yale, sulla cui base è pubblicato The tacit dimension (1966) e la raccolta di saggi Knowing and Being (1969). L'ultimo libro, Meaning (1975), scritto con il filosofo americano Harry Prosch, sviluppa i problemi attorno al significato nel XX secolo, con apertura del discorso all'arte, alla religione e ad una teoria generale della cultura. Muore a Northampton, in Inghilterra, il 22 febbraio 1976.
Formatosi nella cultura austro-ungarica, culla di altri grandi scienziati e filosofi come L. Boltzmann, E. Schroedinger, W. Pauli, L. Von Bertalanffy, L. Von Neumann, L. Wittegenstein, K. Popper e del Circolo di Vienna, Polanyi aveva coltivato fin da giovane, sulla scorta di un'ampia educazione, interessi volti alle lettere e alle arti, oltre che alla scienza.
Dalla chimica e dalle ricerche sulle molecole, sugli atomi, sulle particelle e i legami energetici, Polanyi, studioso di profonda sensibilità, amplia la sua riflessione alla scienza come processo conoscitivo e allo studio del ruolo dello scienziato come persona in ricerca e che fa ricerca. Egli elabora un'epistemologia della scoperta che ha il suo punto chiave nell'idea che il conoscere non è riproducibile e riducibile ad uno schema descritto dalle scienze formali, come ipotizzato dalla psicologia comportamentista e proprio dell'impostazione neopositivista; la scienza non può, e non deve, essere impersonale e oggettivizzante, ma, invece, è un attività ed è una conoscenza personale, nella quale sono coinvolte necessariamente e naturalmente tutte le componenti della sfera razionale ed emotiva dell'uomo: la sensibilità, l'emotività, la socialità, il rischio, la razionalità, la scelta, la responsabilità, il rispetto per gli altri, le credenze, ecc., nonché alcune conoscenze "sussidiarie" e componenti intuitive e "tacite", proprie della mente e della formazione di ciascuno.
Spiega T. Torrance, studioso di Polanyi, in Belief in Science and in Christian Life (1980), che «secondo Polanyi qualsiasi ricerca scientifica portata avanti in un modo distaccato, impersonale e materialista isola se stessa dalle facoltà più alte dell'uomo e dunque restringe il suo campo e il suo potere di discernimento e comprensione» (p. xv) e che l'obiettivo dello scienziato è quello di trovare «un nuovo approccio in cui superare la dannosa cesura tra soggetto ed oggetto, mente e materia, o pensiero ed esperienza, e ricostituire la naturale unità del conoscere e dell'essere, poiché senza il modo integrativo di pensare che tale equilibrio razionale porta, la scienza può solo ostacolare i suoi stessi tentativi di cogliere le strutture più fini e più delicate incastonate nella natura» (p. xv). In tutti gli atti di comprensione vi è dunque una partecipazione personale determinante che non rende però l'attività conoscitiva un atto arbitrario o un'esperienza passiva, ma, tutt'altro, la qualificano come atto responsabile — che non può in nessun caso essere neutro o scevro da supposizioni e implicazioni contestuali — che aspira alla validità universale e si realizza in un conoscere che è oggettivo nel senso che stabilisce un contatto con una realtà nascosta che si crede conoscibile e reale.
In armonia con la sua filosofia della conoscenza, Polanyi delinea una propria visione del reale, articolata nella teoria dei "livelli ascendenti di esistenza", in cui a livelli del reale corrisponde una gerarchia d'intelligibilità; tale concezione è elaborata sulla scia dell'analisi categoriale e dai Seinsschichten (strati di essere) del metafisico tedesco N. Hartmann, ed è coerente con la sua formazione chimico-biologica. Ciascun livello funziona come “sistema aperto” che, per essere compreso nelle sue condizioni logiche e ontologiche, dipende da un altro superiore. Questa struttura coinvolge tutti i livelli della realtà, dai fatti del mondo materiale a quelli del mondo vivente, dagli esseri unicellulari fino all'uomo e alle sue strutture sia biologiche sia mentali. Ogni essere è, infatti, un insieme di parti che devono avere un principio organizzatore che metta insieme le parti componenti e che trascende i dati del livello inferiore il quale, a sua volta, è governato nelle sue parti inferiori, da principi e leggi proprie, ed influenza il livello superiore senza però poterlo condizionare del tutto né completamente risolverlo. Vi è dunque una scala evolutiva (evolutionary ladder) che è alla base dei vari livelli della realtà e degli esseri stessi e garantisce, da un lato, l'irriducibilità dei livelli, e dall'altro la continuità tra gli esseri viventi e non, tra il biologico e il mentale. Ogni livello emerge rispetto all'altro in modo sempre più spiccato e trascende i livelli più bassi attraverso i livelli più alti, mentali e l'uomo vi si colloca al punto più alto. L'uomo è all'apice del processo evolutivo, al livello più alto della gerarchia, e riassume in sé tutto l'universo (come nella visione dell' uomo microcosmo) dagli elementi più bassi — dalla componente fisico-chimica in avanti — fino ai caratteri più alti, ossia quelli della coscienza, della responsabilità, della cultura, del suo essere-persona; «l'uomo, dice Polanyi, è al culmine della creazione, ha sviluppato nella noosfera un intero universo di passioni mentali».
La ferma convinzione nell'unità della persona e del reale, nonché l'accento posto sull'impegno affettivo ed esistenziale del soggetto conoscente, è sostenuto da una prospettiva realista, di ricerca e di aspirazione alla verità. L'impegno nel conoscere e la fiducia che lo scienziato ripone nei metodi e negli strumenti di ricerca sono “atti di fede”, “atti d'amore” nei confronti della verità della realtà (“la verità — afferma Polanyi in Personal Knowledge — è qualcosa che può essere pensata solo credendovi”). Un simile atteggiamento è rintracciabile nella sfera religiosa, ad esempio nel passo delle Confessioni di sant'Agostino: «che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t'invochi credendoti» – Quaeram te, Domine, invocans te, et invocem te credens in te , I, 1,1) e nella celebre scommessa di Pascal. Per Polanyi, la divisione tradizionale tra fede e ragione riflette l'ipotesi che la ragione e la scienza procedono con regole esplicite di deduzione logica o generalizzazione induttiva. Ma queste operazioni sono impotenti di per sé. Conoscere è capire, e i processi logici espliciti sono efficaci solo come strumenti; essi non hanno alcun significato se non entro un contesto dinamico informale. Una volta che ciò sia riconosciuto, il contrasto tra fede e ragione si dissolve, ed al suo posto emerge piuttosto una loro maggiore somiglianza. La visione della conoscenza come impegno personale trova in Polanyi una feconda applicazione nella dinamica conoscitiva della fede: «Va senz'altro ammesso che la conversione religiosa impegna la nostra intera persona e cambia il nostro intero essere in un modo, che non trova riscontro nell'ampliamento della conoscenza della natura. Ma una volta che la dinamica del processo conoscitivo sia riconosciuta come principio dominante della conoscenza, la differenza appare come solo una differenza di principio. Perché, come abbiamo visto, tutta l'estensione della comprensione implica una espansione di noi stessi in una nuova dimora, di cui assimiliamo la struttura affidandoci ad essa come ci affidiamo al nostro proprio corpo. Anzi, l'intero essere intellettuale dell'uomo viene in esistenza proprio in questo modo, assorbendo il linguaggio e il patrimonio culturale in cui è allevato» (Faith and Reason , 1961, p. 244)
Bibliografia:
M. POLANYI, Faith and Reason, «The Journal of Religion» 41 (1961), pp. 237-247
G. DEL RE, Polanyi, Michael, in DISF, vol. II, pp. 2047-2054
T.F. TORRANCE (a cura di), Belief in Science and in Christian Life: the Relevance of Michael Polanyi Thought for Christian Faith and Life, The Handsel Press, Edinburgh 1980
T.F. TORRANCE , Il recupero del realismo nella moderna epistemologia e il pensiero di Michael Polanyi (1984), in T.F. Torrance , Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992, pp. 193-281
C. VINTI , Michael Polanyi. Conoscenza scientifica e immaginazione creativa, Studium, Roma 1999